Tribunale di Fabriano: competenza del giudice della sezione distaccata nelle controversie di rito societario
Giudice Dott. Cesare Marziali
[Decreto Legislativo 5/2003 - Controversie di rito societario - Procedimento sommario per controversie su obbligazioni Parmalat - Competenza del Giudice della Sezione Distaccata]
Fatto
Con ricorso depositato il 18.6.05 , ai sensi dell’art. 1, lett. d) e 19 del d.lgs. n. 5 del 2003, Tizio L., Tizio M., Tizio O. e Caio E. esponevano che, avendo nella loro disponibilità la somma di euro 116.000 ricavata da una vendita e volendo destinarla ad un investimento sicuro, decidevano di rivolgersi alla Cassa di Risparmio di Fermo, banca con la quale non avevano intrattenuto alcun tipo di rapporto sino a quel momento; che Tizio L. si recava pertanto nel mese di gennaio del 2003 presso la succursale di __________ del suddetto Istituto di Credito, esponendo al Direttore Dott. Gianluca Sempronio le proprie esigenze e la necessità dell’assoluta assenza di rischio che avrebbe dovuto connotare l’operazione finanziaria;
che, alla stregua di ciò, il funzionario proponeva agli istanti, assolutamente privi di conoscenza ed esperienza nel campo finanziario, di investire la rilevante somma messa a disposizione in acquisto di obbligazioni Parmalat (Fin.5.25 - 13/12/2004 XS0156987058), titoli che la banca disponeva in portafoglio;
che il funzionario rappresentava l’assoluta convenienza dell’operazione, in quanto appunto esente da ogni rischio ed avente un alto rendimento, garantendo altresì la sicurezza del prodotto in considerazione della riferita autorevolezza della società emittente i titoli;
che, facendo affidamento sui consigli e sulle più ampie rassicurazioni del funzionario, gli istanti si inducevano ad aprire un rapporto di conto corrente (n.330/0018668) con la banca, a sottoscrivere un contratto (n.58002020) per la negoziazione ed il deposito a custodia ed amministrazione di titoli ed a firmare l’ordine di acquisto delle obbligazioni Parmalat sopra indicate per il valore nominale di € 116.000,00;
che, riscossa la prima cedola di premio di € 5.326,75 in scadenza il 13/12/2003, immediatamente dopo e per le note vicende assurte all’onore delle cronache si verificava il "default" dei titoli del gruppo Parmalat, comportante la sospensione del rimborso delle obbligazioni e dunque la perdita dell’investimento effettuato in danno degli istanti; che il contratto di negoziazione dei titoli risultava tuttavia invalido per aver la Carifermo palesemente tenuto, nello svolgimento del rapporto di investimento, un comportamento contrario agli obblighi di diligenza, correttezza e trasparenza impostigli dalla legge, violando non solo le regole poste dal Codice Civile, ma anche gli espressi obblighi informativi contenuti negli articoli 21, 24, 36 e 38 del D.Lgs. n.58/1998 e negli articoli n.26,27,28,29 e 30 del Regolamento Consob n. 11522/98;
che tale comportamento ben poteva costituire altresì fonte di responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale, che legittimava la conseguente condanna al risarcimento del danno in favore degli istanti; che, nella prestazione dei servizi di investimento, infatti, gli intermediari finanziari devono innanzitutto adeguare la loro condotta ai criteri generali previsti dal Codice Civile, e cioè hanno l’obbligo sia di comportarsi secondo le regole di correttezza e buona fede ex artt. 1175, 1375 e 1337 c.c., sia di adempiere l’obbligazione con la diligenza richiesta dalla particolare natura dell’attività esercitata ex artt.1218 e 1176, 2° Comma c.c., che è appunto quella qualificata di chi operi nel settore del mercato finanziario e creditizio, non certo quella dell’uomo medio tenuto ad osservare regole prudenziali di comune esperienza;
che il t.u. Finanziario, sopra richiamato, aveva peraltro ampliato le disposizioni di carattere generale del Codice Civile introducendo nuovi obblighi e doveri, che esponeva in dettaglio affermando la loro violazione (v. pagg. da 3 a 15 del ricorso).
Chiedevano pertanto che il Tribunale adito, in composizione monocratica presso la sezione distaccata di Fabriano condannasse la convenuta alla restituzione della somma di euro 110.673,25, pari alla differenza tra quanto versato e quanto incassato a titolo di prima cedola, oltre interessi e rivalutazione, previo accertamento o della nullità degli ordini d’acquisto e del contratto sottostante ex art. 1418 1° comma c.c. o della responsabilità contrattuale e/o precontrattuale e/o extracontrattuale. Chiedevano anche il risarcimento del maggior danno e del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., da liquidarsi in via equitativa.
Si costituiva la Cassa di Risparmio, spiegando una preliminare eccezione d’inammissibilità del ricorso, non potendo la domanda essere decisa senza una piena istruttoria. Nel merito, proponeva articolate controdeduzioni in fatto e in diritto.
All’udienza del 12.9.05 questo giudice riservava ordinanza concedendo termine alle parti per note e deposito documenti.
L’ambito della cognizione sommaria di cui all’art. 19 :in particolare, in relazione alla complessità ed al tipo di istruzione probatoria da condurre
In dottrina si è osservato che, stante la natura sommaria dell’accertamento ed il carattere celere della procedura, si deve ritenere che la somma - pure non inizialmente liquida - debba essere comunque facilmente liquidabile. Altri autori si sono spinti ad affermare, nel quadro di una impostazione che attribuisce al procedimento sommario ex art. 19 natura solo documentale, l’impossibilità di assumere prove costituende o disporre consulenza tecnica d’ufficio.
Quando non vi sono presupposti bastevoli per un’accertamento sommario (da tenersi distinti rispetto agli altri in cui il legislatore opera una scelta tipizzata d’impossibilità di ricorrere al processo sommario, come ad es., nel caso delle azioni di responsabilità contro gli amministratori), s’impone il provvedimento di mutamento del rito di cui al 3° comma dell’art. 19. Provvedimento che va preso non solo quando le difese del convenuto non siano manifestamente infondate o comunque dilatorie, quindi richiedano un approfondimento a cognizione piena, o quando la controversia sia particolarmente complessa, ma anche quando i fatti costitutivi della domanda non siano "manifestamente" fondati: ciò, sia perché, a loro volta, necessitino di un approfondimento a cognizione piena , sia perché infondati in toto e prima facie (non appartiene a questa seconda ipotesi, come si vedrà, il caso della fattispecie in esame). Alla luce del diritto positivo, infatti, è preclusa in ogni caso un’ordinanza di rigetto nel merito, il che è discutibile, nel caso in cui la pretesa del ricorrente sia manifestamente infondata e, malgrado ciò, il giudizio debba proseguire verso la sorte segnata: quella di una conclusione con sentenza di rigetto.
E’ innegabile, ed i commentatori l’hanno in vario modo sottolineato, che la possibilità o meno di "giudicare in sommario" appare largamente affidata al giudice stesso, ancor più nell’attuale fase di prima applicazione della normativa, e sia pure nel rispetto dei canoni , anche costituzionali, vigenti in materia.
E’ stato correttamente osservato, sul fronte delle ricadute "pratiche" di tale assetto ,che ,di regola ,il ricorrente in sede sommaria non sa, nel momento in cui agisce, quale dimostrazione (e quali mezzi di prova) deve fornire per far valere il suo diritto , né è ovviamente in grado di prevedere quale valutazione potrà esser data, dal giudice, alle contestazioni e difese del convenuto. Paradossalmente, neppure la produzione di uno dei documenti che, a norma dell’art. 642, comma 1, c.p.c., impongono al giudice del monitorio l’emissione di ingiunzione esecutiva, potrebbe essere sufficiente. In giurisprudenza v’è larga disparità di vedute sui mezzi di prova ammissibili e sulla struttura stessa del procedimento, esistendo tribunali che, ad esempio, non ammettono in principio le prove costituende o che non consentono scambi di memorie dopo le scritture introduttive. Le condizioni di accesso alla tutela sommaria, che rilevano soltanto ex post ("… il giudice, ove ritenga sussistenti i fatti costitutivi della domanda e manifestamente infondata la contestazione del convenuto …": comma 2-bis), rimandano in realtà ad un percorso di valutazione tutto interno alla sfera del giudice, ed è dunque probabile che finiscano per prendere corpo, nella pratica, quelle medesime cautele e perplessità che generalmente interessano la prova critica, dalla praesumptio hominis all’argomento di prova.
In prima battuta, si potrebbe semplificare affermando, come pure è stato fatto, che anche in questo giudizio sommario all’attore incombe di asseverare il semplice fumus (di tipo cautelare) della propria pretesa, resta fermo che ciò può non bastare: se il convenuto si costituisce e contesta, il semplice fumus di tale contestazione, il suo non essere cioè manifestamente infondata, ristabilirà una parità tale da rendere opportuna - secondo il legislatore - la cognizione ordinaria. Il che, si aggiunge, non accadrebbe di regola in sede cautelare, ove la non manifesta infondatezza delle contestazioni del resistente non è tale da escludere il fumus asseverato dall’istante.
Non può escludersi a priori che la trattazione sommaria abbia luogo (debba aver luogo) in più udienze "ragionevolmente" ravvicinate, ma va tenuto presente che la necessità di una protrazione dell’istruttoria è uno degli indici che la causa richiede "una cognizione non sommaria" (art. 19, c. 3°).
E’ significativa , d’altro canto , la stessa contrapposizione, rinvenibile nella norma, fra "non manifesta infondatezza" delle contestazioni del convenuto, integrabile anche mediante semplice verosimiglianza in punto di allegazione e priva di riscontro probatorio in fase sommaria, e "sussistenza", sia pure da accertarsi in via sommaria, dei fatti costitutivi dedotti dall’attore.
Non appare corretto,in via teorica, andare oltre , forzando eccessivamente il dato letterale del 3° comma : "il giudice se ritiene che (…) le difese svolte dal convenuto richiedano una cognizione non sommaria..." nega l’ordinanza e dispone la trasmigrazione nelle forme ordinarie. Non può cioè affermarsi quale regola fissa che, in fase sommaria,non vi sia uno spazio istruttorio, foss’anche embrionale, sui fatti costitutivi delle eccezioni del convenuto.Né si può immaginare che, ad esempio, sentendo informatori indicati dall’attore, il giudice non indaghi ove possibile, all’udienza sommaria, anche sul fatto costitutivo della eccezione del convenuto e non tragga proprio da questa indagine eventuale convincimento di manifesta infondatezza di quella contestazione, concedendo perciò la condanna sommaria.
Per converso (ed eventualmente all’esito di istruttoria "sommaria") allorquando la contestazione del convenuto si atteggi come seria o particolarmente complessa da valutare, non si potrà utilizzare la procedura sommaria (più correttamente: la procedura sommaria,già iniziata, non ha il suo "esito naturale", sub specie di provvedimento positivo, l’ordinanza immediatamente esecutiva ancorché inidonea al giudicato) . Le difese del convenuto dovranno dunque essere "palesemente" infondate perché si possa ulteriormente procedere nelle forme sommarie (e questo è uno snodo logico decisivo, su cui non sussiste accordo completo da parte della totalità dei commentatori, ma che sembra difficilmente sopprimibile).
In ordine alle prove che trovano sicuramente ingresso nel rito sommario, nulla quaestio sulle prove documentali, che, nel silenzio del legislatore, dovrebbero trovare un limite temporale di comunicazione proprio nell’atto di costituzione delle stesse parti: non una preclusione, ma semplicemente un limite di "utilità", volto a garantire che il giudice, già nella prima udienza di comparizione, possa valutare la fondatezza delle difese delle parti, l’ammissibilità di questo procedimento e procedere di conseguenza (qualcosa di molto simile accade nel rito cautelare uniforme) .Della ctu o "perizia " o accertamento tecnico che dir si voglia (volendosi rifuggire dalla terminologia del rito a cognizione ordinaria ) si è già fatto cenno. Delle "persone informate", si traggono utili cenni nelle decisioni dei giudici di cui appresso.
L’ambito della cognizione sommaria ex art. 19 in qualche provvedimento giurisprudenziale.
La sentenza del Tribunale di Ancona, n. 126.05 del 21.1.05 (giud. Monocratico Bonivento, inedita ma versata agli atti di causa ) pur incentrata sulla carenza di interesse ad agire, presenta degli spunti degni di essere approfonditi proprio sul versante della sommarietà del rito , come si vedrà da ultimo. La sentenza definisce un procedimento di rito ordinario, introdotto con atto di citazione . Giova riportarne quasi per esteso la parte motiva: "…La domanda va dichiarata ex officio inammissibile,improponibile, improcedibile per difetto, allo stato, di interesse processuale ad agire concreto ed attuale (ex art. 100 C.P.C.) in relazione all’utilità dei provvedimento giurisdizionale rìsarcitorio (contrattuale ad extracontrattuale aquiliano ex art. 2043 C.C.) invocato nella concreta fattispecie, ciò non sul "quantum debeatur" ma sull’ "an debeatur". Non è ancora posta in essere la "condicio actionis" per l’attivazione della pretesa risarcitoria. Il doc. n. 7 di parte convenuta (ultimo nel relativa fascicolo) attiene, oltretutto, a fatto notorio "qui non eget probatione" e reca la data (recentissima) del 5.9.03; è la fotocopia di un articolo giornalistico attinente ai "bonds" argentini ed alla trattativa "che partirà all’inizio del 2004", trattativa con il Governo di Buenos Aires per la ristrutturazione del debito contratto con i risparmiatori esteri europei, negoziato dal tempi non brevi, stante l’interconnessione con l’altro negoziato (con il Fondo Monetario Internazionale), sempre in tema di debito estero (in questo caso con gli Stati stranieri), il che significa che soltanto all’esito negativo della trattativa con i risparmiatori privati (con la loro associazioni, costituite a mezzo dell’A.B.I. - Associazione Bancaria Italiana) sarà possibile in giudizio quantificare eventuali pretese risarcitorie ed esperirle in giudizio,a prescindere dalla loro fondatezza (o meno) ontologica nella competente sede giurisdizionale. Non prima del detto esito. La questione non è indifferente ai fini decisori. Si parla di recupero del capitale (ciò che comunque preme di più ai singoli risparmiatori, istituzionali e non istituzionali), di un eventuale allungamento del periodo dl rimborso, di una riduzione relativa alle cedola degli ínteressi. Trattasi, evidentemente, di trattativa complessa, legata ad inevitabili tempi tecnici, di pari trattamento da garantire al ceto dei risparmiatori - creditori europei. Sulla "propedeuticità" del negoziato con il F.M.I. si è già detto. L’interasse "ad agendum est condicio actionis" (Cass. 2002/2721; conf. Cass, Sez. 1, n. 2000/565 ; Cass. 92/5321 ; Cass, 90/9737; Cass. 90/5743).
Sull’attualità del detto interesse v. Cass. 2002/5365; conf. 98/10062; Cass, 95/4444; Cass. 92/12653; sulla sua concretezza v. anche Cass. 83/4220). In altri termini, allorché non si conosce neppure l’esito delle surriferite trattative, se cioè all’esito delle stesse venga addirittura evitato o quantomeno ridotto il danno effettivo da tracollo del mercato finanziario pubblico obbligazionario (Bonds) della Repubblica argentina, non è ancora utile sollecitare un provvedimento giurisdizionale ….".
Specificamente, su procedimenti ex art. 19 :
In ord. Trib. Verona, 23 gennaio 2005 (est. Mirenda ,inedita , a quanto consta,su cartaceo,reperibile dalla mailing list Civil.net) il Giudice osserva che nel procedimento sommario la formazione di prove costituende è in principio ammissibile, ma deve trattarsi di "attività istruttorie elementari e sempre agevolmente collocabili, quanto a tempistica, nell’udienza one shot del comma 2 bis dell’art. 19". Sono così ammissibili anzitutto la prova documentale e, in vista della acquisizione di una prova documentale: ispezione, ordine di esibizione, CTU con risposta immediata in udienza, richiesta di informazioni alla PA, audizione di informatori a conferma di una semiplena probatio derivante da prove precostituite, ammissione del giuramento suppletorio. Non però testimonianza ed interrogatorio formale, "pena la superfetazione della fase sommaria, con surrettizio esproprio dell’espressa riserva di collegialità" allorché "l’oggetto della causa o le difese svolte dal convenuto richiedano una cognizione non sommaria". Il giudice veronese dichiara così inammissibili le istanze di prova testimoniale e per interrogatorio formale e, poichè le scritture rappresentative delle spese, contestate e prive di data certa, provenivano da terzi (e non potevano essere confermate da testi) e quindi alle stesse non poteva riconoscersi alcun valore probatorio (il giudice le qualifica mere res inter alios), l’ordinanza è di rigetto della domanda con assegnazione dei termini per la prosecuzione del giudizio nelle forme ordinarie.
Il provvedimento è in un certo senso emblematico delle tesi "estremistiche" relative a questo tipo di rito, quelle che sottolineano il dato della "sommarietà", sicchè è stato detto che già la terminologia dell’udienza "one shot" ricorda la tenzone processuale ricondotta ad un "mezzogiorno di fuoco", così come ha suscitato critiche la rigida gerarchia tra i vari mezzi di prova in funzione della dicotomia sommario/ordinario. Tuttavia occorre prendere atto dell’orientamento, tutt’altro che isolato o in controtendenza .
Il Trib. Milano (est. . Simonetti, 7 ottobre 2004 in www.Judicium.it , nonchè in www.dirittoefinanza.it) affronta un caso in cui il ricorrente agisce nei confronti della banca che, senza suo ordine, ha acquistato obbligazioni della Parmalat finanziaria e della FIAT con la provvista di c/c, chiedendo la restituzione delle somme con interessi legali, con condanna al risarcimento del danno derivante dalla mancata disponibilità delle somme. La banca replica che gli acquisti sarebbero stati realizzati nel quadro di un accordo generale "di negoziazione, sottoscrizione strumenti finanziari, ricezione e trasmissione di ordini aventi ad oggetto gli stessi strumenti" che prevedeva l’ordinativo telefonico (nel caso intervenuto) con l’impegno a sottoscrivere successivamente il contratto (inevaso dal ricorrente, secondo la banca). In via riconvenzionale, chiede la restituzione dei titoli e dei frutti, oltre al risarcimento del danno da quantificarsi nella differenza tra il prezzo pagato per procurarsi i titoli e l’attuale valore di mercato.
La causa è istruita documentalmente e con richiesta di prove orali.Il giudice monocratico dichiara ammissibile la domanda principale e quella riconvenzionale, per essere "connessa oggettivamente con la domanda dell’attore, oltre ad avere un oggetto compatibile con il rito speciale (richiesta di condanna al pagamento di somma di danaro e consegna di cose mobili determinate)"; dichiara inammissibile la richiesta di prova testimoniale ex art. 2725 c.c. (contratto da provarsi per iscritto) ed osserva che alcuna altra prova è stata dedotta (come la registrazione su nastro dell’ordinativo telefonico). Accoglie la domanda di pagamento del ricorrente e quella della b
Giudice Dott. Cesare Marziali
[Decreto Legislativo 5/2003 - Controversie di rito societario - Procedimento sommario per controversie su obbligazioni Parmalat - Competenza del Giudice della Sezione Distaccata]
Fatto
Con ricorso depositato il 18.6.05 , ai sensi dell’art. 1, lett. d) e 19 del d.lgs. n. 5 del 2003, Tizio L., Tizio M., Tizio O. e Caio E. esponevano che, avendo nella loro disponibilità la somma di euro 116.000 ricavata da una vendita e volendo destinarla ad un investimento sicuro, decidevano di rivolgersi alla Cassa di Risparmio di Fermo, banca con la quale non avevano intrattenuto alcun tipo di rapporto sino a quel momento; che Tizio L. si recava pertanto nel mese di gennaio del 2003 presso la succursale di __________ del suddetto Istituto di Credito, esponendo al Direttore Dott. Gianluca Sempronio le proprie esigenze e la necessità dell’assoluta assenza di rischio che avrebbe dovuto connotare l’operazione finanziaria;
che, alla stregua di ciò, il funzionario proponeva agli istanti, assolutamente privi di conoscenza ed esperienza nel campo finanziario, di investire la rilevante somma messa a disposizione in acquisto di obbligazioni Parmalat (Fin.5.25 - 13/12/2004 XS0156987058), titoli che la banca disponeva in portafoglio;
che il funzionario rappresentava l’assoluta convenienza dell’operazione, in quanto appunto esente da ogni rischio ed avente un alto rendimento, garantendo altresì la sicurezza del prodotto in considerazione della riferita autorevolezza della società emittente i titoli;
che, facendo affidamento sui consigli e sulle più ampie rassicurazioni del funzionario, gli istanti si inducevano ad aprire un rapporto di conto corrente (n.330/0018668) con la banca, a sottoscrivere un contratto (n.58002020) per la negoziazione ed il deposito a custodia ed amministrazione di titoli ed a firmare l’ordine di acquisto delle obbligazioni Parmalat sopra indicate per il valore nominale di € 116.000,00;
che, riscossa la prima cedola di premio di € 5.326,75 in scadenza il 13/12/2003, immediatamente dopo e per le note vicende assurte all’onore delle cronache si verificava il "default" dei titoli del gruppo Parmalat, comportante la sospensione del rimborso delle obbligazioni e dunque la perdita dell’investimento effettuato in danno degli istanti; che il contratto di negoziazione dei titoli risultava tuttavia invalido per aver la Carifermo palesemente tenuto, nello svolgimento del rapporto di investimento, un comportamento contrario agli obblighi di diligenza, correttezza e trasparenza impostigli dalla legge, violando non solo le regole poste dal Codice Civile, ma anche gli espressi obblighi informativi contenuti negli articoli 21, 24, 36 e 38 del D.Lgs. n.58/1998 e negli articoli n.26,27,28,29 e 30 del Regolamento Consob n. 11522/98;
che tale comportamento ben poteva costituire altresì fonte di responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale, che legittimava la conseguente condanna al risarcimento del danno in favore degli istanti; che, nella prestazione dei servizi di investimento, infatti, gli intermediari finanziari devono innanzitutto adeguare la loro condotta ai criteri generali previsti dal Codice Civile, e cioè hanno l’obbligo sia di comportarsi secondo le regole di correttezza e buona fede ex artt. 1175, 1375 e 1337 c.c., sia di adempiere l’obbligazione con la diligenza richiesta dalla particolare natura dell’attività esercitata ex artt.1218 e 1176, 2° Comma c.c., che è appunto quella qualificata di chi operi nel settore del mercato finanziario e creditizio, non certo quella dell’uomo medio tenuto ad osservare regole prudenziali di comune esperienza;
che il t.u. Finanziario, sopra richiamato, aveva peraltro ampliato le disposizioni di carattere generale del Codice Civile introducendo nuovi obblighi e doveri, che esponeva in dettaglio affermando la loro violazione (v. pagg. da 3 a 15 del ricorso).
Chiedevano pertanto che il Tribunale adito, in composizione monocratica presso la sezione distaccata di Fabriano condannasse la convenuta alla restituzione della somma di euro 110.673,25, pari alla differenza tra quanto versato e quanto incassato a titolo di prima cedola, oltre interessi e rivalutazione, previo accertamento o della nullità degli ordini d’acquisto e del contratto sottostante ex art. 1418 1° comma c.c. o della responsabilità contrattuale e/o precontrattuale e/o extracontrattuale. Chiedevano anche il risarcimento del maggior danno e del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., da liquidarsi in via equitativa.
Si costituiva la Cassa di Risparmio, spiegando una preliminare eccezione d’inammissibilità del ricorso, non potendo la domanda essere decisa senza una piena istruttoria. Nel merito, proponeva articolate controdeduzioni in fatto e in diritto.
All’udienza del 12.9.05 questo giudice riservava ordinanza concedendo termine alle parti per note e deposito documenti.
L’ambito della cognizione sommaria di cui all’art. 19 :in particolare, in relazione alla complessità ed al tipo di istruzione probatoria da condurre
In dottrina si è osservato che, stante la natura sommaria dell’accertamento ed il carattere celere della procedura, si deve ritenere che la somma - pure non inizialmente liquida - debba essere comunque facilmente liquidabile. Altri autori si sono spinti ad affermare, nel quadro di una impostazione che attribuisce al procedimento sommario ex art. 19 natura solo documentale, l’impossibilità di assumere prove costituende o disporre consulenza tecnica d’ufficio.
Quando non vi sono presupposti bastevoli per un’accertamento sommario (da tenersi distinti rispetto agli altri in cui il legislatore opera una scelta tipizzata d’impossibilità di ricorrere al processo sommario, come ad es., nel caso delle azioni di responsabilità contro gli amministratori), s’impone il provvedimento di mutamento del rito di cui al 3° comma dell’art. 19. Provvedimento che va preso non solo quando le difese del convenuto non siano manifestamente infondate o comunque dilatorie, quindi richiedano un approfondimento a cognizione piena, o quando la controversia sia particolarmente complessa, ma anche quando i fatti costitutivi della domanda non siano "manifestamente" fondati: ciò, sia perché, a loro volta, necessitino di un approfondimento a cognizione piena , sia perché infondati in toto e prima facie (non appartiene a questa seconda ipotesi, come si vedrà, il caso della fattispecie in esame). Alla luce del diritto positivo, infatti, è preclusa in ogni caso un’ordinanza di rigetto nel merito, il che è discutibile, nel caso in cui la pretesa del ricorrente sia manifestamente infondata e, malgrado ciò, il giudizio debba proseguire verso la sorte segnata: quella di una conclusione con sentenza di rigetto.
E’ innegabile, ed i commentatori l’hanno in vario modo sottolineato, che la possibilità o meno di "giudicare in sommario" appare largamente affidata al giudice stesso, ancor più nell’attuale fase di prima applicazione della normativa, e sia pure nel rispetto dei canoni , anche costituzionali, vigenti in materia.
E’ stato correttamente osservato, sul fronte delle ricadute "pratiche" di tale assetto ,che ,di regola ,il ricorrente in sede sommaria non sa, nel momento in cui agisce, quale dimostrazione (e quali mezzi di prova) deve fornire per far valere il suo diritto , né è ovviamente in grado di prevedere quale valutazione potrà esser data, dal giudice, alle contestazioni e difese del convenuto. Paradossalmente, neppure la produzione di uno dei documenti che, a norma dell’art. 642, comma 1, c.p.c., impongono al giudice del monitorio l’emissione di ingiunzione esecutiva, potrebbe essere sufficiente. In giurisprudenza v’è larga disparità di vedute sui mezzi di prova ammissibili e sulla struttura stessa del procedimento, esistendo tribunali che, ad esempio, non ammettono in principio le prove costituende o che non consentono scambi di memorie dopo le scritture introduttive. Le condizioni di accesso alla tutela sommaria, che rilevano soltanto ex post ("… il giudice, ove ritenga sussistenti i fatti costitutivi della domanda e manifestamente infondata la contestazione del convenuto …": comma 2-bis), rimandano in realtà ad un percorso di valutazione tutto interno alla sfera del giudice, ed è dunque probabile che finiscano per prendere corpo, nella pratica, quelle medesime cautele e perplessità che generalmente interessano la prova critica, dalla praesumptio hominis all’argomento di prova.
In prima battuta, si potrebbe semplificare affermando, come pure è stato fatto, che anche in questo giudizio sommario all’attore incombe di asseverare il semplice fumus (di tipo cautelare) della propria pretesa, resta fermo che ciò può non bastare: se il convenuto si costituisce e contesta, il semplice fumus di tale contestazione, il suo non essere cioè manifestamente infondata, ristabilirà una parità tale da rendere opportuna - secondo il legislatore - la cognizione ordinaria. Il che, si aggiunge, non accadrebbe di regola in sede cautelare, ove la non manifesta infondatezza delle contestazioni del resistente non è tale da escludere il fumus asseverato dall’istante.
Non può escludersi a priori che la trattazione sommaria abbia luogo (debba aver luogo) in più udienze "ragionevolmente" ravvicinate, ma va tenuto presente che la necessità di una protrazione dell’istruttoria è uno degli indici che la causa richiede "una cognizione non sommaria" (art. 19, c. 3°).
E’ significativa , d’altro canto , la stessa contrapposizione, rinvenibile nella norma, fra "non manifesta infondatezza" delle contestazioni del convenuto, integrabile anche mediante semplice verosimiglianza in punto di allegazione e priva di riscontro probatorio in fase sommaria, e "sussistenza", sia pure da accertarsi in via sommaria, dei fatti costitutivi dedotti dall’attore.
Non appare corretto,in via teorica, andare oltre , forzando eccessivamente il dato letterale del 3° comma : "il giudice se ritiene che (…) le difese svolte dal convenuto richiedano una cognizione non sommaria..." nega l’ordinanza e dispone la trasmigrazione nelle forme ordinarie. Non può cioè affermarsi quale regola fissa che, in fase sommaria,non vi sia uno spazio istruttorio, foss’anche embrionale, sui fatti costitutivi delle eccezioni del convenuto.Né si può immaginare che, ad esempio, sentendo informatori indicati dall’attore, il giudice non indaghi ove possibile, all’udienza sommaria, anche sul fatto costitutivo della eccezione del convenuto e non tragga proprio da questa indagine eventuale convincimento di manifesta infondatezza di quella contestazione, concedendo perciò la condanna sommaria.
Per converso (ed eventualmente all’esito di istruttoria "sommaria") allorquando la contestazione del convenuto si atteggi come seria o particolarmente complessa da valutare, non si potrà utilizzare la procedura sommaria (più correttamente: la procedura sommaria,già iniziata, non ha il suo "esito naturale", sub specie di provvedimento positivo, l’ordinanza immediatamente esecutiva ancorché inidonea al giudicato) . Le difese del convenuto dovranno dunque essere "palesemente" infondate perché si possa ulteriormente procedere nelle forme sommarie (e questo è uno snodo logico decisivo, su cui non sussiste accordo completo da parte della totalità dei commentatori, ma che sembra difficilmente sopprimibile).
In ordine alle prove che trovano sicuramente ingresso nel rito sommario, nulla quaestio sulle prove documentali, che, nel silenzio del legislatore, dovrebbero trovare un limite temporale di comunicazione proprio nell’atto di costituzione delle stesse parti: non una preclusione, ma semplicemente un limite di "utilità", volto a garantire che il giudice, già nella prima udienza di comparizione, possa valutare la fondatezza delle difese delle parti, l’ammissibilità di questo procedimento e procedere di conseguenza (qualcosa di molto simile accade nel rito cautelare uniforme) .Della ctu o "perizia " o accertamento tecnico che dir si voglia (volendosi rifuggire dalla terminologia del rito a cognizione ordinaria ) si è già fatto cenno. Delle "persone informate", si traggono utili cenni nelle decisioni dei giudici di cui appresso.
L’ambito della cognizione sommaria ex art. 19 in qualche provvedimento giurisprudenziale.
La sentenza del Tribunale di Ancona, n. 126.05 del 21.1.05 (giud. Monocratico Bonivento, inedita ma versata agli atti di causa ) pur incentrata sulla carenza di interesse ad agire, presenta degli spunti degni di essere approfonditi proprio sul versante della sommarietà del rito , come si vedrà da ultimo. La sentenza definisce un procedimento di rito ordinario, introdotto con atto di citazione . Giova riportarne quasi per esteso la parte motiva: "…La domanda va dichiarata ex officio inammissibile,improponibile, improcedibile per difetto, allo stato, di interesse processuale ad agire concreto ed attuale (ex art. 100 C.P.C.) in relazione all’utilità dei provvedimento giurisdizionale rìsarcitorio (contrattuale ad extracontrattuale aquiliano ex art. 2043 C.C.) invocato nella concreta fattispecie, ciò non sul "quantum debeatur" ma sull’ "an debeatur". Non è ancora posta in essere la "condicio actionis" per l’attivazione della pretesa risarcitoria. Il doc. n. 7 di parte convenuta (ultimo nel relativa fascicolo) attiene, oltretutto, a fatto notorio "qui non eget probatione" e reca la data (recentissima) del 5.9.03; è la fotocopia di un articolo giornalistico attinente ai "bonds" argentini ed alla trattativa "che partirà all’inizio del 2004", trattativa con il Governo di Buenos Aires per la ristrutturazione del debito contratto con i risparmiatori esteri europei, negoziato dal tempi non brevi, stante l’interconnessione con l’altro negoziato (con il Fondo Monetario Internazionale), sempre in tema di debito estero (in questo caso con gli Stati stranieri), il che significa che soltanto all’esito negativo della trattativa con i risparmiatori privati (con la loro associazioni, costituite a mezzo dell’A.B.I. - Associazione Bancaria Italiana) sarà possibile in giudizio quantificare eventuali pretese risarcitorie ed esperirle in giudizio,a prescindere dalla loro fondatezza (o meno) ontologica nella competente sede giurisdizionale. Non prima del detto esito. La questione non è indifferente ai fini decisori. Si parla di recupero del capitale (ciò che comunque preme di più ai singoli risparmiatori, istituzionali e non istituzionali), di un eventuale allungamento del periodo dl rimborso, di una riduzione relativa alle cedola degli ínteressi. Trattasi, evidentemente, di trattativa complessa, legata ad inevitabili tempi tecnici, di pari trattamento da garantire al ceto dei risparmiatori - creditori europei. Sulla "propedeuticità" del negoziato con il F.M.I. si è già detto. L’interasse "ad agendum est condicio actionis" (Cass. 2002/2721; conf. Cass, Sez. 1, n. 2000/565 ; Cass. 92/5321 ; Cass, 90/9737; Cass. 90/5743).
Sull’attualità del detto interesse v. Cass. 2002/5365; conf. 98/10062; Cass, 95/4444; Cass. 92/12653; sulla sua concretezza v. anche Cass. 83/4220). In altri termini, allorché non si conosce neppure l’esito delle surriferite trattative, se cioè all’esito delle stesse venga addirittura evitato o quantomeno ridotto il danno effettivo da tracollo del mercato finanziario pubblico obbligazionario (Bonds) della Repubblica argentina, non è ancora utile sollecitare un provvedimento giurisdizionale ….".
Specificamente, su procedimenti ex art. 19 :
In ord. Trib. Verona, 23 gennaio 2005 (est. Mirenda ,inedita , a quanto consta,su cartaceo,reperibile dalla mailing list Civil.net) il Giudice osserva che nel procedimento sommario la formazione di prove costituende è in principio ammissibile, ma deve trattarsi di "attività istruttorie elementari e sempre agevolmente collocabili, quanto a tempistica, nell’udienza one shot del comma 2 bis dell’art. 19". Sono così ammissibili anzitutto la prova documentale e, in vista della acquisizione di una prova documentale: ispezione, ordine di esibizione, CTU con risposta immediata in udienza, richiesta di informazioni alla PA, audizione di informatori a conferma di una semiplena probatio derivante da prove precostituite, ammissione del giuramento suppletorio. Non però testimonianza ed interrogatorio formale, "pena la superfetazione della fase sommaria, con surrettizio esproprio dell’espressa riserva di collegialità" allorché "l’oggetto della causa o le difese svolte dal convenuto richiedano una cognizione non sommaria". Il giudice veronese dichiara così inammissibili le istanze di prova testimoniale e per interrogatorio formale e, poichè le scritture rappresentative delle spese, contestate e prive di data certa, provenivano da terzi (e non potevano essere confermate da testi) e quindi alle stesse non poteva riconoscersi alcun valore probatorio (il giudice le qualifica mere res inter alios), l’ordinanza è di rigetto della domanda con assegnazione dei termini per la prosecuzione del giudizio nelle forme ordinarie.
Il provvedimento è in un certo senso emblematico delle tesi "estremistiche" relative a questo tipo di rito, quelle che sottolineano il dato della "sommarietà", sicchè è stato detto che già la terminologia dell’udienza "one shot" ricorda la tenzone processuale ricondotta ad un "mezzogiorno di fuoco", così come ha suscitato critiche la rigida gerarchia tra i vari mezzi di prova in funzione della dicotomia sommario/ordinario. Tuttavia occorre prendere atto dell’orientamento, tutt’altro che isolato o in controtendenza .
Il Trib. Milano (est. . Simonetti, 7 ottobre 2004 in www.Judicium.it , nonchè in www.dirittoefinanza.it) affronta un caso in cui il ricorrente agisce nei confronti della banca che, senza suo ordine, ha acquistato obbligazioni della Parmalat finanziaria e della FIAT con la provvista di c/c, chiedendo la restituzione delle somme con interessi legali, con condanna al risarcimento del danno derivante dalla mancata disponibilità delle somme. La banca replica che gli acquisti sarebbero stati realizzati nel quadro di un accordo generale "di negoziazione, sottoscrizione strumenti finanziari, ricezione e trasmissione di ordini aventi ad oggetto gli stessi strumenti" che prevedeva l’ordinativo telefonico (nel caso intervenuto) con l’impegno a sottoscrivere successivamente il contratto (inevaso dal ricorrente, secondo la banca). In via riconvenzionale, chiede la restituzione dei titoli e dei frutti, oltre al risarcimento del danno da quantificarsi nella differenza tra il prezzo pagato per procurarsi i titoli e l’attuale valore di mercato.
La causa è istruita documentalmente e con richiesta di prove orali.Il giudice monocratico dichiara ammissibile la domanda principale e quella riconvenzionale, per essere "connessa oggettivamente con la domanda dell’attore, oltre ad avere un oggetto compatibile con il rito speciale (richiesta di condanna al pagamento di somma di danaro e consegna di cose mobili determinate)"; dichiara inammissibile la richiesta di prova testimoniale ex art. 2725 c.c. (contratto da provarsi per iscritto) ed osserva che alcuna altra prova è stata dedotta (come la registrazione su nastro dell’ordinativo telefonico). Accoglie la domanda di pagamento del ricorrente e quella della b