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Pagine strappate

Tibet
Tibet

In tempi di pandemia (anche se in flessione) non ci si può muovere ancora del tutto liberamente.

Tuttavia, è possibile spostarsi ricorrendo alla fantasia o ai ricordi. E i ricordi, a volte, ci portano verso chi o ciò a cui siamo legati e da cui siamo separati.

Il mio pensiero, come spesso mi accade, torna al Tibet, terra che amo perché tanto mi ha dato. Ci sono stato di recente e con il piacere che dà la condivisione riporto alcune pagine del mio diario:

“La frana improvvisa ha completamente bloccato la strada. In periodo monsonico questi fenomeni sono frequenti, ma tuttavia non posso fare a meno di riflettere sul fatto che il mio mezzo di trasporto non è stato investito solo per una banale e provvidenziale breve sosta per una pipì.

Non resta che proseguire a piedi verso Kyirong/Rasuwa Gadhi, la frontiera tra Tibet e Nepal. Sono solo 5 chilometri. Cammino con lo sguardo vigile sull’altura che costeggio per cogliere cenni di eventuali altre frane in arrivo. Ogni tanto riesco anche ad ammirare il paesaggio, che ritrova il verde degli alberi dopo i territori aridi di alta quota. Lascio scorrere come in una moviola i ricordi di ciò che ho visto nei giorni scorsi.

In Tibet il governo cinese ha effettuato grandi modernizzazioni nelle infrastrutture (rete stradale, idrica, elettrica). Offre anche opportunità di studio ed integrazione ad una fascia della popolazione locale che si dimostri non critica.

In cambio, sfrutta il Paese prelevandone le risorse, ma soprattutto ne altera l’essenza. Con incentivi ha attirato grandi masse di coloni cinesi ed ora l’equilibrio demografico è a favore di questi ultimi. È così che i tibetani sono diventati una minoranza nella loro stessa terra.

Tuttavia, la gente resiste cercando di preservare ciò in cui crede. Il magnifico monastero di Tashilhunpo, sede del falso Panchen Lama nominato dal governo al posto del legittimo bambino reincarnato rapito nel 1995 (Gendün Chökyi Nyima), è stato perfettamente restaurato con fondi statali, ma pochi fedeli vi si recano per non dare implicito riconoscimento a chi considerano un usurpatore.

Sul sentiero sterrato che gira intorno al Kailash, la Montagna Sacra mandala, centro e origine del mondo nella concezione buddhista tibetana, ma venerata anche da bön, induisti e jain, sono invece numerosi i pellegrini che affluiscono e misurano il proprio avanzare con prosternazioni a terra. Il loro kora, periplo rituale a 5.000 metri di altitudine, dura circa due settimane e testimonia una fede non alterata dagli eventi storici.

La Montagna Sacra viene identificata col mitologico Monte Meru. Compare in una delle opere più belle della letteratura tibetana, “I centomila canti di Milarepa”, e nei più grandi poemi epici di quella indiana. Non è mai stata scalata da nessuno, poiché è considerata sacra da circa un quinto della popolazione mondiale. Tibetani e indiani ritengono di dover compiere un pellegrinaggio presso il Kailash almeno una volta nella vita. Se effettuato 108 volte, si dice che garantisca il nirvana.

A tutto questo ripenso mentre, raggiunta la frontiera, mi metto in fila per i controlli di uscita dal Paese. Solerti doganieri cinesi mi riportano alla differenza tra l’immagine di modernità e diffuso benessere che il governo centrale vuole dare e la realtà: nell’arduo tentativo di cancellare la storia per permettere che sia riscritta dai più forti, strappano dai libri dei visitatori le pagine che narrano dell’invasione cinese.”.

Dalai lama

Il Dalai Lama con l’immagine del Panchen Lama rapito