Stato di eccezione, il monito di Agamben

messa alla prova
Ph. Alessandro Saggio / messa alla prova

«I giuristi non sono soltanto, come sono purtroppo ormai da tempo,

dei burocrati a cui incombe soltanto l’onere di giustificare il sistema in cui vivono.»

Giorgio Agamben, 30 luglio 2020

 

Lo «stato di eccezione» per Carl Schmitt

L’eccezione sfugge alla regola, sfugge alla norma, sfugge al diritto, e per questo richiede una decisione che prescinde dalle vigenti previsioni giuridiche. Una decisione che, pur svincolata sostanzialmente dal contesto giuridico, resta «un elemento formale specificamente giuridico»[1].

Lo stesso concetto di sovranità, in momenti di eccezionalità, deve essere rivisto. Se in tempo di pace si può asserire agevolmente che il popolo è sovrano, in tempi eccezionali il titolare della sovranità cambia. «Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione»[2] afferma Carl Schmitt in Teologia politica[3].

È come se il diritto fosse valido fino a uno speciale punto di rottura, oltre il quale viene sospeso e sostituito da volontà contingenti. L’eccezione è il fattore scatenante di una condizione in cui «l’autorità dimostra di non avere bisogno di diritto per creare diritto»[4].  

Per l’ordinamento giuridico scatta una specie di lockdown – per impiegare un termine purtroppo di moda – fintanto che la normalità non viene ripristinata. «Se si verifica tale situazione, allora è chiaro che lo Stato continua a sussistere, mentre il diritto viene meno»[5].

Per Carl Schmitt, dunque, nella normalità si ha lo Stato di diritto, nella eccezionalità, lo stato di eccezione. Da intendersi, quest’ultimo, come un ordine cha ha l’unico pregio di opporsi al caos o all’anarchia.

 

Lo «stato di eccezione» ripreso da Agamben

Il concetto di «stato di eccezione» appartiene alla cultura giuspolitica tedesca, dove è reso con il termine Ausnahmezustand. Nella dottrina anglosassone si parla, invece, di emergency powers e martial law. Quanto alla dottrina italiana, il modello costituzionale considera, quale strumento normativo eccezionale, il decreto legge. Tuttavia, come rileva Pisaneschi, «La prassi ha al contrario dimostrato che il decreto legge è stato utilizzato come uno strumento di normazione assolutamente ordinario. Il presupposto della necessità ed urgenza è divenuto più che un requisito giuridicamente vincolante, una sorta di formula di rito per giustificare interventi in campi disparati, oggettivamente privi anche di un “minimo” di urgenza di provvedere»[6].

A riprendere il concetto di «stato di eccezione» in tempi recenti – e quasi profeticamente – è stato il filosofo Giorgio Agamben. Prima nell’opera “Stato di eccezione”[7], quindi, più tardi, durante la pandemia, sul sito della casa editrice Quodlibet[8].

Sulla scorta delle teorie di Carl Schmitt, Agamben individua nello stato di eccezione la sospensione dell’ordine costituzionale ad opera della stessa autorità statale che dovrebbe garantirne il rispetto.[9] Contestualmente, riconosce che l’adozione di misure provvisorie e straordinarie sta diventando una consueta – seppur pericolosa e ingiustificata – tecnica di governo, che rischia di trasformare tutto in emergenza.

 

Lo «stato di eccezione» è adesso

Se nell’opera pubblicata nel 2003 Agamben si limita a una ricostruzione storica del concetto, nella sua rubrica «Una voce» su Quodlibet.it entra nel vivo della cronaca, riconoscendo lo «stato di eccezione» nello Stato contemporaneo.

Il suo pensiero, nel corso della epidemia di Covid-19, si è distinto per singolarità e audacia. Mentre il mondo intellettuale, pericolosamente compatto, si muoveva in una direzione, Agamben offriva un contraddittorio. Se ammettiamo che la conoscenza – anche scientifica – non proviene dagli oracoli, ma da processi dialettici, possiamo riconoscere nel contradditorio uno speciale valore epistemico. Solo con queste premesse si può apprezzare un pensiero disallineato e a tratti provocatorio, distante anni luce dalla narrazione mainstream.

Analizzando le prime e nuove misure di emergenza adottate in Italia, il 26 febbraio 2020 Agamben torna su quel concetto che aveva riesumato a inizio secolo: «Innanzitutto si manifesta ancora una volta la tendenza crescente a usare lo stato di eccezione come paradigma normale di governo»[10]. Sono dichiarate avverate le previsioni teoriche formulate in anni di studi, le degenerazioni di un disegno più ampio in fase di realizzazione. Lo stato di eccezione, profetizzato e presagito, si materializzava nel tempo presente, quale ospite sgradito ma atteso.

«Ciò che colpisce nelle reazioni ai dispositivi di eccezione che sono stati messi in atto nel nostro paese (e non soltanto in questo) è l’incapacità di osservarli al di là del contesto immediato in cui sembrano operare»[11] scrive Agamben l’11 maggio 2020. «Rari sono coloro che provano invece, come pure una seria analisi politica imporrebbe di fare, a interpretarli come sintomi e segni di un esperimento più ampio, in cui è in gioco un nuovo paradigma di governo degli uomini e delle cose»[12]. Ad essere rimproverata è l’incapacità di leggere gli eventi contemporanei con il distacco richiesto al pensiero critico. Più volte, nei suoi interventi, ritorna l’immagine di una paura che rifiuta qualsiasi indagine, qualsiasi critica, qualsiasi obiezione. Una paura divorante che tenta di salvaguardare ciecamente l’unico valore della nostra epoca: la nuda vita biologica, spogliata di principi e ideali.

Rispondendo a un «giurista», il 30 luglio 2020, il filosofo contemporaneo solleva una questione dai risvolti illuminanti: «Quali che siano i suoi scopi, che nessuno può pretendere di valutare con certezza, lo stato di eccezione è uno solo e, una volta dichiarato, non si prevede alcuna istanza che abbia il potere di verificare la realtà o la gravità delle condizioni che lo hanno determinato»[13].

Il problema è il seguente: chi stabilisce cos’è eccezionale e cosa no?

In altre parole, quali caratteristiche deve avere un’eccezione per essere tale? O si determina con certezza cos’è un’eccezione o l’eccezione diventa la regola, con conseguenti stati di eccezione che soffocano volentieri le libertà.

Al di là del merito, l’insegnamento di Agamben è soprattutto di metodo: la critica è un dovere civile dinanzi alla compressione dei diritti.

 

[1] C. Schmitt, Le categorie del «politico». Saggi di teoria politica a cura di Gianfranco Miglio e di Pierangelo Schiera, Il Mulino, 2014, 39.

[2] Ibidem, 37.

[3] Teologia politica. Quattro capitoli sulla dottrina della sovranità (1922), in Le categorie del «politico», cit., 37 ss.

[4] C. Schmitt, Le categorie del «politico», cit., 40.

[5] Ibidem, 39.

[6] A. Pisaneschi, Diritto costituzionale, Giappichelli, 2018, 144.

[7]  G. Agamben, Stato di eccezione, Bollati Boringhieri, 2003.

[8] Cfr. la rubrica “Una voce” di Giorgio Agamben:  https://www.quodlibet.it/una-voce-giorgio-agamben.

[9] Cfr. G. Agamben, Stato di eccezione, cit., 14-15.

[10] G. Agamben, L’invenzione di un’epidemia, Quodlibet.it: https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-l-invenzione-di-un-epidemia, 26 febbraio 2020.

[11] G. Agamben, Biosicurezza e politica, Quodlibet.it: https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-biosicurezza, 11 maggio 2020.

[12] Ibidem.

[13] G. Agamben, Stato di eccezione e stato di emergenza, Quodlibet.it: https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-stato-di-eccezione-e-stato-di-emergenza, 30 luglio 2020.