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Subordinazione e autonomia nel rapporto di lavoro degli addetti ai Call Center

Nota a Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 14 aprile 2008, n. 9812

Con una recente pronuncia resa a definizione di una causa previdenziale [1] la Corte di Cassazione ha confermato una sentenza del giudice di merito che aveva individuato un rapporto di lavoro subordinato con riferimento alle prestazioni svolte da alcuni lavoratori di call center.

La vicenda processuale ebbe inizio un decennio fa, nel 1998. Alcuni Ispettori dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale effettuarono un’ispezione presso una società esercente attività di prestazioni di servizi per il settore pubblicitario e accertarono l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato in capo a 27 lavoratori, i quali invece figuravano impiegati come lavoratori autonomi. Conseguentemente, alla società interessata fu intimato il versamento dei contributi previdenziali relativi, che risultavano non essere stati corrisposti. La società propose opposizione avverso il verbale ispettivo e convenne in giudizio, avanti il Tribunale di Padova, l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, chiedendo che il Giudice accertasse la natura autonoma del rapporto di lavoro intercorso con tali lavoratori. All’esito del giudizio, con sentenza del 2001, il Tribunale di Padova dichiarò la natura autonoma del rapporto di lavoro intercorso tra le parti. Avverso la pronuncia del Tribunale fu proposto gravame e, all’esito, la Corte d’Appello di Venezia - riformando parzialmente la decisione adottata dal Tribunale - dichiarò la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con parte dei dipendenti e condannò, conseguentemente, la società resistente al pagamento dei contributi previdenziali relativi. Ad avviso della Corte, infatti, era stata raggiunta la prova dello stabile inserimento dei prestatori di lavoro nell’organizzazione produttiva dell’azienda e della loro sottoposizione al potere gerarchico, direttivo e disciplinare del datore di lavoro. Era inoltre emerso, dall’istruttoria, che le attrezzature ed i materiali forniti fossero di esclusiva proprietà dell’azienda, e che i dipendenti della società dovessero seguire le direttive dell’azienda in relazione ad ogni singola telefonata, osservare un orario di lavoro preciso e prestabilito, giustificare le assenze e i ritardi. Avverso detta sentenza la società proponeva ricorso per cassazione presentando tre motivi di censura, dei quali solo il primo motivo strettamente connesso alla questione in analisi nel presente scritto, attinente - in particolare - alla circostanza che la Corte d’Appello  avesse giudicato senza tenere conto delle prove testimoniali raccolte, dalle quali era possibile ricavare l’insussistenza degli elementi caratterizzanti la subordinazione. All’esito del giudizio, la Suprema Corte confermava la sentenza resa dalla Corte d’Appello, condividendone le motivazioni.

Sotto un profilo di stretto diritto, la sentenza della Corte di Cassazione ha riconosciuto che la Corte d’Appello ha fatto buon governo delle risultanze istruttorie e dell’applicazione delle norme in materia di lavoro subordinato. Ed invero, la Corte territoriale aveva risolto la controversia attenendosi ai consolidati principi giurisprudenziali [2], secondo i quali l’elemento decisivo che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato dal lavoro autonomo è l’assoggettamento del lavoratore al potere gerarchico, direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro unitamente al conseguente inserimento del lavoratore, in modo stabile ed esclusivo, nell’organizzazione aziendale, elementi da valutarsi in combinazione con il sussistere degli indici sintomatici della subordinazione quali l’assenza del rischio di impresa, la continuità della prestazione, l’obbligo di osservare un orario di lavoro, la cadenza e la forma della retribuzione, l’utilizzazione di strumenti di lavoro e lo svolgimento della prestazione in ambienti messi a disposizione dal datore di lavoro.

La pronuncia della Cassazione, sebbene sia intervenuta in una controversia previdenziale, costituisce e costituirà comunque un importante precedente in materia di rapporto tra subordinazione ed autonomia, soprattutto nell’ambito di un’attività, quale quella svolta dai call center, che da sempre è posta sul crinale che suddivide i versanti di entrambe le fattispecie. Tuttavia ritengo, con specifico riferimento a questa sola attività, che in alcuni frangenti sia necessario condurre una più rigorosa analisi della concreta fattispecie fattuale sottesa ai singoli casi, attingendo se del caso ad altre risosrse onde valutare la sussitenza della subordinazione. Difatti, le peculiarità delle mansioni alle quali i collaboratori sono adibiti, talvolta non consentono di discernere con aderenza alla realtà dei fatti una prestazione genuinamente autonoma o parasubordinata da una che invece non lo sia. A maggior ragione anche a seguito dell’introduzione del lavoro a progetto [3], fattispecie che maggiormente si presta ad abusi, perché, onde ottenere una pronuncia di accertamento del vincolo di subordinazione, è preliminarmente necessario dimostrare la non genuinità del progetto medesimo.

Mi riferisco, in particolare, ai casi limite nei quali l’orario di lavoro è prestabilito quanto alla durata giornaliera, ma organizzato su turni; oppure ai casi nei quali il collaboratore è tenuto a giustificare la propria assenza, ma soltanto in maniera informale; a dover concordare le ferie con i colleghi e con l’azienda, sempre in modo informale; a dover seguire direttive e protocolli specifici nella gestione delle telefonate, tuttavia non riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro: elementi sinomatici che potrebbero far presumere l’esistenza della subordinazione, ma più attenuati, sfumati e, come tali, opinabili.

Ed è allora in questi casi che si verifica uno scarto tra l’esigenza di giustizia - che imporrebbe di far prevalere la realtà concreta rispetto al nomen iuris che le parti hanno attribuito al contratto - rispetto a quanto, invece, emerge in ossequio al rispetto della verità processuale - che impone viceversa di attenersi al principio “iusta alligata et probata”. In parole più semplici, laddove il prestatore di lavoro si trovi a convivere con imposizioni datoriali che hanno il sentore di assoggettamento gerarchico, direttivo e disciplinare, ma in forma più attenuata e sfumata, si troverà in difficoltà a dimostrare la sussistenza della subordinazione.  Solitamente, infatti, il progetto si identifica con una "campagna" senza che vi sia altro da aggiungere.

Il problema delle fattispecie al limite, inoltre, non è soltanto teorico, perché la qualificazione di un rapporto in un senso piuttosto che in un altro comporta evidenti ricadute negative anche (e non soltanto) in tema di adeguatezza della retribuzione.

Sotto questo profilo un punto di partenza per una più approfondita disamina delle fattispecie controverse è costituito da un provvedimento del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale [4], il quale sebbene fornisca “indicazioni di carattere operativo rivolte al solo personale ispettivo”, offre interessanti spunti che potranno, all’occorrenza, essere presi in debita considerazione dal Giudice e dagli operatori del diritto in generale.

Il Ministero premette anzitutto che “il mercato del lavoro nel settore call center continua ad essere caratterizzato, anche successivamente all’entrata in vigore del Decreto Legislativo 276/2003 ed alla introduzione del lavoro a progetto, da un consistente utilizzo di contratti di collaborazione autonoma” sicché si renderebbe necessario, ora più che mai, dare attuazione alla finalità della disposizione dell’art. 61 del Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (cd. Legge Biagi), onde “delimitare l’utilizzo del lavoro coordinato e continuativo a quelle sole prestazioni che siano genuinamente autonome perché effettivamente riconducibili alla realizzazione di un programma o progetto o fasi di esso, gestite dal lavoratore in funzione del risultato”.

Questa è dunque lo spirito della Circolare n. 17/2006 citata, la quale ha infatti chiarito che i presupposti per la stipulazione di un contratto di lavoro a progetto debbano essere individuati con riferimento: 1) ai criteri di individuazione e specificazione del progetto o del programma di lavoro; 2) ai requisiti essenziali che devono connotare l’autonomia del collaboratore nella gestione dei tempi di lavoro; 3) alle modalità di coordinamento consentite tra il committente ed il lavoratore.

Ne deriva, perciò, che il collaboratore a progetto cui è assegnato l’incarico di compiere le operazioni telefoniche necessarie può essere considerato autonomo alla condizione essenziale che possa unilateralmente e discrezionalmente determinare, senza necessità di preventiva autorizzazione o successiva giustificazione, la quantità di prestazione da eseguire e la collocazione temporale della stessa.

Ciò implica che il collaboratore non può essere soggetto ad alcun vincolo di orario, anche se all’interno di fasce orarie prestabilite. Di conseguenza, deve poter decidere, nel rispetto delle forme concordate di coordinamento, anche temporale, della prestazione: a) se eseguire la prestazione ed in quali giorni; b) a che ora iniziare ed a che ora terminare la prestazione giornaliera; c) se e per quanto tempo sospendere la prestazione giornaliera. Da un punto di vista organizzativo ne consegue che l’assenza non deve mai essere giustificata e la presenza non può mai essere imposta.

Il progetto o programma di lavoro deve in primo luogo essere individuato con riferimento ad una specifica e singola "campagna", la cui durata costituisce il necessario termine esterno di riferimento per la durata stessa del contratto di lavoro a progetto.

Ai fini della corretta e compiuta determinazione del risultato richiesto al collaboratore è dunque necessario che il progetto, programma di lavoro o fase di esso sia qualificato tramite la specificazione: a) del singolo committente finale cui è riconducibile la campagna (con riferimento ai call center che offrono servizi in outsourcing la campagna di riferimento sarà dunque quella commissionata da terzi all’impresa stessa); b) della durata della campagna, rispetto alla quale il contratto di lavoro a progetto non può mai avere una durata superiore; c) del singolo tipo di attività richiesta al collaboratore nell’ambito di tale campagna (promozione, vendita, sondaggi, ecc.); d) della concreta tipologia di prodotti o servizi oggetto dell’attività richiesta al collaboratore; e) della tipologia di clientela da contattare (individuata con riferimento a requisiti oggettivi e/o soggettivi).

In considerazione di tali requisiti essenziali e qualificanti è senz’altro configurabile un genuino progetto, programma di lavoro o fase di esso, con riferimento alle campagne outbound, nell’ambito delle quali il compito assegnato al collaboratore è quello di rendersi attivo nel contattare, per un arco di tempo predeterminato, l’utenza di un prodotto o servizio riconducibile ad un singolo committente.

Ciò in considerazione della intrinseca delimitazione temporale di tale tipologia di attività e della possibilità di definire compiutamente il risultato richiesto al collaboratore anche con riguardo ai requisiti soggettivi ed oggettivi dell’utenza contattata ed al tipo di prestazione concretamente dovuta per ogni contatto telefonico effettuato. Il lavoratore outbound, infatti, può prefigurare il contenuto della sua prestazione sulla base del risultato oggettivamente individuato dalle parti con il contratto.

Nelle attività inbound l’operatore non gestisce, come nel caso dell’outbound, la propria attività, né può in alcun modo pianificarla giacché la stessa consiste prevalentemente nel rispondere alle chiamate dell’utenza, limitandosi a mettere a disposizione del datore di lavoro le proprie energie psicofisiche per un dato periodo di tempo.

Ne consegue che per quest’ultima attività, a mente di quanto indicato nella Circolare “il personale ispettivo, qualora verifichi che l’attività lavorativa come descritta è disciplinata da un contratto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto, procederà, dovendo ricondurre tale attività alla subordinazione, adottando i conseguenti provvedimenti di carattere sanzionatorio e contributivo”.

Il ministero è giunto allora alla conclusione che possa configurarsi un genuino progetto laddove il compito assegnato a collaboratore sia quello di rendersi attivo nel contattare, per un arco di tempo predeterminato, l’utenza di un prodotto o servizio riconducibili ad un singolo committente, mentre sussistono invece dubbi sulla genuinità del progetto per l’attività inbound, siccome il prestatore di lavoro viene impiegato prevalentemente nel rispondere alle chiamate dell’utenza, limitandosi a mettere a disposizione del datore di lavoro le proprie energie psicofisiche per un dato periodo di tempo e senza poter perciò predeterminare o pianificare il proprio lavoro.

Pertanto, laddove sussistano dubbi circa la qualificazione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di un’azienda che eserciti attività di call center, sarebbe auspicabile condurre una iniziale analisi sulla scorta dei tradizionali principi che consentono di individuare un rapporto di lavoro subordinato, valutando poi il caso concreto anche con riferimento agli indici individuati dal Ministero.

Muovendo l’analisi in questo senso, appellandosi cioè a dati aggiuntivi quanto più possibile oggettivi, potranno alfine dipanarsi eventuali dubbi circa la qualificazione incerta di un’attività lavorativa posta ai confini tra autonomia, parasubordinazione e subordinazione, che non possa essere altrimenti accertata al di là di ogni ragionevole dubbio mediante il preliminare e indefettibile ricorso ai consolidati principi in materia.



[1] Cassazione Civile Sezione Lavoro, 14 aprile 2008, n. 9812.

[2] Tra le tante: Cassazione Civile Sezione Lavoro 28 settembre 2006, n. 21028; Cassazione Civile Sezione Lavoro 24 febbraio 2006, n. 4171; Cassazione Civile Sezione Lavoro 25 ottobre 2004, n. 20669.

[3] Articoli 61 e seguenti del Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276.

[4] Circolare Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale 10 giugno 2006, n. 17.

Con una recente pronuncia resa a definizione di una causa previdenziale [1] la Corte di Cassazione ha confermato una sentenza del giudice di merito che aveva individuato un rapporto di lavoro subordinato con riferimento alle prestazioni svolte da alcuni lavoratori di call center.

La vicenda processuale ebbe inizio un decennio fa, nel 1998. Alcuni Ispettori dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale effettuarono un’ispezione presso una società esercente attività di prestazioni di servizi per il settore pubblicitario e accertarono l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato in capo a 27 lavoratori, i quali invece figuravano impiegati come lavoratori autonomi. Conseguentemente, alla società interessata fu intimato il versamento dei contributi previdenziali relativi, che risultavano non essere stati corrisposti. La società propose opposizione avverso il verbale ispettivo e convenne in giudizio, avanti il Tribunale di Padova, l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, chiedendo che il Giudice accertasse la natura autonoma del rapporto di lavoro intercorso con tali lavoratori. All’esito del giudizio, con sentenza del 2001, il Tribunale di Padova dichiarò la natura autonoma del rapporto di lavoro intercorso tra le parti. Avverso la pronuncia del Tribunale fu proposto gravame e, all’esito, la Corte d’Appello di Venezia - riformando parzialmente la decisione adottata dal Tribunale - dichiarò la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con parte dei dipendenti e condannò, conseguentemente, la società resistente al pagamento dei contributi previdenziali relativi. Ad avviso della Corte, infatti, era stata raggiunta la prova dello stabile inserimento dei prestatori di lavoro nell’organizzazione produttiva dell’azienda e della loro sottoposizione al potere gerarchico, direttivo e disciplinare del datore di lavoro. Era inoltre emerso, dall’istruttoria, che le attrezzature ed i materiali forniti fossero di esclusiva proprietà dell’azienda, e che i dipendenti della società dovessero seguire le direttive dell’azienda in relazione ad ogni singola telefonata, osservare un orario di lavoro preciso e prestabilito, giustificare le assenze e i ritardi. Avverso detta sentenza la società proponeva ricorso per cassazione presentando tre motivi di censura, dei quali solo il primo motivo strettamente connesso alla questione in analisi nel presente scritto, attinente - in particolare - alla circostanza che la Corte d’Appello  avesse giudicato senza tenere conto delle prove testimoniali raccolte, dalle quali era possibile ricavare l’insussistenza degli elementi caratterizzanti la subordinazione. All’esito del giudizio, la Suprema Corte confermava la sentenza resa dalla Corte d’Appello, condividendone le motivazioni.

Sotto un profilo di stretto diritto, la sentenza della Corte di Cassazione ha riconosciuto che la Corte d’Appello ha fatto buon governo delle risultanze istruttorie e dell’applicazione delle norme in materia di lavoro subordinato. Ed invero, la Corte territoriale aveva risolto la controversia attenendosi ai consolidati principi giurisprudenziali [2], secondo i quali l’elemento decisivo che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato dal lavoro autonomo è l’assoggettamento del lavoratore al potere gerarchico, direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro unitamente al conseguente inserimento del lavoratore, in modo stabile ed esclusivo, nell’organizzazione aziendale, elementi da valutarsi in combinazione con il sussistere degli indici sintomatici della subordinazione quali l’assenza del rischio di impresa, la continuità della prestazione, l’obbligo di osservare un orario di lavoro, la cadenza e la forma della retribuzione, l’utilizzazione di strumenti di lavoro e lo svolgimento della prestazione in ambienti messi a disposizione dal datore di lavoro.

La pronuncia della Cassazione, sebbene sia intervenuta in una controversia previdenziale, costituisce e costituirà comunque un importante precedente in materia di rapporto tra subordinazione ed autonomia, soprattutto nell’ambito di un’attività, quale quella svolta dai call center, che da sempre è posta sul crinale che suddivide i versanti di entrambe le fattispecie. Tuttavia ritengo, con specifico riferimento a questa sola attività, che in alcuni frangenti sia necessario condurre una più rigorosa analisi della concreta fattispecie fattuale sottesa ai singoli casi, attingendo se del caso ad altre risosrse onde valutare la sussitenza della subordinazione. Difatti, le peculiarità delle mansioni alle quali i collaboratori sono adibiti, talvolta non consentono di discernere con aderenza alla realtà dei fatti una prestazione genuinamente autonoma o parasubordinata da una che invece non lo sia. A maggior ragione anche a seguito dell’introduzione del lavoro a progetto [3], fattispecie che maggiormente si presta ad abusi, perché, onde ottenere una pronuncia di accertamento del vincolo di subordinazione, è preliminarmente necessario dimostrare la non genuinità del progetto medesimo.

Mi riferisco, in particolare, ai casi limite nei quali l’orario di lavoro è prestabilito quanto alla durata giornaliera, ma organizzato su turni; oppure ai casi nei quali il collaboratore è tenuto a giustificare la propria assenza, ma soltanto in maniera informale; a dover concordare le ferie con i colleghi e con l’azienda, sempre in modo informale; a dover seguire direttive e protocolli specifici nella gestione delle telefonate, tuttavia non riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro: elementi sinomatici che potrebbero far presumere l’esistenza della subordinazione, ma più attenuati, sfumati e, come tali, opinabili.

Ed è allora in questi casi che si verifica uno scarto tra l’esigenza di giustizia - che imporrebbe di far prevalere la realtà concreta rispetto al nomen iuris che le parti hanno attribuito al contratto - rispetto a quanto, invece, emerge in ossequio al rispetto della verità processuale - che impone viceversa di attenersi al principio “iusta alligata et probata”. In parole più semplici, laddove il prestatore di lavoro si trovi a convivere con imposizioni datoriali che hanno il sentore di assoggettamento gerarchico, direttivo e disciplinare, ma in forma più attenuata e sfumata, si troverà in difficoltà a dimostrare la sussistenza della subordinazione.  Solitamente, infatti, il progetto si identifica con una "campagna" senza che vi sia altro da aggiungere.

Il problema delle fattispecie al limite, inoltre, non è soltanto teorico, perché la qualificazione di un rapporto in un senso piuttosto che in un altro comporta evidenti ricadute negative anche (e non soltanto) in tema di adeguatezza della retribuzione.

Sotto questo profilo un punto di partenza per una più approfondita disamina delle fattispecie controverse è costituito da un provvedimento del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale [4], il quale sebbene fornisca “indicazioni di carattere operativo rivolte al solo personale ispettivo”, offre interessanti spunti che potranno, all’occorrenza, essere presi in debita considerazione dal Giudice e dagli operatori del diritto in generale.

Il Ministero premette anzitutto che “il mercato del lavoro nel settore call center continua ad essere caratterizzato, anche successivamente all’entrata in vigore del Decreto Legislativo 276/2003 ed alla introduzione del lavoro a progetto, da un consistente utilizzo di contratti di collaborazione autonoma” sicché si renderebbe necessario, ora più che mai, dare attuazione alla finalità della disposizione dell’art. 61 del Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (cd. Legge Biagi), onde “delimitare l’utilizzo del lavoro coordinato e continuativo a quelle sole prestazioni che siano genuinamente autonome perché effettivamente riconducibili alla realizzazione di un programma o progetto o fasi di esso, gestite dal lavoratore in funzione del risultato”.

Questa è dunque lo spirito della Circolare n. 17/2006 citata, la quale ha infatti chiarito che i presupposti per la stipulazione di un contratto di lavoro a progetto debbano essere individuati con riferimento: 1) ai criteri di individuazione e specificazione del progetto o del programma di lavoro; 2) ai requisiti essenziali che devono connotare l’autonomia del collaboratore nella gestione dei tempi di lavoro; 3) alle modalità di coordinamento consentite tra il committente ed il lavoratore.

Ne deriva, perciò, che il collaboratore a progetto cui è assegnato l’incarico di compiere le operazioni telefoniche necessarie può essere considerato autonomo alla condizione essenziale che possa unilateralmente e discrezionalmente determinare, senza necessità di preventiva autorizzazione o successiva giustificazione, la quantità di prestazione da eseguire e la collocazione temporale della stessa.

Ciò implica che il collaboratore non può essere soggetto ad alcun vincolo di orario, anche se all’interno di fasce orarie prestabilite. Di conseguenza, deve poter decidere, nel rispetto delle forme concordate di coordinamento, anche temporale, della prestazione: a) se eseguire la prestazione ed in quali giorni; b) a che ora iniziare ed a che ora terminare la prestazione giornaliera; c) se e per quanto tempo sospendere la prestazione giornaliera. Da un punto di vista organizzativo ne consegue che l’assenza non deve mai essere giustificata e la presenza non può mai essere imposta.

Il progetto o programma di lavoro deve in primo luogo essere individuato con riferimento ad una specifica e singola "campagna", la cui durata costituisce il necessario termine esterno di riferimento per la durata stessa del contratto di lavoro a progetto.

Ai fini della corretta e compiuta determinazione del risultato richiesto al collaboratore è dunque necessario che il progetto, programma di lavoro o fase di esso sia qualificato tramite la specificazione: a) del singolo committente finale cui è riconducibile la campagna (con riferimento ai call center che offrono servizi in outsourcing la campagna di riferimento sarà dunque quella commissionata da terzi all’impresa stessa); b) della durata della campagna, rispetto alla quale il contratto di lavoro a progetto non può mai avere una durata superiore; c) del singolo tipo di attività richiesta al collaboratore nell’ambito di tale campagna (promozione, vendita, sondaggi, ecc.); d) della concreta tipologia di prodotti o servizi oggetto dell’attività richiesta al collaboratore; e) della tipologia di clientela da contattare (individuata con riferimento a requisiti oggettivi e/o soggettivi).

In considerazione di tali requisiti essenziali e qualificanti è senz’altro configurabile un genuino progetto, programma di lavoro o fase di esso, con riferimento alle campagne outbound, nell’ambito delle quali il compito assegnato al collaboratore è quello di rendersi attivo nel contattare, per un arco di tempo predeterminato, l’utenza di un prodotto o servizio riconducibile ad un singolo committente. n>

Con una recente pronuncia resa a definizione di una causa previdenziale [1] la Corte di Cassazione ha confermato una sentenza del giudice di merito che aveva individuato un rapporto di lavoro subordinato con riferimento alle prestazioni svolte da alcuni lavoratori di call center.

La vicenda processuale ebbe inizio un decennio fa, nel 1998. Alcuni Ispettori dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale effettuarono un’ispezione presso una società esercente attività di prestazioni di servizi per il settore pubblicitario e accertarono l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato in capo a 27 lavoratori, i quali invece figuravano impiegati come lavoratori autonomi. Conseguentemente, alla società interessata fu intimato il versamento dei contributi previdenziali relativi, che risultavano non essere stati corrisposti. La società propose opposizione avverso il verbale ispettivo e convenne in giudizio, avanti il Tribunale di Padova, l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, chiedendo che il Giudice accertasse la natura autonoma del rapporto di lavoro intercorso con tali lavoratori. All’esito del giudizio, con sentenza del 2001, il Tribunale di Padova dichiarò la natura autonoma del rapporto di lavoro intercorso tra le parti. Avverso la pronuncia del Tribunale fu proposto gravame e, all’esito, la Corte d’Appello di Venezia - riformando parzialmente la decisione adottata dal Tribunale - dichiarò la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con parte dei dipendenti e condannò, conseguentemente, la società resistente al pagamento dei contributi previdenziali relativi. Ad avviso della Corte, infatti, era stata raggiunta la prova dello stabile inserimento dei prestatori di lavoro nell’organizzazione produttiva dell’azienda e della loro sottoposizione al potere gerarchico, direttivo e disciplinare del datore di lavoro. Era inoltre emerso, dall’istruttoria, che le attrezzature ed i materiali forniti fossero di esclusiva proprietà dell’azienda, e che i dipendenti della società dovessero seguire le direttive dell’azienda in relazione ad ogni singola telefonata, osservare un orario di lavoro preciso e prestabilito, giustificare le assenze e i ritardi. Avverso detta sentenza la società proponeva ricorso per cassazione presentando tre motivi di censura, dei quali solo il primo motivo strettamente connesso alla questione in analisi nel presente scritto, attinente - in particolare - alla circostanza che la Corte d’Appello  avesse giudicato senza tenere conto delle prove testimoniali raccolte, dalle quali era possibile ricavare l’insussistenza degli elementi caratterizzanti la subordinazione. All’esito del giudizio, la Suprema Corte confermava la sentenza resa dalla Corte d’Appello, condividendone le motivazioni.

Sotto un profilo di stretto diritto, la sentenza della Corte di Cassazione ha riconosciuto che la Corte d’Appello ha fatto buon governo delle risultanze istruttorie e dell’applicazione delle norme in materia di lavoro subordinato. Ed invero, la Corte territoriale aveva risolto la controversia attenendosi ai consolidati principi giurisprudenziali [2], secondo i quali l’elemento decisivo che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato dal lavoro autonomo è l’assoggettamento del lavoratore al potere gerarchico, direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro unitamente al conseguente inserimento del lavoratore, in modo stabile ed esclusivo, nell’organizzazione aziendale, elementi da valutarsi in combinazione con il sussistere degli indici sintomatici della subordinazione quali l’assenza del rischio di impresa, la continuità della prestazione, l’obbligo di osservare un orario di lavoro, la cadenza e la forma della retribuzione, l’utilizzazione di strumenti di lavoro e lo svolgimento della prestazione in ambienti messi a disposizione dal datore di lavoro.

La pronuncia della Cassazione, sebbene sia intervenuta in una controversia previdenziale, costituisce e costituirà comunque un importante precedente in materia di rapporto tra subordinazione ed autonomia, soprattutto nell’ambito di un’attività, quale quella svolta dai call center, che da sempre è posta sul crinale che suddivide i versanti di entrambe le fattispecie. Tuttavia ritengo, con specifico riferimento a questa sola attività, che in alcuni frangenti sia necessario condurre una più rigorosa analisi della concreta fattispecie fattuale sottesa ai singoli casi, attingendo se del caso ad altre risosrse onde valutare la sussitenza della subordinazione. Difatti, le peculiarità delle mansioni alle quali i collaboratori sono adibiti, talvolta non consentono di discernere con aderenza alla realtà dei fatti una prestazione genuinamente autonoma o parasubordinata da una che invece non lo sia. A maggior ragione anche a seguito dell’introduzione del lavoro a progetto [3], fattispecie che maggiormente si presta ad abusi, perché, onde ottenere una pronuncia di accertamento del vincolo di subordinazione, è preliminarmente necessario dimostrare la non genuinità del progetto medesimo.

Mi riferisco, in particolare, ai casi limite nei quali l’orario di lavoro è prestabilito quanto alla durata giornaliera, ma organizzato su turni; oppure ai casi nei quali il collaboratore è tenuto a giustificare la propria assenza, ma soltanto in maniera informale; a dover concordare le ferie con i colleghi e con l’azienda, sempre in modo informale; a dover seguire direttive e protocolli specifici nella gestione delle telefonate, tuttavia non riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro: elementi sinomatici che potrebbero far presumere l’esistenza della subordinazione, ma più attenuati, sfumati e, come tali, opinabili.

Ed è allora in questi casi che si verifica uno scarto tra l’esigenza di giustizia - che imporrebbe di far prevalere la realtà concreta rispetto al nomen iuris che le parti hanno attribuito al contratto - rispetto a quanto, invece, emerge in ossequio al rispetto della verità processuale - che impone viceversa di attenersi al principio “iusta alligata et probata”. In parole più semplici, laddove il prestatore di lavoro si trovi a convivere con imposizioni datoriali che hanno il sentore di assoggettamento gerarchico, direttivo e disciplinare, ma in forma più attenuata e sfumata, si troverà in difficoltà a dimostrare la sussistenza della subordinazione.  Solitamente, infatti, il progetto si identifica con una "campagna" senza che vi sia altro da aggiungere.

Il problema delle fattispecie al limite, inoltre, non è soltanto teorico, perché la qualificazione di un rapporto in un senso piuttosto che in un altro comporta evidenti ricadute negative anche (e non soltanto) in tema di adeguatezza della retribuzione.

Sotto questo profilo un punto di partenza per una più approfondita disamina delle fattispecie controverse è costituito da un provvedimento del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale [4], il quale sebbene fornisca “indicazioni di carattere operativo rivolte al solo personale ispettivo”, offre interessanti spunti che potranno, all’occorrenza, essere presi in debita considerazione dal Giudice e dagli operatori del diritto in generale.

Il Ministero premette anzitutto che “il mercato del lavoro nel settore call center continua ad essere caratterizzato, anche successivamente all’entrata in vigore del Decreto Legislativo 276/2003 ed alla introduzione del lavoro a progetto, da un consistente utilizzo di contratti di collaborazione autonoma” sicché si renderebbe necessario, ora più che mai, dare attuazione alla finalità della disposizione dell’art. 61 del Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (cd. Legge Biagi), onde “delimitare l’utilizzo del lavoro coordinato e continuativo a quelle sole prestazioni che siano genuinamente autonome perché effettivamente riconducibili alla realizzazione di un programma o progetto o fasi di esso, gestite dal lavoratore in funzione del risultato”.

Questa è dunque lo spirito della Circolare n. 17/2006 citata, la quale ha infatti chiarito che i presupposti per la stipulazione di un contratto di lavoro a progetto debbano essere individuati con riferimento: 1) ai criteri di individuazione e specificazione del progetto o del programma di lavoro; 2) ai requisiti essenziali che devono connotare l’autonomia del collaboratore nella gestione dei tempi di lavoro; 3) alle modalità di coordinamento consentite tra il committente ed il lavoratore.

Ne deriva, perciò, che il collaboratore a progetto cui è assegnato l’incarico di compiere le operazioni telefoniche necessarie può essere considerato autonomo alla condizione essenziale che possa unilateralmente e discrezionalmente determinare, senza necessità di preventiva autorizzazione o successiva giustificazione, la quantità di prestazione da eseguire e la collocazione temporale della stessa.

Ciò implica che il collaboratore non può essere soggetto ad alcun vincolo di orario, anche se all’interno di fasce orarie prestabilite. Di conseguenza, deve poter decidere, nel rispetto delle forme concordate di coordinamento, anche temporale, della prestazione: a) se eseguire la prestazione ed in quali giorni; b) a che ora iniziare ed a che ora terminare la prestazione giornaliera; c) se e per quanto tempo sospendere la prestazione giornaliera. Da un punto di vista organizzativo ne consegue che l’assenza non deve mai essere giustificata e la presenza non può mai essere imposta.

Il progetto o programma di lavoro deve in primo luogo essere individuato con riferimento ad una specifica e singola "campagna", la cui durata costituisce il necessario termine esterno di riferimento per la durata stessa del contratto di lavoro a progetto.

Ai fini della corretta e compiuta determinazione del risultato richiesto al collaboratore è dunque necessario che il progetto, programma di lavoro o fase di esso sia qualificato tramite la specificazione: a) del singolo committente finale cui è riconducibile la campagna (con riferimento ai call center che offrono servizi in outsourcing la campagna di riferimento sarà dunque quella commissionata da terzi all’impresa stessa); b) della durata della campagna, rispetto alla quale il contratto di lavoro a progetto non può mai avere una durata superiore; c) del singolo tipo di attività richiesta al collaboratore nell’ambito di tale campagna (promozione, vendita, sondaggi, ecc.); d) della concreta tipologia di prodotti o servizi oggetto dell’attività richiesta al collaboratore; e) della tipologia di clientela da contattare (individuata con riferimento a requisiti oggettivi e/o soggettivi).

In considerazione di tali requisiti essenziali e qualificanti è senz’altro configurabile un genuino progetto, programma di lavoro o fase di esso, con riferimento alle campagne outbound, nell’ambito delle quali il compito assegnato al collaboratore è quello di rendersi attivo nel contattare, per un arco di tempo predeterminato, l’utenza di un prodotto o servizio riconducibile ad un singolo committente.

Ciò in considerazione della intrinseca delimitazione temporale di tale tipologia di attività e della possibilità di definire compiutamente il risultato richiesto al collaboratore anche con riguardo ai requisiti soggettivi ed oggettivi dell’utenza contattata ed al tipo di prestazione concretamente dovuta per ogni contatto telefonico effettuato. Il lavoratore outbound, infatti, può prefigurare il contenuto della sua prestazione sulla base del risultato oggettivamente individuato dalle parti con il contratto.

Nelle attività inbound l’operatore non gestisce, come nel caso dell’outbound, la propria attività, né può in alcun modo pianificarla giacché la stessa consiste prevalentemente nel rispondere alle chiamate dell’utenza, limitandosi a mettere a disposizione del datore di lavoro le proprie energie psicofisiche per un dato periodo di tempo.

Ne consegue che per quest’ultima attività, a mente di quanto indicato nella Circolare “il personale ispettivo, qualora verifichi che l’attività lavorativa come descritta è disciplinata da un contratto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto, procederà, dovendo ricondurre tale attività alla subordinazione, adottando i conseguenti provvedimenti di carattere sanzionatorio e contributivo”.

Il ministero è giunto allora alla conclusione che possa configurarsi un genuino progetto laddove il compito assegnato a collaboratore sia quello di rendersi attivo nel contattare, per un arco di tempo predeterminato, l’utenza di un prodotto o servizio riconducibili ad un singolo committente, mentre sussistono invece dubbi sulla genuinità del progetto per l’attività inbound, siccome il prestatore di lavoro viene impiegato prevalentemente nel rispondere alle chiamate dell’utenza, limitandosi a mettere a disposizione del datore di lavoro le proprie energie psicofisiche per un dato periodo di tempo e senza poter perciò predeterminare o pianificare il proprio lavoro.

Pertanto, laddove sussistano dubbi circa la qualificazione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di un’azienda che eserciti attività di call center, sarebbe auspicabile condurre una iniziale analisi sulla scorta dei tradizionali principi che consentono di individuare un rapporto di lavoro subordinato, valutando poi il caso concreto anche con riferimento agli indici individuati dal Ministero.

Muovendo l’analisi in questo senso, appellandosi cioè a dati aggiuntivi quanto più possibile oggettivi, potranno alfine dipanarsi eventuali dubbi circa la qualificazione incerta di un’attività lavorativa posta ai confini tra autonomia, parasubordinazione e subordinazione, che non possa essere altrimenti accertata al di là di ogni ragionevole dubbio mediante il preliminare e indefettibile ricorso ai consolidati principi in materia.



[1] Cassazione Civile Sezione Lavoro, 14 aprile 2008, n. 9812.

[2] Tra le tante: Cassazione Civile Sezione Lavoro 28 settembre 2006, n. 21028; Cassazione Civile Sezione Lavoro 24 febbraio 2006, n. 4171; Cassazione Civile Sezione Lavoro 25 ottobre 2004, n. 20669.

[3] Articoli 61 e seguenti del Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276.

[4] Circolare Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale 10 giugno 2006, n. 17.