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Tagete: un bimbo anziano che insegna agli Etruschi

Archiginnasio, Bologna
Archiginnasio, Bologna

La Mostra sugli Etruschi allestita al Museo Civico Archeologico di Bologna (“Etruschi. Viaggio nelle terre dei Rasna”), chiusa agli inizi di marzo per l’emergenza provocata dal Coronavirus, è stata prorogata fino al 29 novembre.

La Mostra avrebbe dovuto chiudere il 24 maggio e l’interruzione forzata di oltre tre mesi avrebbe provocato una riduzione consistente della sua durata se non ci fosse stato un intervento del Comune che, anche con un forte impegno di spesa, ha reso possibile questa proroga provvidenziale.

Adesso tutti i bolognesi e anche i turisti avranno questa ulteriore possibilità di vedere la Mostra. E le ragioni per farlo sono tante perché sono tanti i temi che la Mostra affronta e illustra con le ultime novità delle scoperte e degli studi.

Ne ricordo qui il primo e prossimamente ne ricorderò altri, rimandando al mio precedente contributo “Etruschi. Viaggio nelle terre dei Rasna per maggiori approfondimenti sugli Etruschi e sulla mostra.

Nella tradizione antica, sia greca che latina, gli Etruschi sono considerati un popolo “religiosissimo”, termine che dai più tardi scrittori cristiani viene spesso sostituito con “superstiziosissimo”.

Non è un caso che Seneca per rimarcare la differenza tra i Romani e gli Etruschi dica Questa è la differenza tra noi [Romani]e gli Etruschi, che sono i più abili nell’arte di interpretare i fulmini: noi crediamo che i fulmini siano prodotti perché le nubi si sono scontrate; essi pensano che le nubi si scontrino per produrre i fulmini. Infatti poiché riconducono ogni cosa a Dio, sono convinti non che i fulmini diano presagi, ma che si verifichino proprio perché sono destinati a dare dei presagi.” 

Si tratta di un forte determinismo religioso per cui tutto deriva dalla volontà divina di mandare segnali ai quali l’essere umano deve sottomettersi dopo averli correttamente interpretati. Una religione di questo tipo doveva avere una teologia molto minuziosa e rigidamente prescrittiva con norme precise sia relativamente alla interpretazione di quelli che il razionalismo romano considerava fenomeni naturali (ad esempio i fulmini), sia relativamente alle azioni conseguenti che l’uomo doveva compiere per ingraziarsi la divinità.

Fu Tagete a insegnare agli Etruschi questa arte della divinazione e più in generale i fondamenti della loro religione. E in mostra c’è una statua in bronzo di Tagete, un fanciullo dotato di grande saggezza e di virtù profetiche per cui viene raffigurato come un fanciullo coi capelli bianchi da vecchio saggio.

La statua che è in Mostra sottolinea bene questa ambiguità del fanciullo con la saggezza del vecchio.

Statua in bronzo di Tagete (conservata ai Musei Vaticani)

Statua in bronzo di Tagete (conservata ai Musei Vaticani)

Anche Cicerone ci conferma che “Tagete aveva l’aspetto di un bambino, ma la saggezza di un vecchio”, che comparve improvvisamente da una zolla mentre un contadino di Tarquinia arava il suo campo, che visse soltanto il tempo necessario per insegnare agli Etruschi l’arte di predire il futuro e di capire la volontà degli dei, che scomparve poche ore dopo la sua miracolosa apparizione.

Le norme da lui dettate furono trascritte e raggruppate nei libri sacri degli Etruschi e costituirono la loro religione. Se si guarda la statua esposta in Mostra tenendo presente questi racconti non si può fare a meno di constatare come essa comunichi efficacemente tutti questi messaggi dando al fanciullo quel tratto insolito e ambiguo, anche nella sua posizione quasi rannicchiata e nel suo sguardo intenso rivolto verso l’alto, che ne fa una figura del tutto speciale nell’immaginario etrusco.