Ambiente: entra in vigore la nuova Autorizzazione “unica” (Aua). Più ombre che luci
Annunciata, pubblicizzata, forse anche “mitizzata” e, poi, lungamente attesa, finalmente è arrivata: il 13 giugno è entrato infatti in vigore il Regolamento che introduce l’Aua, cioè l’Autorizzazione unica ambientale. Sembra proprio il caso di dire: un nome che è tutto un programma...
Si tratta, infatti, di un’unica autorizzazione che sostituisce tutte le principali autorizzazioni ambientali “settoriali” determinando una notevole semplificazione burocratica e, questa almeno è l’intenzione del legislatore, un risparmio di costi e tempi per le imprese.
Il Regolamento in questione è stato emanato con Decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 2013, n. 59 (pubblicato sul Supplemento ordinario n. 42 alla Gazzetta Ufficiale 29 maggio 2013, n. 124), in attuazione dell’art. 23 del decreto-legge n. 5/2012 (il cosiddetto “decreto semplificazioni” del Governo Monti, convertito con legge n. 35/2012).
A dire il vero, non è la prima volta che il legislatore ci prova, ma è la prima volta in cui ci riesce.
Ci aveva provato, ad esempio, con l’art. 51 del decreto legislativo n. 152/2006 (oggi abrogato), che aveva affidato al Ministro dell'ambiente il compito di accorpare in un unico provvedimento – denominato allora “autorizzazione unica ambientale per le piccole imprese” – le diverse autorizzazioni ambientali nel caso di impianti non soggetti ad Aia, ma sottoposti a più di una autorizzazione ambientale di settore.
I vari tentativi, succedutesi negli anni, di procedere ad una radicale semplificazione del quadro delle autorizzazioni ambientali sono però rimasti, tutti, lettera morta.
Non va peraltro dimenticato che lo stesso Codice dell’ambiente (il già citato decreto legislativo n. 152/2006) prevede già, rispetto a specifiche attività, delle autorizzazioni definibili “uniche”. È unica, ad esempio, l’autorizzazione per gli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti (in “regime ordinario”), la quale, peraltro, «sostituisce ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali» (dunque, anche quelli di natura “extrambientale”, in primis i titoli edilizi) e «costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori».
Ed è unica, inoltre, l’autorizzazione con cui viene approvato il progetto di bonifica di un sito inquinato, la quale, infatti, ai soli fini ovviamente della realizzazione e dell’esercizio degli impianti e delle attrezzature necessarie all’attuazione di questo progetto, «sostituisce a tutti gli effetti le autorizzazioni, le concessioni, i concerti, le intese, i nulla osta, i pareri e gli assensi previsti dalla legislazione vigente compresi, in particolare, quelli relativi alla valutazione di impatto ambientale, ove necessaria, alla gestione delle terre e rocce da scavo all'interno dell'area oggetto dell'intervento ed allo scarico delle acque emunte dalle falde» e costituisce anch’essa «variante urbanistica e comporta dichiarazione di pubblica utilità, di urgenza ed indifferibilità dei lavori».
Ancora, può in parte considerarsi “unica” anche la stessa Aia. Ma qui occorre fare una precisazione: l’Aia, infatti, sostituisce soltanto alcune specifiche autorizzazioni “ambientali” e, soprattutto, abilita – di regola – esclusivamente all’esercizio dell’impianto, non anche alla sua costruzione.
La nuova autorizzazione (l’Aua, appunto) è destinata a sostituire, in sintesi: l’autorizzazione allo scarico di acque reflue, le autorizzazioni alle emissioni in atmosfera (sia quella puntuale, sia quella generale), le comunicazioni e nulla osta in materia di inquinamento acustico, le comunicazioni relative al regime semplificato in materia di rifiuti, la comunicazione preventiva per l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento e delle acque di vegetazione dei frantoi oleari e l’autorizzazione all'utilizzo dei fanghi di depurazione in agricoltura.
Va richiesta allo Sportello unico per le attività produttive (Suap) istituito presso ciascun Comune, viene rilasciata dalla Provincia (salvo che la normativa regionale non indichi una diversa autorità) ed ha la durata di 15 anni.
Ma a quali imprese si applica? La norma, a questo riguardo, non brilla per chiarezza. È sicuramente più semplice dire a chi non si applica.
Primo caso: l’Aua non si applica agli impianti soggetti ad Autorizzazione integrata ambientale (Aia). Il motivo è, evidentemente, che – come già detto – l’Aia rappresenta già una sorta di autorizzazione “unica” ambientale.
V’è da dire, però, che il “catalogo” delle autorizzazioni settoriali sostituite dall’Aia non coincide con quello delle autorizzazioni sostituite dall’Aua; per averne conferma basta mettere a confronto l’elenco dell’art. 3 del Regolamento con quello di cui all’allegato IX alla Parte II del decreto legislativo n. 152/2006. Ciò crea l’effetto paradossale per cui alcune autorizzazioni sono sostituite dall’Aia, ma non dall’Aua (ad es. la già citata autorizzazione unica per gli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti di cui all’art. 208 del decreto legislativo 152/2006, la quale ha, peraltro, l’ulteriore effetto, di norma sconosciuto alle autorizzazioni ambientali, di sostituire anche i titoli edilizi e di variare lo strumento urbanistico), mentre altre sono sostituite dall’Aua ma non dall’Aia (ad es., la comunicazione preventiva per l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento e delle acque di vegetazione dei frantoi oleari e le comunicazioni e nulla osta in materia di inquinamento acustico).
Secondo caso: l’Aua non si applica agli impianti (ma sarebbe più corretto dire: ai progetti) sottoposti a Valutazione di impatto ambientale (Via), qualora (e non sempre è così, perché dipende anche dalle normative regionali) quest’ultima abbia efficacia sostitutiva delle autorizzazioni ambientali.
Terzo caso: l’Aua non si applica agli impianti soggetti alla più volte menzionata autorizzazione unica per gli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti di cui all’art. 208 del decreto legislativo 152/2006, i quali restano perciò sottoposti soltanto a quest’ultima, avendo essa già efficacia sostitutiva delle altre autorizzazioni.
Dunque, a chi si applica? Per “esclusione” (si potrebbe dire), l’Aua si applica a tutte le altre imprese che, per esercitare la propria attività, necessitano di almeno una delle autorizzazioni ambientali di settore sostituite dall’Aua (v. art. 3, comma 1, Regolamento).
Se le cose stanno in questi termini, viene allora da chiedersi perché l’art. 1, comma 1 del Regolamento sia formulato come segue: il Regolamento sull’Aua si applica «alle categorie di imprese di cui all’articolo 2 del decreto del Ministro delle attività produttive 18 aprile 2005 (…), nonché agli impianti non soggetti alle disposizioni in materia di autorizzazione integrata ambientale».
Il riferimento al Dm 18 aprile 2005 sulle piccole e medie imprese (Pmi) introduce, infatti, un elemento di ambiguità che, obiettivamente, sarebbe stato più opportuno evitare. Ambiguità che, a dire il vero, deriva dalla stessa norma (il citato art. 23 del “decreto semplificazioni”, così come integrato dalla legge di conversione) che ha previsto l’introduzione dell’Aua, la quale, pur dichiarando di voler «semplificare le procedure e ridurre gli oneri per le Pmi», ha testualmente “autorizzato” il Governo «ad emanare un regolamento ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (…), volto a disciplinare l’autorizzazione unica ambientale e a semplificare gli adempimenti amministrativi delle piccole e medie imprese e degli impianti non soggetti alle disposizioni in materia di autorizzazione integrata ambientale».
Se il legislatore avesse voluto “riservare” l’Aua alle sole Pmi (lo si potrebbe desumere anche dal richiamo operato al «principio di proporzionalità degli adempimenti amministrativi in relazione alla dimensione dell’impresa e al settore di attività»), avrebbe dovuto formulare la norma in termini diversi. L’estensione dell’Aua anche alle imprese che non abbiano i requisiti per essere classificate come Pmi è stata però espressamente voluta dalla già citata legge di conversione del decreto-legge n. 5/2012, che ha appunto aggiunto al comma 1 dell’art. 23, dopo le parole «ferme restando le disposizioni in materia di autorizzazione integrata ambientale di cui al titolo 3-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, al fine di semplificare le procedure e ridurre gli oneri per le PMI», l’inciso «e per gli impianti non soggetti alle citate disposizioni in materia di autorizzazione integrata ambientale», e dopo le parole «sentita la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, volto a disciplinare l'autorizzazione unica ambientale e a semplificare gli adempimenti amministrativi delle piccole e medie imprese», l’inciso «e degli impianti non soggetti alle disposizioni in materia di autorizzazione integrata ambientale».
In altre parole, sbandierata come l’“autorizzazione ambientale delle Pmi”, l’Aua è, in realtà, l’unica autorizzazione ambientale che, d’ora in poi, si applicherà a tutti gli impianti, con l’unica eccezione di quelli assoggettati ad Aia o ad autorizzazione unica al trattamento di rifiuti (ovviamente, se non inclusa nell’Aia) o a Via con efficacia “sostitutiva” delle autorizzazioni.
Non sembra superfluo segnalare, in ogni caso, che l’Aua non sostituisce il titolo edilizio (si tratta, a ben vedere, di un’occasione persa, dal momento che l’assorbimento da parte dell’Aua anche del titolo edilizio avrebbe comportato – questo sì – un’importante semplificazione burocratica; si potrebbero semmai nutrire dubbi, non del tutto infondati, sul fatto che il Regolamento fosse “autorizzato” dalla norma primaria a procedere a questa ulteriore semplificazione).
Un giudizio complessivo su questo strumento innovativo non potrà che essere rinviato alla sua concreta applicazione.
Si può però effettuare già una prima valutazione “sulla carta” e formulare alcune previsioni.
Fra gli aspetti positivi vi è, senza dubbio, l’auspicata semplificazione amministrativa che deriva dall’avvenuto “accorpamento” in un unico provvedimento delle varie autorizzazioni di settore e dall’aver individuato un unico “interlocutore” per l’operatore economico.
Maggiori appaiono, tuttavia, quelli negativi.
Fra questi, innanzitutto, la non chiarissima ripartizione dei ruoli fra i due “protagonisti” pubblici del procedimento di rilascio dell’Aua: lo Suap e la Provincia. Nell’art. 2 si legge, prima, che l’Aua è «il provvedimento rilasciato dallo sportello unico per le attività produttive, che sostituisce gli atti di comunicazione, notifica ed autorizzazione in materia ambientale di cui all'articolo 3», e, subito dopo, che la Provincia (o la diversa autorità indicata dalla normativa regionale) è l’«autorità competente» ai fini del «rilascio, rinnovo e aggiornamento dell'autorizzazione unica ambientale, che confluisce nel provvedimento conclusivo del procedimento adottato dallo sportello unico per le attività produttive» (questa costituisce, tra l’altro, una delle correzioni apportare in sede di stesura finale del testo, dal momento che nello schema di Regolamento di qualche mese fa la Provincia non compariva nemmeno, mentre venivano espressamente indicate la Regione e la Provincia autonoma).
In secondo luogo, desta perplessità la scelta stessa di investire lo Suap del compito di fungere da “interfaccia” unico del privato, scelta frutto forse di aspettative eccessive circa le sue possibili “performance” in un settore, quale è quello ambientale, in cui l’istruttoria presenta indubbi e significativi profili di complessità tecnica. L’inevitabile “atomizzazione” dei canali attraverso i quali confluiranno alle Province le domande di autorizzazione presenta inoltre il rischio di dare luogo, sul territorio nazionale e addirittura all’interno di una stessa Provincia, a procedure a diverse “velocità”, con ciò che ne consegue in termini di disparità di trattamento. Senza trascurare le insoddisfacenti prove che, molto spesso, hanno dato i Comuni nella gestione delle procedure ambientali di propria competenza (beninteso, il più delle volte, per colpe non loro, stante il progressivo prosciugamento delle risorse agli stessi destinate, in palese contraddizione con la proclamata evoluzione in senso “federale” del nostro ordinamento). Se l’obiettivo era quello, condivisibilissimo, di semplificare o comunque razionalizzare i procedimenti per il rilascio delle autorizzazioni ambientali, sarebbe forse stato opportuno cogliere questa occasione per creare anche un unico “centro di imputazione” delle relative competenze amministrative, su cui concentrare risorse, competenze specialistiche e strutture e su cui far coerentemente confluire – senza “intermediari” – le domande di autorizzazione (alle quali è, come si sa, abbinato un fitto dialogo “bidirezionale”, fatto di continui confronti e di richieste di integrazioni documentali e chiarimenti). Centro di imputazione che quindi ben poteva essere individuato – senza inutili incertezze e sovrapposizioni di ruoli – nella sola Provincia.
In terzo luogo, appare sin troppo “timida” la scelta di non far sostituire dall’Aua anche l’autorizzazione ordinaria degli impianti di trattamento rifiuti; scelta che – come detto – ha determinato la creazione di una “terza ipotesi” di esclusione dall’Aua (oltre a quelle riguardanti gli impianti soggetti ad Aia e a Via con effetto sostitutivo) e che, oltretutto, non risulta in linea con il criterio direttivo fissato dalla lett. a) del comma 1 dell’art. 23 del “decreto semplificazioni”, secondo il quale l’Aua avrebbe dovuto sostituire «ogni atto di comunicazione, notifica ed autorizzazione previsto dalla legislazione vigente in materia ambientale», senza dunque alcuna esclusione.
In quarto luogo, non appare del tutto chiara la formulazione di alcune disposizioni la cui interpretazione ha però importanti ricadute sul piano pratico. Ciò a causa del mancato coordinamento con le discipline di settore (coordinamento che, peraltro, sarebbe stato più corretto riservare ad una norma di rango primario modificativa del decreto legislativo n. 152/2006, anziché ad un Regolamento governativo).
Si pensi, in particolare, alla definizione di “modifica sostanziale”, che è dapprima descritta come «ogni modifica considerata sostanziale ai sensi delle normative di settore che disciplinano gli atti di comunicazione, notifica e autorizzazione in materia ambientale compresi nell'autorizzazione unica ambientale», ma poi si aggiunge «in quanto possa produrre effetti negativi e significativi sull'ambiente». Ma come ci si deve comportare quando le normative di settore, per qualificare una modifica come “sostanziale”, prevedono criteri fra loro diversi? E quando non richiedono, perché una modifica possa dirsi “sostanziale”, che «produca effetti negativi e significativi sull'ambiente»?
Si pensi, ancora, all’eventualità – tutt’altro che remota – che presso un Comune non sia ancora stato istituito lo Suap. A quale Ente, a partire dal 13 giugno, dovrà essere presentata la domanda di Aua? Sembra plausibile ritenere che essa possa essere presentata direttamente alla Provincia.
E poi, considerato che «i procedimenti avviati prima della data di entrata in vigore del presente regolamento sono conclusi ai sensi delle norme vigenti al momento dell’avvio dei procedimenti stessi» (art. 10, comma 1), quando un procedimento può dirsi «avviato»? Quando è stata semplicemente presentata la relativa istanza (che, ad esempio, in caso di rinnovo, va presentata con molti mesi di anticipo) o quando la Pubblica amministrazione vi ha già dato riscontro notiziandone il richiedente, ai sensi dell’art. 8, legge n. 241/1990, «mediante comunicazione personale» contenente, ad esempio, l’ufficio e la persona responsabile del procedimento?
Infine, cosa significa che «l’autorizzazione unica ambientale può essere richiesta alla scadenza del primo titolo abilitativo da essa sostituito»? Si tratta di un obbligo o di una facoltà? E se, come sembra, è un obbligo (laddove il Regolamento accorda al gestore delle facoltà, anziché degli obblighi, lo prevede espressamente, come avviene ad esempio rispetto alla facoltà di non avvalersi dell’Aua nel caso in cui si tratti di attività soggette solo a comunicazione o ad autorizzazione di carattere generale), ciò significa che, richiedendo l’Aua alla scadenza della prima autorizzazione settoriale, vengono rimesse in discussione anche tutte le prescrizioni contenute nella altre autorizzazioni ambientali assorbite, la cui scadenza “fisiologica” sarebbe stata, in ipotesi, molto più lontana nel tempo?
A queste (e ad altre) domande il Regolamento non fornisce alcuna risposta.
Dunque, per chiudere con una battuta, nonostante il 13 sembri il “numero fortunato” dell’Aua (che è stata, infatti, introdotta da un Dpr datato 13 marzo 2013 ed entrato in vigore il 13 giugno), per sapere se, con questo nuovo strumento, avranno davvero “fatto 13 alla schedina” o saranno state nuovamente illuse e poi deluse, le imprese dovranno attendere che si giochino le “partite” presso le numerosissime (ed assai diversificate) Amministrazioni locali chiamate velocemente adeguarsi a questa dirompente novità.
Annunciata, pubblicizzata, forse anche “mitizzata” e, poi, lungamente attesa, finalmente è arrivata: il 13 giugno è entrato infatti in vigore il Regolamento che introduce l’Aua, cioè l’Autorizzazione unica ambientale. Sembra proprio il caso di dire: un nome che è tutto un programma...
Si tratta, infatti, di un’unica autorizzazione che sostituisce tutte le principali autorizzazioni ambientali “settoriali” determinando una notevole semplificazione burocratica e, questa almeno è l’intenzione del legislatore, un risparmio di costi e tempi per le imprese.
Il Regolamento in questione è stato emanato con Decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 2013, n. 59 (pubblicato sul Supplemento ordinario n. 42 alla Gazzetta Ufficiale 29 maggio 2013, n. 124), in attuazione dell’art. 23 del decreto-legge n. 5/2012 (il cosiddetto “decreto semplificazioni” del Governo Monti, convertito con legge n. 35/2012).
A dire il vero, non è la prima volta che il legislatore ci prova, ma è la prima volta in cui ci riesce.
Ci aveva provato, ad esempio, con l’art. 51 del decreto legislativo n. 152/2006 (oggi abrogato), che aveva affidato al Ministro dell'ambiente il compito di accorpare in un unico provvedimento – denominato allora “autorizzazione unica ambientale per le piccole imprese” – le diverse autorizzazioni ambientali nel caso di impianti non soggetti ad Aia, ma sottoposti a più di una autorizzazione ambientale di settore.
I vari tentativi, succedutesi negli anni, di procedere ad una radicale semplificazione del quadro delle autorizzazioni ambientali sono però rimasti, tutti, lettera morta.
Non va peraltro dimenticato che lo stesso Codice dell’ambiente (il già citato decreto legislativo n. 152/2006) prevede già, rispetto a specifiche attività, delle autorizzazioni definibili “uniche”. È unica, ad esempio, l’autorizzazione per gli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti (in “regime ordinario”), la quale, peraltro, «sostituisce ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali» (dunque, anche quelli di natura “extrambientale”, in primis i titoli edilizi) e «costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori».
Ed è unica, inoltre, l’autorizzazione con cui viene approvato il progetto di bonifica di un sito inquinato, la quale, infatti, ai soli fini ovviamente della realizzazione e dell’esercizio degli impianti e delle attrezzature necessarie all’attuazione di questo progetto, «sostituisce a tutti gli effetti le autorizzazioni, le concessioni, i concerti, le intese, i nulla osta, i pareri e gli assensi previsti dalla legislazione vigente compresi, in particolare, quelli relativi alla valutazione di impatto ambientale, ove necessaria, alla gestione delle terre e rocce da scavo all'interno dell'area oggetto dell'intervento ed allo scarico delle acque emunte dalle falde» e costituisce anch’essa «variante urbanistica e comporta dichiarazione di pubblica utilità, di urgenza ed indifferibilità dei lavori».
Ancora, può in parte considerarsi “unica” anche la stessa Aia. Ma qui occorre fare una precisazione: l’Aia, infatti, sostituisce soltanto alcune specifiche autorizzazioni “ambientali” e, soprattutto, abilita – di regola – esclusivamente all’esercizio dell’impianto, non anche alla sua costruzione.
La nuova autorizzazione (l’Aua, appunto) è destinata a sostituire, in sintesi: l’autorizzazione allo scarico di acque reflue, le autorizzazioni alle emissioni in atmosfera (sia quella puntuale, sia quella generale), le comunicazioni e nulla osta in materia di inquinamento acustico, le comunicazioni relative al regime semplificato in materia di rifiuti, la comunicazione preventiva per l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento e delle acque di vegetazione dei frantoi oleari e l’autorizzazione all'utilizzo dei fanghi di depurazione in agricoltura.
Va richiesta allo Sportello unico per le attività produttive (Suap) istituito presso ciascun Comune, viene rilasciata dalla Provincia (salvo che la normativa regionale non indichi una diversa autorità) ed ha la durata di 15 anni.
Ma a quali imprese si applica? La norma, a questo riguardo, non brilla per chiarezza. È sicuramente più semplice dire a chi non si applica.
Primo caso: l’Aua non si applica agli impianti soggetti ad Autorizzazione integrata ambientale (Aia). Il motivo è, evidentemente, che – come già detto – l’Aia rappresenta già una sorta di autorizzazione “unica” ambientale.
V’è da dire, però, che il “catalogo” delle autorizzazioni settoriali sostituite dall’Aia non coincide con quello delle autorizzazioni sostituite dall’Aua; per averne conferma basta mettere a confronto l’elenco dell’art. 3 del Regolamento con quello di cui all’allegato IX alla Parte II del decreto legislativo n. 152/2006. Ciò crea l’effetto paradossale per cui alcune autorizzazioni sono sostituite dall’Aia, ma non dall’Aua (ad es. la già citata autorizzazione unica per gli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti di cui all’art. 208 del decreto legislativo 152/2006, la quale ha, peraltro, l’ulteriore effetto, di norma sconosciuto alle autorizzazioni ambientali, di sostituire anche i titoli edilizi e di variare lo strumento urbanistico), mentre altre sono sostituite dall’Aua ma non dall’Aia (ad es., la comunicazione preventiva per l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento e delle acque di vegetazione dei frantoi oleari e le comunicazioni e nulla osta in materia di inquinamento acustico).
Secondo caso: l’Aua non si applica agli impianti (ma sarebbe più corretto dire: ai progetti) sottoposti a Valutazione di impatto ambientale (Via), qualora (e non sempre è così, perché dipende anche dalle normative regionali) quest’ultima abbia efficacia sostitutiva delle autorizzazioni ambientali.
Terzo caso: l’Aua non si applica agli impianti soggetti alla più volte menzionata autorizzazione unica per gli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti di cui all’art. 208 del decreto legislativo 152/2006, i quali restano perciò sottoposti soltanto a quest’ultima, avendo essa già efficacia sostitutiva delle altre autorizzazioni.
Dunque, a chi si applica? Per “esclusione” (si potrebbe dire), l’Aua si applica a tutte le altre imprese che, per esercitare la propria attività, necessitano di almeno una delle autorizzazioni ambientali di settore sostituite dall’Aua (v. art. 3, comma 1, Regolamento).
Se le cose stanno in questi termini, viene allora da chiedersi perché l’art. 1, comma 1 del Regolamento sia formulato come segue: il Regolamento sull’Aua si applica «alle categorie di imprese di cui all’articolo 2 del decreto del Ministro delle attività produttive 18 aprile 2005 (…), nonché agli impianti non soggetti alle disposizioni in materia di autorizzazione integrata ambientale».
Il riferimento al Dm 18 aprile 2005 sulle piccole e medie imprese (Pmi) introduce, infatti, un elemento di ambiguità che, obiettivamente, sarebbe stato più opportuno evitare. Ambiguità che, a dire il vero, deriva dalla stessa norma (il citato art. 23 del “decreto semplificazioni”, così come integrato dalla legge di conversione) che ha previsto l’introduzione dell’Aua, la quale, pur dichiarando di voler «semplificare le procedure e ridurre gli oneri per le Pmi», ha testualmente “autorizzato” il Governo «ad emanare un regolamento ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (…), volto a disciplinare l’autorizzazione unica ambientale e a semplificare gli adempimenti amministrativi delle piccole e medie imprese e degli impianti non soggetti alle disposizioni in materia di autorizzazione integrata ambientale».
Se il legislatore avesse voluto “riservare” l’Aua alle sole Pmi (lo si potrebbe desumere anche dal richiamo operato al «principio di proporzionalità degli adempimenti amministrativi in relazione alla dimensione dell’impresa e al settore di attività»), avrebbe dovuto formulare la norma in termini diversi. L’estensione dell’Aua anche alle imprese che non abbiano i requisiti per essere classificate come Pmi è stata però espressamente voluta dalla già citata legge di conversione del decreto-legge n. 5/2012, che ha appunto aggiunto al comma 1 dell’art. 23, dopo le parole «ferme restando le disposizioni in materia di autorizzazione integrata ambientale di cui al titolo 3-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, al fine di semplificare le procedure e ridurre gli oneri per le PMI», l’inciso «e per gli impianti non soggetti alle citate disposizioni in materia di autorizzazione integrata ambientale», e dopo le parole «sentita la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, volto a disciplinare l'autorizzazione unica ambientale e a semplificare gli adempimenti amministrativi delle piccole e medie imprese», l’inciso «e degli impianti non soggetti alle disposizioni in materia di autorizzazione integrata ambientale».
In altre parole, sbandierata come l’“autorizzazione ambientale delle Pmi”, l’Aua è, in realtà, l’unica autorizzazione ambientale che, d’ora in poi, si applicherà a tutti gli impianti, con l’unica eccezione di quelli assoggettati ad Aia o ad autorizzazione unica al trattamento di rifiuti (ovviamente, se non inclusa nell’Aia) o a Via con efficacia “sostitutiva” delle autorizzazioni.
Non sembra superfluo segnalare, in ogni caso, che l’Aua non sostituisce il titolo edilizio (si tratta, a ben vedere, di un’occasione persa, dal momento che l’assorbimento da parte dell’Aua anche del titolo edilizio avrebbe comportato – questo sì – un’importante semplificazione burocratica; si potrebbero semmai nutrire dubbi, non del tutto infondati, sul fatto che il Regolamento fosse “autorizzato” dalla norma primaria a procedere a questa ulteriore semplificazione).
Un giudizio complessivo su questo strumento innovativo non potrà che essere rinviato alla sua concreta applicazione.
Si può però effettuare già una prima valutazione “sulla carta” e formulare alcune previsioni.
Fra gli aspetti positivi vi è, senza dubbio, l’auspicata semplificazione amministrativa che deriva dall’avvenuto “accorpamento” in un unico provvedimento delle varie autorizzazioni di settore e dall’aver individuato un unico “interlocutore” per l’operatore economico.
Maggiori appaiono, tuttavia, quelli negativi.
Fra questi, innanzitutto, la non chiarissima ripartizione dei ruoli fra i due “protagonisti” pubblici del procedimento di rilascio dell’Aua: lo Suap e la Provincia. Nell’art. 2 si legge, prima, che l’Aua è «il provvedimento rilasciato dallo sportello unico per le attività produttive, che sostituisce gli atti di comunicazione, notifica ed autorizzazione in materia ambientale di cui all'articolo 3», e, subito dopo, che la Provincia (o la diversa autorità indicata dalla normativa regionale) è l’«autorità competente» ai fini del «rilascio, rinnovo e aggiornamento dell'autorizzazione unica ambientale, che confluisce nel provvedimento conclusivo del procedimento adottato dallo sportello unico per le attività produttive» (questa costituisce, tra l’altro, una delle correzioni apportare in sede di stesura finale del testo, dal momento che nello schema di Regolamento di qualche mese fa la Provincia non compariva nemmeno, mentre venivano espressamente indicate la Regione e la Provincia autonoma).
In secondo luogo, desta perplessità la scelta stessa di investire lo Suap del compito di fungere da “interfaccia” unico del privato, scelta frutto forse di aspettative eccessive circa le sue possibili “performance” in un settore, quale è quello ambientale, in cui l’istruttoria presenta indubbi e significativi profili di complessità tecnica. L’inevitabile “atomizzazione” dei canali attraverso i quali confluiranno alle Province le domande di autorizzazione presenta inoltre il rischio di dare luogo, sul territorio nazionale e addirittura all’interno di una stessa Provincia, a procedure a diverse “velocità”, con ciò che ne consegue in termini di disparità di trattamento. Senza trascurare le insoddisfacenti prove che, molto spesso, hanno dato i Comuni nella gestione delle procedure ambientali di propria competenza (beninteso, il più delle volte, per colpe non loro, stante il progressivo prosciugamento delle risorse agli stessi destinate, in palese contraddizione con la proclamata evoluzione in senso “federale” del nostro ordinamento). Se l’obiettivo era quello, condivisibilissimo, di semplificare o comunque razionalizzare i procedimenti per il rilascio delle autorizzazioni ambientali, sarebbe forse stato opportuno cogliere questa occasione per creare anche un unico “centro di imputazione” delle relative competenze amministrative, su cui concentrare risorse, competenze specialistiche e strutture e su cui far coerentemente confluire – senza “intermediari” – le domande di autorizzazione (alle quali è, come si sa, abbinato un fitto dialogo “bidirezionale”, fatto di continui confronti e di richieste di integrazioni documentali e chiarimenti). Centro di imputazione che quindi ben poteva essere individuato – senza inutili incertezze e sovrapposizioni di ruoli – nella sola Provincia.
In terzo luogo, appare sin troppo “timida” la scelta di non far sostituire dall’Aua anche l’autorizzazione ordinaria degli impianti di trattamento rifiuti; scelta che – come detto – ha determinato la creazione di una “terza ipotesi” di esclusione dall’Aua (oltre a quelle riguardanti gli impianti soggetti ad Aia e a Via con effetto sostitutivo) e che, oltretutto, non risulta in linea con il criterio direttivo fissato dalla lett. a) del comma 1 dell’art. 23 del “decreto semplificazioni”, secondo il quale l’Aua avrebbe dovuto sostituire «ogni atto di comunicazione, notifica ed autorizzazione previsto dalla legislazione vigente in materia ambientale», senza dunque alcuna esclusione.
In quarto luogo, non appare del tutto chiara la formulazione di alcune disposizioni la cui interpretazione ha però importanti ricadute sul piano pratico. Ciò a causa del mancato coordinamento con le discipline di settore (coordinamento che, peraltro, sarebbe stato più corretto riservare ad una norma di rango primario modificativa del decreto legislativo n. 152/2006, anziché ad un Regolamento governativo).
Si pensi, in particolare, alla definizione di “modifica sostanziale”, che è dapprima descritta come «ogni modifica considerata sostanziale ai sensi delle normative di settore che disciplinano gli atti di comunicazione, notifica e autorizzazione in materia ambientale compresi nell'autorizzazione unica ambientale», ma poi si aggiunge «in quanto possa produrre effetti negativi e significativi sull'ambiente». Ma come ci si deve comportare quando le normative di settore, per qualificare una modifica come “sostanziale”, prevedono criteri fra loro diversi? E quando non richiedono, perché una modifica possa dirsi “sostanziale”, che «produca effetti negativi e significativi sull'ambiente»?
Si pensi, ancora, all’eventualità – tutt’altro che remota – che presso un Comune non sia ancora stato istituito lo Suap. A quale Ente, a partire dal 13 giugno, dovrà essere presentata la domanda di Aua? Sembra plausibile ritenere che essa possa essere presentata direttamente alla Provincia.
E poi, considerato che «i procedimenti avviati prima della data di entrata in vigore del presente regolamento sono conclusi ai sensi delle norme vigenti al momento dell’avvio dei procedimenti stessi» (art. 10, comma 1), quando un procedimento può dirsi «avviato»? Quando è stata semplicemente presentata la relativa istanza (che, ad esempio, in caso di rinnovo, va presentata con molti mesi di anticipo) o quando la Pubblica amministrazione vi ha già dato riscontro notiziandone il richiedente, ai sensi dell’art. 8, legge n. 241/1990, «mediante comunicazione personale» contenente, ad esempio, l’ufficio e la persona responsabile del procedimento?
Infine, cosa significa che «l’autorizzazione unica ambientale può essere richiesta alla scadenza del primo titolo abilitativo da essa sostituito»? Si tratta di un obbligo o di una facoltà? E se, come sembra, è un obbligo (laddove il Regolamento accorda al gestore delle facoltà, anziché degli obblighi, lo prevede espressamente, come avviene ad esempio rispetto alla facoltà di non avvalersi dell’Aua nel caso in cui si tratti di attività soggette solo a comunicazione o ad autorizzazione di carattere generale), ciò significa che, richiedendo l’Aua alla scadenza della prima autorizzazione settoriale, vengono rimesse in discussione anche tutte le prescrizioni contenute nella altre autorizzazioni ambientali assorbite, la cui scadenza “fisiologica” sarebbe stata, in ipotesi, molto più lontana nel tempo?
A queste (e ad altre) domande il Regolamento non fornisce alcuna risposta.
Dunque, per chiudere con una battuta, nonostante il 13 sembri il “numero fortunato” dell’Aua (che è stata, infatti, introdotta da un Dpr datato 13 marzo 2013 ed entrato in vigore il 13 giugno), per sapere se, con questo nuovo strumento, avranno davvero “fatto 13 alla schedina” o saranno state nuovamente illuse e poi deluse, le imprese dovranno attendere che si giochino le “partite” presso le numerosissime (ed assai diversificate) Amministrazioni locali chiamate velocemente adeguarsi a questa dirompente novità.