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Arbitrato - Cassazione Civile: da valutare il ricorso per Cassazione per i reclami avverso la liquidazione del compenso arbitrale

Con l’ordinanza in esame, la Corte Suprema di Cassazione analizza la natura del procedimento previsto dall’articolo 814 Codice di Procedura Civile (“Diritti degli arbitri”) e rimette all’esame del Primo Presidente la valutazione su una eventuale assegnazione alle Sezioni Unite Civili per la soluzione della questione di massima di particolare rilevanza.

In particolar modo nel caso di specie la Corte di Appello di Roma accoglie parzialmente il reclamo, avverso il decreto di liquidazione delle competenze arbitrali compiuta dal Presidente del Tribunale della stessa città riducendo la somma liquidata dal primo in favore degli arbitri e posta a carico solidale delle parti del giudizio arbitrale. Stabilisce, inoltre, che l’abrogazione delle tariffe forensi, ad opera del DL n. 1 del 2012, in attesa del decreto attuativo ex art. 9 del detto DL, non impediva di servirsi di quelle come strumento equitativo per valutare l’adeguatezza del compenso liquidato dagli arbitri. Le parti propongono, quindi, ricorso per cassazione sulla premessa di una rimeditazione, da parte della Corte stessa, circa l’ammissibilità del ricorso.

La Corte, ragionando come segue, rimette all’esame del Primo Presidente la soluzione della questione.

Innanzitutto esamina le pronunce delle Sezioni Unite del 2009 che hanno dichiarato che il procedimento di cui all’articolo 814 c.p.c., previsto per la liquidazione del compenso agli arbitri, svolge una “funzione giurisdizionale non contenziosa”, che, concludendosi con un ordinanza di natura essenzialmente privatistica, è insuscettibile di ricorso per cassazione. Per quanto si rilevi come quest’orientamento sia confermatoanche con le successive pronunce, la Corte sottolinea che ne è seguito un “forse troppo, automatico adeguamento giurisprudenziale”che non ha tenuto conto dell’intervenuta modifica della disciplina applicabile (gli articoli 814 e 825 c.p.c)”.

A modificare la natura dell’arbitrato interviene l’ordinanza n. 24153 del 2013, definita un “consapevole overrulling” in materiale processuale, con la quale si rileva che “l’attività degli arbitri rituali ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario”.

Da qui ne discende che il procedimento dell’articolo 814 c.p.c. non sembra più inquadrabile tra quelli riguardanti gli “atti integrativi della volontà negoziale, ex articolo 1349 Codice Civile. Sono gli arbitri, infatti, in caso di non accettazione della determinazione del proprio compenso, a rivolgersi al Presidente del tribunale per ottenere un suo provvedimento. Inoltre a sostegno del carattere contenzioso del procedimento milita il contenuto dell’accertamento che svolge il giudice, non finalizzato solo alla quantificazione numerica del credito dell’arbitro, bensì sovente destinato ad accertare anche la sussistenza di presupposti della prestazione, da cui difficilmente può prescindere il tribunale adito ex articolo 814 c.p.c..

Né si può addurre per negare il carattere del procedimento, la sua forma semplificata, visto che la giurisdizione contenziosa è sempre più calata in modelli sommari. Alla medesima conclusione conduce poi il confronto con analoghi procedimenti per la liquidazione di altre prestazioni professionali (non ultimo quello per i diritti ed onorari di avvocato), ai quali la giurisprudenza ha sempre riconosciuto carattere contenzioso e nei quali è perciò consentito l’accesso in Cassazione.

Viene infine in rilievo che la riforma del procedimento di liquidazione delle competenze arbitrali ha previsto che l’ordinanza presidenziale di liquidazione sia “soggetta al reclamo a norma dell’art. 825, quarto comma”, ossia al regime impugnatorio proprio del titolo esecutivo formatosi nell’ambito del procedimento arbitrale, su cui vi era ed è, ampia affermazione giurisprudenziale sulla sua ricorribilità in Cassazione. Peraltro, nonostante la norma faccia intendere che la reclamità dipenda solo dalla qualificazione del provvedimento come “titolo esecutivo” (quindi la sola ordinanza che contenga un quantum), appare più corretto intendere l’estensione di questo tipo di reclamo anche all’ordinanza avente un contenuto processuale, come ad esempio quella che neghi nel merito il diritto al compenso.

Con questi motivi, si comprende ancora meglio la necessità di un ripensamento della soluzione negativa, specie alla luce dell’overrulling delle stesse Sezioni Unite nel 2013, e la decisione della Corte del rimettere il ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite Civili, in ragione e per la soluzione della questione di massima di particolare importanza.

(Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, Ordinanza 2 febbraio - 8 marzo 2016, n.4517)

Con l’ordinanza in esame, la Corte Suprema di Cassazione analizza la natura del procedimento previsto dall’articolo 814 Codice di Procedura Civile (“Diritti degli arbitri”) e rimette all’esame del Primo Presidente la valutazione su una eventuale assegnazione alle Sezioni Unite Civili per la soluzione della questione di massima di particolare rilevanza.

In particolar modo nel caso di specie la Corte di Appello di Roma accoglie parzialmente il reclamo, avverso il decreto di liquidazione delle competenze arbitrali compiuta dal Presidente del Tribunale della stessa città riducendo la somma liquidata dal primo in favore degli arbitri e posta a carico solidale delle parti del giudizio arbitrale. Stabilisce, inoltre, che l’abrogazione delle tariffe forensi, ad opera del DL n. 1 del 2012, in attesa del decreto attuativo ex art. 9 del detto DL, non impediva di servirsi di quelle come strumento equitativo per valutare l’adeguatezza del compenso liquidato dagli arbitri. Le parti propongono, quindi, ricorso per cassazione sulla premessa di una rimeditazione, da parte della Corte stessa, circa l’ammissibilità del ricorso.

La Corte, ragionando come segue, rimette all’esame del Primo Presidente la soluzione della questione.

Innanzitutto esamina le pronunce delle Sezioni Unite del 2009 che hanno dichiarato che il procedimento di cui all’articolo 814 c.p.c., previsto per la liquidazione del compenso agli arbitri, svolge una “funzione giurisdizionale non contenziosa”, che, concludendosi con un ordinanza di natura essenzialmente privatistica, è insuscettibile di ricorso per cassazione. Per quanto si rilevi come quest’orientamento sia confermatoanche con le successive pronunce, la Corte sottolinea che ne è seguito un “forse troppo, automatico adeguamento giurisprudenziale”che non ha tenuto conto dell’intervenuta modifica della disciplina applicabile (gli articoli 814 e 825 c.p.c)”.

A modificare la natura dell’arbitrato interviene l’ordinanza n. 24153 del 2013, definita un “consapevole overrulling” in materiale processuale, con la quale si rileva che “l’attività degli arbitri rituali ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario”.

Da qui ne discende che il procedimento dell’articolo 814 c.p.c. non sembra più inquadrabile tra quelli riguardanti gli “atti integrativi della volontà negoziale, ex articolo 1349 Codice Civile. Sono gli arbitri, infatti, in caso di non accettazione della determinazione del proprio compenso, a rivolgersi al Presidente del tribunale per ottenere un suo provvedimento. Inoltre a sostegno del carattere contenzioso del procedimento milita il contenuto dell’accertamento che svolge il giudice, non finalizzato solo alla quantificazione numerica del credito dell’arbitro, bensì sovente destinato ad accertare anche la sussistenza di presupposti della prestazione, da cui difficilmente può prescindere il tribunale adito ex articolo 814 c.p.c..

Né si può addurre per negare il carattere del procedimento, la sua forma semplificata, visto che la giurisdizione contenziosa è sempre più calata in modelli sommari. Alla medesima conclusione conduce poi il confronto con analoghi procedimenti per la liquidazione di altre prestazioni professionali (non ultimo quello per i diritti ed onorari di avvocato), ai quali la giurisprudenza ha sempre riconosciuto carattere contenzioso e nei quali è perciò consentito l’accesso in Cassazione.

Viene infine in rilievo che la riforma del procedimento di liquidazione delle competenze arbitrali ha previsto che l’ordinanza presidenziale di liquidazione sia “soggetta al reclamo a norma dell’art. 825, quarto comma”, ossia al regime impugnatorio proprio del titolo esecutivo formatosi nell’ambito del procedimento arbitrale, su cui vi era ed è, ampia affermazione giurisprudenziale sulla sua ricorribilità in Cassazione. Peraltro, nonostante la norma faccia intendere che la reclamità dipenda solo dalla qualificazione del provvedimento come “titolo esecutivo” (quindi la sola ordinanza che contenga un quantum), appare più corretto intendere l’estensione di questo tipo di reclamo anche all’ordinanza avente un contenuto processuale, come ad esempio quella che neghi nel merito il diritto al compenso.

Con questi motivi, si comprende ancora meglio la necessità di un ripensamento della soluzione negativa, specie alla luce dell’overrulling delle stesse Sezioni Unite nel 2013, e la decisione della Corte del rimettere il ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite Civili, in ragione e per la soluzione della questione di massima di particolare importanza.

(Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, Ordinanza 2 febbraio - 8 marzo 2016, n.4517)