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Ritiro dall'Afghanistan, una sconfitta dell'Occidente

Ritiro Afghanistan
Ritiro Afghanistan

di Gianandrea Gaiani

Gli Stati Uniti sembrano aver preso la decisione definitiva di rimpatriare le residue truppe presenti in Afghanistan, appena 3.500 effettivi dopo i ritiri progressivi ordinati dall’amministrazione Trump. Il presidente Joe Biden ha annunciato infatti un ritiro di tutte le truppe entro l'11 settembre di quest’anno, con un posticipo di oltre 4 mesi rispetto alla data del 1° maggio stabilita negli accordi stipulati a Doha (Qatar) con i Talebani nel febbraio 2020.

"Prima del 1° maggio, inizieremo un ritiro ordinato e abbiamo in programma di ritirare tutte le truppe prima del 20esimo anniversario dell'11 settembre", aveva spiegato un alto funzionario americano, aggiungendo che Biden non imporrà condizioni ai talebani o al governo afghano per completare il ritiro. Attualmente ci sono circa 3.500 soldati statunitensi in Afghanistan: 2.500 assegnati all’Operazione NATO Resolute Support, di cui fanno parte anche 7mila militari di 36 Stati della Coalizione (tra i quali 750 britannici, 860 georgiani, 890 italiani e 1.300 tedeschi), che addestra e supporta le truppe di Kabul. Un migliaio di soldati del Comando forze speciali conduce invece operazioni contro milizie jihadiste nell’ambito dell’operazione Freedom Sentinel, erede di Enduring Freedom varata da George W. Bush.

Ieri il segretario di Stato, Antony Blinken ha detto che è arrivato il momento di ritirare le truppe presenti in Afghanistan. "Abbiamo raggiunto gli obiettivi che ci eravamo prefissati e ora è il momento di portare a casa le nostre forze" ha detto annunciando che con la NATO gli USA continueranno a operare per la sicurezza dell’Afghanistan. In realtà è quanto meno paradossale che a Washington si affermi che sono stati raggiunti gli obiettivi prefissati dal momento che i talebani hanno cessato di attaccare le truppe alleate, ma hanno incrementato gli attacchi ai militari afghani e ai rappresentanti civili del governo di Kabul.

La nuova data in cui cesserà l’impegno militare statunitense a Kabul ha ovviamente un valore simbolico poiché coinciderà con il ventesimo anniversario degli attentati alle Torri gemelle di New York dell'11 settembre 2001. Determinarono l’attacco all’Afghanistan che, nel novembre di quell’anno, portò alla caduta del regime talebano. Tuttavia, più che alle ricorrenze, la Casa Bianca dovrebbe preoccuparsi dell’impatto di questa decisione sul governo e sui militari afghani, che hanno scarse possibilità di resistere agli attacchi talebani senza la presenza delle forze alleate.

Non a caso l’annuncio del ritiro dal più lungo conflitto della storia americana ha provocato critiche bipartisan dal Congresso che già si erano registrate quando venne reso noto il piano di Donald Trump. Il leader della minoranza Repubblicana al Senato, Mitch McConnell ha affermato che Biden "abbandona i nostri partner e si ritira di fronte i talebani" nell’ambito di un “ritiro affrettato delle forze, un grave errore, una ritirata di fronte ad un nemico che non è scomparso è una rinuncia alla leadership americana". Anche il senatore Lindsey Graham ha definito il ritiro "un disastro annunciato, stupido e terribilmente pericoloso". Critiche sono arrivare anche dai democratici, con Jeanne Shaheen, della commissione Esteri della Camera, che si è detta "molto delusa" della decisione di Biden, considerando il rischio di abbandonare gli afghani, in particolare le donne, sul fronte di diritti umani e civili. "Gli Stati Uniti hanno sacrificato troppo per la stabilità dell’Afghanistan per abbandonarlo senza aver assicurato il suo futuro", ha aggiunto. Più morbidi col presidente altri senatori democratici: “Quali altre scelte aveva? Non c'erano buone scelte a disposizioni", ha detto Patrick Leahy. Entusiasta invece la sinistra del Partito Democratico con Bernie Sanders che definisce "coraggiosa e giusta" la sua decisione e Elizabeth Warren che afferma di sostenere "con forza l'impegno del presidente a ritirare tutte le truppe dall'Afghanistan. Per Chris Murphy “i sostenitori della guerra senza fine da 15 anni dicono che se rimaniamo in Afghanistan un po' di più, i Talebani rinunceranno e il governo afghano inizierà a funzionare, e continueranno a dirlo per i prossimi 15 anni se lasciamo le nostre truppe in modo indefinito". "Finalmente facciamo la cosa giusta", ha esultato Barbara Lee, deputata della California che nel 2001 era stata l'unica a votare contro quella guerra.

Il ritiro degli americani non lascia alternative agli alleati NATO che non sembrano certo disposti a restare da soli a Kabul e dintorni. I Paesi della Nato si ritireranno insieme, ha detto il ministro della Difesa del governo tedesco, Annegret Kramp-Karrenbauer. "Andiamo insieme, usciamo insieme. Sono per un ritiro ordinato e per questo ritengo che lo decideremo oggi", ha proseguito il ministro riferendosi al vertice ministeriale dell'Alleanza Atlantica.

In termini militari nessuno si fa illusioni: le possibilità che il rimpatrio di USA e alleati determini la fine delle ostilità sono molto remote. Del resto al ritiro dei militari alleati si affianca anche quello di moltissimi contractors di aziende statunitensi a cui è affidata la manutenzione e l’efficienza di 100mila veicoli oltre a velivoli e sistemi d’arma in dotazione alle forze di sicurezza afghane e l’addestramento dei militari di Kabul. Come ha spiegato Pietro Orizio su Analisi Difesa, “dall’accordo coi talebani ad oggi il numero di contractors del Dipartimento della Difesa che si occupano di logistica e manutenzione è diminuito del 40,49%, mentre quello degli addestratori del 12,31%. Attualmente sono 5.559 i contractors che si occupano di logistica e manutenzione e 1.133 quelli che curano l’addestramento delle forze afghane”. Il loro numero calerà rapidamente nei prossimi mesi, quando il ripiegamento dei militari americani ridurrà anche le condizioni di sicurezza dei contractors e in vista della scadenza, nel 2022, dei contratti di manutenzione che dall’anno prossimo dovrebbe ricadere completamente sul personale afghano. Obiettivo irrealistico dal momento che con il progressivo ritiro delle truppe alleate degli ultimi anni l’autonomia dei militari afghani nel gestire la manutenzione e la logistica è addirittura peggiorata. Basti pensare che nel novembre 2018 l’Afghan National Army era in grado di effettuare il 51,1% della manutenzione dei propri veicoli, mentre l’Afghan National Police solo il 15,9%. A dicembre 2020 l’esercito non raggiungeva nemmeno il 20% e la polizia superava di poco il 12%: quando gli obiettivi attesi dal comando USA in Afghanistan prevedeva rispettivamente l’80 e il 35%.

Il ritiro delle truppe alleate rende quindi sempre più difficile per le forze afghane reggere le offensive dei talebani che controllano oltre metà delle aree rurali del paese mentre il ritiro dei contractors rischia di portare alla paralisi dei mezzi militari impedendo di fatto all’esercito di mantenere capacità di combattimento. Difficile non valutare che dopo il ritiro di USA e alleati i talebani possano tornare in tempi non troppo lunghi a prendere il controllo dell’Afghanistan. Contesto che suggellerebbe la sonora sconfitta di Washington e della NATO, ma soprattutto di un Occidente rivelatosi ancora una volta incapace, in termini politici e sociali, più che strettamente militari, di sostenere per tempi prolungati un conflitto anche a bassa intensità.

Meglio ricordare che la guerra afghana è stata di fatto perduta nel 2010 quando Barack Obama autorizzò l’invio di ulteriori rinforzi annunciando però che dall’anno successivo sarebbe iniziato il ritiro progressivo. Annuncio che diede nuova linfa agli sforzi dei talebani, reduci da tre anni di cocenti sconfitte sui campi di battaglia. In 20 anni il conflitto è costato la vita a 3.600 militari alleati dei quali 2500 statunitensi (incluse le vittime di incidenti e i casi di suicidio): una media di 180 perdite annue per le forze armate della NATO e di altri Stati alleati che schierano in servizio oltre 4 milioni di militari. Numeri che la dicono lunga sulla “resilienza” dell’Occidente alle guerre. Anche per questo il ritiro definitivo dall’Afghanistan costituisce una vittoria jihadista senza precedenti che avrà probabilmente un forte impatto sulle milizie islamiche incoraggiandole a proseguire e rafforzare la lotta agli infedeli.