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Trilobiti, i dodici racconti di Breece D'J Pancake

Gli unici racconti scritti da un grande scrittore
Trilobiti
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Trilobiti, i dodici racconti di Breece D'J Pancake

 

Un giorno di diversi anni fa, cercando in libreria qualcosa di diverso, mi capitò in mano quel titolo strano, Trilobiti, quasi antropologico, con quel sottotitolo altisonante, presuntuoso, sfacciato.

Trilobiti. I dodici racconti di un grande scrittore, di Breece D'J Pancake

Un’affermazione un po’ pretenziosa.

Irritato, ma ancor più incuriosito, inizio a leggere la quarta, e subito mi cade l'attenzione su due aspetti: il primo, il fatto che quello è l'unico libro scritto da Pancake. Il secondo, le date.

Nato a South Charleston il 29 giugno del 1952, e morto a Charlottesville l'8 aprile 1979.

Un uomo, un ragazzo vissuto 26 anni e in grado di scrivere, attraverso 12 racconti, un classico?

Ebbene sì.

Nei giorni successivi, non più di quattro, divorai quei racconti, che mi rimasero nel sangue come una malattia indelebile. E mi resi conto che non si esagerava.

Dalle note di copertina dell'edizione italiana di Trilobiti uscita per ISBN Editore nel 2005:

Breece D'J Pancake muore suicida nel 1979 a 26 anni. Quando, quattro anni dopo in America esce la sua unica raccolta di racconti, la reazione è unanime: non si tratta soltanto di un caso letterario, ma di un autore nato classico. Il libro raccoglie dodici racconti, spietati, precisi e delicati. Essere umani, animali e paesaggi della regione depressa dei monti Apalachi, in cui Pancake era nato e cresciuto, si trasformano nelle sue mani in vite esemplari, vere per tutti, in tutti i tempi.

Nato nell'America meridionale e rurale più profonda, nello stato della Virginia, dove gli Appalachi zigzagano e caratterizzano un paesaggio fatto di campagne, case sperdute, campi coltivati, realtà isolate e bucoliche, Pancake vive la sua infanzia a Milton, nella Virginia occidentale. La letteratura è nel suo sangue, e, anche se di lui non si sa molto, sappiamo che, una volta uscito dall'Università, si iscrive subito a un corso di scrittura creativa  tenuto da  John Casey e James Alan McPherson, presso l'Università della Virginia. Nel 1977 pubblica su una rivista letteraria il suo primo racconto, “Trilobiti”, appunto, e l'editore, dell'Atlantic Magazine, nello stampare, commette un errore: scrive il secondo nome come D'J (che sta appunto per Dexter John). Pancake decise di non far correggere il refuso e lo adottò come secondo nome d'arte. Da quanto sappiamo Dexter era il secondo nome datogli  alla nascita, mentre John era il nome che, casualmente, scelse per la sua conversione cattolica.

La sua attività di scrittore, dunque, si risolve in meno di due anni, dal 1977 all'aprile del 1979, anno in cui Pancake viene trovato morto in seguito a una ferita d'arma da fuoco che egli stesso si inflisse. Non è mai stato chiarita l'effettiva causa della morte, se dovuta a suicidio o a fatto accidentale. Fatto sta che a 26 anni un maledetto bossolo conficcato nel cervello ci ha privato di uno dei più grandi scrittori che io abbia mai avuto l'onore e il piacere di leggere, uno che avrebbe potuto fare chissà che cosa, scrivere chissà quali storie, uno che in meno di 190 pagine ha cambiato la storia della letteratura, influenzando tanti scrittori.

Dopo la sua morte, ci sono quattro anni di silenzio, dopodiché, nel 1983, esce la sua (unica) raccolta di racconti, quella di cui oggi parliamo: Trilobiti.

Ancora dalle note di copertina alla prima edizione italiana di Trilobiti uscita per ISBN con la traduzione di Ivan Tassi:

La sua figura, a metà strada tra un eroe esistenzialista e Kurt Cobain, è soprattutto, quella di un grande scrittore”.

Dodici racconti feroci, li definirei io, terribili, spietati, senza via di scampo.

Uno scrittore che, a mio avviso, sta a metà strada tra Faulkner e Carver, in bilico tra Flannery O'Connor, Malamud e Hemingway.

Uno che se ne intendeva, Kurt Vonnegut, ha dichiarato che Pancake è “...il più grande scrittore che io abbia mai letto”.

Quando ho terminato il suo ultimo racconto contenuto in Trilobiti ho pensato a quelle affermazioni, alle parole di Vonnegut, e non le ho trovate né strambe né esagerate. Pancake è un grande scrittore, non so se il più grande, non ho mai sopportato le classifiche.

Di certo un grande.

Uno capace di accenderti, di stordirti, di violentare la tua testa, il tuo cuore, la tua pancia, con una prosa perfetta, cattiva, tagliente, sporcandosi le mani, dove serve, facendoti sporcare per regalarti, poi, catarsi malvagie in grado di pulire e imbrattare ogni anima, anche la mia.

Trilobiti è la mia Bibbia… leggo Pancake ogni giorno

J.T. Leroy

Pancake è il mio autore preferito

Tom Waits

Storie sporche le sue, di contadini, di minatori, di cacciatori, di gente che suda, fatica e bestemmia, persone intrappolate nella provincia più isolata e becera, gente strana, frustrata. Capace di invidie e cattiverie, vendette e sotterfugi.

Non c'è il sole dopo la pioggia nei racconti di Pancake.

Non c'è speranza, non c'è lieto fine, non c'è rivalsa.

C'è sconfitta, lotta dura e cattiveria, che diventa purificazione attraverso la violenza, spesso perpetrata sugli animali, sulle persone indifese. Uno scrivere che è un pugno nello stomaco, di chi lo fa senza guardare in faccia chi legge e chi percuote, cercando solo di dare fiato alle frustrazioni che vede, che vive, che sente sulla sua pelle.

Trilobiti è una lettura appagante, che a me ha cambiato il modo di vedere, di sentire, di scrivere.

Il mio modo di vivere.