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Il negozio unilaterale atipico: profili di meritevolezza

Il negozio unilaterale atipico: profili di meritevolezza
Il negozio unilaterale atipico: profili di meritevolezza

Abstract

L’articolo 1987 del Codice Civile nel prevedere che “la promessa unilaterale di una prestazione non produce effetti obbligatori fuori dei casi ammessi dalla legge” sembrerebbe sancire la tesi di stretta tipicità delle promesse unilaterali e conseguentemente l’inammissibilità per i privati di predisporre schemi negoziali unilaterali atipici.

Ogni fattispecie negoziale, si dice, al fine di perfezionarsi e dunque di produrre effetti, pretende l’accordo delle parti, cosicché gli effetti che si produrranno nella sfera giuridico- patrimoniale degli interessati saranno il frutto di una volontaria e consapevole manifestazione di volontà. L’ordinamento, dunque, si preoccupa di tutelare i terzi estranei ad una stipulazione contrattuale, cosicché non solo di volta in volta, disciplina il singolo negozio unilaterale, ma, a detta di una parte della dottrina, non riconoscerebbe la validità ed efficacia di negozi unilaterali non tipicamente contemplati. Senonché, si è fatto notare, una interpretazione sistematica della norma in combinato disposto con l’articolo 1333 del Codice Civile unita al tramonto del dogma del consenso e della intangibilità della sfera del terzo porterebbe ad ammettere la promessa unilaterale atipica a condizione che sia “interessata e rifiutabile produttiva di effetti incrementativi”.

 

1. I termini della questione

Tradizionalmente si riteneva che il contratto fosse l’unico strumento generale di esplicazione dell’autonomia privata, e che, all’opposto, i negozi unilaterali fossero ammissibili nei soli casi previsti dalla legge.

In effetti il dato normativo appare incontrovertibile laddove, all’articolo 1987 Codice Civile nega la produzione di effetti giuridici delle promesse “fuori dei casi ammessi dalla legge”. Pertanto, nell’ordinamento giuridico non sono configurabili altri atti negoziali unilaterali, oltre quelli espressamente previsti dalla legge, che secondo una lettura particolarmente restrittiva della norma, si risolvono nella promessa di pagamento e nella ricognizione di debito (articolo 1988 Codice Civile), nella promessa al pubblico (articolo 1989 Codice Civile) e nei titoli di credito (articolo 1992 Codice Civile).

La scelta tipizzante del legislatore del ‘42 non sembra essere smentita neppure scorrendo le restanti norme del Codice.

Il termine “promessa” ricorre, in funzione definitoria, in un numero assai esiguo di disposizioni (artt. 79 – 81, 1381, 1822 Codice Civile), alcune delle quali prive di ogni attinenza con i rapporti obbligatori (è il caso delle norme che regolano la promessa di matrimonio); altre, relative a fattispecie appartenenti a paradigmi contrattuali (è l’ipotesi della promessa dell’obbligazione o del fatto del terzo, nonché della promessa di mutuo).

Altrove, il termine “promessa” è impiegato tra le righe del testo di legge, senza alcuna valenza definitoria (come accade, ad esempio, per l’oblazione del comitato).

Nell’intenzione del legislatore sarebbe possibile assumere unilateralmente un’obbligazione solo con contratto o donazione (obbligatoria) o ex articolo 1333 (contratto con obbligazioni a carico del proponente).

Il consenso dovrebbe,  da un lato, garantire l’intangibilità della sfera del terzo promissario, pur in presenza di un effetto favorevole, quale è la nascita di un diritto di credito e, dall’altro, garantire il promittente, perché l’assunzione dell’obbligazione dovrebbe essere così sempre giustificata causalmente  da un suo interesse meritevole, essendo la causa ex articolo 1325 n.2  Codice Civile elemento essenziale del contratto.

Nonostante il dato positivo, discusso è se l’articolo 1987 Codice Civile intenda circoscrivere l’operatività del vincolo obbligatorio unilaterale a ipotesi tipizzate e specificatamente indicate dal legislatore o se, piuttosto, il legislatore abbia comunque offerto all’interprete uno schema da plasmare nell’ambito dell’autonomia riconosciuta ai privati dall’ordinamento.

La soluzione al quesito è possibile solo ripercorrendo le argomentazioni addotte a sostegno di ciascuna delle due differenti impostazioni che si sono contese il campo.

 

2. Tesi negatrice

L’impostazione tradizionale è nel senso della tipicità delle promesse unilaterali.

In primo luogo, si afferma che il nostro ordinamento è ispirato all’idea della centralità del consenso.

Ogni negozio giuridico, e segnatamente il contratto, è la risultante della somma di una duplice volontà: quella del soggetto che  intende obbligarsi (la proposta) e quella della controparte beneficiaria che accoglie l’altrui obbligo (l’accettazione): sarebbe, pertanto, contrario al dato normativo che il vincolo obbligatorio potesse nascere solo per effetto della manifestazione di volontà di una sola delle due parti coinvolte.

L’orientamento in esame trova ulteriore conferma nell’articolo 1173 Codice Civile, inferendone che se il legislatore avesse voluto ricondurre le promesse unilaterali nell’ambito delle fonti delle obbligazioni, accanto ai contratti e ai fatti illeciti, lo avrebbe fatto espressamente e non avrebbe posto un limite cosi nitido alla efficacia obbligatoria delle stesse, quale quello contenuto nell’art 1987 del c.c.

In secondo luogo, ammettere l’atipicità delle promesse unilaterali significherebbe introdurre un inammissibile vulnus al principio causale.

Si dice, infatti, che gli spostamenti devono, di regola, rispondere ad una giustificazione obiettiva in termini di ragionevolezza.

Posto che la promessa produce un effetto obbligatorio che prescinde dalla giustificazione causale (promitto quia promitto), si produrrebbero spostamenti patrimoniali “acausali”, con un’inaccettabile violazione dell’articolo 1325 Codice Civile che, letto in combinato disposto con l’articolo 1418, comma 2 Codice Civile, ne sancisce la nullità.

Ad esito non diverso si perviene se si considera che riconoscere alle promesse unilaterali portata generale, comporterebbe l’ammissione di negozi giuridici unilaterali svincolati da ogni più rigido requisito formale.

Pur ammettendo il principio di libertà delle forme in ambito negoziale, in alcuni casi il legislatore impone forme particolari, solenni, per richiamare l’attenzione dell’autore sull’importanza dell’atto che si sta realizzando. Si pensi alla donazione e al suo rigore formale (atto pubblico). Se fosse possibile realizzare una promessa unilaterale atipica che realizzi uno scopo di liberalità, sarebbe facile l’elusione della forma dell’atto pubblico.

Infine, si richiama il principio dell’intangibilità della sfera giuridica altrui ex articolo 1372, salvo esplicite deroghe legislative ex articolo 1411 del Codice Civile.

 

3. Tesi favorevole e confutazione della tesi contraria

Una dottrina più evoluta, e di recente conio, caldeggia la tesi della atipicità delle promesse unilaterali.

Più nello specifico, l’orientamento favorevole propone una nuova lettura del rinvio previsto dall’articolo 1987 Codice Civile, che non deve essere inteso solo con riferimento alle disposizioni dello stesso Titolo IV del libro delle obbligazioni (artt. 1988, 1989, 1992 Codice Civile) ma con riferimento a qualunque altra norma giuridica che preveda una promessa unilaterale, fra le quali, in particolare, si colloca l’art 1333 Codice Civile.

Pertanto, l’articolo 1987 Codice Civile, attraverso il collegamento con l’articolo 1333 Codice Civile, sarebbe lo strumento per ammettere l’esistenza nell’ordinamento giuridico di un’ampia categoria di promesse unilaterali atipiche rifiutabili.

Il principio della cosiddetta relatività e del valore Inter partes della regola negoziale è dunque un principio non assoluto ma relativo, nel senso che il legislatore può derogarvi ed ha dimostrato di volervi derogare quando il terzo vede incrementato il proprio patrimonio, sempre che gli sia consentito di sottrarsi a tale attribuzione incrementativa.

Pertanto mentre sono tassative le ipotesi di negozi unilaterali che incidono nella sfera altrui senza alcuna possibilità di reazione da parte dell’oblato (che si trova quindi in una posizione di soggezione) costituisce invece il principio generale, come tale valido anche a prescindere da una tassativa previsione caso per caso, che un negozio unilaterale possa incrementare l’altrui patrimonio, salvo rifiuto.

Le preoccupazioni legate al principio dell’intangibilità della sfera giuridica altrui (1372) vengono, pertanto,  superate evidenziando come la sfera giuridica del soggetto che non dà il proprio consenso viene sufficientemente garantita da due circostanze:

  1. la prima è che lo schema previsto dall’articolo 1333 Codice Civile non prevede obbligazioni a carico del destinatario, ma a carico del solo proponente;
  2. la seconda è che gli effetti del negozio sono comunque eliminabili dal destinatario tramite il rifiuto.

La giurisprudenza dal canto suo in arresto molto significativo (Corte di Cassazione sentenza n. 9500 del 1987) ha applicato l’articolo 1333 del Codice Civile ad una vicenda nel quale il padre si era obbligato con la madre, in sede di separazione personale, a trasferire alla figlia minore la proprietà di un immobile, ad estinzione dell’obbligo di mantenimento e quindi solvendi causa, ed aveva poi adempiuto con una dichiarazione unilaterale traslativa formale, seguita da silenzio.

Per quanto riguarda il principio di causalità degli spostamenti patrimoniali occorre evidenziare che è in atto un processo di revisione della nozione tradizionale di causa del negozio, sia bilaterale che unilaterale.

La nuova concezione conduce al superamento della visione della causa in astratto, secondo cui gli spostamenti patrimoniali possono essere unicamente ricondotti unicamente a due funzioni (scambio, liberalità), ed al progressivo accoglimento della tesi della causa in concreto, che valorizza la funzione concretamente perseguita dalle parti o dalla parte, se trattasi di negozio unilaterale.

Inoltre occorre rilevare che il legislatore, utilizzando nel testo e nella rubrica dell’articolo 1333 Codice Civile, il termine “contratto” e inserendo tale norma nell’ambito della disciplina generale sui contratti abbia voluto imporre di esplicare sulle promesse unilaterali (atipiche) il medesimo controllo causale ex articolo 1325 previsto per i contratti. D’altronde è lo stesso art 1324 del Codice Civile che estende agli atti unilaterali tra vivi le norme che regolano i contratti. Ne  discende che anche in tale ambito il requisito causale di cui all’articolo 1325 è imprescindibile.

Poco convincenti risultano gli argomenti inerenti la “centralità del contratto” e quello formale.

In particolare si evidenzia come l’idea della centralità del contratto tra le fonti dell’obbligazione e del connesso dogma della volontà siano ormai tramontati.

Tale impostazione era connessa ad una visione “volontaristica” del contratto.

Un contratto è tale non perché sia il frutto delle volontà reali delle parti, ma in virtù dell’apparente  congruenza delle dichiarazioni rilasciate dai contraenti, senza considerare la possibilità, ammessa da taluno, che il contratto si formi senza accordo.

Quanto all’argomento formale se si ammette che le promesse unilaterali soggiacciono alle regole generali sui contratti, con questi condivideranno anche le disposizioni in tema di forma.

Quanto al rischio di elusione della forma imposta per gli atti di liberalità, è stato osservato che vanno tenuti distinti i concetti di gratuità e liberalità.

Un atto gratuito, in quanto privo di corrispettivo, non può per ciò solo essere definito liberale.

Il negozio gratuito, infatti, è sempre caratterizzato (e quindi giustificato causalmente), da un interesse patrimoniale anche mediato, purché giuridicamente rilevante, di chi si obbliga o trasferisce, che non si situa quindi a livello di “semplice motivo” dell’attribuzione gratuita. La conseguenza sul piano formale consisterà nella non assoggettabilità di ogni atto gratuito alla disciplina della forma solenne prevista per gli atti di liberalità (atto pubblico).

Ne deriva, pertanto, che una promessa unilaterale gratuita non abbisogni necessariamente di una forma particolare per essere valida. Si pensi al caso del fornitore che promette di eliminare a proprie spese i difetti dell’opera realizzata dal compratore con i materiali forniti, al fine di evitare un eventuale discredito commerciale.

Si pensi ancora alle lettere di patronage (o di gradimento) con le quali il dichiarante, di regola una società controllante, “presenta” ad una banca un aspirante cliente, di regola una propria società controllata, al fine di rafforzare il convincimento  (di solvibilità della controllata) della banca stessa che costui farà fronte ai propri impegni, conseguenti alla conclusione di contratti bancari di finanziamento.

Non vi è dubbio in questi casi trattarsi di tipiche promesse “gratuite e atipiche” sicuramente meritevoli sotto il profilo causale.

 

4. Conclusioni

- Le promesse unilaterali possono creare vincoli obbligatori anche al di fuori delle tipizzazioni operate dal legislatore.

- Il limite dei “casi ammessi dalla legge” frapposto dall’articolo 1987 Codice Civile opererebbe solo per quelle promesse acausali (in quanto tali astratte), per le quali più rigido è stato l’approccio del legislatore nel ricondurle a schemi tipici.

- Il principio della cosiddetta relatività e del valore inter partes della regola negoziale è dunque principio relativo e non assoluto in quanto il Codice dimostra di volervi derogare quando il terzo vede incrementato il suo patrimonio, sempre però che gli sia consentito di sottrarsi a tale attribuzione finanche incrementativa.