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Tribunale di Trieste: abuso di dipendenza economica

TRIBUNALE DI TRIESTE - SEZIONE CIVILE

Sciogliendo la riserva di cui al verbale che precede, letti gli atti ed esaminata la documentazione, si premette che la vicenda in esame non è attratta alla disciplina di cui agli artt. 1469 bis e ss. cod. civ. (successivamente rifluita nel codice del consumo adottato con D.Lgs. n. 206 del 2005), attesa la qualità di imprenditore commerciale della società ricorrente: ciò impedisce una analisi in termini di abusività della clausola che impone al cliente di ricorrere esclusivamente alla società resistente per i traslochi o spostamenti dell’impianto.

Quanto al fumus boni iuris, la pattuizione negoziale che regola la fattispecie impone alla ricorrente, nel caso voglia – come in effetti vuole - effettuare un trasloco o spostamento di impianto, di rivolgersi solo alla società fornitrice, accettandone i costi senza alcuna possibilità di contrattare gli stessi, e senza che di essi sia dato alcun riferimento in termini dettagliati.

La difesa di GAMMA S.p.A. ha quantificato i costi in modo dettagliato solo nel corso del procedimento cautelare, con la produzione di un elenco ragionato: una parte di tali costi sono ascritti a titolo di “infrastruttura di rete” e a posa in opera di un apparato fornito da terzi (BETA S.p.A.), e il rimanente a titolo di fornitura del materiale (utilizzato per l’infrastruttura) da parte della BETA S.p.A., società con la quale GAMMA S.p.A. si sarebbe impegnata in esclusiva per la fornitura.

È pacifico tra le parti, e ciò si desume anche dalla mancata accettazione della proposta conciliativa di cui si dirà oltre, che GAMMA S.p.A. non accetterebbe in alcun caso un ordine di lavori con riserva di verificare la congruità dei prezzi.

Una situazione di tal fatta, si opina, nella quale il cliente che abbia una esigenza di spostamento della linea si trovi incondizionatamente in situazione di pati, senza alcuna possibilità di discutere i prezzi di lavori e materiali, appare chiaramente sanzionata sia dal divieto di abuso di posizione, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. a), della legge n. 287/1990 ricadendo nella previsione vietata di “imporre direttamente o indirettamente prezzi di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose”; sia, e forse in termini più direttamente precettivi, nel divieto di abuso di dipendenza economica, sancito dall’art. 9 della legge n. 192 del 1998. Si precisa comunque che non si esprime alcun giudizio sulla violazione della norma in tema di abuso di posizione, difettando la competenza in capo a questo giudice, ma si apprezza solo l’esistenza di questo principio precettivo nell’ordinamento giuridico.

La norma dell’art. 9 della legge n. 192 del 1998 vieta l’abuso, da parte di una o più imprese, dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice. Si considera dipendenza economica la situazione in cui un impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi: l’abuso può anche consistere, come nel caso di specie, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie; ed il patto attraverso il quale si realizzi l’abuso di dipendenza economica è nullo.

Il rapporto tra il fornitore di servizi di telefonia e chi a sua volta rende servizi di call-center appare sicuramente inquadrabile nella previsione della legge n. 192 del 1998, così come sembra di tutta evidenza che il ricorrente non abbia altra scelta se non quella di accettare qualsiasi prezzo gli venga richiesto dal fornitore del servizio, ancorchè gravemente sperequato, senza alcuna possibilità di ridurre ad equità il contenuto della prestazione. Infatti, l’imposizione di GAMMA S.p.A. di accettare pienamente e preventivamente le condizioni della fornitura, e solo dopo vedere eseguito l’allacciamento, farà si che il contraente avrà grandi difficoltà in fatto ed in diritto per chiedere una nuova determinazione del prezzo.

È ben vero che la dipendenza economica deve essere valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subito l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti. Ma tale possibilità non ricorre per diversi motivi. In primo luogo la contrattazione di settore è pressoché uniforme, prevedendo per tutti i gestori le identiche posizioni dominanti, una volta effettuata la scelta contrattuale iniziale. Inoltre, costringere in questo momento dell’attività imprenditoriale, il cliente a disdire il rapporto per attivarne altro con altro operatore e mutare l proprie strategie organizzative, le tariffe e quant’altro, oltre ad esporlo ad un duplice costo (quello di chiusura e quello di nuova apertura) non gli garantirebbe la risoluzione dei problemi a venire; infine il mercato in questione è notoriamente oligopolistico.

Il comportamento del fornitore, soprattutto alla luce delle reiterate richieste di intervento da parte del cliente, del lungo lasso di tempo intercorso tra esse e le laconiche risposte della resistente, a coronamento di un atteggiamento sostanzialmente intransigente, deve essere ritenuto sia illecito che contrario ai canoni di buona fede. È illecito, oltre che per la diretta violazione della norma sopra descritta, anche nella misura in cui si condivida che “di abuso si può parlare allorchè l’esercizio del diritto venga meno alla sua funzione e turbi la sfera altrui ledendola”. È contrario a buona fede perchè tale comportamento, fortemente rivendicato dal contraente forte senza nessuna volontà di riconoscere l’utilità della controparte, determina una illegittima situazione di asimmetria che non può essere sanata e ricondotta a normalità mediante le normali statuizioni sulla patologia e la responsabilità contrattuale: nessuna fattispecie di annullabilità, nullità, inefficacia, risoluzione per inadempimento sembra ravvisabile nel caso che ne occupa. Non rimane che valutare se sia possibile “operare le modifiche conformi alla intrinseca razionalità dell’operazione voluta dalle parti e rese obbligatorie dalla necessità di un agire corretto” nel contesto che ne occupa.

L’alternativa che si pone è quindi la seguente: o il comportamento di GAMMA S.p.A. è illecito, in quanto sanzionato dalla nullità della pattuizione che prevede il potere di imporre qualsiasi prezzo ritenga opportuno per il trasferimento delle linee; ovvero è contrario a buona fede, qualora tale pattuizione non sia illecita, pur essendo espressione di un abuso lesivo per il contraente debole.

In quest’ultima ipotesi, ritiene il giudice che la clausola generale della buona fede ex art. 1375 cod. civ. possa trovare un supporto operativo nella previsione dell’art. 1462, comma 2, cod. civ., a tenore della quale il giudice, pur in presenza di una clausola del tipo “solve et repete” valida (nel senso di non prima facie nulla o annullabile), come quella che al buio impone di accettare i prezzi e le condizioni del fornitore, può sospendere la condanna se riconosce esistere gravi motivi. In un giudizio che avesse cioè ad oggetto da un lato la richiesta di condanna del cliente al pagamento del corrispettivo di materiale e fornitura, e dall’altro la domanda contraria di revisione dei prezzi, con impugnazione della pattuizione in questione e delle condizioni di fornitura applicate da GAMMA S.p.A., il giudice del merito – qualora, lo si ripete, non sindacasse come direttamente nulla la clausola per violazione del disposto dell’art. 9 della legge n. 192 del 1998 - potrebbe sospendere la condanna al pagamento del corrispettivo.

Ma anche in questo procedimento cautelare tale soluzione può essere – mutadis mutandis - apprestata, in via provvisoria ed anticipata: anzi deve esserlo per evitare un pregiudizio grave ed irreparabile.

È però bene subito chiarire che tale irreparabilità non può essere individuata nella dedotta necessità di effettuare il trasloco di linea, pena “conseguenze irreparabili” per l’attività commerciale: ad un pericolo di lesione di tal fatta la parte può liberamente ovviare versando una somma di denaro (di circa 9300,00 euro) di importo non smisurato, nè in termini oggettivi nè in termini soggettivi.

Il vero periculum in mora è invece quello di vedere compressa in modo illegittimo o abusivo la propria libertà contrattuale; esso è attualmente percepibile nella impossibilità di reagire contrattualmente ad un abuso di posizione economica o dominante. La libertà contrattuale, è difatti espressione diretta di libertà fondamentale garantita dal Trattato sull’Unione Europea (tutelata a livello costituzionale solo indirettamente, in quanto l’art. 41, comma primo, Cost., protegge l’autonomia negoziale come mezzo di esplicazione della libertà di iniziativa economica, la quale si esercita normalmente in forma di impresa – sent. n. 268 del 22-30/06/1994, est. Mengoni): tale libertà, come ogni diritto assoluto ed incomprimibile, può essere compressa solo nei casi previsti dalla legge, e deve essere tutelata solo in via preventiva, quale “diritto fondamentale di autodeterminazione”.

Occorre quindi rimediare ad una “ipotesi di strutturale soggezione” di una parte debole rispetto a chi ha predeterminato unilateralmente il contenuto del negozio e del rapporto. La riparazione risarcitoria, qualora giungesse, avrebbe comunque e solo una funzione riparatoria per equivalente: ma qui ed ora non è tanto in discussione la reale quantificazione del valore della prestazione che sarà effettuata dal “monopolista”, quanto la stessa possibilità che tale quantificazione sia oggetto di trattative, venga discussa e liberamente pattuita. Non interessa quello che potrà essere in futuro un risarcimento del danno o la risoluzione stessa del contratto per inadempimento, quanto la privazione di qualsiasi spazio di tutela del contraente debole all’interno del contratto e nel rapporto.

La deriva asimmetrica alla quale è abbandonato il rapporto, per fatto del contraente forte, è un disvalore in sè, al quale la stessa parte ha mostrato di non voler porre rimedio con un comportamento improntato a canoni di buona fede: per fare salvo il diritto della controparte sarebbe bastato un minimo sacrificio delle proprie prerogative. La proposta conciliativa del giudice, volta a consentire da parte della GAMMA S.p.A. successivamente alla fornitura (che sarebbe stata regolarmente pagata dal cliente) una indagine sull’effettivo costo dei materiali e delle opere con diritto di regresso per i maggiori o ingiustificati importi, non minava il diritto della resistente al giusto corrispettivo, ma veniva di fatto ad eliminare la sua ingiustificata e insondabile rendita perpetua da posizione, ed a riportare ad equità la dinamica del rapporto. Il rifiuto di conciliazione costituisce quindi ulteriore sintomo dell’atteggiamento di mala fede della resistente, oltre che la dimostrazione della impossibilità per ALFA S.r.l. di una accettazione con riserva dei costi unilateralmente predisposti da GAMMA S.p.A..

Per tutelare in via cautelare la libertà contrattuale del contraente debole, altrimenti lesa in modo verosimilmente definitivo e comunque in modo non ristorabile, se non per equivalente, deve adottarsi il provvedimento richiesto, accertando incidentalmente il diritto della ALFA S.r.l. ad ottenere la prestazione richiesta (trasloco dei flussi di linea), ma con la possibilità di contestare in un successivo giudizio i costi unilateralmente determinati da GAMMA S.p.A., ed ordinando quindi alla resistente GAMMA S.p.A. di effettuare gli interventi richiesti, salve ed impregiudicate le sue determinazioni di richiedere successivamente al cliente quanto dalla stessa ritenuto contrattualmente dovuto, fermo però il diritto del contraente debole di ottenere tutela qualora ritenga eccessivi i costi.

Non fa parte del provvedimento il giudizio sulla debenza dei maggiori canoni da parte di ALFA S.r.l., la quale dovrà preventivamente sanare la propria eventuale morosità (qualora sussistente, ma tanto non risulta alla luce della documentazione dimessa, avendo la resistente fatturato il costo di una sola linea di flusso, debitamente pagata dalla cliente). In ogni caso questa dinamica di corrispettività non rappresenta un limite per l’adozione del presente provvedimento cautelare.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

in accoglimento del ricorso ordina quindi alla resistente Gamma Spa di effettuare immediatamente gli interventi richiesti da Alfa Srl per il trasloco delle linee, salvo ed impregiudicato il diritto di Gamma Spa al compenso nei tempi contrattuali, ma salvo anche il diritto del cliente di vederne eventualmente sindacata la congruità. Condanna Gamma Spa al pagamento delle spese di lite, liquidate in complessivi XXX Euro, oltre Iva e Cnap come per legge."

Trieste, 20 settembre 2006.

Il giudice

Dott. Arturo Picciotto

TRIBUNALE DI TRIESTE - SEZIONE CIVILE

Sciogliendo la riserva di cui al verbale che precede, letti gli atti ed esaminata la documentazione, si premette che la vicenda in esame non è attratta alla disciplina di cui agli artt. 1469 bis e ss. cod. civ. (successivamente rifluita nel codice del consumo adottato con D.Lgs. n. 206 del 2005), attesa la qualità di imprenditore commerciale della società ricorrente: ciò impedisce una analisi in termini di abusività della clausola che impone al cliente di ricorrere esclusivamente alla società resistente per i traslochi o spostamenti dell’impianto.

Quanto al fumus boni iuris, la pattuizione negoziale che regola la fattispecie impone alla ricorrente, nel caso voglia – come in effetti vuole - effettuare un trasloco o spostamento di impianto, di rivolgersi solo alla società fornitrice, accettandone i costi senza alcuna possibilità di contrattare gli stessi, e senza che di essi sia dato alcun riferimento in termini dettagliati.

La difesa di GAMMA S.p.A. ha quantificato i costi in modo dettagliato solo nel corso del procedimento cautelare, con la produzione di un elenco ragionato: una parte di tali costi sono ascritti a titolo di “infrastruttura di rete” e a posa in opera di un apparato fornito da terzi (BETA S.p.A.), e il rimanente a titolo di fornitura del materiale (utilizzato per l’infrastruttura) da parte della BETA S.p.A., società con la quale GAMMA S.p.A. si sarebbe impegnata in esclusiva per la fornitura.

È pacifico tra le parti, e ciò si desume anche dalla mancata accettazione della proposta conciliativa di cui si dirà oltre, che GAMMA S.p.A. non accetterebbe in alcun caso un ordine di lavori con riserva di verificare la congruità dei prezzi.

Una situazione di tal fatta, si opina, nella quale il cliente che abbia una esigenza di spostamento della linea si trovi incondizionatamente in situazione di pati, senza alcuna possibilità di discutere i prezzi di lavori e materiali, appare chiaramente sanzionata sia dal divieto di abuso di posizione, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. a), della legge n. 287/1990 ricadendo nella previsione vietata di “imporre direttamente o indirettamente prezzi di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose”; sia, e forse in termini più direttamente precettivi, nel divieto di abuso di dipendenza economica, sancito dall’art. 9 della legge n. 192 del 1998. Si precisa comunque che non si esprime alcun giudizio sulla violazione della norma in tema di abuso di posizione, difettando la competenza in capo a questo giudice, ma si apprezza solo l’esistenza di questo principio precettivo nell’ordinamento giuridico.

La norma dell’art. 9 della legge n. 192 del 1998 vieta l’abuso, da parte di una o più imprese, dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice. Si considera dipendenza economica la situazione in cui un impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi: l’abuso può anche consistere, come nel caso di specie, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie; ed il patto attraverso il quale si realizzi l’abuso di dipendenza economica è nullo.

Il rapporto tra il fornitore di servizi di telefonia e chi a sua volta rende servizi di call-center appare sicuramente inquadrabile nella previsione della legge n. 192 del 1998, così come sembra di tutta evidenza che il ricorrente non abbia altra scelta se non quella di accettare qualsiasi prezzo gli venga richiesto dal fornitore del servizio, ancorchè gravemente sperequato, senza alcuna possibilità di ridurre ad equità il contenuto della prestazione. Infatti, l’imposizione di GAMMA S.p.A. di accettare pienamente e preventivamente le condizioni della fornitura, e solo dopo vedere eseguito l’allacciamento, farà si che il contraente avrà grandi difficoltà in fatto ed in diritto per chiedere una nuova determinazione del prezzo.

È ben vero che la dipendenza economica deve essere valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subito l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti. Ma tale possibilità non ricorre per diversi motivi. In primo luogo la contrattazione di settore è pressoché uniforme, prevedendo per tutti i gestori le identiche posizioni dominanti, una volta effettuata la scelta contrattuale iniziale. Inoltre, costringere in questo momento dell’attività imprenditoriale, il cliente a disdire il rapporto per attivarne altro con altro operatore e mutare l proprie strategie organizzative, le tariffe e quant’altro, oltre ad esporlo ad un duplice costo (quello di chiusura e quello di nuova apertura) non gli garantirebbe la risoluzione dei problemi a venire; infine il mercato in questione è notoriamente oligopolistico.

Il comportamento del fornitore, soprattutto alla luce delle reiterate richieste di intervento da parte del cliente, del lungo lasso di tempo intercorso tra esse e le laconiche risposte della resistente, a coronamento di un atteggiamento sostanzialmente intransigente, deve essere ritenuto sia illecito che contrario ai canoni di buona fede. È illecito, oltre che per la diretta violazione della norma sopra descritta, anche nella misura in cui si condivida che “di abuso si può parlare allorchè l’esercizio del diritto venga meno alla sua funzione e turbi la sfera altrui ledendola”. È contrario a buona fede perchè tale comportamento, fortemente rivendicato dal contraente forte senza nessuna volontà di riconoscere l’utilità della controparte, determina una illegittima situazione di asimmetria che non può essere sanata e ricondotta a normalità mediante le normali statuizioni sulla patologia e la responsabilità contrattuale: nessuna fattispecie di annullabilità, nullità, inefficacia, risoluzione per inadempimento sembra ravvisabile nel caso che ne occupa. Non rimane che valutare se sia possibile “operare le modifiche conformi alla intrinseca razionalità dell’operazione voluta dalle parti e rese obbligatorie dalla necessità di un agire corretto” nel contesto che ne occupa.

L’alternativa che si pone è quindi la seguente: o il comportamento di GAMMA S.p.A. è illecito, in quanto sanzionato dalla nullità della pattuizione che prevede il potere di imporre qualsiasi prezzo ritenga opportuno per il trasferimento delle linee; ovvero è contrario a buona fede, qualora tale pattuizione non sia illecita, pur essendo espressione di un abuso lesivo per il contraente debole.

In quest’ultima ipotesi, ritiene il giudice che la clausola generale della buona fede ex art. 1375 cod. civ. possa trovare un supporto operativo nella previsione dell’art. 1462, comma 2, cod. civ., a tenore della quale il giudice, pur in presenza di una clausola del tipo “solve et repete” valida (nel senso di non prima facie nulla o annullabile), come quella che al buio impone di accettare i prezzi e le condizioni del fornitore, può sospendere la condanna se riconosce esistere gravi motivi. In un giudizio che avesse cioè ad oggetto da un lato la richiesta di condanna del cliente al pagamento del corrispettivo di materiale e fornitura, e dall’altro la domanda contraria di revisione dei prezzi, con impugnazione della pattuizione in questione e delle condizioni di fornitura applicate da GAMMA S.p.A., il giudice del merito – qualora, lo si ripete, non sindacasse come direttamente nulla la clausola per violazione del disposto dell’art. 9 della legge n. 192 del 1998 - potrebbe sospendere la condanna al pagamento del corrispettivo.

Ma anche in questo procedimento cautelare tale soluzione può essere – mutadis mutandis - apprestata, in via provvisoria ed anticipata: anzi deve esserlo per evitare un pregiudizio grave ed irreparabile.

È però bene subito chiarire che tale irreparabilità non può essere individuata nella dedotta necessità di effettuare il trasloco di linea, pena “conseguenze irreparabili” per l’attività commerciale: ad un pericolo di lesione di tal fatta la parte può liberamente ovviare versando una somma di denaro (di circa 9300,00 euro) di importo non smisurato, nè in termini oggettivi nè in termini soggettivi.

Il vero periculum in mora è invece quello di vedere compressa in modo illegittimo o abusivo la propria libertà contrattuale; esso è attualmente percepibile nella impossibilità di reagire contrattualmente ad un abuso di posizione economica o dominante. La libertà contrattuale, è difatti espressione diretta di libertà fondamentale garantita dal Trattato sull’Unione Europea (tutelata a livello costituzionale solo indirettamente, in quanto l’art. 41, comma primo, Cost., protegge l’autonomia negoziale come mezzo di esplicazione della libertà di iniziativa economica, la quale si esercita normalmente in forma di impresa – sent. n. 268 del 22-30/06/1994, est. Mengoni): tale libertà, come ogni diritto assoluto ed incomprimibile, può essere compressa solo nei casi previsti dalla legge, e deve essere tutelata solo in via preventiva, quale “diritto fondamentale di autodeterminazione”.

Occorre quindi rimediare ad una “ipotesi di strutturale soggezione” di una parte debole rispetto a chi ha predeterminato unilateralmente il contenuto del negozio e del rapporto. La riparazione risarcitoria, qualora giungesse, avrebbe comunque e solo una funzione riparatoria per equivalente: ma qui ed ora non è tanto in discussione la reale quantificazione del valore della prestazione che sarà effettuata dal “monopolista”, quanto la stessa possibilità che tale quantificazione sia oggetto di trattative, venga discussa e liberamente pattuita. Non interessa quello che potrà essere in futuro un risarcimento del danno o la risoluzione stessa del contratto per inadempimento, quanto la privazione di qualsiasi spazio di tutela del contraente debole all’interno del contratto e nel rapporto.

La deriva asimmetrica alla quale è abbandonato il rapporto, per fatto del contraente forte, è un disvalore in sè, al quale la stessa parte ha mostrato di non voler porre rimedio con un comportamento improntato a canoni di buona fede: per fare salvo il diritto della controparte sarebbe bastato un minimo sacrificio delle proprie prerogative. La proposta conciliativa del giudice, volta a consentire da parte della GAMMA S.p.A. successivamente alla fornitura (che sarebbe stata regolarmente pagata dal cliente) una indagine sull’effettivo costo dei materiali e delle opere con diritto di regresso per i maggiori o ingiustificati importi, non minava il diritto della resistente al giusto corrispettivo, ma veniva di fatto ad eliminare la sua ingiustificata e insondabile rendita perpetua da posizione, ed a riportare ad equità la dinamica del rapporto. Il rifiuto di conciliazione costituisce quindi ulteriore sintomo dell’atteggiamento di mala fede della resistente, oltre che la dimostrazione della impossibilità per ALFA S.r.l. di una accettazione con riserva dei costi unilateralmente predisposti da GAMMA S.p.A..

Per tutelare in via cautelare la libertà contrattuale del contraente debole, altrimenti lesa in modo verosimilmente definitivo e comunque in modo non ristorabile, se non per equivalente, deve adottarsi il provvedimento richiesto, accertando incidentalmente il diritto della ALFA S.r.l. ad ottenere la prestazione richiesta (trasloco dei flussi di linea), ma con la possibilità di contestare in un successivo giudizio i costi unilateralmente determinati da GAMMA S.p.A., ed ordinando quindi alla resistente GAMMA S.p.A. di effettuare gli interventi richiesti, salve ed impregiudicate le sue determinazioni di richiedere successivamente al cliente quanto dalla stessa ritenuto contrattualmente dovuto, fermo però il diritto del contraente debole di ottenere tutela qualora ritenga eccessivi i costi.

Non fa parte del provvedimento il giudizio sulla debenza dei maggiori canoni da parte di ALFA S.r.l., la quale dovrà preventivamente sanare la propria eventuale morosità (qualora sussistente, ma tanto non risulta alla luce della documentazione dimessa, avendo la resistente fatturato il costo di una sola linea di flusso, debitamente pagata dalla cliente). In ogni caso questa dinamica di corrispettività non rappresenta un limite per l’adozione del presente provvedimento cautelare.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

in accoglimento del ricorso ordina quindi alla resistente Gamma Spa di effettuare immediatamente gli interventi richiesti da Alfa Srl per il trasloco delle linee, salvo ed impregiudicato il diritto di Gamma Spa al compenso nei tempi contrattuali, ma salvo anche il diritto del cliente di vederne eventualmente sindacata la congruità. Condanna Gamma Spa al pagamento delle spese di lite, liquidate in complessivi XXX Euro, oltre Iva e Cnap come per legge."

Trieste, 20 settembre 2006.

Il giudice

Dott. Arturo Picciotto