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Responsabilità derivante da esercizio dell’attività sportiva

Nota a Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 27 ottobre 2005, n. 20908
La sentenza in oggetto si pone quale conferma di un filone giurisprudenziale il quale si interessa da lungo tempo delle implicazioni e delle responsabilità in capo ai soggetti che “orbitano” attorno al mondo dello sport.

Già la relativa autonomia dell’ordinamento sportivo ed i suoi rapporti con l’ordinamento statale hanno a lungo impegnato i giuristi in “eterni” dibattiti dottrinari e, soprattutto ultimamente, anche la giurisprudenza risulta essere fautrice di un diritto vivente che regola le responsabilità non solo degli atleti, ma di tutti coloro che partecipano ad una attività sportiva.

Soprattutto negli ultimi anni, infatti, davanti ai giudici sono stati condotti casi del genere, con un crescendo di importanza e di visibilità nei confronti del grande pubblico.

Può accadere, infatti, che la responsabilità per i danni causati a sportivi (e anche a terzi) durante una competizione, sia da attribuire alla condotta di persone che non prendono direttamente parte alla competizione, ma la organizzano, la dirigono, la controllano o svolgono altre mansioni per consentirne il corretto svolgimento.

L’area di “frizione” tra le condotte rilevanti solo in ambito sportivo e quelle riconducibili all’interno dell’ordinamento statale è dominato dalla c.d. teoria del rischio consentito.

A questa teoria si rifà la sentenza in oggetto la quale estende tale ragionamento a tutti coloro i quali siano investiti di una funzione indispensabile allo svolgimento di una competizione sportiva.

Più in particolare, secondo la sopra citata teoria del rischio consentito, le regole cautelari suscettive di venire in gioco in tali ipotesi non possono essere esclusivamente costruite in base ai tradizionali criteri di prevedibilità ed evitabilità dell’evento, ma devono permettere lo svolgimento dell’attività sportiva (attività con finalità e caratteristiche peculiari), mantenendo al contempo il livello di pericolosità entro limiti accettabili: soltanto il superamento di tali limiti ( i margini del c.d. “rischio consentito”) può essere fonte di responsabilità colposa.

In definitiva, per la Cassazione l’illecito sportivo presuppone il consenso dell’avente diritto e ricorre quando la condotta lesiva sia finalisticamente inserita nel contesto di una attività sportiva; una responsabilità colposa si ha quando la condotta lesiva superi il rischio consentito e trasmodi nel disprezzo per l’altrui integrità fisica, mentre una responsabilità per dolo sarà rilevata quando la gara sia soltanto l’occasione dell’azione lesiva.

Difatti “l’illecito sportivo non è configurabile quando lo svolgimento della gara è solo l’occasione di tempo e di luogo dell’azione produttiva di lesioni personali, in realtà avulsa dalle esigenze di svolgimento della gara e solo determinata dalla volontà di compiere un atto di violenza fisica lesivo della altrui incolumità personale” (si veda Cass. pen. sez. I , 20 novembre 1973).

Dal punto di vista della responsabilità dell’organizzatore di manifestazioni sportive, occorrerà ricordare che questi è colui il quale promuove l’ ”incontro” tra due o più atleti con lo scopo di raggiungere un risultato in una o più discipline sportive, indipendentemente dalla presenza o meno di spettatori e, dunque, a prescindere dal pubblico spettacolo.

La responsabilità dell’organizzatore è essenzialmente riscontrabile nei confronti degli atleti che partecipano a manifestazioni sportive, nonché nei confronti degli spettatori di tali manifestazioni o comunque di soggetti terzi a queste ultime.

Per dispensare l’organizzatore sportivo dalle responsabilità per eventi dannosi eventualmente riconducibili alle proprie condotte e/o alla posizione di garanzia in suo capo, basterà che quest’ultimo abbia predisposto le normali cautele idonee a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva, nel rispetto di eventuali regolamenti sportivi.

L’attività agonistica, infatti, implica l’accettazione del rischio da parte degli atleti che vi partecipano; i danni da loro sofferti, se rientranti nell’alea dello sport praticato, ricadono sugli stessi atleti. Per essere esente da responsabilità in questi casi l’organizzatore dovrà solo dimostrare di “avere predisposto le normali cautele atte a contenere il rischio nei limiti confacenti alla singola attività sportiva, nel rispetto di eventuali regolamenti sportivi ”; resterà comunque a carico sia degli atleti sia degli organizzatori l’obbligo di rispettare il generico principio del neminem laedere.

Seguendo tale iter logico – argomentativo la Suprema Corte nel caso in esame ha statuito e confermato ha confermato la sentenza del grado di merito precedente, la quale non aveva ammesso la responsabilità degli organizzatori di una gara di sci per i danni subiti da un guardiaporte, investito dal partecipante ad una gara di slalom gigante.

La sentenza in oggetto si pone quale conferma di un filone giurisprudenziale il quale si interessa da lungo tempo delle implicazioni e delle responsabilità in capo ai soggetti che “orbitano” attorno al mondo dello sport.

Già la relativa autonomia dell’ordinamento sportivo ed i suoi rapporti con l’ordinamento statale hanno a lungo impegnato i giuristi in “eterni” dibattiti dottrinari e, soprattutto ultimamente, anche la giurisprudenza risulta essere fautrice di un diritto vivente che regola le responsabilità non solo degli atleti, ma di tutti coloro che partecipano ad una attività sportiva.

Soprattutto negli ultimi anni, infatti, davanti ai giudici sono stati condotti casi del genere, con un crescendo di importanza e di visibilità nei confronti del grande pubblico.

Può accadere, infatti, che la responsabilità per i danni causati a sportivi (e anche a terzi) durante una competizione, sia da attribuire alla condotta di persone che non prendono direttamente parte alla competizione, ma la organizzano, la dirigono, la controllano o svolgono altre mansioni per consentirne il corretto svolgimento.

L’area di “frizione” tra le condotte rilevanti solo in ambito sportivo e quelle riconducibili all’interno dell’ordinamento statale è dominato dalla c.d. teoria del rischio consentito.

A questa teoria si rifà la sentenza in oggetto la quale estende tale ragionamento a tutti coloro i quali siano investiti di una funzione indispensabile allo svolgimento di una competizione sportiva.

Più in particolare, secondo la sopra citata teoria del rischio consentito, le regole cautelari suscettive di venire in gioco in tali ipotesi non possono essere esclusivamente costruite in base ai tradizionali criteri di prevedibilità ed evitabilità dell’evento, ma devono permettere lo svolgimento dell’attività sportiva (attività con finalità e caratteristiche peculiari), mantenendo al contempo il livello di pericolosità entro limiti accettabili: soltanto il superamento di tali limiti ( i margini del c.d. “rischio consentito”) può essere fonte di responsabilità colposa.

In definitiva, per la Cassazione l’illecito sportivo presuppone il consenso dell’avente diritto e ricorre quando la condotta lesiva sia finalisticamente inserita nel contesto di una attività sportiva; una responsabilità colposa si ha quando la condotta lesiva superi il rischio consentito e trasmodi nel disprezzo per l’altrui integrità fisica, mentre una responsabilità per dolo sarà rilevata quando la gara sia soltanto l’occasione dell’azione lesiva.

Difatti “l’illecito sportivo non è configurabile quando lo svolgimento della gara è solo l’occasione di tempo e di luogo dell’azione produttiva di lesioni personali, in realtà avulsa dalle esigenze di svolgimento della gara e solo determinata dalla volontà di compiere un atto di violenza fisica lesivo della altrui incolumità personale” (si veda Cass. pen. sez. I , 20 novembre 1973).

Dal punto di vista della responsabilità dell’organizzatore di manifestazioni sportive, occorrerà ricordare che questi è colui il quale promuove l’ ”incontro” tra due o più atleti con lo scopo di raggiungere un risultato in una o più discipline sportive, indipendentemente dalla presenza o meno di spettatori e, dunque, a prescindere dal pubblico spettacolo.

La responsabilità dell’organizzatore è essenzialmente riscontrabile nei confronti degli atleti che partecipano a manifestazioni sportive, nonché nei confronti degli spettatori di tali manifestazioni o comunque di soggetti terzi a queste ultime.

Per dispensare l’organizzatore sportivo dalle responsabilità per eventi dannosi eventualmente riconducibili alle proprie condotte e/o alla posizione di garanzia in suo capo, basterà che quest’ultimo abbia predisposto le normali cautele idonee a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva, nel rispetto di eventuali regolamenti sportivi.

L’attività agonistica, infatti, implica l’accettazione del rischio da parte degli atleti che vi partecipano; i danni da loro sofferti, se rientranti nell’alea dello sport praticato, ricadono sugli stessi atleti. Per essere esente da responsabilità in questi casi l’organizzatore dovrà solo dimostrare di “avere predisposto le normali cautele atte a contenere il rischio nei limiti confacenti alla singola attività sportiva, nel rispetto di eventuali regolamenti sportivi ”; resterà comunque a carico sia degli atleti sia degli organizzatori l’obbligo di rispettare il generico principio del neminem laedere.

Seguendo tale iter logico – argomentativo la Suprema Corte nel caso in esame ha statuito e confermato ha confermato la sentenza del grado di merito precedente, la quale non aveva ammesso la responsabilità degli organizzatori di una gara di sci per i danni subiti da un guardiaporte, investito dal partecipante ad una gara di slalom gigante.