La proposta di legge per il riordino delle forme di assistenza sanitaria integrativa
La proposta di legge per il riordino delle forme di assistenza sanitaria integrativa
È in corso, presso la XII Commissione parlamentare (Affari sociali), l’esame di una proposta di legge, presentata in data 13 luglio 2023, avente ad oggetto “Disposizioni concernenti il finanziamento, l’organizzazione e il funzionamento del Servizio sanitario nazionale nonché delega al Governo per il riordino delle agevolazioni fiscali relative all’assistenza sanitaria complementare”.
Lo spirito che anima l’iniziativa legislativa prende le mosse dall’osservazione della situazione in cui versa il Sistema Sanitario Nazionale e mira espressamente a porre rimedio alle criticità rilevate nel corso degli anni, soprattutto successivamente alla pandemia Covid-19.
Ciò con particolare riferimento ai seguenti obiettivi:
- correggere il grave ritardo nell’erogazione delle prestazioni sanitarie (anche ordinarie), sino a riassorbire le liste di attesa cresciute esponenzialmente a seguito della pandemia;
- ridurre, sino ad eliminarle, le diseguaglianze regionali presenti nella sanità, restituendo centralità ed unitarietà al SSN, così da poter garantire la sostenibilità del sistema e una migliore equità nell’erogazione delle prestazioni. Il tutto, sempre, nel pieno rispetto del principio costituzionale di universalità e uguaglianza di tutela del diritto alla salute (art.32 Cost.).
Le misure proposte si sviluppano in diverse direzioni. Dal potenziamento e riorganizzazione del SSN, attraverso il rafforzamento sia delle risorse finanziarie che delle risorse umane, sino ad una serie di interventi di riordino del sistema, volti a salvaguardarne la capacità di erogare i livelli essenziali di assistenza (breviter “LEA”).
Nell’ambito di tali interventi si inserisce anche l’iniziativa di riordino, tanto sotto il profilo normativo che fiscale, della disciplina dettata in materia di assistenza sanitaria integrativa.
A questo tema si rivolge il presente contributo, al fine di delineare, in breve, le previsioni di cui alle nuove norme all’esame della Commissione parlamentare.
La proposta di legge in commento dedica alla sanità integrativa l’art.4, suddiviso in n.9 commi, ciascuno dei quali concernente un profilo specifico della materia.
Al primo comma, la norma individua espressamente l’ambito di operatività della sanità integrativa, disponendo che “le forme di assistenza sanitaria integrativa possono fornire esclusivamente le prestazioni sanitarie non comprese nei LEA erogate da professionisti e da strutture accreditate, nonché le prestazioni comprese nei LEA erogate dal SSN, ma limitatamente alla sola quota posta a carico dell’assistito”. Il riferimento operato in via generica a “le forme di assistenza sanitaria integrativa” parrebbe, dunque, riguardare tutte le forme di assistenza integrativa, sia, dunque, i Fondi finalizzati a fornire prestazioni aggiuntive rispetto a quelle assicurate dal SSN (Fondi c.d. “doc” o anche di tipo A, previsti e disciplinati dal D.Lgs. n.502/1992), sia i Fondi, le Casse e gli Enti previsti da contratti collettivi, accordi o regolamenti aziendali (Fondi c.d. “non doc” o anche di tipo B) ai quali, invece, è stato consentito e, ad oggi, ancora si consente di erogare prestazioni sanitarie anche complementari e sostitutive al SSN (quindi comprese nei LEA) a condizione che sia rispettato il vincolo del 20% delle risorse per le prestazioni extra LEA[1].
Da una prima lettura della norma sembrerebbe, dunque, che la nuova disciplina sia tesa a ripristinare la distinzione tra prestazioni sostitutive e prestazioni integrative dei livelli essenziali di assistenza erogati dal SSN, limitando il campo di azione delle forme di assistenza sanitaria integrativa unicamente a queste ultime.
Già, quindi, dalle prime righe, parrebbe delinearsi una rottura tra la nuova disciplina e gli interventi legislativi che l’hanno preceduta[2] che, invece, erano volti a realizzare un sistema omnicomprensivo con regole certe, capaci di riassumere e regolamentare le numerose autonome realtà esistenti nell’ambito della sanità integrativa, specificamente con riferimento a quei Fondi di natura contrattuale (di tipo B), liberi di erogare anche prestazioni non comprese nei LEA.
Sembra, infatti, evidente che la nuova disciplina finirebbe - con conseguenze certamente negative per l’equilibrio dell’intero sistema sanitario - con il restringere specificamente proprio il campo di attività di questi Fondi (cioè quelli qualificati “di tipo B”, già Fondi c.d. “non doc”) che, nella realtà dei fatti, si sono sviluppati in maniera sempre crescente, nel corso del tempo, rispondendo in maniera sempre più puntuale alle esigenze concrete degli iscritti ed alle situazioni di concreta operatività di volta in volta affrontate. Peraltro, com’è noto, tale tipologia di Fondi rappresenta ad oggi la quota nettamente maggioritaria delle forme di assistenza integrativa operanti nel nostro Paese.
Proseguendo nell’esame del testo, appare, inoltre, opportuno soffermarsi sul vincolo di destinazione delle risorse di cui al comma 2 dell’articolo in commento. La proposta pone, invero, un vincolo che si contrappone in maniera drastica alla disciplina precedente. Dispone, infatti, che le forme di assistenza integrativa debbano riservare l’80% delle proprie risorse annue alle prestazioni non comprese nei LEA e solo il 20% a copertura degli oneri a carico dell’assistito per l’accesso alle prestazioni LEA erogate in regime di libera professione intramuraria e per la fruizione dei servizi alberghieri.
Orbene, analizzando le conseguenze di una simile previsione, non può non rilevarsi che, se per i Fondi di tipo A (di cui all’art. 9 D.Lgs. n. 502/1992, c.d. Fondi “doc”), l’impatto di tale vincolo potrebbe definirsi, in qualche modo, marginale, atteso che essi, nella prassi, erogano prestazioni sostanzialmente extra LEA e rappresentano, la minima parte dei soggetti totali censiti nell’Anagrafe dei Fondi Sanitari; diversamente, nel caso dei Fondi di tipo B, l’impatto della nuova disciplina sarebbe sconvolgente, atteso che la proporzione tra ambito LEA ed extra LEA del complesso delle attività e delle prestazioni erogabili dovrebbe, in questi casi, essere integralmente ricalibrato.
Secondo quanto riferito in sede di Audizione sulla proposta di legge in commento dinanzi alla Corte dei Conti (Audizione del luglio 2024), dagli ultimi report pubblicati dal Ministero della salute in materia di sanità integrativa[3], è emerso, infatti, che la quota di prestazioni extra LEA erogate dai Fondi sanitari di tipo B (iscritti presso l’Anagrafe dei fondi sanitari) si è costantemente mantenuto, dal 2015 al 2023, intorno a una soglia pari al 33% circa delle risorse totali. Tale che il rispetto del vincolo di cui al comma 2 obbligherebbe, necessariamente, questi Fondi ad ampliare in maniera determinante la quota di risorse destinate alle prestazioni extra LEA (che dovrebbero passare dall’attuale rilevato 33% delle risorse, ad una quota pari all’80%), e contestualmente, a comprimere le prestazioni attualmente erogate nell’ambito dei LEA.
Non vi è dubbio alcuno che un’eventuale trasformazione in tal senso del complesso delle prestazioni erogabili da parte delle forme di assistenza integrativa di tipo B, da un lato, provocherebbe ripercussioni sulla gestione delle prestazioni erogabili e sulle condizioni di adesione degli iscritti che, a tutt’oggi, costituiscono una platea particolarmente ampia, se solo si considera che, nel 2023 (secondo quanto si legge sempre nel testo dell’audizione dinanzi alla Corte dei Conti) questi Fondi hanno superato la soglia dei circa 16 milioni di soggetti e rimborsato prestazioni per oltre 2,2 miliardi circa.
A ciò si aggiunga che, a fronte di una così consistente riduzione delle prestazioni erogabili da parte delle forme di assistenza integrativa, le stesse dovrebbero, di contro, trovare una corrispondente copertura nell’ambito del SSN, con l’immaginabile impatto devastante a danno di quest’ultimo che, a mala pena, riesce oggi a gestire l’emergenza.
Alla luce delle considerazioni che precedono, dunque, appare più che mai chiaro che un cambiamento normativo così radicale debba essere ben ponderato, sia sotto il profilo pratico dell’effettiva erogazione delle prestazioni, sia sotto il profilo economico, al fine di scongiurare che i costi di un simile nuovo assetto finiscano poi con il ricadere sui cittadini, non solo in termini meramente economici di spesa ma, soprattutto, in termini di difficoltà all’accesso alle cure e potenziale rischio di un aumento di rinuncia alle stesse.
Proseguendo nell’esame della norma, si rileva, inoltre, come l’iniziativa legislativa ribadisca e sottolinei che le forme di assistenza integrativa debbano operare esclusivamente con finalità assistenziali e senza scopo di lucro, attuando politiche di non selezione dei rischi e di non discriminazione, formale e sostanziale, nell'accesso dei propri iscritti alle prestazioni sanitarie (comma 3). Le stesse sono, inoltre, chiamate ad assicurare la stabilità della gestione economica e possono accedere ai benefìci e alle agevolazioni fiscali previsti dalla normativa vigente, a condizione che siano osservati i princìpi di trasparenza, di completezza e di comprensibilità dei bilanci e dei documenti contabili, ai sensi del titolo V del libro V del Codice Civile, riguardante la normativa e le fattispecie di diritto applicabile alle società. Tale aspetto è senz’altro, condivisibile, tanto ai fini di qualità, quanto di trasparenza gestionale. Peraltro, già oggi alcuni dei Fondi maggiormente rappresentativi uniformano la propria attività e gestione ai principi indicati dalla Proposta.
Si riafferma, poi, al successivo comma 4, il principio secondo il quale l'adesione alle forme di assistenza sanitaria integrativa è libera e che, con riferimento alle forme di assistenza sanitaria integrativa costituite sulla base di accordi contrattuali o collettivi, relativi a specifiche categorie di lavoratori subordinati, di lavoratori autonomi o di liberi professionisti, l'adesione (sia essa individuale oppure collettiva) possa avvenire esclusivamente su base volontaria del singolo.
Quanto alle forme di assistenza sanitaria integrativa affidate alla gestione esterna di soggetti che svolgono attività a fini di lucro, il comma 5 della norma in commento prevede quanto segue.
- Dispone che esse non possano accedere agli incentivi fiscali, in forma diretta o indiretta;
- stabilisce il principio in base al quale i datori di lavoro, le organizzazioni sindacali o i promotori delle forme di assistenza sanitaria integrativa non possano in alcun caso far parte di organi di gestione ed amministrazione di forme di assistenza sanitaria integrativa, di enti gestori delle medesime o di imprese di assicurazione che provvedono al loro finanziamento o alla loro gestione;
- dispone che i soggetti sopra elencati non possano ricevere benefìci o vantaggi di alcun genere come conseguenza dell'adesione a forme di assistenza sanitaria integrativa da parte dei propri dipendenti, iscritti o associati.
L’intento del Legislatore sembrerebbe quello di contrastare la tendenza di alcuni Fondi sanitari, formalmente enti no-profit, di riassicurarsi per problemi di solvibilità con una o più compagnie assicurative, che spesso rivestono il ruolo di gestori esterni dei fondi medesimi, oppure detengono quote di strutture private accreditate, nelle quali vengono erogate le prestazioni sanitarie rimborsate dai Fondi. Anche questo è un punto delicato, che va valutato e ponderato con attenzione.
Viene, poi, fatto espresso divieto di campagne pubblicitarie concernenti Fondi integrativi del SSN e polizze di assicurazione sanitarie che diffondano messaggi che facciano leva sulle criticità nell'accesso alle prestazioni sanitarie del SSN o sulla inappropriatezza delle cure erogate, ovvero che promuovano la medicalizzazione della società, nonché fenomeni di sovra-diagnosi e di sovra-trattamento (comma 6). Ciò, con l’evidente intento, alla base dell’intero intervento legislativo in questione, di porre nuovamente la sanità pubblica al centro del sistema sanitario nazionale.
Con il comma 7, la proposta di legge interviene, poi, sulla trasparenza dell’Anagrafe dei Fondi sanitari ed individua il tipo di dati e documenti da fornire, ivi comprese le informazioni sulle agevolazioni fiscali godute. Com’è noto, l’Anagrafe die Fondo sanitari, istituita ai sensi del D.M. Salute 31.03.2008, e successivamente regolamentata con D.M. del 27.10.2009, ha il compito di rilevare i soggetti che operano nell’ambito della sanità integrativa (e che vi si iscrivono volontariamente) e di verificare il rispetto della soglia delle risorse vincolate (destinate alle prestazioni complementari al SSN), obbligatorio per l’ottenimento del beneficio fiscale.
Ebbene, secondo quanto previsto dalla Proposta, i dati raccolti dall’Anagrafe dei Fondi sanitari dovranno essere pubblici e consultabili da chiunque sul sito internet istituzionale del Ministero della Salute. Al fine di incrementare questi dati, il Legislatore prevede, altresì, che siano pubblicati gli statuti, i bilanci e ogni documento contabile utile ad evidenziare le agevolazioni fiscali di cui ciascun soggetto interessato ha beneficiato per ciascun anno, e sia pubblicata, altresì, la chiara e completa rappresentazione della struttura societaria diretta e indiretta.
La norma de qua sembra, dunque, ribadire l’importanza dei dati contenuti presso l’Anagrafe dei Fondi sanitari anche al fine di una programmazione integrata del fabbisogno sanitario, sottolineando, in particolare, l’onere, posto a carico di ciascun soggetto interessato, di trasmettere periodicamente al Ministero della salute i dati aggregati relativi al numero e alla tipologia degli iscritti alle varie forme di sanità integrativa, al numero e alla tipologia dei beneficiari delle prestazioni, nonché ai volumi e alla tipologia delle prestazioni complessivamente erogate, distinte tra:
- prestazioni a carattere sanitario;
- prestazioni a carattere socio-sanitario;
- prestazioni a carattere sociale;
- altre tipologie.
Quanto al profilo fiscale, l’art. 4 in esame, al comma 8, delega al Governo l’emanazione di uno o più decreti legislativi per il riordino della disciplina fiscale, assicurando che i benefici e le agevolazioni fiscali siano riconosciute esclusivamente in favore delle prestazioni non comprese nei LEA, erogate da quelle forme di assistenza sanitaria integrativa che si conformino ai principi emanati dalla nuova normativa.
Dalla lettura della norma, sembrerebbe, dunque, che l’intendimento del legislatore sia quello di procedere verso una equiparazione nel trattamento fiscale tra tutti i Fondi sanitari, integrativi di tipo A (Fondi “doc”) e di tipo B (Fondi “non doc”).
Attualmente infatti, il sistema fiscale vigente prevede un regime di agevolazioni differenziato per i Fondi di tipo A e per quelli di tipo B, iscritti all’Anagrafe dei Fondi sanitari. Ciò pur avendo ad oggetto i contributi versati a forme di sanità integrativa. Ai primi, infatti, si riconosce un regime di deducibilità dei contributi dal reddito per un importo massimo complessivo di € 3.615,20 (ex Art. 10 TUIR); in relazione ai secondi, invece, è previsto un regime di non concorrenza dei contributi alla formazione del reddito da lavoro dipendente nei limiti di € 3.615,20 (art. 51, comma 2, lett. a) TUIR). La disparità, in questo caso, appare evidente: mentre, infatti, nel primo caso, i contributi versati ai Fondi di tipo A costituiscono un onere deducibile da parte di qualsiasi contribuente, purché sia stato quest’ultimo a sostenerlo e a prescindere dalla categoria di reddito prodotto, e, dunque, i vantaggi fiscali operano nei confronti dell’intera platea degli iscritti, siano essi pensionati, partite Iva, disoccupati, studenti e lavoratori dipendenti; nel secondo caso, i contributi versati ai Fondi di tipo B non concorrono alla formazione del reddito limitatamente al reddito da lavoro dipendente, con la evidente conseguenza che la platea dei potenziali beneficiari delle agevolazioni fiscali, in questi casi, è circoscritta ai soli lavoratori dipendenti. Anche questo punto va ponderato e ragionato con estrema attenzione, l’aspetto fiscale rappresenta uno dei fulcri del sistema.
L’ultimo comma della norma in commento concerne, infine, l’iter per l’approvazione dei decreti legislativi di cui al precedente comma 8.
Conclusioni
Il sistema della sanità integrativa è un sistema in continua evoluzione e, da tempo, si auspica un intervento legislativo che provveda a riordinarne la relativa disciplina. È chiaro che un simile intervento non possa prescindere da una riorganizzazione dell’intero Sistema Sanitario Nazionale al quale il Legislatore, con la proposta di legge in commento, intenderebbe restituire centralità ed unitarietà. È, tuttavia, fondamentale, secondo lo scrivente, non perdere di vista il ruolo cruciale che le forme di assistenza integrativa ricoprono all’interno del sistema sanità. Ciò, in particolare, con riferimento ai Fondi di tipo B (c.d. “non doc”), ovvero a quegli Enti, Casse e società di mutuo soccorso aventi esclusivamente fine assistenziale di cui all’art.51 comma II lettera a) D.P.R. 917/1986 e ss.mm., che traggono la loro origine dagli accordi contrattuali e che rappresentano, ad oggi, anche la quota più ampia delle forme di assistenza integrativa (rectius complementare).
Questi Fondi, potendo erogare prestazioni non soltanto integrative, ma anche complementari e sostitutive rispetto a quelle fornite dal SSN, hanno assunto, nel tempo, una valenza e una importanza sempre maggiore, sia a livello sociale che a livello economico, contribuendo a garantire, in un contesto delicato come quello socio-sanitario, particolarmente come quello attuale, la sostenibilità complessiva del sistema sanità. E’ di tutta evidenza come essi rappresentino, a tutti gli effetti, il “secondo pilastro” del nostro sistema sanitario, non in contrapposizione con la sanità pubblica, elemento fondamentale ed imprescindibile costituzionalmente tutelato, bensì in ausilio e complementarietà rispetto a quest’ultimo.
Non può sfuggire, infatti, ad un occhio attento, che il contributo reso dai cittadini, attraverso l’adesione a forme di assistenza sanitaria integrativa è diventato e diventerà sempre più cruciale e strategico al fine di fronteggiare le pesanti ricadute del progressivo invecchiamento della popolazione sul sistema sanitario pubblico. Ciò vieppiù in considerazione delle complesse esigenze di finanza pubblica che, verosimilmente con sempre maggiore difficoltà nel futuro, potranno garantire ampi margini di aumento ulteriore della spesa da destinare al sistema welfare nel suo complesso.
L’auspicio è, dunque, in una visione lungimirante e priva di pregiudizi ideologici, che un eventuale intervento legislativo possa comunque condurre ad una sempre maggiore integrazione ed interazione tra sanità pubblica e sanità integrativa, sì da ampliare (e non restringere) non solo le attività e le prestazioni offerte dai Fondi sanitari, ma anche la platea dei potenziali beneficiari.
[1] Si rimanda, sul tema, all’articolo intitolato “I Fondi di assistenza sanitaria integrativa: attività e inquadramento giuridico”, pubblicato dallo scrivente in questa rubrica in data 19.10.2019; nonché la monografia dello stesso autore, dal titolo “I Fondi sanitari: l’assistenza sanitaria integrativa, complementare e sostitutiva”, ed. Filodiritto.
[2] Riforma Bindi (D.Lgs. n.229/1999), prima, che ha elaborato una prima definizione di sanità integrativa, e Decreti Turco (D.M. 31.03.2008) e Sacconi (D.M. 27.10.2009), con i quali è stata predisposta una più ampia ed articolata legislazione, che racchiudesse e regolamentasse le molteplici realtà, tutte operanti nel campo dell’assistenza sociosanitaria.
[3] 2° Reporting System Anagrafe Fondi Sanitari.