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Una particolare ipotesi di improponibilità dell’istanza di arbitrato dinanzi alla C.C.A. presso il C.O.N.I.

In tema specifico è recentemente intervenuta la Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport presso il CO.N.I. (C.C.A.), in occasione dell’emissione della pronuncia del lodo relativo al caso Tizio/ F.I.G.C. (19-03-2008).

In breve, l’antefatto.

All’esito della declaratoria di fallimento dell’Ancona Calcio S.p.a., il Procuratore Federale F.I.G.C. deferiva alla Commissione Disciplinare c/o L.N.P. (ora assorbita in seno alla Commissione Disciplinare Nazionale c/o F.I.G.C.) il Sig. Tizio, ai fini dell’adozione, nei suoi confronti, dei provvedimenti di cui all’art. 21, c. 2, N.O.I.F., in relazione all’art. 21, c. 3, N.O.I.F., nonché in relazione all’art. 1, c. 1, C.G.S..

L’organo di giustizia sportiva, con decisione pubblicata nel C.U. n. 157 del 18/11/2005, ritenuti “integrati i presupposti formali” per l’applicazione dell’art. 21 N.O.I.F. (per il quale sono dirigenti delle società gli amministratori e tutti i soci che abbiano comunque responsabilità e rapporti nell’ambito dell’attività sportiva organizzata dalla F.I.G.C.), infliggeva al deferito la sanzione della preclusione a tempo indeterminato di cui all’art. 21, cc. 2 e 3, N.O.I.F., in base ai quali, rispettivamente:

1) non possono essere dirigenti, né avere responsabilità e rapporti nell’ambito delle attività sportive organizzate dalla F.I.G.C., gli amministratori che siano, o siano stati, componenti di organo direttivo di società cui sia stata revocata l’affiliazione a seguito di relativa dichiarazione di insolvenza (art. 21, c. 2, N.O.I.F.);

2) possono essere colpiti dalla preclusione di cui al precedente comma gli amministratori in carica al momento della deliberazione di revoca o della sentenza dichiarativa di fallimento e quelli incarica nel precedente biennio ... omissis ... (art. 21., c. 3, N.O.I.F.).

Il Sig. Tizio impugnava la predetta decisione dinanzi alla Commissione d’Appello Federale (C.A.F.), ora assorbita in seno alla Corte di Giustizia Federale, chiedendo che il provvedimento della Commissione Disciplinare c/o L.N.P. fosse integralmente riformata.

Con decisione pubblicata, in stralcio, sul C.U. 29/C del 16/01/2006, la C.A.F. accoglieva, sia pur parzialmente, l’appello interposto dal Sig. Tizio, rideterminando la sanzione inflitta a suo carico nell’inibizione per la durata di anni 5, con proposta, previo invio degli atti alla Presidenza Federale, di preclusione dello stesso, ai sensi dell’art. 14, c. 2, C.G.S. (ora art. 19, c. 3, C.G.S.).

Avverso tale provvedimento il Sig. Tizio promuoveva istanza di conciliazione dinanzi alla C.C.A., tuttavia, con esito negativo, non avendo, le parti, raggiunto accordo alcuno.

Pertanto, con successiva istanza di arbitrato, promossa in data 16 maggio 2007, il Sig. Tizio adiva la C.C.A. chiedendo “l’annullamento o, in subordine, la riduzione della sanzione irrogata”.

La F.I.G.C. si costituiva nel procedimento arbitrale de quo, eccependone, tra le altre cose, l’improponibilità, atteso che la prodromica istanza di conciliazione sarebbe stata promossa dal Sig. Tizio di gran lunga oltre il prescritto termine decadenziale di trenta giorni, da computarsi a far data dalla conoscenza del fatto o dell’atto da cui trae origine la controversia.

Infatti, ad avviso della F.I.G.C., detta istanza, “diretta a censurare il C.U. n. 29/C del 16 gennaio 2006”, sarebbe stata inviata alla F.I.G.C. “solo in data 8 novembre 2006”.

Ciò premesso, ai fini del puntuale inquadramento giuridico-sportivo della fattispecie in esame, sovviene l’art. 5 del Regolamento della C.C.A., per il quale “la controversia è sottoposta alla Camera dal soggetto affiliato (….) a pena di decadenza, entro e non oltre il termine perentorio di trenta giorni dalla data di conoscenza del fatto o dell’atto da cui trae origine la controversia”.

La formulazione della norma, dunque, è pacifica nell’affermare che, a far data dal momento in cui l’istante abbia conoscenza del provvedimento sanzionatorio, decorra il termine perentorio entro il quale egli debba rivolgersi all’organo camerale.

La stessa C.C.A., nella parte motiva del richiamato lodo (19-03-2008), ribadisce che tale interpretazione trova conforto anche nell’elaborazione giurisprudenziale in materia, dovendosi, ormai, ritenere ampiamente acclarato e consolidato il principio generale affermato, di recente, dal Consiglio di Stato, in base al quale “la decorrenza del termine di impugnazione ha inizio dalla data di conoscenza dell’esistenza del provvedimento lesivo e non già dalla data di conoscenza del suo contenuto”.

Il C.d.S. -asserisce sempre la C.C.A.-, ripercorrendo l’excursus giurisprudenziale ha chiarito, confermando le costanti ed univoche pronunce antecedenti, che “la conoscenza dell’esistenza di un provvedimento potenzialmente lesivo e degli elementi essenziali del suo contenuto sono idonei a far decorrere il termine di impugnazione” (C.d.S., Sez. VI, n. 829/2006).

Nel caso che ci occupa, dunque, all’esito della pubblicazione del dispositivo sul C.U. n. 29/C del 16 gennaio 2006, il soggetto aveva piena contezza circa l’esistenza del provvedimento e dei suoi elementi essenziali, i quali si intendono conosciuti quando “il legittimato all’impugnativa abbia avuto la concreta possibilità di rendersi conto della lesività del provvedimento” (C.d.S., Sez. IV, n. 1462/1998).

Al riguardo, pertanto, si può asserire come l’istanza preventiva di conciliazione rappresenti una vera e propria condizione di proponibilità dell’arbitrato, e non soltanto condizione di procedibilità del giudizio, poiché il carattere perentorio del termine per l’accesso alla fase di conciliazione, allorché venga meno, non ne permette un’estensione sine die.

Sulla base delle predette considerazioni, pertanto, la C.C.A. adita ha disatteso l’eccezione formulata dal Sig. Tizio volta a far emergere, dal mancato sollevamento dell’eccezione di improponibilità, da parte della F.I.G.C., durante la fase conciliativa, un implicito riconoscimento, per facta concludentia, del diritto del deferito.

La C.C.A., infatti, ha ritenuto che la circostanza per la quale il Conciliatore non avesse rilevato la tardività della domanda o, per la quale la F.I.G.C. non l’avesse opposta, non integri una causa che, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2966 del c.c., impedisca la decadenza.

Dalla fase conciliativa, invero, esula lo svolgimento di qualsivoglia funzione decisoria, e nel corso della medesima ci si limita a verificare la sussistenza dei presupposti ai fini di una pacifica composizione dei contrapposti interessi.

Ne discende, da un lato, che il Sig. Tizio non ha impedito la decadenza maturata col termine di trenta giorni dalla data di conoscenza dell’atto da cui traeva origine la controversia, dall’altro che, invece, detta decadenza è stata correttamente eccepita dalla F.I.G.C., con conseguente improponibilità dell’istanza di arbitrato avverso il C.U. n. 29/C del 16 gennaio 2006.

In tema specifico è recentemente intervenuta la Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport presso il CO.N.I. (C.C.A.), in occasione dell’emissione della pronuncia del lodo relativo al caso Tizio/ F.I.G.C. (19-03-2008).

In breve, l’antefatto.

All’esito della declaratoria di fallimento dell’Ancona Calcio S.p.a., il Procuratore Federale F.I.G.C. deferiva alla Commissione Disciplinare c/o L.N.P. (ora assorbita in seno alla Commissione Disciplinare Nazionale c/o F.I.G.C.) il Sig. Tizio, ai fini dell’adozione, nei suoi confronti, dei provvedimenti di cui all’art. 21, c. 2, N.O.I.F., in relazione all’art. 21, c. 3, N.O.I.F., nonché in relazione all’art. 1, c. 1, C.G.S..

L’organo di giustizia sportiva, con decisione pubblicata nel C.U. n. 157 del 18/11/2005, ritenuti “integrati i presupposti formali” per l’applicazione dell’art. 21 N.O.I.F. (per il quale sono dirigenti delle società gli amministratori e tutti i soci che abbiano comunque responsabilità e rapporti nell’ambito dell’attività sportiva organizzata dalla F.I.G.C.), infliggeva al deferito la sanzione della preclusione a tempo indeterminato di cui all’art. 21, cc. 2 e 3, N.O.I.F., in base ai quali, rispettivamente:

1) non possono essere dirigenti, né avere responsabilità e rapporti nell’ambito delle attività sportive organizzate dalla F.I.G.C., gli amministratori che siano, o siano stati, componenti di organo direttivo di società cui sia stata revocata l’affiliazione a seguito di relativa dichiarazione di insolvenza (art. 21, c. 2, N.O.I.F.);

2) possono essere colpiti dalla preclusione di cui al precedente comma gli amministratori in carica al momento della deliberazione di revoca o della sentenza dichiarativa di fallimento e quelli incarica nel precedente biennio ... omissis ... (art. 21., c. 3, N.O.I.F.).

Il Sig. Tizio impugnava la predetta decisione dinanzi alla Commissione d’Appello Federale (C.A.F.), ora assorbita in seno alla Corte di Giustizia Federale, chiedendo che il provvedimento della Commissione Disciplinare c/o L.N.P. fosse integralmente riformata.

Con decisione pubblicata, in stralcio, sul C.U. 29/C del 16/01/2006, la C.A.F. accoglieva, sia pur parzialmente, l’appello interposto dal Sig. Tizio, rideterminando la sanzione inflitta a suo carico nell’inibizione per la durata di anni 5, con proposta, previo invio degli atti alla Presidenza Federale, di preclusione dello stesso, ai sensi dell’art. 14, c. 2, C.G.S. (ora art. 19, c. 3, C.G.S.).

Avverso tale provvedimento il Sig. Tizio promuoveva istanza di conciliazione dinanzi alla C.C.A., tuttavia, con esito negativo, non avendo, le parti, raggiunto accordo alcuno.

Pertanto, con successiva istanza di arbitrato, promossa in data 16 maggio 2007, il Sig. Tizio adiva la C.C.A. chiedendo “l’annullamento o, in subordine, la riduzione della sanzione irrogata”.

La F.I.G.C. si costituiva nel procedimento arbitrale de quo, eccependone, tra le altre cose, l’improponibilità, atteso che la prodromica istanza di conciliazione sarebbe stata promossa dal Sig. Tizio di gran lunga oltre il prescritto termine decadenziale di trenta giorni, da computarsi a far data dalla conoscenza del fatto o dell’atto da cui trae origine la controversia.

Infatti, ad avviso della F.I.G.C., detta istanza, “diretta a censurare il C.U. n. 29/C del 16 gennaio 2006”, sarebbe stata inviata alla F.I.G.C. “solo in data 8 novembre 2006”.

Ciò premesso, ai fini del puntuale inquadramento giuridico-sportivo della fattispecie in esame, sovviene l’art. 5 del Regolamento della C.C.A., per il quale “la controversia è sottoposta alla Camera dal soggetto affiliato (….) a pena di decadenza, entro e non oltre il termine perentorio di trenta giorni dalla data di conoscenza del fatto o dell’atto da cui trae origine la controversia”.

La formulazione della norma, dunque, è pacifica nell’affermare che, a far data dal momento in cui l’istante abbia conoscenza del provvedimento sanzionatorio, decorra il termine perentorio entro il quale egli debba rivolgersi all’organo camerale.

La stessa C.C.A., nella parte motiva del richiamato lodo (19-03-2008), ribadisce che tale interpretazione trova conforto anche nell’elaborazione giurisprudenziale in materia, dovendosi, ormai, ritenere ampiamente acclarato e consolidato il principio generale affermato, di recente, dal Consiglio di Stato, in base al quale “la decorrenza del termine di impugnazione ha inizio dalla data di conoscenza dell’esistenza del provvedimento lesivo e non già dalla data di conoscenza del suo contenuto”.

Il C.d.S. -asserisce sempre la C.C.A.-, ripercorrendo l’excursus giurisprudenziale ha chiarito, confermando le costanti ed univoche pronunce antecedenti, che “la conoscenza dell’esistenza di un provvedimento potenzialmente lesivo e degli elementi essenziali del suo contenuto sono idonei a far decorrere il termine di impugnazione” (C.d.S., Sez. VI, n. 829/2006).

Nel caso che ci occupa, dunque, all’esito della pubblicazione del dispositivo sul C.U. n. 29/C del 16 gennaio 2006, il soggetto aveva piena contezza circa l’esistenza del provvedimento e dei suoi elementi essenziali, i quali si intendono conosciuti quando “il legittimato all’impugnativa abbia avuto la concreta possibilità di rendersi conto della lesività del provvedimento” (C.d.S., Sez. IV, n. 1462/1998).

Al riguardo, pertanto, si può asserire come l’istanza preventiva di conciliazione rappresenti una vera e propria condizione di proponibilità dell’arbitrato, e non soltanto condizione di procedibilità del giudizio, poiché il carattere perentorio del termine per l’accesso alla fase di conciliazione, allorché venga meno, non ne permette un’estensione sine die.

Sulla base delle predette considerazioni, pertanto, la C.C.A. adita ha disatteso l’eccezione formulata dal Sig. Tizio volta a far emergere, dal mancato sollevamento dell’eccezione di improponibilità, da parte della F.I.G.C., durante la fase conciliativa, un implicito riconoscimento, per facta concludentia, del diritto del deferito.

La C.C.A., infatti, ha ritenuto che la circostanza per la quale il Conciliatore non avesse rilevato la tardività della domanda o, per la quale la F.I.G.C. non l’avesse opposta, non integri una causa che, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2966 del c.c., impedisca la decadenza.

Dalla fase conciliativa, invero, esula lo svolgimento di qualsivoglia funzione decisoria, e nel corso della medesima ci si limita a verificare la sussistenza dei presupposti ai fini di una pacifica composizione dei contrapposti interessi.

Ne discende, da un lato, che il Sig. Tizio non ha impedito la decadenza maturata col termine di trenta giorni dalla data di conoscenza dell’atto da cui traeva origine la controversia, dall’altro che, invece, detta decadenza è stata correttamente eccepita dalla F.I.G.C., con conseguente improponibilità dell’istanza di arbitrato avverso il C.U. n. 29/C del 16 gennaio 2006.