Sospensione dell’attività imprenditoriale: attività discrezionale o vincolata?

Profili di contrasto fra prime pronunce giurisprudenziali e indicazioni ministeriali

Da qualche anno ha fatto ingresso nel nostro ordinamento l’istituto della sospensione dell’attività di Impresa in caso di riscontrate irregolarità inerenti taluni profili dell’organizzazione del lavoro (in particolare, l’impiego di lavoratori “in nero”, e la grave e reiterata inosservanza delle normative antinfortunistiche e di sicurezza).

L’istituto in parola è stato introdotto dapprima nel 2006, limitatamente al settore edilizio; con la legge delega n. 123/2007 l’applicazione dell’istituto è stata successivamente ampliata a tutte le categorie imprenditoriali.

La sospensione, oggi disciplinata dall’art. 14 d.lgs. n. 81/2008, in breve, ha natura (e funzione) sostanzialmente duplice: da un lato costituisce infatti sanzione per gli illeciti riscontrati (ciò, oltre che mediante la sospensione in sé, anche per mezzo delle ulteriori sanzioni previste, quali l’interdizione alla contrattazione con le Amministrazioni, etc.), mentre dall’altro mira al ripristino, quanto prima, delle corrette condizioni di lavoro.

A seguito delle modifiche via via apportate, l’istituto trova applicazione nei seguenti casi:

- impiego di personale “in nero” per oltre il 20% del numero dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro;

- “gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro”.

In particolare, è stato abrogato il terzo caso precedentemente previsto, riferito alle violazioni della normativa sull’orario di lavoro.

Ci si è sin da subito interrogati in merito alla natura, se vincolata o discrezionale, del potere di sospensione dell’attività imprenditoriale, ciò in quanto il tenore della norma lascia aperte numerose possibilità interpretative: l’art. 14, ad esempio, prevede testualmente che gli organi ispettivi “possono” (e non già “devono”) “adottare provvedimenti di sospensione”, nei casi anzidetti, “al fine di far cessare il pericolo per la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori, nonché di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso e irregolare”.

Soffermandosi sul mero dato letterale, quindi, l’uso del verbo “potere” pare univoco nell’indicare la natura discrezionale del provvedimento; in particolare, sembra potersi fare riferimento, per individuare i “limiti” di tale discrezionalità, ai “fini” ivi indicati (cessazione del pericolo per la sicurezza dei lavoratori, e contrasto al lavoro nero).

Cosicché, qualora si ritenesse che la sospensione non fosse funzionale a raggiungere tali fini (e quindi, ad esempio, non sia idonea a far cessare lo stato di pericolo), il personale ispettivo – stando a tale opzione ermeneutica – dovrebbe astenersi dall’adottarla. Difficilmente, tuttavia, potrebbe sostenersi lo stesso per il fine di “contrastare” il lavoro “nero”; la mancata sospensione, infatti, mal si concilierebbe con detto scopo.

Tali considerazioni hanno trovato conferma nella sentenza del T.A.R. Lombardia Milano, III, n. 2 del 9 gennaio 2009.

Chiamato infatti a giudicare sulla legittimità di un provvedimento di sospensione, il T.A.R. Lombardo conclude che, quantomeno per il caso in cui la sospensione sia comminata a causa dell’impiego di lavoratori in “nero” per più del 20% della forza lavoro globalmente presente, l’ispettore non ha alcun margine di discrezionalità, ma deve provvedere alla comminatoria “in automatico” ove ravvisi la ricorrenza dei requisiti di legge.

Ciò, in forza di un’interpretazione letterale del dictum legislativo (nel frattempo modificato, ma non per la parte d’interesse): partendo, infatti, dalle ragioni che possono portare ad una revoca del provvedimento, elencate dall’art. 14, si osserva che è posta quale unica condizione la “regolarizzazione dei lavoratori non risultanti dalle scritture”; mentre, per il caso di violazione di norme antinfortunistiche, si richiede “l’accertamento del ripristino delle regolari condizioni di lavoro”. Da cui, il T.A.R. deduce che “la presenza di lavoratori non regolari sia di per sé condizione sufficiente all’adozione del provvedimento di sospensione, giacchè in caso contrario si dovrebbe ipotizzare che il legislatore consenta la ripresa dell’attività imprenditoriale pur in presenza di circostanze che possano mettere in pericolo l’incolumità del personale dipendente” (vale a dire, in mancanza di “ripristino delle regolari condizioni di lavoro”).

Tale orientamento, in definitiva, preclude la sindacabilità nel merito del provvedimento sospensivo in sede giurisdizionale.

Giustappunto, nella fattispecie in esame, il T.A.R. Lombardia conferma che “non può essere dedotta, trattandosi di atto vincolato e predeterminato nel contenuto, la violazione del principio di proporzionalità; né può essere censurata la carenza di motivazione, essendo all’uopo sufficiente che la p.a. abbia dato atto, nel provvedimento, della sussistenza dei presupposti di fatto che ne consentivano l’emissione”.

Tuttavia, è di recente emanazione la circolare n. 33/2009 del Ministero del Lavoro, inerente le modifiche apportate dall’art. 11 del d.lgs. n. 106/2009 al predetto art. 14, che sul punto sembra porsi in netta contrapposizione con l’interpretazione del T.A.R.

La circolare afferma infatti “la natura ‘discrezionale’ del provvedimento”, richiamandosi al verbo “possono” utilizzato nella disposizione in esame; ciò implica, operativamente, che “il provvedimento di sospensione debba essere ‘di norma’ adottato ogni qual volta ne siano accertati i presupposti, salvo circostanze particolari che suggeriscano, sotto il profilo dell’opportunità, di non adottarlo”.

In altre parole: ricorrendo i presupposti di legge, la sospensione sarà o meno comminata a seconda della valutazione resa dall’agente in merito alla presenza di talune circostanze che facciano ritenere opportuno soprassedere.

Le “circostanze particolari” che possono rendere opportuno non procedere alla sospensione, dunque, essendo “legate ad esigenze di salute e sicurezza sul lavoro” (così la circolare), sono quelle in cui la sospensione può causare un pericolo ancor più rilevante per l’incolumità dei lavoratori o di terzi.

Ulteriore circostanza, inoltre, è rappresentata dall’eventuale limitazione dell’erogazione di un servizio pubblico essenziale che potrebbe essere causata dal provvedimento sospensivo.

In merito alla fattispecie di sospensione per presenza di oltre il 20% di lavoratori in nero, infine, la circolare afferma che può essere opportuno evitare di adottare il provvedimento “quando lo stesso rechi un grave danno agli impianti o alle attrezzature … ovvero ai beni …”, in disparte peraltro la previsione di cui al co. 11bis dell’art. 14 (a mente della quale non può essere sospesa l’attività qualora il lavoratore “in nero” sia l’unico addetto dell’Impresa).

Paiono insomma evidenti le contraddizioni fra le indicazioni ministeriali e quelle della giurisprudenza (pur sempre ancora, sul punto, in formazione). A fronte di una sostanziale convergenza sulla impossibilità di valutare, fra le circostanze che possono rendere opportuno evitare la comminatoria della sospensione nel caso di presenza di lavoratori “in nero”, quelle “legate ad esigenze di salute e sicurezza sul lavoro”, il Ministero riconosce pur sempre espressamente, nel caso richiamato, la natura discrezionale del provvedimento (che infatti non deve essere adottato se vi è pericolo per attrezzature e/o beni), ciò che il T.A.R. aveva invece tout court escluso, riconducendolo alla categoria degli “atti vincolati”.

Si osserva quindi, in conclusione, che l’interpretazione ministeriale, pur comprensibile nell’ottica di non rendere la sanzione né sproporzionata all’effettiva violazione, né inopportuna, né tout court foriera di rischi ulteriori, rischia tuttavia di stimolare applicazioni non uniformi dell’istituto, a seconda delle diverse interpretazioni che ciascun ufficio (o addirittura ciascun ispettore) potrà fornire in merito al concetto di “grave danno agli impianti o alle attrezzature”; a tacere del prevedibile aumento del contenzioso, conseguenza immediata della ritenuta “discrezionalità” del provvedimento sospensivo.

Da qualche anno ha fatto ingresso nel nostro ordinamento l’istituto della sospensione dell’attività di Impresa in caso di riscontrate irregolarità inerenti taluni profili dell’organizzazione del lavoro (in particolare, l’impiego di lavoratori “in nero”, e la grave e reiterata inosservanza delle normative antinfortunistiche e di sicurezza).

L’istituto in parola è stato introdotto dapprima nel 2006, limitatamente al settore edilizio; con la legge delega n. 123/2007 l’applicazione dell’istituto è stata successivamente ampliata a tutte le categorie imprenditoriali.

La sospensione, oggi disciplinata dall’art. 14 d.lgs. n. 81/2008, in breve, ha natura (e funzione) sostanzialmente duplice: da un lato costituisce infatti sanzione per gli illeciti riscontrati (ciò, oltre che mediante la sospensione in sé, anche per mezzo delle ulteriori sanzioni previste, quali l’interdizione alla contrattazione con le Amministrazioni, etc.), mentre dall’altro mira al ripristino, quanto prima, delle corrette condizioni di lavoro.

A seguito delle modifiche via via apportate, l’istituto trova applicazione nei seguenti casi:

- impiego di personale “in nero” per oltre il 20% del numero dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro;

- “gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro”.

In particolare, è stato abrogato il terzo caso precedentemente previsto, riferito alle violazioni della normativa sull’orario di lavoro.

Ci si è sin da subito interrogati in merito alla natura, se vincolata o discrezionale, del potere di sospensione dell’attività imprenditoriale, ciò in quanto il tenore della norma lascia aperte numerose possibilità interpretative: l’art. 14, ad esempio, prevede testualmente che gli organi ispettivi “possono” (e non già “devono”) “adottare provvedimenti di sospensione”, nei casi anzidetti, “al fine di far cessare il pericolo per la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori, nonché di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso e irregolare”.

Soffermandosi sul mero dato letterale, quindi, l’uso del verbo “potere” pare univoco nell’indicare la natura discrezionale del provvedimento; in particolare, sembra potersi fare riferimento, per individuare i “limiti” di tale discrezionalità, ai “fini” ivi indicati (cessazione del pericolo per la sicurezza dei lavoratori, e contrasto al lavoro nero).

Cosicché, qualora si ritenesse che la sospensione non fosse funzionale a raggiungere tali fini (e quindi, ad esempio, non sia idonea a far cessare lo stato di pericolo), il personale ispettivo – stando a tale opzione ermeneutica – dovrebbe astenersi dall’adottarla. Difficilmente, tuttavia, potrebbe sostenersi lo stesso per il fine di “contrastare” il lavoro “nero”; la mancata sospensione, infatti, mal si concilierebbe con detto scopo.

Tali considerazioni hanno trovato conferma nella sentenza del T.A.R. Lombardia Milano, III, n. 2 del 9 gennaio 2009.

Chiamato infatti a giudicare sulla legittimità di un provvedimento di sospensione, il T.A.R. Lombardo conclude che, quantomeno per il caso in cui la sospensione sia comminata a causa dell’impiego di lavoratori in “nero” per più del 20% della forza lavoro globalmente presente, l’ispettore non ha alcun margine di discrezionalità, ma deve provvedere alla comminatoria “in automatico” ove ravvisi la ricorrenza dei requisiti di legge.

Ciò, in forza di un’interpretazione letterale del dictum legislativo (nel frattempo modificato, ma non per la parte d’interesse): partendo, infatti, dalle ragioni che possono portare ad una revoca del provvedimento, elencate dall’art. 14, si osserva che è posta quale unica condizione la “regolarizzazione dei lavoratori non risultanti dalle scritture”; mentre, per il caso di violazione di norme antinfortunistiche, si richiede “l’accertamento del ripristino delle regolari condizioni di lavoro”. Da cui, il T.A.R. deduce che “la presenza di lavoratori non regolari sia di per sé condizione sufficiente all’adozione del provvedimento di sospensione, giacchè in caso contrario si dovrebbe ipotizzare che il legislatore consenta la ripresa dell’attività imprenditoriale pur in presenza di circostanze che possano mettere in pericolo l’incolumità del personale dipendente” (vale a dire, in mancanza di “ripristino delle regolari condizioni di lavoro”).

Tale orientamento, in definitiva, preclude la sindacabilità nel merito del provvedimento sospensivo in sede giurisdizionale.

Giustappunto, nella fattispecie in esame, il T.A.R. Lombardia conferma che “non può essere dedotta, trattandosi di atto vincolato e predeterminato nel contenuto, la violazione del principio di proporzionalità; né può essere censurata la carenza di motivazione, essendo all’uopo sufficiente che la p.a. abbia dato atto, nel provvedimento, della sussistenza dei presupposti di fatto che ne consentivano l’emissione”.

Tuttavia, è di recente emanazione la circolare n. 33/2009 del Ministero del Lavoro, inerente le modifiche apportate dall’art. 11 del d.lgs. n. 106/2009 al predetto art. 14, che sul punto sembra porsi in netta contrapposizione con l’interpretazione del T.A.R.

La circolare afferma infatti “la natura ‘discrezionale’ del provvedimento”, richiamandosi al verbo “possono” utilizzato nella disposizione in esame; ciò implica, operativamente, che “il provvedimento di sospensione debba essere ‘di norma’ adottato ogni qual volta ne siano accertati i presupposti, salvo circostanze particolari che suggeriscano, sotto il profilo dell’opportunità, di non adottarlo”.

In altre parole: ricorrendo i presupposti di legge, la sospensione sarà o meno comminata a seconda della valutazione resa dall’agente in merito alla presenza di talune circostanze che facciano ritenere opportuno soprassedere.

Le “circostanze particolari” che possono rendere opportuno non procedere alla sospensione, dunque, essendo “legate ad esigenze di salute e sicurezza sul lavoro” (così la circolare), sono quelle in cui la sospensione può causare un pericolo ancor più rilevante per l’incolumità dei lavoratori o di terzi.

Ulteriore circostanza, inoltre, è rappresentata dall’eventuale limitazione dell’erogazione di un servizio pubblico essenziale che potrebbe essere causata dal provvedimento sospensivo.

In merito alla fattispecie di sospensione per presenza di oltre il 20% di lavoratori in nero, infine, la circolare afferma che può essere opportuno evitare di adottare il provvedimento “quando lo stesso rechi un grave danno agli impianti o alle attrezzature … ovvero ai beni …”, in disparte peraltro la previsione di cui al co. 11bis dell’art. 14 (a mente della quale non può essere sospesa l’attività qualora il lavoratore “in nero” sia l’unico addetto dell’Impresa).

Paiono insomma evidenti le contraddizioni fra le indicazioni ministeriali e quelle della giurisprudenza (pur sempre ancora, sul punto, in formazione). A fronte di una sostanziale convergenza sulla impossibilità di valutare, fra le circostanze che possono rendere opportuno evitare la comminatoria della sospensione nel caso di presenza di lavoratori “in nero”, quelle “legate ad esigenze di salute e sicurezza sul lavoro”, il Ministero riconosce pur sempre espressamente, nel caso richiamato, la natura discrezionale del provvedimento (che infatti non deve essere adottato se vi è pericolo per attrezzature e/o beni), ciò che il T.A.R. aveva invece tout court escluso, riconducendolo alla categoria degli “atti vincolati”.

Si osserva quindi, in conclusione, che l’interpretazione ministeriale, pur comprensibile nell’ottica di non rendere la sanzione né sproporzionata all’effettiva violazione, né inopportuna, né tout court foriera di rischi ulteriori, rischia tuttavia di stimolare applicazioni non uniformi dell’istituto, a seconda delle diverse interpretazioni che ciascun ufficio (o addirittura ciascun ispettore) potrà fornire in merito al concetto di “grave danno agli impianti o alle attrezzature”; a tacere del prevedibile aumento del contenzioso, conseguenza immediata della ritenuta “discrezionalità” del provvedimento sospensivo.