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Sul divieto di ius novorum in appello nel processo tributario

Nota a Corte di Cassazione - Sezione Tributaria, Sentenza 19 gennaio 2011, n. 6921
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 6921 del 19.01.2011 ha stabilito che l’Amministrazione Finanziaria può provare per la prima volta l’avvenuta notifica dell’accertamento anche in appello, in quanto tali allegazioni si limitano alla mera indicazione di un fatto già acquisito al giudizio, non introducendo alcun elemento nuovo rispetto a quelli già presentati con il ricorso introduttivo.

IL FATTO

Il contribuente proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale avverso l’ingiunzione di pagamento per il recupero della maggiore imposta di registro, più accessori ed interessi, derivante da un accertamento di maggior valore su un atto di transazione stipulato dalla parte.

L’adito Giudice di prime cure accoglieva il ricorso, statuendo nel merito, nonostante, tuttavia, gli atti impositivi presupposti fossero già divenuti definitivi per mancata impugnazione da parte del contribuente. In tale occasione, infatti, l’Ufficio, nel depositare tardivamente le proprie controdeduzioni, non aveva potuto fornire prova dell’avvenuta notifica dell’avviso di accertamento e di liquidazione che avevano preceduto l’impugnata ingiunzione.

A seguito dell’appello dell’Amministrazione, la Commissione Tributaria Regionale, sulla scorta dei documenti depositati dall’Ufficio attestanti la rituale notifica dell’avviso di accertamento e dell’avviso di liquidazione divenuti definitivi per mancata impugnazione da parte del contribuente, riformava la sentenza di primo grado, ritenendo che l’ingiunzione, poiché preceduta dalla regolare notifica di altro atto autonomamente impugnabile, avrebbe dovuto essere a sua volta contestata solo per vizi propri, come previsto dall’art.19, comma 3, del D.Lgs n. 546/1992.

Il contribuente impugnava, dunque, per cassazione la predetta sentenza davanti al Giudice di legittimità per violazione e falsa applicazione dell’art. 57 del D.Lgs n. 546/l992, ciò in quanto, a parere della parte, la C.T.R. avrebbe ammesso nel grado di appello la proposizione da parte dell’Ufficio di “domande ed eccezioni non proposte in primo grado”, riesaminando la questione e decidendo, in violazione del richiamato art. 57, sulla base delle eccezioni formulate per la prima volta in detto grado di giudizio.

Ritualmente costituitasi in giudizio, l’Amministrazione contestava come, invece, l’allegazione nel giudizio di appello della rituale notifica degli atti impositivi e della loro definitività a seguito di mancata impugnazione da parte del contribuente, non avesse rappresentato un’eccezione in senso stretto, bensì una mera difesa, come tale sottratta al divieto dei nova sancito dall’art. 57, comma 2 del D.Lgs n. 546/1992.

LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte ha preliminarmente ribadito la natura impugnatoria del giudizio tributario, in quanto circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato, sulla base dei presupposti di fatto e di diritto in esso atto indicati, ed avente “un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo in primo grado, onde delimitare sin dalla nascita del rapporto processuale tributario le domande e le eccezioni proposte dalle parti” (cfr. ex multis Cass. V sez. 18.6.2003 n. 9754; 2.4.2007 n. 8182 e 3.8.2003 n. 17119, Cass. SU 23.12.2009 n. 27209).

In tale contesto, la Cassazione ha, dunque, puntualizzato come nel contenzioso tributario l’eccezione in senso stretto rappresenti lo strumento processuale attraverso il quale si possa far valere un fatto giuridico avente efficacia modificativa od estintiva della pretesa fiscale (cfr. Cass. V sez 11.7.2002 n. 10112), non potendo essere considerata tale - e non comportando, pertanto, il divieto di sollevare eccezioni nuove in appello, posto dall’art 57 del D.Lgs n.546/92 - la nuova deduzione, in grado di appello, di cosiddette “eccezioni improprie”, o “mere difese”, dirette esclusivamente a sollecitare il rilievo d’ufficio, da parte del giudice, dell’inesistenza dei fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio (cfr. Cass. V sez. 12.8.2004 n. 15546), ovvero, specularmente, in quanto volta alla mera contestazione da parte dell’Amministrazione finanziaria delle censure mosse dal contribuente all’atto impugnato con il ricorso ed alle quali rimane, comunque, circoscritta la indagine rimessa al giudice.

A parere della Suprema Corte, dunque, la norma dell’art. 57 comma 2 D.Lgs n. 546/1992, invocata dal ricorrente, comporta esclusivamente la preclusione delle eccezioni “nuove” e cioè di quelle eccezioni che si risolvono in un “mutamento, in secondo grado, degli elementi materiali del fatto costitutivo della pretesa” con conseguente ampliamento del “thema decidendum” (cfr. Cass. V sez. 3.5.2002 n. 6347).

La Cassazione ha, pertanto, rigettato il ricorso del contribuente, considerato, appunto, che, avuto riguardo all’oggetto del contendere così come definito dal ricorso in primo grado (nel quale si contestava la mancata notifica degli atti valutativi e di liquidazione presupposti), le contrarie allegazioni svolte dall’Ufficio in appello, volte ad affermare, al contrario, l’avvenuta notificazione di tali atti, si sono limitate alla “mera indicazione di un fatto già acquisito al giudizio, in quanto non introducono alcun elemento nuovo di indagine rispetto a quelli già introdotti nel giudizio con il ricorso introduttivo”.

Con la predetta pronuncia, la Suprema Corte ha, dunque, confermato il preesistente orientamento, già compiutamente espresso con la sentenza n. 5895 del 23/04/2002, secondo cui le difese, le argomentazioni e le prospettazioni dirette a contestare la fondatezza di un’eccezione non costituiscono a loro volta eccezioni in senso tecnico, rappresentate, invece, da quelle ragioni su cui il giudice non può pronunciarsi se ne manchi l’allegazione ad opera delle parti.

Di conseguenza, le preclusioni in appello, statuite dal disposto dell’art. 57 della norma sul processo tributario, non si applicano ai fatti e alle argomentazioni, posti a fondamento della domanda, che costituiscono oggetto di accertamento, di esame e di valutazione da parte del giudice di secondo grado, il quale, considerato l’effetto devolutivo tipico dell’appello, deve, infatti, a sua volta riesaminare tutti gli elementi probatori e le argomentazioni giuridiche che siano da questi ritenuti rilevanti ai fini della decisione.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 6921 del 19.01.2011 ha stabilito che l’Amministrazione Finanziaria può provare per la prima volta l’avvenuta notifica dell’accertamento anche in appello, in quanto tali allegazioni si limitano alla mera indicazione di un fatto già acquisito al giudizio, non introducendo alcun elemento nuovo rispetto a quelli già presentati con il ricorso introduttivo.

IL FATTO

Il contribuente proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale avverso l’ingiunzione di pagamento per il recupero della maggiore imposta di registro, più accessori ed interessi, derivante da un accertamento di maggior valore su un atto di transazione stipulato dalla parte.

L’adito Giudice di prime cure accoglieva il ricorso, statuendo nel merito, nonostante, tuttavia, gli atti impositivi presupposti fossero già divenuti definitivi per mancata impugnazione da parte del contribuente. In tale occasione, infatti, l’Ufficio, nel depositare tardivamente le proprie controdeduzioni, non aveva potuto fornire prova dell’avvenuta notifica dell’avviso di accertamento e di liquidazione che avevano preceduto l’impugnata ingiunzione.

A seguito dell’appello dell’Amministrazione, la Commissione Tributaria Regionale, sulla scorta dei documenti depositati dall’Ufficio attestanti la rituale notifica dell’avviso di accertamento e dell’avviso di liquidazione divenuti definitivi per mancata impugnazione da parte del contribuente, riformava la sentenza di primo grado, ritenendo che l’ingiunzione, poiché preceduta dalla regolare notifica di altro atto autonomamente impugnabile, avrebbe dovuto essere a sua volta contestata solo per vizi propri, come previsto dall’art.19, comma 3, del D.Lgs n. 546/1992.

Il contribuente impugnava, dunque, per cassazione la predetta sentenza davanti al Giudice di legittimità per violazione e falsa applicazione dell’art. 57 del D.Lgs n. 546/l992, ciò in quanto, a parere della parte, la C.T.R. avrebbe ammesso nel grado di appello la proposizione da parte dell’Ufficio di “domande ed eccezioni non proposte in primo grado”, riesaminando la questione e decidendo, in violazione del richiamato art. 57, sulla base delle eccezioni formulate per la prima volta in detto grado di giudizio.

Ritualmente costituitasi in giudizio, l’Amministrazione contestava come, invece, l’allegazione nel giudizio di appello della rituale notifica degli atti impositivi e della loro definitività a seguito di mancata impugnazione da parte del contribuente, non avesse rappresentato un’eccezione in senso stretto, bensì una mera difesa, come tale sottratta al divieto dei nova sancito dall’art. 57, comma 2 del D.Lgs n. 546/1992.

LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte ha preliminarmente ribadito la natura impugnatoria del giudizio tributario, in quanto circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato, sulla base dei presupposti di fatto e di diritto in esso atto indicati, ed avente “un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo in primo grado, onde delimitare sin dalla nascita del rapporto processuale tributario le domande e le eccezioni proposte dalle parti” (cfr. ex multis Cass. V sez. 18.6.2003 n. 9754; 2.4.2007 n. 8182 e 3.8.2003 n. 17119, Cass. SU 23.12.2009 n. 27209).

In tale contesto, la Cassazione ha, dunque, puntualizzato come nel contenzioso tributario l’eccezione in senso stretto rappresenti lo strumento processuale attraverso il quale si possa far valere un fatto giuridico avente efficacia modificativa od estintiva della pretesa fiscale (cfr. Cass. V sez 11.7.2002 n. 10112), non potendo essere considerata tale - e non comportando, pertanto, il divieto di sollevare eccezioni nuove in appello, posto dall’art 57 del D.Lgs n.546/92 - la nuova deduzione, in grado di appello, di cosiddette “eccezioni improprie”, o “mere difese”, dirette esclusivamente a sollecitare il rilievo d’ufficio, da parte del giudice, dell’inesistenza dei fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio (cfr. Cass. V sez. 12.8.2004 n. 15546), ovvero, specularmente, in quanto volta alla mera contestazione da parte dell’Amministrazione finanziaria delle censure mosse dal contribuente all’atto impugnato con il ricorso ed alle quali rimane, comunque, circoscritta la indagine rimessa al giudice.

A parere della Suprema Corte, dunque, la norma dell’art. 57 comma 2 D.Lgs n. 546/1992, invocata dal ricorrente, comporta esclusivamente la preclusione delle eccezioni “nuove” e cioè di quelle eccezioni che si risolvono in un “mutamento, in secondo grado, degli elementi materiali del fatto costitutivo della pretesa” con conseguente ampliamento del “thema decidendum” (cfr. Cass. V sez. 3.5.2002 n. 6347).

La Cassazione ha, pertanto, rigettato il ricorso del contribuente, considerato, appunto, che, avuto riguardo all’oggetto del contendere così come definito dal ricorso in primo grado (nel quale si contestava la mancata notifica degli atti valutativi e di liquidazione presupposti), le contrarie allegazioni svolte dall’Ufficio in appello, volte ad affermare, al contrario, l’avvenuta notificazione di tali atti, si sono limitate alla “mera indicazione di un fatto già acquisito al giudizio, in quanto non introducono alcun elemento nuovo di indagine rispetto a quelli già introdotti nel giudizio con il ricorso introduttivo”.

Con la predetta pronuncia, la Suprema Corte ha, dunque, confermato il preesistente orientamento, già compiutamente espresso con la sentenza n. 5895 del 23/04/2002, secondo cui le difese, le argomentazioni e le prospettazioni dirette a contestare la fondatezza di un’eccezione non costituiscono a loro volta eccezioni in senso tecnico, rappresentate, invece, da quelle ragioni su cui il giudice non può pronunciarsi se ne manchi l’allegazione ad opera delle parti.

Di conseguenza, le preclusioni in appello, statuite dal disposto dell’art. 57 della norma sul processo tributario, non si applicano ai fatti e alle argomentazioni, posti a fondamento della domanda, che costituiscono oggetto di accertamento, di esame e di valutazione da parte del giudice di secondo grado, il quale, considerato l’effetto devolutivo tipico dell’appello, deve, infatti, a sua volta riesaminare tutti gli elementi probatori e le argomentazioni giuridiche che siano da questi ritenuti rilevanti ai fini della decisione.