Riconfigurazioni asimmetriche: diritto, potere e diplomazia nella nuova postura americana nel Golfo

Riconfigurazioni asimmetriche: diritto, potere e diplomazia nella nuova postura americana nel Golfo
La recente iniziativa diplomatica del Presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump nell’area del Golfo costituisce un caso emblematico di ibridazione tra strategia geopolitica e pratiche giuridiche informali, in un contesto globale contrassegnato dal disallineamento crescente tra potere effettivo e legalità internazionale. L’assenza formale di Israele dall’agenda ufficiale e la contestuale attivazione di accordi bilaterali su vasta scala – nei settori militare, aerospaziale e tecnologico – delineano un modello di soft power economico che oltrepassa i paradigmi consolidati dell’interventismo normativo statunitense post-1945. Geoeconomia contrattuale e ristrutturazione degli assetti di sicurezza. La missione appare fondata su una logica di bilateralismo funzionale, in cui accordi di cooperazione strategica (per un valore complessivo superiore ai 210 miliardi USD) stipulati con Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti assumono rilievo para-diplomatico. Tali intese, che includono il trasferimento di armamenti avanzati e il co-sviluppo di tecnologie dual use, configurano forme di outsourcing della sicurezza regionale. La dottrina della “externalized deterrence” promossa da Washington si discosta da quella di garante dell’ordine (ex art. 39 Carta ONU), per assumere il ruolo di facilitatore di potere sub-regionale, pur senza forme di controllo giuridico multilaterale. Iran: diplomazia condizionata e tensione con il diritto pattizio. La proposta di riavvio di un negoziato sul programma nucleare iraniano – articolata in una “offerta in cinque punti” – si colloca in uno spazio giuridico ambiguo, privo del sostegno formale dell’accordo noto come JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action), da cui gli Stati Uniti si sono unilateralmente ritirati nel 2018. L’imposizione di condizioni unilaterali alla ripresa del dialogo (in assenza di un mandato del Consiglio di Sicurezza ex art. 25 Carta ONU) solleva dubbi circa la coerenza con l’obbligo di negoziazione in buona fede, principio riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte Internazionale di Giustizia (v. North Sea Continental Shelf Cases, 1969) e dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati (art. 26 e 31). Siria: la legittimazione implicita della stabilizzazione autoritaria. L’incontro tra il Presidente Trump e Ahmed Al Sharaa, leader del governo di transizione siriano, e l’apertura a una progressiva normalizzazione con Damasco rappresentano un potenziale mutamento di paradigma: dal regime change alla stabilizzazione autoritaria. Tuttavia, ciò solleva questioni giuridiche rilevanti in merito al principio di autodeterminazione dei popoli (art. 1, comma 2, Carta ONU), all’uso di sanzioni internazionali in assenza di approvazione del Consiglio di Sicurezza (v. art. 41 Carta ONU) e alla responsabilità internazionale degli Stati in caso di normalizzazione con governi coinvolti in gravi violazioni dei diritti umani (v. art. 16 della bozza di articoli sulla responsabilità degli Stati, ILC 2001). Gaza: il deficit di legalità umanitaria e l’ambiguità americana. La gestione della crisi umanitaria a Gaza si configura come una delle principali lacune della visita diplomatica. Le dichiarazioni generiche e l’assenza di pressioni tangibili su Israele contraddicono gli obblighi derivanti dal diritto internazionale umanitario, in particolare dalle Quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e dal Protocollo Aggiuntivo I del 1977. Le operazioni israeliane, secondo dati dell’OCHA, hanno provocato oltre 45.800 vittime civili, oltre a danni sistematici a scuole, ospedali e infrastrutture idriche: strutture protette ai sensi degli articoli 52–56 del Protocollo I. La mancata attivazione di misure di protezione o investigazione da parte statunitense può inoltre configurarsi come omissione di due diligence, secondo le linee guida stabilite dalla Corte Internazionale di Giustizia nel caso Bosnia v. Serbia (2007). Una dottrina fluida tra efficienza geopolitica e vulnerabilità normativa. L’iniziativa si articola su tre assi concettuali: 1) proiezione industriale come leva d’influenza geopolitica; 2) ridefinizione delle alleanze secondo una logica contrattuale; 3) disimpegno selettivo da conflitti a bassa risoluzione. Tuttavia, l’assenza di un quadro giuridico multilaterale, unita alla fragilità dei meccanismi di accountability internazionale (ex art. 103 Carta ONU), rischia di minare la legittimità della postura statunitense e di esporre le nuove architetture regionali a una instabilità strutturale. Legalità internazionale o governance selettiva? Il tour diplomatico mediorientale del Presidente Trump segna una discontinuità rispetto alla tradizione giuridico-normativa americana nella gestione dell’ordine globale. L’emergere di un modello transazionale, che privilegia l’efficienza strategica rispetto alla conformità normativa, apre una riflessione urgente: può una potenza globale esercitare leadership duratura prescindendo dal diritto internazionale, o tale disallineamento costituisce una minaccia sistemica alla stabilità giuridica dell’ordine internazionale?