Il settore nonprofit negli Stati Uniti d’America

Non profit
Non profit

Il settore nonprofit negli Stati Uniti d’America

 

In letteratura non esiste un criterio unanimemente condiviso che consenta di definire in modo chiaro il settore del nonprofit e le sue organizzazioni.  Quello che è certo è che esistono diverse definizioni e tale circostanza dipende anche dal fatto che ogni paese ha alle spalle una storia economica e sociale diversa. Senza dubbio, è proprio questa diversità che ha dato vita ad una realtà poliedrica e complessa. L’espressione “non profit” nasce proprio negli Stati Uniti, in contrapposizione al concetto del “profit” capitalistico degli imprenditori. Ancora oggi, le organizzazioni non profit si chiamano ONP (Non Profit Organization). Fermo quanto sopra, ragionando per macro-aree, una prima grande distinzione può essere fatta, appunto, tra il non profit europeo ed il non profit americano, in particolare i modelli sono due: da un lato, il c.d. “welfare capitalism” americano e, dall’altro, il “welfare state europeo”.

Il primo si fonda sul c.d. “principio di restituzione”, teorizzato da Henry Ford. Si trattava, in buona sostanza, di un principio secondo il quale una parte della ricchezza aziendale, ossia quella costituita dalle maggiori entrate, dovesse essere redistribuita non solo tra i soci azionisti, ma pure tra i lavoratori stessi, essendo stata ottenuta anche grazie alla loro partecipazione. Il secondo, invece, si è sviluppato successivamente in Europa, sulla scorta di un’impronta totalmente diversa. Se il welfare capitalism, infatti, si basava su un sistema selettivo e su base volontaria, il welfare state, al contrario, si concentrava sull’universalità dei suoi destinatari. Si trattava, dunque, di un modello incentrato sulla totalità della popolazione poiché, come affermò Keynes nel 1939, “il welfare, per essere tale, deve essere universalistico”.

Venendo ora alla specifica esperienza statunitense, a prescindere dalle possibili definizioni (welfare capitalism o welfare state) che ben potrebbero attagliarsi all’oggetto di questa trattazione, appare senz’altro meritevole di richiamo uno studio realizzato dai ricercatori del Centre for Civil Society della Jhon Hopkins University, il quale ha tentato di individuare una definizione del settore che permettesse dei raffronti a livello internazionale. Secondo tale studio, ci sono alcuni requisiti specifici che caratterizzano le ONP. Tali realtà, infatti, dovrebbero essere:

  1. Formali (formalmente costituite e, quindi, dotate di uno statuto o di un qualche atto costitutivo);
  2. Private (istituzionalmente separate dal settore pubblico);
  3. Auto-governate (dotate di autonomia decisionale nello svolgimento delle proprie attività);
  4. Senza distribuzione di profitto (i profitti e gli eventuali surplus vengono reinvestiti nell’attività stessa);
  5. Con presenza di lavoro volontario (su tutti i piani di lavoro).

A livello interno, ci sono due categorie generali nelle quali rientrano i vari tipi di ONP: le Mutual Service e le Public Service. Le prime sono delle organizzazioni di mutuo servizio e perseguono scopi di pubblica utilità. Vi rientrano, dunque, le cooperative, le associazioni dei lavoratori, i sindacati, le associazioni di categoria e tutti quei gruppi che, vedendosi riconosciuto lo status di ONP collaborano tra di loro. Si caratterizzano anche per la loro influenza pubblica, potendo partecipare a pubblici incontri, dibattiti e, più in generale, avendo il potere di indirizzare le opinioni politiche degli elettori.

Questa attività di “lobbyng”, tuttavia, rientra in margini ben definiti a livello fiscale. Infatti, corre l’obbligo, per queste realtà, di astenersi dall’utilizzo dei loro fondi in una percentuale superiore al 50%. Dunque, si potrebbe dire che la ragion d’essere delle Mutual Service risieda nel perseguimento di interessi collettivi, anche attraverso il mezzo politico, ma che tale modalità di azione non debba essere la primaria. Ciò non toglie che la commistione, seppur limitata, con il settore pubblico giustifica il regime fiscale agevolato di cui godono.

Le Public Service, di contro, perseguono una finalità collettiva seppure limitata ai loro membri, ossia a quei soggetti che le costituiscono e rappresentano, quindi, i primi beneficiari. Anche per queste ultime, vige un regime fiscale agevolato, seppur legato a specifiche condizioni/principi (non gli è possibile, ad esempio, percepire più del 35% delle entrate lorde da soggetti non membri).

Questi “principi pilastro” sono enunciati, a livello legislativo, nell’Internal Revenue Code (IRD), nella sezione 501 (c) (3). Proprio in tale documento è previsto, in particolare, che i redditi delle ONP non vengano usati a beneficio privato di azionisti, direttori o altre persone con interessi nell’impresa e che, per essere esente da imposte, ai sensi del codice tributario interno, un’organizzazione deve essere organizzata e gestita esclusivamente per gli scopi “esenti” stabiliti nella sezione 501 di cui poc’anzi. Inoltre, sempre a fini fiscali agevolativi, le ONP non possono essere “organizzazioni d’azione”, ciò vuol dire che il loro tentativo di influenzare l’opinione politica, e quindi incidere sulla legislazione, non può rappresentare la principale attività. Ciò comporta, peraltro, l’esplicito divieto di sostenere attività elettorale a favore, o contro, candidati politici.

Un breve accenno va fatto, ora, al “Restatement of the Law, Charitable Nonprofit Organizations”, ossia la revisione delle linee guida sulle ONP promosso dall’Associazione American Law Institute (ALI) e pubblicato nel 2020. Si tratta di progetto avviato nel lontano 2014 e che, dopo sei anni, ha visto la luce, perseguendo l’obiettivo di esporre le regole della common law americana di quei settori di competenza normativa statale.

Questo testo non ha carattere legislativo, ma meramente dottrinale e di matrice privata. Nello specifico, il Restatement è un atto di fondamentale importanza per il diritto americano poiché, a fronte di divergenze tra stati nella disciplina di determinate materie (che potrebbe variare sulla base delle normative interne ai singoli stati), rappresenta proprio quello strumento utilizzato da legislatori e giudici per operare una “mediazione” tra le diverse interpretazioni normative adottate.  Tale mediazione avviene, talvolta, facendo prevalere la soluzione più attuale, talvolta invece, quella che meglio si attaglia alle esigenze di armonizzazione legislativa.

Il Restatement ha una struttura divisa in 6 capitoli (Sections) che disciplinano i doveri dei soggetti che gestiscono una ONP, i metodi di protezione dei beni degli enti di beneficenza ed i poteri dei funzionari pubblici e dei soggetti privati coinvolti.

Non è questa la sede per approfondire un atto decisamente complesso, non solo nel contenuto, ma anche nella collocazione generale all’interno del panorama giurisprudenziale americano. Jill Horwitz (Law Professor alla UCLA nonché uno dei Law-Reporter per il Restatement) ha dichiarato che questa revisione rappresenta una “one-in-a-generation opportunity” per chiarificare un’area complessa del diritto.

Senz’altro, la stratificazione delle norme ed un assetto governativo federale hanno comportato lo sviluppo di una intricata normativa, diversa da Stato a Stato, ma chiamata, comunque, a bilanciare innumerevoli discipline coesistenti (si pensi agli istituti di trusts, corporations, property e state and federal constitutions).

Nel corso degli anni, sono stati diversi i modelli adottati in vista di una semplificazione della materia: il Model Nonprofit Corporation Act del 1952, il Revised Model Nonprofit Corporation Act del 1987 ed il Model Nonprofit Corporation Act (3rd ed.) del 2008.

Con il final draft dell’ALI, l’America ha posto l’ultima grande pietra miliare nell’intricato mondo del terzo settore. Resta da vedere quanto la prossima amministrazione presidenziale intenderà occuparsi della materia e, soprattutto, in che modo.