L’evoluzione dei controlli sulle società bancarie tra norme nazionali e regole europee

precetto
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Abstract

Negli ultimi anni il sistema dei controlli sulle banche è stato interessato nel nostro continente da un radicale processo evolutivo, che mira al superamento del modello della vigilanza nazionale armonizzata, cui si era sinora ispirata la legislazione europea, e alla realizzazione di una vera e propria Banking Union, caratterizzata da una vigilanza pienamente integrata a livello sovra nazionale. Lo scritto si propone di offrire l’evoluzione di tale processo dalla legge bancaria del ’36 ai più recenti atti normativi dell’Unione Europea.

 

Indice

1. Perché le banche sono soggette a controlli pubblici?

2. Le forme della vigilanza

3. I modelli di supervisione pubblica

4. L’evoluzione dei controlli

 

1. Perché le banche sono soggette a controlli pubblici?

Secondo la teoria macroeconomica elaborata dall’economista inglese PIGOU, lo strumento più efficiente per porre rimedio ai difetti del funzionamento del sistema economico generati dalle naturali forze di mercato che rischiano di mettere a repentaglio gli interessi metaindividuali nonché il corretto funzionamento delle dinamiche concorrenziali è la predisposizione di una qualche forma di intervento pubblico "public interest theory of regulation" attraverso l’istituzione di organi pubblici indipendenti di regolazione e controllo.                                                                             

La mano-invisibile del mercato, cioè il meccanismo efficiente che agisce ex post, il quale dovrebbe condurre ad una assegnazione ottimale delle risorse, viene arricchita dalla mano -visibile, che opera ex ante sotto forma della politica economica statale agendo, pertanto, da correcting market failure.

È infatti largamente invalsa, nell’ordinamento giuridico dei mercati finanziari come nella prassi delle autorità di controllo, l’idea che la regolamentazione e la supervisione bancarie trovino la loro ratio e il loro limite in alcune imperfezioni del mercato, identificate nella teoria economica delle asimmetrie informative che tipicamente caratterizzano le transazioni finanziarie e negli incentivi al moral hazard proprie delle relazioni tra banche e depositanti.

Il sistema dei controlli pubblici sul credito viene giustificato non solo dall’esigenza dei risparmiatori ma soprattutto la stabilità finanziaria nel suo complesso contro il rischio di crisi sistemiche.

Il concetto di “rischio sistemico” è abbastanza sfuggente.

Nella disciplina comunitaria, per “rischio sistemico” si intende “un rischio di perturbazione del sistema finanziario che può avere gravi conseguenze negative per il mercato interno e l’economia reale”.

Formulazioni simili possono essere rinvenute sia nei documenti ufficiali di importanti organismi internazionali, i quali definiscono il rischio sistemico come “the risk of disruptions to the provision of financial services that is caused by an impairment of all or parts of the financial system, and can cause serious negative consequences for the real economy”, sia nei più noti contributi teorici, i quali pongono l’accento sul rischio di fallimento “simultaneo” di più operatori derivante da correlazioni fra i rendimenti delle attività da essi rispettivamente detenute.

È poi stata acutamente messa in evidenza la natura “sfaccettata” del rischio sistemico, che include:

A) la latente tendenza del sistema finanziario ad “amplificare” gli effetti del ciclo economico (c.d. prociclicità);

B) l’ampiezza del pericolo di contagio (c.d. spillover), connesso con la capillarità e la profondità delle relazioni fra operatori finanziari;

C) i rischi di “correlazione”, derivanti dalla simultanea esposizione del settore finanziario nei confronti del medesimo settore dell’economia reale;

D) i pericoli connessi con la presenza sui mercati di operatori di dimensioni e complessità tali da rendere problematica la gestione di un’eventuale crisi (ad esempio, per la difficoltà di rimpiazzarli all'interno del sistema dei pagamenti).

Presupposto di un efficiente sistema di vigilanza è la definizione di un framework legislativo nel quale gli obiettivi delle autorità siano individuati in numero limitato e siano definiti in modo univoco.

L’esigenza di evitare distorsioni nel corretto funzionamento dei mercati finanziari ha indotto un ampio dibattito sulle modalità in cui i controlli pubblici sono esercitati.

 

2. Le forme della vigilanza

Gli studi sulle forme della vigilanza hanno da tempo individuato una distinzione fra misure strutturali e misure prudenziali.

Le prime intervengono sulla struttura del mercato, sul grado di concentrazione le seconde mirano a controllare i rischi dell'attività bancaria.

Le seconde pongono vincoli sui rischi che gli intermediari possono assumere in relazione alla loro situazione patrimoniale, finanziaria ed organizzativa.

Tipici interventi strutturali sono quelli che pongono vincoli all'entrata e all'uscita dal mercato, nonché ai tipi di attività che possono essere svolti, con l'obiettivo di separare i mercati e limitare la concorrenza (si pensi all'autorizzazione all'esercizio dell'attività bancaria che può essere utilizzata per limitare il numero di nuovi intermediari, così proteggendo le quote di mercato di quelli già insidiati).

Altro strumento di vigilanza strutturale, usato soprattutto in passato, è rappresentato dalle regole di specializzazione.

Esse creano segmentazioni, come accadde in passato in Italia con la distinzione fra aziende di credito che potevano operare a breve termine e istituti di credito che potevano operare a medio e lungo termine.

Tipici limiti prudenziali sono quelli che stabiliscono un determinato rapporto fra ammontare del patrimonio e ammontare dell'attivo, come il coefficiente patrimoniale, oppure si pensi ai limiti alla concentrazione degli affidamenti nei confronti di singole imprese.

Fra le regole prudenziali si può ancora ascrivere la disciplina degli assetti organizzativi, che mira a favorire l'assunzione di una organizzazione interna adeguata alla complessità dell'attività, in modo da consentire un'assunzione controllata dei rischi da parte dell'impresa.

Le leggi speciali sulle banche hanno nei diversi paesi utilizzato sia strumenti di vigilanza strutturale, sia strumenti di vigilanza prudenziale.

È cambiato il peso nel tempo attribuito agli uni e agli altri.

In Italia nei primi anni della vigenza della legge bancaria del 1936 hanno prevalso le misure strutturali.

Dagli anni ottanta in poi del secolo scorso sono state usate in misura maggiore le regole di vigilanza prudenziale.

A seguito della crisi finanziaria 2007-2009 in alcuni paesi sono state realizzate riforme volte a stabilire nuovi vincoli di specializzazione.

 

3. I modelli di supervisione pubblica

Uno dei tasselli del sistema di regole speciali per le banche è rappresentato dall'assetto delle autorità preposte alla supervisione.

In tutti gli ordinamenti i controlli sono affidati ad autorità distinte dall'apparato amministrativo generale dello Stato e indipendenti dal potere politico.

La delega di funzioni di regolazione e controllo ad autorità diverse dal Governo persegue il fine di:

  • realizzare una più elevata expertise in materie tecniche complesse;
  • di limitare l'influenza dei partiti su scelte riguardanti attività imprenditoriali;
  • di assicurare una maggiore continuità delle scelte della supervisione;
  • di rafforzare la credibilità delle politiche di vigilanza, sottratte alle esigenze politiche contingenti

Il nostro ordinamento adotta un sistema di supervisione pubblica in cui le scelte di vigilanza sono chiaramente distinte dalle scelte in materia di politica economica che ogni Governo decide di attuare.

Un punto importante dei controlli riguarda i compiti e i poteri dell’autorità che svolge la funzione di politica monetaria, la Banca Centrale.

In alcuni Paesi la Banca Centrale è responsabile della vigilanza bancaria, in altri non lo è.

In Italia, la Banca d’Italia ha svolto un ruolo di primo piano nella supervisione pubblica sulle banche, fin dall'emanazione della legge bancaria del 1926.

La scelta di unire le due funzioni presso la Banca centrale dipende da argomentazioni di carattere teorico, ma anche dal concreto assetto istituzionale di ciascun ordinamento.

I fautori dell’affidamento dei poteri di vigilanza sulle banche all'istituto di emissione sottolineano le sinergie che si possono realizzare, considerando le competenze professionali e di esperienza che le banche centrali hanno in materia bancaria finanziaria.

Ad esempio, sono complementari, i flussi informativi che le banche devono inviare alla banca centrale per l’esercizio della funzione di vigilanza e per la conduzione della politica monetaria. 

In opposizione a questa tesi, viene sostenuto che il perseguimento dell’obiettivo della stabilità del sistema finanziario può entrare in conflitto con quello della stabilità monetaria, cioè ad esempio nel caso in cui il sostegno al sistema bancario possa indurre la Banca centrale ad aumentare la moneta in circolazione, accrescendo il pericolo di inflazione.

Altri aggiungono che la separazione dei poteri, tipica delle democrazie e dovrebbe indurre a stabilire una distinzione fra Banca centrale e autorità responsabile per la supervisione.

Nel 2013 con l’approvazione del meccanismo unico di vigilanza fra i paesi dell’area euro, si è scelto di affidare poteri di vigilanza sulle banche significative alla BCE, introducendo un nuovo esempio di coesistenza in una sola autorità delle potestà di politica monetaria e di vigilanza.

Si distingue fra modelli di vigilanza specializzati per finalità (in cui le autorità preposte ai controlli di stabilità sulle banche sono diverse da quelle che si preoccupano di perseguire gli obiettivi, come la trasparenza dei mercati mobiliari) o per tipo di impresa (che prevedono l’attribuzione di poteri di controllo a una sola autorità per ogni tipo di intermediario, In Italia questo tipo di supervisione si applica alle imprese assicurative.

L’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni è un’autorità che svolge controlli sulle assicurazioni, sia per fini di stabilità, sia per fini di trasparenza e tutela dei clienti) e modelli di vigilanza accentrati (in cui vi è un’autorità unica preposta al perseguimento sia della stabilità del sistema bancario, sia della trasparenza dei mercati mobiliari e che effettua la supervisione pubblica su tutto il novero degli intermediari finanziari: banche, imprese di investimento, ecc).

A sostegno di un modello di vigilanza accentrato ci sono ragioni economicità dei costi e di efficienza nell’esercizio delle funzioni.

A sostegno di un modello di vigilanza specializzato per finalità o per soggetto, si sottolinea la capacità dell’autorità di creare un’expertise specifica e più approfondita di quanto non possa avvenire in una istituzione complessa che svolge compiti diversi.

Il sistema di supervisione specializzato, inoltre consente la limitazione del pericolo della concentrazione dei poteri, secondo i noti principi affermati da Montesquieu.

La vigilanza per finalità è considerata efficace se gli intermediari vigilati operano in più settori della finanza, come accade per le banche.

Essa peraltro presenta lo svantaggio della moltiplicazione dei controlli sullo stesso soggetto.

La vigilanza del tipo di impresa facilita il controllo, perché l’intermediario ha un solo referente; se, peraltro, i diversi obiettivi che l’autorità persegue sono in conflitto, può derivarne un eccesso di discrezionalità su quale far prevalere.

 

4. L’evoluzione dei controlli

Si possono individuare cinque fasi:

- La prima che va dalla crisi di fine ottocento all’instabilità dei primi decenni del novecento, ha condotto all’emanazione della legge del 1926 con cui sono stati introdotti i primi controlli pubblici sulle banche.

- La seconda tra il 1926 ed il 1936 anno dell’emanazione della legge bancaria più significativa nel nostro paese.

- La terza è andata dal 1936 al 1993 ed è stata caratterizzata da stabilità finanziaria. A seguito della costruzione del mercato unico europeo il legislatore italiano è stato indotto ad una revisione radicale della legislazione. Abrogò la legge del 1936 ed emano il Testo Unico Bancario.

- La quarta fase dal 1993 al 2007 caratterizzata dalla progressiva riduzione dei vincoli pubblici all’esercizio dell’attività bancaria che ha consentito la crescita del settore finanziario e dalla realizzazione del mercato unico europeo.

- La quinta fase è iniziata nel 2007. Nell’estate di quell’anno si sono manifestati i primi segnali di una nuova grande crisi finanziaria mondiale che ha imposto il ripensamento di regole di supervisione bancaria. La creazione della BANKING UNION in europa in gran parte realizzata tra il 2013 ed il 2014 ha cambiato in maniera radicale gli assetti istituzionali dei controlli pubblici.

Poche norme speciali erano contenute nel codice del commercio del 1882 che prevedevano la pubblicità dei dati contabili più frequenti rispetto a quelli sanciti per tutte le altre imprese.

Nel 1926 a seguito di numerosi episodi di instabilità finanziaria fu varata la prima disciplina organica: essa sottopose le imprese, denominate <<aziende di credito>> che raccoglievano depositi, a norme speciali e controlli pubblici.

La legge stabilì regole minime per controllare l’accesso al mercato e l’espansione delle aziende di credito: fu prevista l’autorizzazione del ministro delle finanze per l’inizio dell’attività per la fusione e apertura di filiali; fu introdotta la dotazione di un capitale minimo iniziale per la costituzione. Vennero stabilite regole prudenziali, un rapporto tra patrimonio e depositi e limiti alla concentrazione degli affidamenti in rapporto al capitale.

La legge bancaria del 1936 non precisava gli obiettivi che le autorità dovevano perseguire nell’esercizio dei poteri di controllo sulle banche.

I poteri delle autorità creditizie erano neutrali rispetto ai fini ossia a latitudine sostanzialmente indefinita.

Questo stato di cose non fu superato neanche dopo l’entrata in vigore della Costituzione che con l’art. 47 si limitò sostanzialmente a legittimare il sistema dei controlli pubblici sull’intermediazione bancaria sancito dalla legge del 1936.

Le autorità creditizie preoccupate dall’idea che la competizione eccessiva tra gli intermediari potesse condurre a instabilità del sistema, limitarono la concorrenza attraverso provvedimenti di tipo singolare e interventi discrezionali che limitavano l’autonomia imprenditoriale delle banche.

La legge del 1936 accentuò gli elementi pubblicistici connessi allo svolgimento dell’attività bancaria: la raccolta del risparmio e l’esercizio del credito furono definiti "funzioni di interesse pubblico".

La riserva di attività per le banche si fondava sia su ragioni di tutela del risparmio, sia su ragioni di politica monetaria.

Era difficile distinguere chiaramente fra strumenti e finalità degli interventi pubblici sugli intermediari finanziari.

Tali strumenti non furono stati utilizzati in via prevalente per limitare l’assunzione di rischi da parte degli intermediari in un’ottica di vigilanza e di stabilità del sistema, ma per le esigenze di controllo degli aggregati monetari e creditizi.

Nella fase di avvio del sistema dei controlli sul credito, fino alla seconda metà degli anni Ottanta, la vigilanza si basava su regole di specializzazione, vincoli di operatività e autorizzazioni sui principali atti di gestione.

La disposizione più rilevante era rappresentata dal vincolo di specializzazione temporale che stabiliva una rigida distinzione tra:

- aziende di credito che potevano raccogliere risparmio tra il pubblico nella forma dei depositi a vista ed effettuare prestiti solo con scadenza a breve termine

- Istituti di credito speciale, Si raccoglievano risorse finanziarie a medio e a lungo termine e potevano erogare prestiti con più lunga scadenza.

Altro principio fondamentale nell’assetto dei controlli pubblici dei primi anni 30 del novecento era la separatezza tra banca e industria, in considerazione del peso che i pericolosi intrecci partecipativi fra il settore bancario e quello industriale avevano avuto nella grande crisi.      

I compiti di vigilanza furono affidati all’Ispettorato per la difesa del risparmio e per l’esercizio del credito, organi di diritto pubblico alle dirette dipendenze del Comitato Dei Ministri e presieduto dal Capo Del Governo.

Il decreto luogotenenziale n.266 del 1944:

- soppresse l’Ispettorato affidando la vigilanza alla Banca d’Italia;

- Il Comitato dei Ministri fu sostituito dal Comitato Interministeriale per il credito ed il risparmio (CICR) e gli furono affidati compiti deliberativi in materia regolamentare su proposta di BI oltre ad alcuni compiti di interventi specifico, come il parere in merito alle proposte della BI per l’adozione dei provvedimenti di amministrazione straordinaria o di liquidazione coatta amministrativa per le banche. Nonostante la natura politica dei suoi membri si ritiene che tale organo abbia svolto un ruolo amministrativo con esclusione di funzioni di indirizzo politico

La Banca d'Italia ha rappresentato l’istituzione più importante nel sistema dei controlli pubblici sulle banche.

La letteratura parla di "istituzione delle istituzioni" anche per la capacità di imporre al sistema indirizzi gestionali sulla base della sola moral suasion.

I suoi poteri di vigilanza erano ampi e articolati:

- aveva il potere di adottare provvedimenti di carattere particolare e di adottare disposizioni di carattere generale, definite istruzioni di vigilanza;

- poteva richiedere qualsiasi informazione agli intermediari compresi i dati di bilancio e poteva fare ispezioni.

Successivamente negli anni ‘80 del secolo scorso la costruzione del mercato unico in Europa unito alle istanze volte ad accrescere la concorrenza bancaria determinò un cambiamento radicale della regolamentazione nata negli anni 30.

- Con la prima direttiva di coordinamento in materia bancaria del 77 recepita nel 1985 furono ridotti vincoli di accesso al mercato del credito.  

- Con la seconda del 1989 vennero abrogati i vincoli di specializzazione temporali ed operativi.

A partire dalla metà degli anni 80 la vigilanza strutturale è stata sostituita da misure di supervisione prudenziale volta a controllare l’assunzione di rischi da parte delle banche, imponendo livelli minimi di patrimonializzazione in rapporto all’operatività.

Tali strumenti di vigilanza hanno avuto origine nell’accordo sottoscritto nel 1988 nell’ambito del comitato di Basilea.

Questo accordo è molto importante in quanto ha definito uno dei più importanti strumenti di vigilanza prudenziale: il coefficiente di solvibilità.

Le regole di patrimonializzazione minima stabilita con il primo accordo di Basilea erano dirette inoltre a costituire un cuscinetto di sicurezza da utilizzare in caso di perdite.

Gli strumenti che fanno perno sul patrimonio rappresentano un indicatore della solvibilità dell’impresa, intesa come possibilità di fronteggiare rischi e perdite in situazione di difficoltà della banca.

I coefficienti di solvibilità hanno anche un’altra funzione: limitare il moral hazard di azionisti e amministratori delle banche.

Se una banca ha poco capitale proprio, i costi di fallimento sono pagati soprattutto dei depositanti, più precisamente dai sistemi di assicurazione dei depositi, istituiti in tutti paesi, o dallo Stato se decide di effettuare un salvataggio.

Di conseguenza in condizioni di bassa capitalizzazione gli amministratori bancari tendono a preferire politica di gestione rischiose, che in caso di successo possono portare alti rendimenti.

I coefficienti patrimoniali limitano il moral hazard degli azionisti, perché aumentano le risorse finanziarie che essi devono investire nelle banche che possono andare perdute nel caso in cui gestioni eccessivamente rischiosi e portino a fallimento dell’intermediario.

All’inizi degli anni 90 fu introdotto il principio del silenzio-assenso per il rilascio dell’autorizzazione ed il potere della Banca d’Italia di negare l’autorizzazione all’apertura di succursali è stato circoscritto ai casi in cui i programmi di espansione territoriale delle banche non risultassero incompatibili con le condizioni tecnico-organizzative aziendali

Nel 1993 il legislatore decise un intervento di riordino della disciplina bancaria emanando il Testo Unico Bancario che ha effettuato un’ampia delegificazione, abrogando le numerose leggi speciali che convivevano con la disciplina.

Apparentemente il TUB sembra lasciare inalterato l’impianto di supervisione pubblica della legge bancaria del 1936:

- le autorità rimangono le stesse;

- le norme continuano a essere attributive di potestà ampiamente discrezionali alle autorità e non definiscono in concreto gli strumenti di vigilanza, ad esempio si fa un generico riferimento regole che assicurino l’adeguatezza patrimoniale e non vi è traccia del coefficiente di stabilità. 

In realtà nonostante questa continuità parente il cambiamento è radicale.

Sono state innanzitutto espressamente definite le finalità che le autorità preposte al controllo del credito devono perseguire esse sono: la stabilità l’efficienza e la competitività del sistema finanziario, la sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, nonché l’osservanza delle disposizioni in materia creditizia.

Come è stato in maniera cristallina chiarito dalla giurisprudenza, l’art. 5 del Testo Unico Bancario rappresenta l'architrave del nuovo modello di supervisione per il settore del credito”, la cui portata “(…) può essere compiutamente percepita solo ove si ponga mente ai rilevanti mutamenti, indotti da fonti di matrice comunitaria, che hanno riguardato gli intermediari bancari (…) in connessione con il passaggio da un oligopolio amministrato a un mercato regolato, anche in relazione al paradigma della supervisione sulla stabilità, che nel passato avveniva attraverso controlli perlopiù di stampo amministrativo-contabile (…) ma che oggi, con l'accento posto sulla gestione, non può prescindere dalle caratteristiche di imprenditorialità delle aziende bancarie, essendosi il suo baricentro venuto a spostare su una nuova concezione della vigilanza prudenziale.

Dall’articolo 5 viene innanzitutto in considerazione il principio si “sana e prudente gestione” verso cui deve essere orientato l’esercizio dei poteri di vigilanza e che evidenzia due piani distinti di tutela:

  • in un’ottica microeconomica, la sana e prudente gestione degli intermediari, a difesa dei singoli soggetti;
  • quale obiettivo di tipo macroeconomico, la stabilità l’efficienza e la competitività del sistema finanziario.

Una gestione può dirsi:

- sana se è immune da conflitti di interesse;

- prudente se svolta secondo un apprezzamento consapevole dei rischi insiti nell’attività bancaria, in altre parole le banche devono assumere rischi coerenti con la loro situazione tecnica ed organizzativa

La giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto al concetto di sana e prudente gestione la natura di clausola generale o concetto giuridico indeterminato, “frutto dell'evidente intento del legislatore di non vincolare l'autorità di settore alla verifica della bontà dei comportamenti degli intermediari alla stregua di rigidi predeterminati schematismi, ma di consentire la massima esplicazione del diritto di iniziativa economica entro parametri storicizzarti, non immutabili nel tempo”.

In quest'ottica l'apprezzamento della sana e prudente gestione rimesso alla Banca d'Italia viene considerato una valutazione tecnica complessa, “ossia quel particolare tipo di giudizi implicanti l'apprezzamento di una serie di elementi di fatto in relazione tra di loro ed alla stregua di regole che non hanno carattere di regole scientifiche, esatte non opinabili, ma sono frutto di scienze inesatte d'opinabili, di carattere prevalentemente economico”.

Nell’attività di rilascio di provvedimenti su singole operazioni come ad esempio l’esercizio dell’attività bancaria l’acquisto di partecipazioni rilevanti nel capitale di una banca o piuttosto per la modifica dello statuto o per la realizzazione di funzioni o scissioni, il richiamo ripetuto al concetto di sana e prudente gestione delimita in negativo i poteri dell’autorità di vigilanza in quanto questa non può effettuare valutazioni riferite al mercato finanziario nel suo complesso ma solo considerazioni riguardanti la situazione economica del singolo ente creditizio.

L’articolo 5 non stabilisce una gerarchia tra le finalità della vigilanza e la definizione delle finalità di vigilanza del Testo Unico Bancario consente anche di distinguere in maniera più chiara di funzioni di politica monetaria da quelle di vigilanza.

Infatti le funzioni di vigilanza svolta dalla Banca d’Italia sono state scisse da quelle di politica monetaria Che dopo l’avvio dell’area dell’euro il primo gennaio del 1999 realizzata in attuazione del trattato europeo di Maastricht del 1992 fa capo a organismi europei, di cui parte la Banca d’Italia.

L’evoluzione che ha interessato il sistema dei controlli sulle banche in Europa è stata in larga parte determinata dalla lunga crisi economica e finanziaria che, innescata negli Stati Uniti nella seconda metà del 2007 dalla vicenda dei mutui subprime, è esplosa con il successivo default della Lehman Brothers, verificatosi il 15 settembre 2008, e ha rapidamente assunto dimensioni e durata comparabili alla Grande Depressione degli anni 30.

La crisi ha fatto emergere tutte le criticità insite nel processo di unificazione europea evidenziando, per quanto attiene in particolare al campo dell’integrazione bancaria e finanziaria, l’odierna inadeguatezza del modello della vigilanza armonizzata, introdotto, insieme al principio dell’home country control, dalle direttive europee, che avevano iniziato a disciplinare il settore bancario a partire dalla fine degli anni 70

La crisi finanziaria del 2007 e del 2008 ha evidenziato, infatti, una serie di lacune nella vigilanza finanziaria, sia in casi specifici che in relazione al sistema finanziario nel suo complesso.

I modelli di vigilanza su base nazionale non sono riusciti a stare al passo con la globalizzazione finanziaria e la realtà integrata e interconnessa dei mercati finanziari europei, nei quali numerosi istituti finanziari operano a livello transnazionale.

La crisi ha evidenziato lacune in materia di cooperazione, coordinamento, applicazione coerente del diritto dell’Unione e fiducia tra le autorità nazionali competenti

Nel novembre 2008, la Commissione ha incaricato un gruppo di esperti ad alto livello presieduto da Jacques de Larosière di formulare delle raccomandazioni su come rafforzare i meccanismi di vigilanza europei al fine di proteggere i cittadini in modo più efficace e ripristinare la fiducia nel sistema finanziario.

Nella relazione finale presentata il 25 febbraio 2009 (la «relazione de Larosière»), il gruppo di esperti ad alto livello ha raccomandato che il quadro di vigilanza fosse rafforzato per ridurre il rischio e la gravità di crisi finanziarie future. Il gruppo ha raccomandato riforme di ampia portata della struttura della vigilanza del settore finanziario nell’Unione.

La relazione de Larosière ha inoltre consigliato di creare un Sistema europeo delle autorità di vigilanza finanziaria (SEVIF), comprendente tre autorità europee di vigilanza (AEV), una per il settore bancario, una per il settore degli strumenti finanziari e una per il settore delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali, e ha raccomandato l’istituzione di un Consiglio europeo per il rischio sistemico.

È prevalso il convincimento che per rilanciare la crescita economica nell’Unione e per un adeguato finanziamento dell’economia reale era essenziale mantenere e approfondire il mercato interno dei servizi bancari

Si è sottolineato ancora che il coordinamento tra autorità di vigilanza è essenziale, ma la crisi ha dimostrato che il solo coordinamento non è sufficiente, in particolare nel contesto della moneta unica.

Per preservare la stabilità finanziaria nell’Unione e aumentare gli effetti positivi sulla crescita e il benessere dell’integrazione dei mercati, si rendeva opportuno aumentare l’integrazione delle competenze di vigilanza.

Sulla base del rapporto Laroisière viene stabilito un rafforzamento della vigilanza prudenziale mediante la creazione di nuove autorità europee.

Il Sevif (Sistema europeo di vigilanza finanziaria); il Comitato europeo per il rischio sistemico (European systemic risk board) e le autorità di vigilanza europee (European supervisory authorities).

Tale riforma segna il passaggio definitivo del sistema di vigilanza e dei controlli a livello europeo.

L’unione bancaria diviene la sintesi di un framework istituzionale e normativo che sintetizza la necessità di accentramento delle funzioni di vigilanza prudenziale e della gestione delle crisi bancarie

L’unione bancaria europea si fonda su tre pilastri:

a) Un sistema unico di vigilanza europeo (single supervisory mechanism – Ssm);

b) Un sistema unico di risoluzione della crisi (single resolution mechanism – SRM);

c) Un sistema unico di garanzia dei depositi.

La realizzazione del framework europeo avviene attraverso la creazione, come già detto, di nuove autorità istituzionali (l’Eba, le autorità di vigilanza e i collegi di risoluzione e supervisione), sia per mezzo del single rulebook, ossia un insieme di regole, di fonte sia primaria che secondaria, a cui è demandata l’architettura costituzionale e normativa del nuovo sistema bancario.

L’Unione bancaria europea viene costruita, in base all’art.5 del Trattato U.E., secondo principi di sussidiarietà e proporzionalità, ove l’attribuzione delle competenze alla BCE avviene per effetto di una ripartizione di competenze primarie, relegandosi il ruolo della vigilanza delle autorità nazionali a momento residuale rispetto alle banche sistemiche.

Per effetto del regolamento n. 1024 del 2013 del 15 ottobre 2013, si giunge alla realizzazione del single supervisory mechanism, attribuito alla Banca centrale europea (BCE) in base all’art. 127 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, che opera anche attraverso le autorità nazionali.

Alla BCE vengono attribuiti poteri di vigilanza macroprudenziale anche in sostituzione delle autorità nazionali, e il potere di imporre coercitivamente i requisiti patrimoniali più stringenti rispetto a quelli previsti a livello nazionale.

La BCE è responsabile del rilascio e revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria, della verifica dei requisiti prudenziali e dell’adeguatezza della governance, ed essa ha altresì la responsabilità di eseguire stress tests di solvibilità.

Tale vigilanza è diretta sulle more significant banks (le banche sistemiche ossia quelle che superano il valore totale degli asset di 30 miliardi di euro, o il rapporto tra attivo e Pil dello stato membro superiore al 20 per cento, o se si tratti di uno dei tre enti creditizi significativi dello Stato di appartenenza).

La vigilanza è invece delegata alle autorità nazionali per le less significant banks.

Dal 2016 è pienamente operativo il Meccanismo di risoluzione unico (MRU o Single Resolution Mechanism, SRM).

La risoluzione delle crisi di tutte le banche dei paesi aderenti al meccanismo di vigilanza unico è gestita secondo regole armonizzate da parte di un’autorità di risoluzione unica (il Comitato di risoluzione unico; Single Resolution Board, SRB) o dalle autorità di risoluzione nazionali, nell’ambito di istruzioni e orientamenti comuni stabiliti dal Comitato, e può essere finanziata da un fondo unico che è alimentato dai contributi versati dalle banche stesse.

Letture consigliate

F. VELLA-G.BOSI, Diritto ed economia di banche e mercati finanziari, IL MULINO, 2018

BRESCIA MORRA, Diritto delle banche, IL MULINO, 2016

F. CAPRIGLIONE, Commentario al Testo Unico Bancario, CEDAM, 2019

L. DONATO, Gli strumenti della nuova vigilanza bancaria europea. Dalla Legge Bancaria al SingleSupervisory Mechanism, in QUADERNI DI RICERCA GIURIDICA DELLA BANCA D’ITALIA, Dal Testo unico bancario all’Unione bancaria: tecniche normative e allocazione di poteri, Atti del convegno tenutosi a Roma il 16 settembre 2013

MANCINI, Dalla vigilanza nazionale armonizzata alla Banking Union, in QUADERNI DI RICERCA GIURIDICA DELLA BANCA D’ITALIA, 2012