“In search of a way out … of the impunity gap”: l’aggressione militare russa nei confronti dell’Ucraina quale banco di prova per testare l’effettività del diritto (penale) internazionale

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“In search of a way out … of the impunity gap”: The Russian Federation’s ongoing military aggression against Ukraine as a pivotal moment to test the effectiveness of international law

 

ABSTRACT

Il presente contributo si propone di esaminare, tramite un’analisi a tinte necessariamente larghe, l’aggressione militare russa nei confronti dell’Ucraina sotto la lente del diritto internazionale.

Quest’ultimo, spesso accusato di essere poco effettivo, sembra invece essere stato sin da subito chiamato a svolgere un ruolo fondamentale nell’ottica di qualificare giuridicamente il conflitto, analizzandone i presupposti e individuando possibili soluzioni. Tale rinnovata fiducia è stata confermata dalle diverse iniziative promosse non soltanto dallo Stato offeso, ma anche dal resto della comunità internazionale.

Oltre ai ricorsi interstatali promossi dall’Ucraina dinanzi alla Corte internazionale di giustizia e alla Corte europea dei diritti dell’uomo, infatti, non sono mancate azioni collettive: tra le altre, il referral con cui ben 41 Stati hanno attivano la giurisdizione della Corte penale internazionale, che ha aperto immediatamente le indagini; le risoluzioni adottate con un’amplissima maggioranza in seno all’Assemblea generale dell’ONU, stante la paralisi del Consiglio di sicurezza; l’espulsione della Russia dal Consiglio d’Europa.

Nonostante quest’imponente ‘dispiegamento di mezzi’, non può tacersi il fatto che il diritto internazionale conosce evidenti limitazioni in relazione alla situazione ucraina, dovendo fare i conti con l’impossibilità di perseguire il crimine di aggressione, con la mancata collaborazione della Russia e soprattutto con l’eventualità per cui, se giustizia davvero sarà fatta, dovranno attendersi anni prima di ottenere risultati.

 

The present paper aims to examine, through a broad-based analysis, the Russian military aggression against Ukraine in the light of international law. The latter, considered as being largely ineffective, plays instead a fundamental role in assessing the conflict situation, analysing its legal implications and identifying possible solutions.

This renewed confidence towards international law been confirmed by the various actions endorsed not only by the injured State, but especially by the international community as a whole. Indeed, along with the two inter-State complaints brought by Ukraine against Russia before both the International Court of Justice and the European Court of Human Rights, there have also been collective efforts. In this sense, it is worth mentioning the referral by which 41 States have triggered the jurisdiction of the International Criminal Court, which immediately opened an investigation; again, the resolutions adopted by the UN General Assembly condemning the current situation while the Security Council being paralyzed by the Russian veto; the Russia’s expulsion from is the Council of Europe. Despite this impressive ‘apparatus’, it cannot be denied that international law encounters significant limitations in relation to the Ukrainian situation, having to cope not also with the inability of prosecuting the crime of aggression, but especially with Russia’s obstructive attitude and, above all, with the eventuality that, if justice really there will be, it will hopelessly take many years

 

Sommario

1.A Tale of Two Different Perspectives’: il diritto internazionale utilizzato ‘simultaneamente’ come argomento di giustificazione e rimedio all’aggressione russa in Ucraina

2. I fronti di contenzioso interstatale aperti a L’Aja e Strasburgo: prime considerazioni sulle ordinanze cautelari pronunciate e prospettive di (non-)compliance russa tra processi in absentia ed espulsione dal Consiglio d’Europa

3. Le iniziative promosse in seno alle Nazioni Unite: l’Assemblea generale ‘fa le veci’ del Consiglio di sicurezza mentre riparte il dibattito sui possibili correttivi al sistema di veto

4. Il potenziale delle indagini immediatamente avviate dalla Corte penale internazionale tra difficoltà procedurali e significativi limiti giurisdizionali

5. La ragionevole estensione della competenza ratione materiae della Corte penale internazionale sulla situazione ucraina: crimini contro l’umanità, crimini di guerra, genocidio (?)

6.The (missing) elephant in the room’: l’impossibilità di perseguire il crimine di aggressione dinanzi alla CPI e i percorsi giurisdizionali alternativi delineati dalla dottrina internazionale

7. Osservazioni conclusive

 

Summary

1.A Tale of Two Different Perspectives’: international law’s fundamental principles used both as a justification and judicial remedy for Russian aggression in Ukraine

2. Inter-State Complaints brought by Ukraine before the ICJ and the ECtHR: considerations on interim measures issued by the courts and Russia’s non-compliance perspectives given its absentia and the expulsion from Council of Europe

3. The UN’s role in the Russia-Ukraine conflict: The General Assembly take actions in order to end the hostilities, while the Security Council is stuck in its own veto deadlock

4. The International Criminal Court’s investigation into the Ukraine’s situation between procedural constraints and jurisdictional restrictions

5. The ICC’s jurisdiction ratione materiae over Russian invasion: crimes against humanity, war crimes, (hardly) genocide

6.The (missing) elephant in the room’: the ICC’s impossibility to investigate and prosecute the crime of aggression and some alternative jurisdictional paths

7. Conclusions

 

1. ‘A Tale of Two Different Perspectives’: il diritto internazionale utilizzato ‘simultaneamente’ come argomento di giustificazione e rimedio all’aggressione russa in Ucraina

Nel momento in cui il presente contributo vede la luce, saranno trascorsi più di due mesi dall’aggressione armata russa e dal conseguente scoppio delle ostilità in Ucraina. In questo scenario, il diritto internazionale si è reso protagonista di un improvviso ‘risorgimento’, tant’è vero che diversi studiosi, commentando i primi eventi, non hanno esitato a rivendicarne sin da subito l’importanza. Tuttavia, tale rinnovata centralità ha dovuto sin da subito fare i conti con una serie di problematiche, mai del tutto sopite ed attinenti a questioni reputazionali, da un lato, e soprattutto strutturali, dall’altro.

Anzitutto, è necessario premettere sin da subito come non vi sia oramai alcun dubbio circa il fatto che il riconoscimento unilaterale della sovranità delle due Repubbliche di Lugansk e del Donetsk, i due trattati internazionali di amicizia conclusi con le stesse e immediatamente ratificati dalla Duma (il Parlamento russo) e la successiva aggressione armata perpetrata dalla Russia ai danni dell’Ucraina costituiscano una manifesta violazione di diverse disposizioni, codificate e non, di diritto internazionale[1].

Il riferimento più immediato è senz’altro quello all’art. 2, par. 4 della Carta delle Nazioni Unite (di seguito, anche ‘Carta ONU’), contenente il divieto dell’uso della forza, nonché ad una serie di ulteriori norme aventi carattere consuetudinario, quali l’obbligo di rispettare la sovranità e l’integrità territoriale degli Stati terzi e il principio di non ingerenza negli affari interni di altri Stati. Accanto a tali disposizioni – complice l’aggravamento del conflitto e i primi report divulgati da diverse agenzie ONU ed organizzazioni non governative di settore circa la miriade di attacchi indiscriminati nei confronti di obiettivi civili, cui si affianca il gran numero di decessi tra le milizie russe ed ucraine – la comunità internazionale ha altresì invocato svariate norme di diritto internazionale penale (v. infra, par. 4), alludendo all’opportunità di avviare indagini nei confronti dei leader russi per crimini di guerra e crimini contro l’umanità (v. infra, par. 5), attesa l’attuale impossibilità di attivare la giurisdizione penale internazionale per il crimine di aggressione (v. infra, par. 6).

Al cospetto di tale sorprendente dispiegamento di norme (e potenziali sanzioni) volte a deplorare e, soprattutto, a reagire nei confronti dell’attacco armato e degli ulteriori illeciti ad esso eventualmente connessi, si potrebbe affermare che la Federazione Russa sia ‘a corto’ di argomenti sufficientemente convincenti per tentare di giustificare dal punto di vista giuridico le proprie azioni od omissioni, o che al contrario abbia in ogni caso rinunciato a priori ad avvalersi del diritto internazionale, consapevole di star agendo in violazione dello stesso.

Tuttavia – e qui veniamo alla prima questione sopra accennata, vale a dire il problema ‘reputazionale’ del diritto internazionale – sappiamo che, almeno a partire dall’oramai nota dichiarazione effettuata dal presidente Vladimir Putin e resa pubblica nelle primissime ore del 24 febbraio[2] (il giorno in cui è stato dato inizio all’attacco militare), la Russia ha invece addotto svariati argomenti volti a legittimare l’intervento militare intrapreso dalle proprie forze armate, piegando a proprio favore, quando non strumentalizzando apertamente, una serie di concetti fondamentali di diritto internazionale.

In primo luogo, il vertice del Cremlino ha qualificato l’aggressione territoriale dell’Ucraina nei termini di una non meglio definita ‘special military operation’, riconducendola all’alveo applicativo dell’art. 51 della Carta ONU e della corrispondente norma consuetudinaria disciplinante la c.d., legittima difesa.

Quest’ultima, costituendo un’importante deroga al divieto dell’uso unilaterale della forza da parte degli Stati contenuto nell’art. 2, par. 4 Carta ONU, è consentita solo ed esclusivamente ‘in autotutela’, nell’ipotesi (emergenziale) in cui occorra respingere un attacco armato in atto[3], a condizione che ciò sia assolutamente necessario e che sia rispettato il limite tra attacco subito e contrattacco sferrato (c.d. principio di proporzionalità).

La legittima difesa invocata da Vladimir Putin è stata ‘declinata’ secondo due direttrici, che riecheggiano la stessa formulazione dell’art. 51. Anzitutto, egli ha evocato la legittima difesa individuale al fine di avvalorare la necessità di difendere il proprio Paese dalla minaccia derivante dalla crescente espansione della NATO in Ucraina, idonea a porre in serio pericolo i confini russi. Nondimeno, pur potendosi sicuramente discutere circa l’esistenza, per il Cremlino, di rischi connessi allo ‘sconfinamento’ della coalizione del Patto Atlantico a ridosso dei propri confini, non è stato registrato alcun attacco armato nei confronti della Russia prima che quest’ultima invadesse il territorio ucraino.

Né, attualmente, può effettivamente parlarsi di un suo coinvolgimento diretto all’interno del conflitto, stante la liceità dell’invio di armamenti all’Ucraina (in qualità di Paese vittima di un’aggressione) ad opera di Stati non coinvolti nel conflitto, siano o meno membri della NATO[4]. Tale giustificazione addotta dalla Federazione russa sottende, dunque, un’ulteriore quanto problematica applicazione del principio di legittima difesa, la cui ammissibilità è stata peraltro discussa ampiamente in dottrina: il riferimento è alla legittima difesa preventiva (c.d., anticipatory self-defence), la cui nozione è stata interpretata in modo estensivo nella letteratura[5], riconducendovi anche azioni armate finalizzare a respingere un attacco militare certo ed imminente, ma non ancora sferrato. Peraltro, giova rammentare come si tratti di una concezione in precedenza condannata dalla stessa Russia quando gli Stati Uniti se ne avvalsero al fine di legittimare l’intervento in Iraq (c.d., dottrina Bush)[6].

In secondo luogo, il discorso ufficiale del presidente Putin menziona la legittima difesa collettiva, anch’essa espressamente prevista dall’art. 51 della Carta ONU.

Tale fattispecie si differenzia dall’omologo individuale per il fatto che ad utilizzare la forza non è lo Stato che ha ragione di temere un attacco armato imminente, bensì gli Stati terzi.

Invero, la Russia ha affermato che l’intervento de quo si sarebbe reso necessario nell’ottica di prestare assistenza militare alle autoproclamate repubbliche separatiste del Donbass, in ottemperanza ai trattati di amicizia che le hanno riconosciute unilateralmente come veri e propri Stati (sulla cui validità vi sono peraltro delle perplessità, quando non dei seri dubbi)[7]. Tuttavia, è appena il caso di precisare che tale forma collettiva di risposta ad un attacco armato è sottoposta ad ulteriori condizioni rispetto alla legittima difesa individuale. Invero, è necessario che lo Stato a sostegno del quale si agisce abbia esplicitamente dichiarato di esser stato vittima di un attacco armato[8]; inoltre, l’impiego della forza da parte di Stati terzi è subordinato ad un’inequivocabile richiesta di aiuto da parte dello Stato vittima dell’attacco, per respingere o far cessare l’attacco medesimo[9].

Se è vero, dunque, che il diritto internazionale attribuisce agli Stati la facoltà di ricorrere alla legittima difesa collettiva, intervenendo in soccorso di un altro Stato, è quanto mai dubbio che ciò possa trovare applicazione nella situazione odierna, visto che il riconoscimento unilaterale effettuato dalla Russia non ha tuttavia valore costitutivo della personalità giuridica delle due Repubbliche di Donetsk e Lugansk[10], non essendo sufficiente ad attribuire loro la qualifica di Stato; quest’ultima, com’è noto, dipende – in ossequio al principio di effettività – dalla circostanza secondo cui il nuovo ente sia in grado di agire in piena indipendenza nelle relazioni internazionali, su un piano di parità con gli altri soggetti.

Il ricorso alla legittima difesa, ritenuto da Putin necessario per fronteggiare le paventate minacce esterne, non esaurisce tuttavia il novero delle ‘scusanti’ di diritto internazionale addotte dalla Federazione Russa nell’ottica di giustificare il proprio intervento armato. Sulla scorta di quanto già detto con riferimento allo status delle due Repubbliche, un’ulteriore giustificazione concerne una pretesa titolarità della Russia ad intervenire al fine di consentire l’esercizio, da parte del Donetsk e del Lugansk, del diritto all’autodeterminazione (in questo caso, esterna).

Quest’ultimo principio, di natura consuetudinaria e corrispondente ad una norma di diritto cogente, troverebbe un circoscritto campo d’applicazione, limitato a due casi, peraltro raramente riscontrabili nella prassi attuale: in primo luogo, un popolo può volersi autodeterminare nell’ottica di liberarsi da una dominazione coloniale; in alternativa, deve trattarsi di popolazioni insistenti su territori conquistati ed occupati con l’uso della forza. Al di fuori di queste situazioni – aventi una chiara connotazione territoriale e implicanti un’applicazione del principio c.d., uti possidetis juris, funzionale ad una rideterminazione dei confini dopo l’ottenimento dell’indipendenza – non vi sarebbe dunque spazio per profilare alcun’altra pretesa secessionistica[11].

Ciò neppure con riferimento all’ulteriore fattispecie della c.d., secessione-rimedio la cui ammissibilità, non codificata nel diritto positivo, è subordinata alla condizione per cui un gruppo infra-statuale (nel caso de quo, la popolazione del Donbass) sia vittima di gravi violazioni di diritti umani idonei a mirarne la stessa sopravvivenza[12].

Connesso alla questione secessionista è, poi, l’argomento giuridico da ultimo avanzato dalla Russia a supporto della ‘special military operation’, che troverebbe un’ulteriore ragion d’essere nell’esigenza di porre fine a presunti atti di genocidio commessi dall’Ucraina a danno dei civili russi presenti nelle zone sudorientali del Paese.

Con riferimento a tale affermazione, che sottende una grave accusa nei confronti delle autorità di Kiev, più d’un autore è tornato ad interrogarsi sull’ammissibilità del ricorso alla forza armata a fini umanitari[13], al di fuori di un’autorizzazione concessa dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, sulla base delle disposizioni contenute nel Capitolo VII della Carta.

Nello specifico, la questione ruoterebbe attorno alle modalità di implementazione dell’obbligo di prevenzione del crimine di genocidio. Sul punto, in occasione della sentenza di merito resa nel leading case Bosnia c. Serbia, la CIG – chiamata a meglio delineare i contorni di tale obbligo in relazione ad un genocidio che dovesse verificarsi oltre ai confini territoriali – si è limitata a statuire che ciascuno Stato può, nell’adempiere all’obbligo di prevenzione, agire soltanto nei limiti consentiti dal diritto internazionale[14]. Tuttavia, come si vedrà infra, la Corte dovrà verosimilmente confrontarsi con questa problematica anche in relazione alla situazione ucraina, in considerazione del procedimento interstatale recentemente promosso.

Ciò premesso, il tentativo da parte della Federazione Russa di usare il diritto internazionale per giustificare l’attuale aggressione armata ha suscitato una riflessione su quella che sembra essere un’autentica incongruenza: perché mai uno Stato che si pone in aperta violazione del diritto internazionale dovrebbe essere interessato ad attribuire una qualche forma di legittimità ai propri comportamenti? Porsi quest’interrogativo non è del tutto privo di significato.

L’utilizzo del diritto internazionale con finalità ‘reputazionali’ rappresenta infatti una tendenza abbastanza diffusa nell’attuale prassi delle relazioni interstatali, contribuendo ad un sostanziale svuotamento dei suoi principi fondamentali e facendo sì che il suo ruolo nell’illustrare e, auspicabilmente, porre rimedio a gravi crisi belliche ed umanitarie venga spesso messo in discussione. La Russia[15], e in generale gli Stati più potenti, ma anche altri attori non statali, sono infatti soliti (mal)celare le proprie azioni od omissioni dietro determinate categorie di diritto internazionale, citate solo con l’intento di legittimare i propri comportamenti e promuovere la propria reputazione di attore compliant sulla scena internazionale, soprattutto nel caso in cui dovessero verificarsi macroscopiche inosservanze[16].

Il modo in cui gli Stati, ed in particolare le grandi potenze, interpretano ed utilizzano a proprio vantaggio il diritto internazionale – operando un riferimento a concetti tradizionali quali, tra gli altri, la liceità dell’autodifesa e la liceità del ricorso alle contromisure, l’ammissibilità dell’intervento unilaterale dello Stato e le deroghe al principio di non ingerenza negli affari interni degli Stati terzi – ricopre ad oggi un ruolo di prim’ordine nella definizione delle aspettative circa le reazioni degli altri Stati nei confronti di eventuali violazioni, nonché sugli argomenti che possono o meno essere fatti valere anche in sede istituzionale, innescando un ciclo di ‘feedback’ continui: la politica internazionale influisce sul diritto internazionale, il quale a sua volta plasma a propria volta la politica internazionale, e così via[17].

Dunque, è chiaro che potenze come la Russia siano titolari di una posizione privilegiata nel definire di volta in volta cosa è lecito e cosa, invece, non lo è, con la conseguenza che ogniqualvolta una nuova concezione del diritto si propaga nel sistema internazionale, la precedente interpretazione delle stesse norme fornita da altri Stati è temporaneamente sospesa, e questi potranno essere paradossalmente ritenuti responsabili per aver violato le stesse disposizioni che in passato avevano contribuito a definire.

Ad esempio, le norme che disciplinano i limiti entro cui il ricorso unilaterale all’uso della forza possa ritenersi legittimo, o ancora le regole in materia di autodeterminazione dei popoli e liceità della secessione rappresentano un chiaro esempio di come la Russia abbia cercando di invertire a proprio favore l’interpretazione di alcune fondamentali principi di diritto dimostrando la propria capacità di intervenire ‘a proprio piacimento’ nei territori limitrofi. Da questo ultimo punto di vista, tuttavia, i tentativi di Mosca in tal senso si sono finora rivelati poco persuasivi, a cominciare dall’illecito riconoscimento delle repubbliche separatiste del Donbass sino a giungere all’accusa di genocidio presuntamente perpetrato dall’Ucraina a danno delle minoranze russe ivi residenti: dichiarazioni unilaterali che, come noto, che non hanno trovato eco nella comunità internazionale[18].

Non si può negare, insomma, che l’utilizzo reputazionale – e, il più delle volte, distorto – del diritto internazionale susciti delle inevitabili reazioni: ogni volta che le grandi potenze prendono parola, infatti, il resto del mondo rimane all’ascolto. Stavolta, tuttavia, la volontà della comunità internazionale non è quella di rimanere inerte, come ampiamente dimostrato dalle numerose iniziative promosse a livello giurisdizionale e istituzionale, oggetto di analisi nei paragrafi che seguono.

 

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[1] Quanto alla manifesta illiceità del riconoscimento unilaterale delle due Repubbliche del Donbass, si consideri ex multis Milanović M., Recognition, in EJIL:Talk!, 21.2.2022, https://www.ejiltalk.org/recognition/; invece, sul ricorso all’uso della forza nei confronti dell’integrità territoriale ucraina in violazione di quanto previsto ex art. 2(4) Carta ONU, si veda anzitutto la dichiarazione ufficiale rilasciata dai Consigli direttivi della Società Europea di Diritto Internazionale (ESIL-SEDI), https://esil-sedi.eu/wp-content/uploads/2022/02/20220224_Statement-ESIL-Board.pdf) nonché della Società Italiana di Diritto Internazionale e di Diritto dell’Unione Europea (SIDI-ISIL), http://www.sidi-isil.org/wp-content/uploads/2022/02/Dichiarazione-sulla-crisi-ucraina-SIDI.pdf); ancora, cfr. Peters A., Russia’s Threat to Ukraine a Violation of International Law, in Max Planck Law, 4.2.2022, https://law.mpg.de/perspectives/2022/02/04/russias-threat-to-ukraine-a-violation-of-international-law/, laddove l’autrice evidenzia come la violazione di tale divieto si sarebbe verificata già nei giorni precedenti l’attacco del 24 febbraio, tramite la minaccia consistente nelle operazioni militari condotte sul confine russo-ucraino.

[2] La traduzione in lingua inglese del discorso ufficiale con cui il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha dichiarato guerra all’Ucraina è stata pubblicata dal Cremlino sul proprio sito istituzionale, ed è consultabile al seguente indirizzo: http://en.kremlin.ru/events/president/transcripts/67843, mentre il testo in lingua originale è reperibile al seguente link: http://kremlin.ru/events/president/news/67843. Per un’analisi delle categorie di diritto internazionale richiamate nel medesimo discorso, invece, cfr. Milanović M. What is Russia’s Legal Justification for Using Force against Ukraine?, in EJIL: Talk!, 24.2.2022, disponibile su https://www.ejiltalk.org/what-is-russias-legal-justification-for-using-force-against-ukraine/; per un’analisi maggiormente critica, si consideri Kerr V., Debunking the Role of International Law in the Ukrainan Conflict, in OpinioJuris, 8.2.2022, disponibile su: https://opiniojuris.org/2022/03/08/de-bunking-the-role-of-international-law-in-the-ukrainian-conflict/

[3] La nozione giuridica di «attacco armato», la cui perimetrazione risulta essere fondamentale ai fini dell’ammissibilità dell’uso della forza in esercizio della legittima difesa, non è contenuta nell’art. 51, né tantomeno può essere rinvenuta altrove nella Carta ONU. Nondimeno, la stessa è stata enucleata in via ermeneutica ad opera della Corte internazionale di giustizia; quest’ultima, in occasione della sentenza di merito resa in relazione al noto contenzioso Case Concerning Military and Paramilitary Activitie in and against Nicaragua (Nicaragua v. United States of America), Judgment on the Merits, 27.6.1986, I.C.J. Reports 1986, p. 14, § 195, effettua un rimando alla Dichiarazione sulla definizione di aggressione adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, contenuta nella risoluzione n. 3314 (XXIX) del 14 dicembre 1974, impiegando la locuzione di ‘attacco armato’ per spiegare la nozione di c.d., aggressione indiretta. In realtà, i concetti di aggressione ed attacco armato risultano essere ‘normativamente’ distinti, essendo peraltro impiegati nella Carta ONU in due diversi contesti: invero, l’aggressione viene menzionata quale situazione che legittima il Consiglio di Sicurezza ad azionare i poteri previsti dal cap. VII della Carta, così come statuito ex art. 39; l’accatto armato, d’altro canto, viene dedotto quale circostanza in grado di legittimare gli Stati ad applicare l’art. 51 della Carta ONU. Ad ogni modo, la dottrina maggioritaria qualifica l’attacco armato quale species riconducibile al più ampio genus dell’aggressione; sul punto, cfr. estensivamente Ruys T., ‘Armed Attack’ and Article 51 of the UN Charter: Evolutions in Customary Law and Practice, Cambridge, 2010, 330-342; Dinstein Y., War, Aggression and Self-Defence, Cambridge/Cambdrige Univerisity Press, 5th Edition, 2011, 196 e ss.; infine, Zemanek K., ‘Armed Attack’, in Max Planck Encyclopedia of Public International Law [MPEPIL], last updated: October 2013, disponibile su: https://opil.ouplaw.com/view/10.1093/law:epil/9780199231690/law-9780199231690-e241

[4] Sul punto, si considerino tra gli altri Rossi P., La compatibilità con la Costituzione italiana e il diritto internazionale dell’invio di armi all’Ucraina, in SIDIBlog, 8.3.2022, http://www.sidiblog.org/2022/03/08/la-compatibilita-con-la-costituzione-italiana-e-il-diritto-internazionale-dellinvio-di-armi-allucraina/; Wentker A., At War: When Do States Supporting Ukraine or Russia become Parties to the Conflict and What Would that Mean?, in EJIL:Talk!, 14.3.2022, https://www.ejiltalk.org/at-war-when-do-states-supporting-ukraine-or-russia-become-parties-to-the-conflict-and-what-would-that-mean/; volendo in questa sede accantonare, pur riconoscendone l’importanza, il dibattito concernente la liceità dell’invio di armamenti rispetto ai principi costituzionali di diritto interno (cfr. Caterina E., Giannelli M., Siciliano D., Il ripudio della guerra preso sul serio: quattro tesi sull’incostituzionalità dell’invio di armi all’Ucraina, in SIDIBlog, 26.4.2022, http://www.sidiblog.org/2022/04/26/il-ripudio-della-guerra-preso-sul-serio-quattro-tesi-sullincostituzionalita-dellinvio-di-armi-allucraina/), ciò che è importante evidenziare in questa sede è che tale condotta risulta essere ammessa nel diritto internazionale, sia essa qualificata come esercizio di legittima difesa collettiva, ovvero (anche se la questione rimane piuttosto controversa) di contromisura collettiva in risposta ad una violazione di una norma cogente di diritto internazionale.

[5] Vale la pena evidenziare che, in dottrina, non è dato riscontrare un’univocità di vedute circa la terminologia usata per ‘ammantare’ di legittimità azioni in autodifesa implicanti l’uso della forza preventiva, nonché sull’arco temporale da considerare al fine di giustificare la deroga all’art. 2, par. 4 Carta ONU; per una panoramica del dibattito, cfr. Green J.A., The Ratione Temporis Elements of Self-Defence, in Journal on the Use of Force and International Law, Vol. 2, 2015, 97 e ss., 102-103.

[6] Sull’argomento, cfr. ex multis Hofmann R., International Law and the Use of Military Force Against Iraq, in German Yearbook of International Law, Vol. 45, 2002, 9 e ss., 31; Bellamy A., International Law and the War with Iraq, in Melbourne Journal of International Law, Vol. 4, 2003, 497 e ss., 515-517.

[7] Sull’illiceità del riconoscimento unilaterale delle due repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk ad opera del Presidente Putin, si veda da ultimo Miklasová J., Russia’s Recognition of the DPR and LPR as Illegal Acts under International Law, in Völkerrechtsblog, 24.3.2022, doi: 10.17176/20220224-120943-0; Kilibarda P., Was Russia’s Recognition of the Separatist Republics in Ukraine Manifestly Unlawful?, in EJIL: Talk!, 2.3.2022, https://www.ejiltalk.org/was-russias-recognition-of-the-separatist-republics-in-ukraine-manifestly-unlawful/; infine, Weller M., Russia’s Recognition of the Separatist Republics’ in Ukraine was Manifestly Unlawful, in EJIL:Talk!, 9.3.2022, https://www.ejiltalk.org/russias-recognition-of-the-separatist-republics-in-ukraine-was-manifestly-unlawful/

[8] Cfr. Dinstein Y., War, Aggression and Self-Defence, Cambridge/Cambridge University Press (6th Edition), 2017, 317 e ss., 320-321.

[9] Cfr. Case Concerning Military and Paramilitary Activitie in and against Nicaragua (Nicaragua v. United States of America), Judgment on the Merits, 27.6.1986, I.C.J. Reports 1986, p. 14, cit. supra, nota 3, § 195; ancora, Wood M., Self-Defence and Collective Security, in Weller M., (ed.), The Oxford Handbook of the Use of Force in International Law, Oxford/Oxford University Press, 2015, 649 e ss., 654.

[10] Oltre a non essere sufficiente, una dichiarazione unilaterale di riconoscimento del requisito della statualità in capo a determinati territori resa nota nel corso di un conflitto armato, tanto interstatale quanto anche ‘soltanto’ interno, costituisce una violazione di diritto internazionale; sul punto, cfr. Lauterpacht H., Recognition of States in International Law, in The Yale Law Journal, Vol. 53, 1944, 385 e ss., in particolare 390-396.

[11] Sul punto, si consideri l’analisi di Vidmar J., Remedial Secession in International Law: Theory and (Lack of) Practice, in St. Antony’s International Law Review, Vol. 6, Issue no. 1, 2010, 37 e ss., 41-42.

[12] Cfr. Accordance with International Law of the Unilateral Declaration of Independence in Respect of Kosovo, Advisory Opinion, 22.7.2010, I.C.J. Reports 2010, p. 403, § 82.

[13] Per una generale ricognizione sulle difficoltà inerenti all’ammissibilità del ricorso all’uso unilaterale della forza nell’ottica di prevenire un genocidio, si consideri tra gli altri Kagan J.M., The Obligation to Use Force to Stop Acts of Genocide: An Overview of Legal Precedents, Customary Norms and State Responsibility, in San Diego International Law Review, Vol. 7, Issue no. 2, 2006, 461-490; più nello specifico, con riguardo alla configurazione di tale facoltà in capo ai membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU, cfr. Heieck J., A Duty to Prevent Genocide: Due Diligence Obligations among the P5, Edward Elgar Publishing: Cheltenham, 2018, 13-71; da ultimo, per ciò che concerne la situazione odierna, si veda Schabas W., Preventing Genocide and the Ukraine/Russia Case, in EJIL:Talk!, 10.3.2022, https://www.ejiltalk.org/preventing-genocide-and-the-ukraine-russia-case/

[14] Cfr. Application of the Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide (Bosnia and Herzegovina v. Serbia and Montenegro), Judgment on the Merits, 26.2.2007, I.C.J. Reports 2007, p. 43, § 430.

[15] Già in occasione dell’invasione militare della Crimea nel 2014, la Russia aveva ‘messo le mani avanti’ provvedendo a giustificare le proprie condotte dal punto di vista del diritto internazionale, peraltro avanzando argomenti molto simili ai principi richiamati dal presidente Vladimir Putin nel suo discorso del 24 febbraio 2022; sul punto, si considerino i due contributi di Borgen C.J., Russia’s Intervention in Ukraine: Legal Rhetoric and Military Tactics, 2.3.2014, nonché The Crimea, Compliance and Constraint of International Law, 3.3.2014, OpinioJuris, entrambi reperibili su www.opiniojuris.org

[16] Sull’utilizzo ‘reputazionale’ del diritto internazionale, cfr. Guzman A.T., A Compliance-Based Theory of International Law, in California Law Review, Vol. 90, Issue no. 6, 2002, 1823-1887; ancora, Guzman A.T., Reputation and International Law, in Georgia Journal of International & Comparative Law, Vol. 34, Issue no. 2, 2006, 379-392.; infine, Brewster R., Unpacking the State’s Reputation, in Harvard International Law Journal, Vol. 50, Issue no. 2, 2009, 231-269.

[17] In tal senso, cfr. Borgen C.J., The Language of Law and the Practice of Politics: Great Powers and the Rhetoric of Self-Determination in the Case of Kosovo and South Ossethia, in Chicago Journal of International Law, Vol. 10, Issue no. 1, 2009, 1 e ss., 31-32.

[18] Si consideri Desierto D., Non-Recognition, in EJIL:Talk! 22.2.2022, https://www.ejiltalk.org/non-recognition/