La Prescrizione delle azioni di responsabilità esercitate dal curatore fallimentare per fatti di mala gestio nelle società di capitali
Indice:
1. Le azioni di responsabilità contro gli amministratori di società
2. La legittimazione del curatore fallimentare a seguito della dichiarazione di fallimento: analisi dell’articolo 146 legge fallimentare
3. La prescrizione dell’azione azione sociale di responsabilità ex articolo 2393 codice civile: illecito permanente ed individuazione del dies a quo del relativo termine prescrizionale
4. La prescrizione dell’azione esercitabile dai creditori sociali e individuazione del relativo dies a quo
1. Le azioni di responsabilità contro gli amministratori di società
Com’è noto, l’azione di responsabilità contro gli amministratori (ed i sindaci) esercitata dal Curatore Fallimentare ex articolo146 L.F. compendia in sé le azioni ex articoli 2393 e 2394 codice civile ed è diretta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, patrimonio visto unitariamente come garanzia e dei soci e dei creditori sociali.
La responsabilità verso la società degli amministratori di una società per azioni, prevista e disciplinata dagli articoli 2392 e 2933 codice civile trova la sua fonte nell'inadempimento dei doveri di gestione della società e di direzione dell'impresa sociale imposti ai predetti dalla legge o dall'atto costitutivo, ovvero nell'inadempimento dell'obbligo generale di vigilanza o dell'altrettanto generale obbligo di intervento preventivo e successivo (sì che il relativo "thema probandum" si articola nell'accertamento dei tre elementi dell'inadempimento di uno o più degli obblighi suindicati, del danno subito dalla società, del nesso causale), mentre "danno risarcibile" sarà quello causalmente riconducibile, in via immediata e diretta, alla condotta (dolosa o colposa) dell'agente, sotto il duplice profilo del danno emergente e del lucro cessante (commisurato, cioè, in concreto, al pregiudizio che la società non avrebbe subito se un determinato comportamento illegittimo, commissivo od omissivo, non fosse stato posto in essere.
Altra e distinta forma di responsabilità è, per converso, quella degli amministratori verso i creditori sociali - prevista dal successivo articolo 2394 codice civile come conseguenza dell'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale - la cui natura extracontrattuale presuppone l'assenza di un preesistente vincolo obbligatorio tra le parti, ed un comportamento dell'amministratore funzionale ad una diminuzione del patrimonio sociale di entità tale da rendere lo stesso inidoneo per difetto ad assolvere la sua funzione di garanzia generica (articolo 2740 cod. civ.), con conseguente diritto del creditore sociale di ottenere, a titolo di risarcimento, l'equivalente della prestazione che la società non è più in grado di compiere.
La indiscutibile natura diretta ed autonoma dell'azione ex articolo 2394 cod. civ. ne esclude, poi, qualsivoglia carattere surrogatorio, attesa la non riconducibilità al novero degli effetti di un mero fenomeno surrogatorio di un così radicale mutamento del titolo di responsabilità, da contrattuale (articoli 2392, 2393) ad extracontrattuale (articolo 2394), con la conseguenza che, se l'accoglimento della domanda proposta ai sensi degli articoli 2392 e 2393 cod. civ. comporta la devoluzione del risultato utile di essa in via primaria e diretta all'incremento del patrimonio sociale (mentre i creditori attori ne trarrebbero solo indirettamente beneficio), ciò non è a dirsi in caso di azione proposta ex articolo 2394 cod. civ., ove il danno subito dai creditori costituisce anche (ed esclusivamente) la misura del loro interesse ad agire.
2. La legittimazione del curatore fallimentare a seguito della dichiarazione di fallimento: analisi dell’articolo 146 legge fallimentare
Ai sensi dell’articolo 2394-bis codice civile l’esercizio delle azioni di responsabilità nell’ambito delle procedure concorsuali è riservato al curatore del fallimento, al commissario liquidatore e al commissario straordinario.
Nonostante l’ampiezza della norma, resta inteso che il curatore non può esperire azioni a lui non specificamente attribuite; rimarrebbero escluse, quindi, le azioni ex articolo 2395 codice civile, che d’altronde coinvolgono patrimoni diversi da quello della fallita, presupponendo un danno immediato e diretto sul patrimonio del socio o del terzo.
A conferma di ciò si consideri che l’articolo 2394-bis fa esplicitamente riferimento agli articoli precedenti, e dunque agli articoli 2393 e 2394 codice civile: la legittimazione del curatore alle azioni di massa è un rimedio volto alla tutela immediata e diretta del patrimonio sottoposto alla procedura concorsuale, non può riguardare azioni proponibili da soggetti diversi dal fallito, che peraltro opererebbero su patrimoni diversi rispetto a quello acquisibile alla procedura fallimentare.:
In relazione alle azioni risarcitorie sopra elencate, l’articolo 146 L. Fall. assume il ruolo di norma attributiva di legittimazione, nel senso – chiarito anche dalle sez. unite della Suprema Corte - che quando tale norma conferisce in maniera autonoma al curatore non è l’azione, ma –appunto- la mera legittimazione all’esercizio delle medesime azioni previste dal codice civile o da leggi speciali.
L’articolo 146 l. fall. è, in altri termini, norma meramente ricognitiva della legittimazione del curatore ad esercitare le stesse azioni di responsabilità già altrove disciplinate, e l’azione promossa ai sensi di tale disposizione appartiene quindi al curatore in via derivativa rispetto alle azioni spettanti alla società ed ai creditori sociali, non sorgendo ex novo ed a titolo originario in capo al curatore all’atto e per effetto dell’apertura del fallimento.
Militano, in tal senso, ragioni di ordine sistematico e teleologico derivanti:
- sia dalla collocazione nell’ambito del codice civile di una regola (il citato articolo 2394-bis) di legittimazione generale per le azioni di responsabilità esperite dagli organi delle procedure concorsuali;
- sia dalla circostanza che manca nell’articolo 146 l. fall. ogni indicazione in ordine ai presupposti ed alle caratteristiche dell’azione, indicazione che sarebbe stata necessaria nel caso in cui si fosse voluto individuare un’azione nuova, distinta dalle precedenti.
A conferma del mero “trasferimento della legittimazione”, basti considerare che la competenza rimane invariata in capo al Tribunale ordinario, non operando alcuna vis actractiva alla sezione fallimentare ex articolo 24 l. fall. 123.
L’articolo 146 legge fall. è norma a soggettività ristretta contemplando, tra i possibili soggetti passivi dell’azione di responsabilità, esclusivamente gli amministratori ed i componenti degli organi di controllo e i soci della s.r.l., esclusivamente nei casi previsti dall’articolo 2476 comma 7 codice civile, giammai autorizza l’esercizio di detta nei confronti del socio che non abbia mai compiuto atti di gestione.
La ratio dell’articolo 2476 comma 7 codice civile è chiara: essa infatti rappresenta per un verso il naturale precipitato della possibilità, parimenti prevista dal legislatore della riforma, che i soci di s.r.l., pur senza assumere la carica di amministratore, possano fisiologicamente svolgere un ruolo attivo nell’amministrazione della società, partecipando alle decisioni amministrative che lo statuto riserva alla competenza assembleare ai sensi dell’articolo 2479 cc, ovvero esercitando i diritti di amministrazione che lo statuto gli abbia eventualmente attribuito ai sensi dell’articolo 2468, comma 3 codice civile
Va aggiunto che se il legislatore avesse voluto legittimare il curatore fallimentare ad esercitare un’azione di responsabilità anche nei confronti di un socio di una società cooperativa al di fuori dell’articolo 2476 comma 7, norma applicabile all’ipotesi in cui la cooperativa adotti la forma giuridica della s.r.l., l’avrebbe espressamente previsto.
La sostituzione del curatore alla società fallita in persona dei suoi legali rappresentanti nell'esercizio dell'azione sociale di responsabilità rappresenta solo una particolare manifestazione specifica del generale effetto, previsto nel primo comma dell'articolo 43 della legge fallimentare, per cui nelle controversie relative a rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore, mentre, come ha rilevato la dottrina, la sostituzione della legittimazione del curatore a quella dei titolari dell'azione di cui all'articolo 2394 codice civile non è, in se stessa, ricollegabile alla struttura del processo fallimentare, e rappresenta frutto di una scelta del legislatore volta ad assicurare alla curatela un maggior livello di tutela.
È costante in giurisprudenza l'affermazione che per effetto del fallimento le azioni di responsabilità di cui agli articolo 2392-2393 e 2394 codice civile confluiscono in una unica azione avente carattere unitario e inscindibile (di cui diviene titolare il curatore) e che, pur essendo ontologicamente correlata ad esse (e non sorgendo, perciò, ex novo in capo al curatore) assume carattere unitario ed inscindibile, sia perché necessariamente cumula i presupposti e gli scopi di entrambe le azioni suindicate, sia perché è sempre finalizzata al risultato di acquisire all'attivo fallimentare tutto quanto sottratto per fatti imputabili agli amministratori.
Con il corollario che la domanda risarcitoria contro gli amministratori può essere formulata così con riferimento ai presupposti della responsabilità verso la società come sulla base dei presupposti della responsabilità verso i creditori sociali.
In particolare consegue che, quando il curatore agisce in base all’articolo 146 L.F., le due azioni ivi previste devono ritenersi contemporaneamente proposte, sicchè la responsabilità degli ex amministratori può essere dedotta ed affermata tanto con riferimento ai presupposti dell’azione dei creditori sociali (insufficienza patrimoniale cagionata dalla inosservanza di obblighi relativi alla conservazione del patrimonio sociale) quanto con riferimento ai presupposti dell’azione sociale (danno prodotto alla società da ogni illecito doloso o colposo degli amministratori, per violazione di doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo, ovvero inerenti all’adempimento delle loro funzioni con la diligenza richiesta.
Tale possibilità, che si risolve in un risultato pratico di evidente vantaggio per il curatore, il quale potrà impostare la domanda in funzione di profili di opportunità per avvalersi a seconda dei casi della disciplina applicabile alla responsabilità contrattuale o di quella applicabile alla responsabilità extracontrattuale, non significa peraltro che la curatela la quale si avvalga consapevolmente e dichiaratamente dello strumento risarcitorio di cui agli articolo 2393 e 2394 codice civile sostituendosi alla società, debba soggiacere a quanto di meno favorevole possa comportare astrattamente il ricorso all'azione di danni di cui all'articolo 2394 codice civile in tema di delimitazione del danno risarcibile e dell'interesse ad agire nel senso sopra precisato.
3. La prescrizione dell’azione azione sociale di responsabilità ex articolo 2393 codice civile: illecito permanente ed individuazione del dies a quo del relativo termine prescrizionale
L’articolo 2949 codice civile (Prescrizione in materia di società”) stabilisce: “Si prescrivono in cinque anni i diritti che derivano dai rapporti sociali, se la società è iscritta nel registro delle imprese” (I comma). “Nello stesso termine si prescrive l'azione di responsabilità che spetta ai creditori sociali verso gli amministratori nei casi stabiliti dalla legge” (II comma).
Il termine quinquennale di prescrizione, previsto dall’articolo 2949 codice civile, al quale è soggetta l’azione di responsabilità delle società (ex articolo 2393 codice civile) contro gli amministratori, decorre dalla consumazione del fatto dannoso compiuto dall’amministratore.
Al riguardo una precisazione va fatta se si contesti alla controparte non solo degli illeciti cd. “istantanei” ma anche (come nella specie) degli illeciti cd. “permanenti”.
I fatti illeciti istantanei sono quelli in cui la condotta costituisce mero elemento genetico dell'evento dannoso e si esaurisce con il verificarsi di esso (pur se l'esistenza di questo si protragga poi autonomamente, in virtù della produzione dei suoi effetti permanenti costituenti un mero sviluppo ed un aggravamento del danno già insorto),.), sicché il termine prescrizionale del diritto della parte a vedersi rivalere delle conseguenze pregiudizievoli della suddetta condotta "contra ius" decorre - alla stregua del disposto dell'articolo 2935 cod. civ.- dal suo verificarsi.
In tali ipotesi il semplice peggioramento di una lesione in atto non sposta il termine iniziale di prescrizione dal giorno in cui il fatto lesivo si è verificato.
Gli illeciti permanenti sono, invece, quei comportamenti lesivi non esauritisi uno actu (a differenza dei cd. illeciti istantanei) ma perduranti nel tempo e la cui durata è posta dall’attore in un rapporto di consequenzialità immediata e diretta con la produzione e con l’aggravamento del danno.
Così, gli ulteriori effetti dannosi che si producono nel patrimonio di un soggetto in conseguenza dello stato di fatto determinato dal comportamento illecito di un terzo, che solo una condotta contraria di quest'ultimo può eliminare, costituiscono effetti di un illecito permanente, la cui caratteristica è di dare luogo ad un diritto al risarcimento, che sorge in modo continuo, e che in modo continuo si prescrive, se non esercitato entro cinque anni dal momento in cui si produce.
Il diritto al risarcimento del danno può, in tali ipotesi di illecito permanente, essere perciò esercitato immediatamente, mano a mano che il danno si verifica, e quindi si prescrive giorno per giorno dopo cinque anni dal giorno in cui ogni successiva frazione di danno si produce (articoli 2935 e 2947, primo comma, cod. civ)
Ne consegue l'applicabilità della prescrizione ex articolo 2947 codice civile per i soli danni maturati prima del quinquennio anteriore al primo atto interruttivo
In ordine alla sospensione della prescrizione deve altresì sottolinearsi che:
-L’articolo 2941 codice civile (Sospensione per rapporti tra le parti) n. 7 codice civile stabilisce che “la prescrizione rimane sospesa tra le persone giuridiche e i loro amministratori, finchè sono in carica, per le azioni di responsabilità contro di essi”.
-La ratio di una tale causa di sospensione della prescrizione risiede nella speciale relazione giuridica esistente tra il titolare del diritto (società) ed il soggetto passivo (amministratori) dell’azione di responsabilità e che- come tale- giustificherebbe l’inerzia del titolare: secondo taluni la permanenza in carica degli amministratori viene di fatto ad ostacolare la possibilità, in capo alla persona giuridica, di acquisire una piena conoscenza del loro operato e, conseguentemente, di valutare se gli amministratori siano incorsi in violazioni dei loro obblighi rilevanti per l'esercizio dell'azione di responsabilità. Mentre, secondo una diversa tesi dottrinale, formulata sotto il vigore del codice civile del 1865, la ratio della sospensione della prescrizione andrebbe individuata per la società commerciale nella identità che si verrebbe a determinare nell'esercizio dell'azione di responsabilità tra la persona che dovrebbe agire e quella contro cui l'azione dovrebbe essere rivolta. Si è detto, infatti, che essendo la societa commerciale, come persona giuridica, rappresentata dagli amministratori, questi, se dovessero agire contro se stessi, riunirebbero in sè la duplice qualità di attori (in senso formale) e di convenuti.
Indipendentemente dall'opinione che si ritenga al riguardo preferibile, è pacifico che il decorso del termine prescrizionale di cui agli articoli 2393 codice civile è sospeso ex lege finchè gli amministratori sono in carica.
4. La prescrizione dell’azione esercitabile dai creditori sociali ex articolo 2394 codice civile: individuazione del relativo dies a quo
L'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e dei sindaci di una società, esperibile, ex articolo 2394 cod. civ., dai creditori sociali (ovvero, come nella specie, dal curatore fallimentare della società poi fallita, ex articolo 146 legge fall.), è soggetta a prescrizione quinquennale.
Il dies a quo del termine di prescrizione, che decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (articolo 2935 codice civile ).
Nella specifica materia in esame, la legge (articolo 2394 codice civile) stabilisce che l’azione dei creditori sociali contro gli amministratori “per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale” (I comma), nel momento in cui “il patrimonio sociale risulti insufficiente al soddisfacimento dei creditori della società” (II comma) e si trasmette al curatore nel caso di fallimento sopravvenuto.
Tale responsabilità sorge se ed in quanto il comportamento degli amministratori cagioni una diminuzione del patrimonio sociale di entità tale da rendere lo stesso inidoneo per difetto ad assolvere la funzione di garanzia patrimoniale generica di cui all'articolo 2740 codice civile, e il diritto riconosciuto ai creditori sociali è quello di ottenere dagli amministratori, a titolo di risarcimento, l'equivalente della prestazione che, per loro colpa, la società non è più in grado si adempiere (o di integralmente e correttamente adempiere.
Ne consegue il decorso del termine prescrizionale quinquennale non già dalla commissione dei fatti integrativi di tale responsabilità, bensì dal (successivo) momento dell'insufficienza del patrimonio sociale, per effetto di tale comportamento, al soddisfacimento dei crediti cui l’articolo 2394, comma secondo, cod. civ., subordina- come visto- la proponibilità dell'azione al manifestarsi dell'evento dannoso.
Sicché, mentre per gli altri elementi dell'azione, pur necessari per l'affermazione di responsabilità ex articolo 2394 codice civile (quali la commissione di fatti illeciti da parte di amministratori o sindaci), valgono i principi generali, più volte riaffermati dalla Cassazione, circa ad esempio l'irrilevanza - ai fini del decorso della prescrizione - dell'impedimento soggettivo costituito dall'ignoranza del creditore, per l'insufficienza del patrimonio è espressamente richiesto che essa "risulti", in un senso che dovrà essere ulteriormente precisato, essendo insufficiente che essa possa essere accertata a posteriori.
Inoltre, poiché l'elemento essenziale e determinante è l'incapienza, e non l'insolvenza o il dissesto, è al momento del verificarsi di tale incapienza che occorre far riferimento per verificare il dies a quo del termine prescrizionale rispetto all'azione dei creditori danneggiati, ovvero del curatore del fallimento eventualmente dichiarato, non potendosi postulare una necessaria coincidenza di tale termine con la data di dichiarazione di fallimento.
La legge, infatti, riconosce ai creditori sociali il diritto ad ottenere dagli amministratori e dai sindaci, a titolo di risarcimento danni, l'equivalente delle prestazioni che, per colpa dei medesimi, la società non è più in grado di adempiere, il che si verifica nell'ipotesi d'insufficienza del patrimonio e questa nozione è diversa da quella dell'insolvenza, la quale ricorre quando il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, giacché tale eventualità può presentarsi anche a seguito di una situazione di illiquidità, non comportante necessariamente che il passivo sia superiore all'attivo, potendosi quindi avere insolvenza ancorché il patrimonio sia integro.
In ogni caso, non è quindi sufficiente che si sia verificato un qualsiasi pregiudizio per il patrimonio della società, essendo anche necessario che questo si sia manifestato ed abbia inciso sulla consistenza patrimoniale della società, nel senso di non consentire o consentire un minore soddisfacimento dei creditori (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9815 del 2002 in motivazione).
Il pregiudizio consiste, quindi, nel fatto che il patrimonio sia divenuto inferiore o ulteriormente inferiore rispetto al passivo della società, ossia che si sia verificato un “deficit patrimoniale”.
Si precisa altresì al riguardo che quando l'azione è proposta dal singolo creditore, il presupposto dell'azione va individuato nel fatto che il patrimonio sociale è insufficiente a soddisfare il credito di chi agisce; quando, invece, agisce l'organo concorsuale, in luogo della massa dei creditori, l'insufficienza patrimoniale deve essere valutata in relazione alla situazione dell'intero ceto creditorio.
Il momento in cui si verifica l'insufficienza del patrimonio, dunque, non coincidendo con il determinarsi dello stato di insolvenza, può dunque essere anteriore o posteriore alla dichiarazione di fallimento.
Nel caso di procedura concorsuale, si può presumere che il deficit si manifesti proprio in occasione del fallimento (o della messa in liquidazione), con lo spossessamento del debitore e la presa in consegna delle attività da parte dell'organo della procedura. Tale presunzione, fondata sull'id quod plerumque accidit, non esclude, tuttavia, che, nel caso concreto, il deficit si sia manifestata in un momento anteriore ovvero, al contrario, in un momento successivo, se al momento dell'accertamento dell'insolvenza non è emersa prima facie l'esistenza di uno sbilancio patrimoniale negativo e l'insufficienza patrimoniale è risultata solo a seguito di stime e valutazioni effettuate nel corso della procedura concorsuale.
L'onere di provare che l'insufficienza del patrimonio sociale si è manifestata ed è divenuta conoscibile prima della dichiarazione di fallimento grava sull'amministratore o sul sindaco che eccepisce la prescrizione e non può essere assolto mediante la generica deduzione, non confortata da utili elementi di fatto, secondo cui l'insufficienza patrimoniale si sarebbe manifestata già al momento della messa in liquidazione della società, in quanto questo procedimento non è necessariamente determinato dalla eccedenza delle passività sulle attività patrimoniali, mentre la perdita integrale del capitale sociale neppure implica la consequenziale perdita di ogni valore attivo del patrimonio sociale.
L'insufficienza patrimoniale costituisce una situazione esistente ed oggettivamente conoscibile, ad esempio, nell'ipotesi di infruttuosa esecuzione da parte di tutti i creditori ovvero nelle ipotesi- ricorrenti nella specie- di proposte di concordato giudiziale e stragiudiziale remissorio.
In ogni caso, la disposizione del secondo comma dell'articolo 2394 codice civile (secondo cui "l'azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti") non va interpretata nel senso che la manifestazione dell'insufficienza patrimoniale comporti un vero e proprio "beneficium excussionis", bensì nel senso che l'insufficienza stessa costituisce una situazione oggettivamente conoscibile, che si verifica, dunque, oltre che nell'ipotesi di infruttuosa esecuzione da parte di tutti i creditori e di proposte di concordato giudiziale e stragiudiziale remissorio, anche con riferimento alle risultanze del bilancio finale di liquidazione e del bilancio di esercizio, quando non vi siano poste suscettibili di sottovalutazione.
Ne consegue che il termine di prescrizione dell'azione di responsabilità ex articolo 2394 cod. civ., promossa da una procedura concorsuale, inizia a decorrere dal momento in cui la situazione di insufficienza patrimoniale è divenuta oggettivamente conoscibile da parte di tutti i creditori e non dal momento in cui s'è manifestato lo stato d'insolvenza della società.
Così l'insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti può risultare da qualsiasi fatto che possa essere conosciuto anche senza verifica diretta della contabilità della società, non richiedendosi a tal fine che essa risulti da un bilancio approvato dall'assemblea dei soci.
La diversa opinione per cui vi sarebbe la possibilità, per i creditori, di esercitare l'azione di responsabilità contro amministratori e sindaci della società debitrice solo dal momento in cui l'insufficienza risulti da un bilancio approvato non sarebbe infatti à giustificata ne' dal testo dell'articolo 2394, ne' da principi più generali in materia di responsabilità.
Essa comporterebbe che l'interesse dei creditori, a proporre l'azione contro i responsabili della diminuzione della garanzia generica offerta dal patrimonio della società, aia subordinata ad una valutazione della società debitrice medesima, espressa attraverso un suo organo interno (l'assemblea) in occasione dell'approvazione del bilancio.
Ciò avrebbe la conseguenza, evidentemente irrazionale, che la società potrebbe ritardare l'esercizio dall'azione di responsabilità contro i suoi amministratori e sindaci semplicemente rifiutandosi di approvare un bilancio, dal quale risultassero delle perdite, o approvando un bilancio non veritiero in attivo.