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Vaccino: abbiamo dimenticato i Paesi in via di Sviluppo

Solo i più ricchi possono sopravvivere?
vaccino covid
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Vaccino: abbiamo dimenticato i paesi in via di sviluppo: abstract

Con la necessità mondiale di fronteggiare l’attuale pandemia da Sars-covid-19, la questione della distribuzione globale del vaccino e della liceità etica dei brevetti emersa in tutta la sua criticità: in questo articolo si intendono ripercorrere le basi giuridiche relative alla brevettazione dei farmaci, tra cui il vaccino, e le scelte politiche intraprese fino a questo momento.

Le imprese che per prime hanno conseguito il traguardo della brevettazione di un vaccino godono di un enorme potere contrattuale e, nonostante l’emergenza sanitaria, le maggiori potenze mondiali non sembrano aperte ad una nuova lettura dell’Accordo TRIPS che consenta l’accesso alla conoscenza come bene comune, deroghi ai consensuali meccanismi ordinari, ammettendo ad esempio le licenze obbligatorie, o incentivi l’investimento nel settore dei farmaci salvavita, qual è lo stesso vaccino.

Pertanto, nonostante la drastica situazione sanitaria ed economica, il dilemma etico-giuridico tra diritto alla salute e diritto industriale appare ancora una volta insolubile: gli effetti sono determinanti e inscindibili a livello globale, dai Paesi in via di sviluppo alle potenze mondiali.

 

Distribuzione del vaccino

Dopo un anno e mezzo dallo scoppio della pandemia, i dati sulla distribuzione delle dosi di vaccino a livello globale dimostrano che l’allocazione dei prodotti disponibili è tutt’altro che equa: invero, mentre gran parte dei Paesi occidentali pianificano la distribuzione dei richiami, se non di terze dosi, autorizzate lo scorso 9 settembre dalla Commissione tecnico-scientifica dell’AIFA, ai Paesi poveri sono stati consegnati meno della metà delle dosi di vaccino promesse. In particolare, su più di 5 miliardi di dosi di vaccino distribuite nel mondo, solo lo 0,3% è stato assegnato a nazioni a basso reddito e il 75% è concentrato in dieci Paesi, tutti fra i maggiormente sviluppati.

Appare chiaro, dunque, che l’immunizzazione della parte più povera del mondo non risulta attualmente un obiettivo primario dal punto di vista politico; dal punto di vista sanitario, però, si tratta di una scelta inefficiente in quanto miliardi di persone non vaccinate potrebbero costituire per il virus campo fertile per lo sviluppo di nuove varianti, potenzialmente resistenti al vaccino. Anche da un punto di vista utilitaristico, la risoluzione della pandemia è d’interesse primario, stimandosi che la pandemia causi globalmente la perdita economica di 375 miliardi di dollari al mese.

Il ricorso alla licenza obbligatoria, ossia la sospensione del brevetto e dei diritti ad esso connessi, non è stata al momento concretizzato; pertanto, la forza economica dei Paesi sviluppati consente loro l’approvvigionamento delle dosi necessarie, mentre i Paesi poveri sembrano quasi totalmente esclusi dall’accesso al vaccino, evidenziandosi così un netto scontro tra interessi economici e fini etici.

 

Basi giuridiche del vaccino: per comprendere cosa potrebbe accadere

Sul piano internazionale, la disciplina dei brevetti per invenzioni è affidata all’Accordo TRIPs, negoziato in Uruguay nel 1994, un allegato all’accordo che istituì l’OMC volto ad armonizzare e rafforzare le normative nazionali in materia della proprietà industriale.

A seguito della Dichiarazione di Doha del 2001, la prassi ha sviluppato una lettura dell’Accordo che prevede limiti ed eccezioni ai diritti di proprietà intellettuale al fine di evitare che la tutela privatistica soverchiasse diritti fondamentali quali la salute pubblica.

Secondo una lettura in chiave attuale dell’art. 31 articolo, gli Stati membri sarebbero autorizzati alla concessione di licenze obbligatorie per permettere la produzione e l’esportazione, anche su vasta scala, di un farmaco o vaccino brevettato o in corso di brevettazione contro sindrome da coronavirus al fine di sostenere, senza il previo consenso del titolare del monopolio, anche gli Stati privi della capacità produttiva necessaria per produrli localmente. La funzione delle licenze obbligatorie, invero, è quella di conferire il diritto di produrre e utilizzare l’invenzione ad un soggetto diverso dal titolare, pur durante il periodo di validità del brevetto; inoltre, l’art. 31-bis, introdotto a seguito dell’approvazione del Protocollo del 29/11/2007 consente ad uno Stato in difficoltà di esimersi dall’equo compenso dovuto al titolare del brevetto di un vaccino o altra invenzione.

L’adozione della deroga agli accordi TRIPS prevista dai detti articoli costituirebbe, dunque, un metodo efficace e rapido per eliminare le barriere e le disuguaglianze nell’accesso al vaccino, diversificandone la produzione e incrementandone l’approvvigionamento.

Tra l’altro, era già accaduto che i Paesi in via di sviluppo facessero ricorso all’art. 31 per fronteggiare situazioni di grave crisi di salute pubblica: fra tutte, di ricorda, nel 1998, la Pharmaceutical Manufacturers’ Association of South Africa ed altre 40 compagnie farmaceutiche che  avevano azionato una causa contro il Governo del Sudafrica, sostenendo che il Medicines and Related Substances Control Amendment Act 90, del 1997, in cui si prevedevano importazioni parallele di medicinali brevettati e licenze obbligatorie, costituisse violazione dell’Accordo TRIPS (artt. 7, 8 e 30) e della costituzione sudafricana.

 

Scelte politiche sul vaccino: cosa effettivamente sta accadendo

La proposta del rilascio di licenze obbligatorie per il vaccino anti-covid19 è stata presentata inizialmente da India e Sudafrica nell’ottobre 2020 ed è attualmente sostenuta da 63 governi, oltre che da centinaia di organizzazioni e delle agenzie delle Nazioni Unite, tra cui l’OMS e l’UNAIDS.

Il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha definito la situazione in atto una forma di “apartheid del vaccino affermando che il suo paese ed altri del Sud America potrebbero incrementarne la produzione se i brevetti fossero aboliti. Nonostante l’approvazione da parte di 100 Stati membri dell’OMC, l’opposizione di UE, Regno Unito, Svizzera, Giappone e Australia (e precedentemente alla svolta politica del, Segretario statunitense al Commercio Katherine Tai, anche degli USA) ne hanno bloccato l’approvazione, in considerazione del fatto che le mozioni richiedono una maggioranza dei due terzi dei 164 paesi membri.

Attualmente, gli Stati Uniti hanno limitato il numero di dosi destinato all’esportazione attraverso il “Defense Production Act che, nonostante non imponga direttamente alcun limite all’export, privilegia la distribuzione nei confronti dei consumatori nazionali. Di contro, la Russia ha adottato una strategia opposta, destinando la grande maggioranza delle dosi del proprio vaccino “Sputnik” all’esportazione, ritenendolo uno strumento di influenza geopolitica. Infine, l’Unione Europea ha intrapreso una via intermedia, avendo esportato fino ad ora circa 200 milioni di dosi di vaccino e avendone prodotti 400 (anche se va tenuto presente che gli impianti produttivi del vaccino appartengono a case farmaceutiche la cui sede legale non è in territorio UE).

Il 21 e il 22 maggio si è svolto a Roma il “Global Health Summit, nell’alveo della Presidenza italiana del G20, cui hanno partecipato le 20 maggiori potenze economiche che rappresentano più del 90% del PIL mondiale, l’80% del commercio globale e due terzi della popolazione del pianeta.

Al fine di conseguire una vaccinazione globale, sostenibile, equa ed efficace sono stati determinati i 16 principi della “Dichiarazione di Roma  ma le criticità del tema rimangono quelle accennate: considerare il vaccino alla stregua di un “bene comune” o quale base del profitto su cui le farmaceutiche costituiscono l’incentivo per la ricerca.

Pertanto, al fine di concretizzare quelle che per ora sono mere linee programmatiche, sarà necessario un significativo coordinamento e impegno da parte dei singoli Stati in quanto l’OMS non è più in grado di coordinare gli sforzi per un’equa suddivisione delle dosi di vaccino a livello internazionale né di vigilare efficacemente sull’operato degli Stati membri; di questi tempi, essa gode di scarsa discrezionalità nella gestione dei fondi che riceve (nel 2020, circa 4,3 miliardi di dollari) di cui la quota di contributi liberamente utilizzabili si assesta solo sul 20% totale.