L’annullamento straordinario del Governo a tutela dell’unità dell’ordinamento: il caso dell’Ordinanza

annullamento straordinario
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Indice:

1. I controlli amministrativi

2. L’assetto dei controlli a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione

3. L’evoluzione legislativa e gli interventi manipolativi della Corte Costituzionale sull’annullamento straordinario

4. Natura giuridica dell’Istituto

 

1. I controlli amministrativi

Un recentissimo pronunciamento in sede consultiva del Consiglio di Stato (Sez. 1, parere 7 aprile del 2020, n. 735) esprimendosi favorevolmente sulla proposta del Ministero dell’interno di annullamento straordinario a tutela dell’unità dell’ordinamento, ai sensi dell’articolo 138 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali e dell’articolo 2, comma 3, lettera p), della legge n. 400 del 1988, dell’ordinanza del Sindaco di Messina n. 105 del 5 aprile 2020, che intende imporre a “Chiunque intende fare ingresso in Sicilia attraverso il Porto di Messina, sia che viaggi a piedi sia che viaggi a bordo di un qualsiasi mezzo di trasporto” l’obbligo di registrarsi, almeno 48 ore prima della partenza, “nel sistema di registrazione on-line www.sipassaacondizione.comune.messina.it, fornendo una serie di dati identificativi e di informazioni personali, e di “Attendere il rilascio da parte del Comune di Messina del Nulla Osta allo spostamento, offre l’occasione per fare il punto sull’Istituto, specie alla luce del nuovo assetto dei rapporti Stato-Regioni-Enti locali, a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione.

Il termine controllo, dal punto di vista etimologico, trae origine dal latino contra rotulum, ossia “contro registro”, poi divenuto contre-role in francese, ed indica in primis la giustapposizione materiale di due elementi, di cui uno costituisce il parametro/paradigma (il “registro”) e l’altro l’oggetto del raffronto (il “contro registro”), ed in secundis la successiva attività di esame e giudizio della conformità del secondo al primo.

Ancor oggi illuminante, a questo riguardo, è il contributo offerto dal Forti, che alla tematica in questione dedicò una monografia all’interno del Trattato di diritto amministrativo di Vittorio Emanuele Orlando: è da tale testo che ricaviamo l’idea secondo la quale il controllo consista nella revisione dell’attività amministrativa, al fine di assicurarne la rispondenza al diritto, cui può conseguire una determinata misura.

Tale revisione è svolta da organi diversi da quelli che hanno posto in essere l’attività amministrativa di base, giacché è peculiare dell’attività di controllo il fatto che controllore e controllato non coincidano in capo al medesimo organo. Questo fatto porta pertanto a ritenere che l’attività di revisione, tipica del controllo, non possa, ad esempio, essere confusa con quella che pone in essere la stessa amministrazione procedente nell’ambito dei provvedimenti amministrativi di secondo grado. In quest’ultimo caso, infatti, si rientra nell’ambito dell’amministrazione attiva e l’esito dell’attività in questione è rappresentato da provvedimenti amministrativi, come tali eventualmente assoggettabili a propria volta a forme di controllo stricto sensu intese.

L’attività di controllo (e ciò vale tanto per i c.d. controlli amministrativi quanto per quelli c.d. costituzionali) consiste, in via generale, in una indagine sulla rispondenza di un determinato atto o comportamento a determinate norme (di talché, potrebbe forse desumersi che tali norme possano essere non necessariamente di carattere giuridico e che quindi molteplici possano essere i parametri di riferimento).

Tale indagine, con riferimento all’ambito giuridico, si articola in tre passaggi logici.

Innanzitutto, il controllo postula una distinzione organica tra controllore e controllato, insussistente invece a livello di amministrazione attiva, ove peraltro, ex articolo 4 Legge n. 241 del 1990, l’unità organizzativa [è] responsabile della istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché dell’adozione del provvedimento finale.

In secondo luogo, il controllo presuppone un’attività amministrativa (latamente intesa) precedente e sottostante, di guisa che esso si pone come momento accessivo e sussidiario, giacché non potrebbe aversi riesame a fronte dell’insussistenza dell’oggetto di tale verifica.

In terzo luogo (ed è specialmente sotto quest’ultimo profilo che si evidenzia la differenza intercorrente con l’attività consultiva, che pure si può dire sia caratterizzata dai due elementi precedenti), l’attività di controllo si conclude con un giudizio che produce conseguenze (positive o negative) sull’efficacia del provvedimento.

Nell’ambito dell’attività di controllo è necessario distinguere tra controlli interni ed esterni. I primi sono svolti dalla medesima pubblica amministrazione i cui atti o le cui attività sono oggetto di controllo; l’esercizio dei secondi è invece curato da organi non solo distinti ma anche estranei alla P.A. controllata. Questi ultimi possono presentarsi con caratteristiche diverse, a seconda cioè che abbiano natura amministrativa oppure giurisdizionale, ed ancora collegiale, come nella maggior parte dei casi nel contesto europeo, o monocratica, come è invece proprio della realtà anglosassone.

Tradizionalmente due sono i poli entro i quali si inscrivono i criteri cui deve attenersi l’attività di controllo: da un lato la legittimità, dall’altro l’effettività, che può compendiarsi in diversi valori (proficuità, economicità, efficacia, efficienza, sana gestione finanziaria, etc.).

 

2. L’assetto dei controlli a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione

La riforma della Costituzione ha profondamente innovato il Titolo V della Costituzione incidendo anche sul sistema dei controlli.

Obiettivo principale della riforma è stato quello di ribaltare, in applicazione dei principi di sussidiarietà e prossimità, il tradizionale assetto del riparto delle competenze legislative e amministrative fra Stato e autonomie locali, liberando queste ultime dal reticolo di leggi quadro, norme di principio e controlli amministrativi che ne paralizzavano le potenzialità”.

In considerazione della ratio di fondo, la riforma ha determinato una rilevante de quotazione dei controlli sugli enti locali.

Per effetto della riforma del 2001 è stata soppressa in primo luogo la figura del Commissario del governo, organismo cui il previgente articolo 124 Costituzione riconosceva funzioni di coordinamento fra le funzioni amministrative statali e quelle della Regione.

Sono stati eliminati i controlli preventivi di legittimità e – nei casi previsti dalla legge – di merito sugli atti amministrativi delle Regioni, nonché il ricorso preventivo alla Corte Costituzionale avverso le leggi regionali da parte del Governo.

In particolare, a tale ultimo riguardo, l’articolo 127, comma 1, Costituzione, nell’attuale formulazione, dispone che la questione di legittimità costituzionale in relazione a una legge regionale può essere presentata solo in via successiva. Lo stesso articolo, inoltre riconosce alle Regioni la facoltà di agire con riguardo alle leggi statali ritenute lesive delle rispettive sfere di attribuzioni (comma 2).

È stato altresì abrogato l’articolo 130 Costituzione, relativo ai controlli di legittimità e di merito della Regione sugli atti di Province, Comuni, ed altri enti locali.

È stato tuttavia attentamente rilevato che a controbilanciare il tenore federalista della riforma in parola, sia il permanere dei poteri di controllo esterno di gestione della Corte dei Conti sulle autonomie locali, pur se configurati in chiave essenzialmente collaborativa.

Va altresì sottolineato che a fronte del sostanziale alleggerimento dei controlli sugli enti territoriali e locali, recato dalla riforma costituzionale, lo Stato ha conservato significativi poteri sostitutivi nei confronti di tali enti.

Si pensi all’articolo 117 comma 5 della Costituzione a mente del quale “Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza”.

Alla stessa logica risponde il successivo articolo 120 comma 2 della CostituzioneIl Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione”.

Oltre ai poteri sostitutivi e per la tutela dell’interesse pubblico, pur nel mutato quadro costituzionale, e con la condizione imprescindibile di salvaguardare le prerogative degli enti locali costituzionalmente garantite, lo Stato ha mantenuto il potere di annullare, d’ufficio o su denunzia, sentito il Consiglio di Stato, gli atti degli enti locali viziati da illegittimità.

 

3. L’evoluzione legislativa e gli interventi manipolativi della Corte Costituzionale sull’annullamento straordinario

L’istituto dell’annullamento in qualunque tempo, da parte del Governo, degli atti amministrativi inficiati da vizi di legittimità, quando lo esigano ragioni di interesse pubblico è disciplinato da fonte legislativa primaria che

  • all’articolo 2, comma 3, lettera p), della legge n. 400 del 1988 include, tra le “Attribuzioni del Consiglio dei ministri”, “le determinazioni concernenti l’annullamento straordinario, a tutela dell’unità dell’ordinamento, degli atti amministrativi illegittimi, previo parere del Consiglio di Stato e, nei soli casi di annullamento di atti amministrativi delle regioni e delle province autonome, anche della Commissione parlamentare per le questioni regionali” 
  • all’articolo 138 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, prevede che “In applicazione dell’articolo 2, comma 3, lettera p), della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Governo, a tutela dell’unità dell’ordinamento, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’interno, ha facoltà, in qualunque tempo, di annullare, d’ufficio o su denunzia, sentito il Consiglio di Stato, gli atti degli enti locali viziati da illegittimità.

Si tratta di un istituto che risale alla fondazione dello Stato italiano.

Considerato fin da allora come manifestazione essenziale della legalità e dell’unitarietà di direzione dell’ordinamento amministrativo dello Stato, esso fu sempre riconosciuto applicabile – nonostante l’originaria mancanza di espresse disposizioni di legge (dal 1865 sino al 1934 fecero riferimento a esso, per disciplinarne la procedura, soltanto i regolamenti di esecuzione della legge comunale e provinciale) – a tutti gli atti amministrativi, da qualsiasi autorità, statale o autarchica, promanassero.

Disciplinato e contemplato in origine dall’articolo 6 T.U. com. e prov. (R.D. n. 383 del 1934), ha soprattutto la funzione di contribuire a mantenere in armonia con altri strumenti, quali, a es., l’unità dell’indirizzo amministrativo nell’azione del Governo (articolo 95 Cost.) e il ricorso straordinario al Capo dello Stato (articolo 16, n. 4, T.U. Cons. di Stato) - il carattere unitario dell’ordinamento della pubblica Amministrazione nonostante la molteplicità dell’articolazione di questo in una pluralità di organismi dotati di varia autonomia. Esso rappresenta un mezzo di autotutela dell’Amministrazione pubblica intesa come ordinamento unitario.

L’orientamento interpretativo della Corte Costituzionale al riguardo  si è espresso, infatti, nel confermare l’importante funzione di tale istituto, dichiarando, peraltro, l’illegittimità costituzionale dell’articolo articolo 2, comma 3, lett. p) della legge 23 agosto 1988, n. 400 , nella parte in cui attribuiva  alla competenza del Consiglio dei Ministri, previo parere del Consiglio di Stato e della Commissione parlamentare per le questioni regionali, “le determinazioni concernenti l’annullamento straordinario, a tutela dell’unità dell’ordinamento, degli atti amministrativi illegittimi delle Regioni e delle Province autonome”.

La sentenza, in particolare, fa riferimento alla natura costituzionale conferita all’autonomia regionale, dalla quale deriva che ogni potere di intervento dello Stato nei confronti delle Regioni o delle Province autonome deve avere fondamento specifico nella stessa disciplina costituzionale, fondamento che non può essere reperito per quanto concerne un potere di annullamento generale e straordinario e vincolato da limiti temporali, quale quello in questione.

La Corte Costituzionale ebbe cura di precisare che “non comporta, peraltro, che gli atti amministrativi di tali enti, ove risultino viziati nella legittimità possano godere- una volta superata la soglia dei controlli amministrativi ordinari - di una sorta di immunità da forme di sindacato successive all’inizio della loro efficacia, suscettibili di condurre all’annullamento dell’atto: tale sindacato, com’é noto, si potrà, infatti, pur sempre attivare, oltre che attraverso l’annullamento di ufficio da parte dello stesso ente che ha emesso l’atto, attraverso i comuni strumenti del controllo giurisdizionale e del conflitto di attribuzione da sollevare innanzi a questa Corte, nel rispetto delle forme e dei limiti fissati dalle diverse procedure”.

Il processo di attuazione di un regionalismo avanzato, iniziato a seguito dell’entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001, recante norme di modifica al titolo V della parte seconda della Costituzione, ha confermato ulteriormente la peculiare rilevanza costituzionale delle Regioni, tenuto anche conto dell’avvenuto conferimento alle stesse di una più accentuata potestà legislativa e dell’affermazione del principio di sussidiarietà, per cui spetta alle stesse Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.

Invece, almeno sotto tale profilo, la posizione dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane non risulta modificata dalla richiamata procedura di revisione costituzionale, per cui, in assenza di specifiche espresse controindicazioni e tenuto conto di una interpretazione in via logica e sistematica della nuova normativa a livello costituzionale, nei confronti degli atti illegittimi dei richiamati Enti deve ancora trovare applicazione l’istituto dell’annullamento straordinario del Governo, a tutela dell’unità dell’ordinamento, di cui all’articolo 2, comma 3, lett. p) della legge 23 agosto 1988, n. 400.

Tale potere trova, infatti, la sua ragion d’essere nell’obbligo gravante sul Presidente del Consiglio dei Ministri, sancito dall’articolo 95 Costituzione, di assicurare il mantenimento dell’unità di indirizzo politico ed amministrativo, nel quadro di unità e di indivisibilità della Repubblica, di cui all’articolo 5 Costituzione.

È indubbio che l’istituto di cui si tratta, disciplinato in modo da servire a un tempo alle esigenze della legalità e a quelle dell’interesse generale (senza il concorso del quale ne sarebbe illegittimo l’esercizio), risulta in piena armonia con il sistema di cui all’articolo 5 della Costituzione, nel quale il decentramento organico e istituzionale è ordinato in modo da non contrastare con il carattere unitario della Repubblica se esercitato nelle materie riservate alla competenza esclusiva dello Stato.

Del resto, a meno che urti con altri precetti, non può ledere le autonomie il ripristino da parte dello Stato della legalità turbata da atti degli enti pubblici.

Inoltre, non si può tralasciare di considerare che il decreto presidenziale di annullamento straordinario richiede anche la preventiva deliberazione del Consiglio dei Ministri, che ne evidenzia, oltre al carattere di atto di alta amministrazione, il raccordo tra la funzione politica e quella amministrativa, con il trasferimento in concreti atti amministrativi delle scelte relative all’amministrazione, effettuate in sede politica.

Nel provvedimento di che trattasi convivono, dunque, elementi propri dell’ordinario controllo di legittimità insieme ad elementi di straordinarietà della misura che, per essere preordinata primariamente a tutela dell’unità dell’ordinamento e per essere rimessa alla decisione dei vertici istituzionali dello Stato (delibera del Consiglio dei ministri) e alla emanazione del Capo dello Stato, che rappresenta l’unità della Repubblica in tutte le sue articolazioni e manifestazioni istituzionali, si pone su un piano di alta amministrazione e richiede, per il suo esercizio, che gli elementi di illegittimità che viziano l’atto assumano una connotazione e una rilevanza tali costituire una lesione concreta e attuale all’unitarietà dell’ordinamento giuridico nazionale.

In questo senso, nell’annullamento straordinario del Capo dello Stato l’elemento finalistico – la tutela dell’unità dell’ordinamento, da assicurarsi mediante l’esercizio di poteri straordinari di alta amministrazione – presenta un’evidente prevalenza sull’elemento causale oggettivo della rilevazione di vizi di illegittimità dell’atto da annullare.

In altri termini, le illegittimità dell’atto annullato, che vengono in rilievo soprattutto e naturalmente (ma non solo) sotto il profilo dell’incompetenza dell’ente locale, funzionale e/o territoriale, in termini di esorbitanza dai fisiologici limiti di attribuzione dell’ente locale medesimo, rilevano solo in quanto mezzo o strumento attraverso il quale si attua la lesione dell’unità dell’ordinamento giuridico, la cui tutela costituisce il fine precipuo dell’istituto straordinario in esame.

 

4. Natura giuridica dell’Istituto

Diverse sono state le tesi enunciate, tanto in sede scientifica che giurisprudenziale, con riferimento al potere di che trattasi:

  • alcune hanno individuato in tale potere una forma speciale di controllo sugli atti. Tuttavia si è fatto rilevare che i controlli in generale vengono esercitati in via continuativa e danno luogo a provvedimenti dovuti, caratteristiche che mancano all’istituto dell’annullamento governativo, il quale si presenta coi caratteri della estemporaneità e della discrezionalità, essendo legato non a paradigmi predeterminati, ma alle mutevoli esigenze e valutazioni dell’interesse pubblico;
  • altre ne hanno, invece, avvicinato la natura alle forme dell’autotutela e dell’annullamento di ufficio legato all’esigenza di preservare l’unita dell’ordinamento amministrativo. Tesi anch’essa criticata che muove dall’accettazione di una visione monolitica dell’amministrazione pubblica quale quella che risulta sottesa alla stessa possibilità di impiego degli strumenti di autotutela-visione certamente incompatibile con il disegno pluralista tracciato dalla Carta repubblicana, dove la valutazione anche politica di larga parte degli interessi locali risulta affidata alla competenza delle Regioni e delle Province autonome, con apparati distinti da quelli del Governo e dell’amministrazione centrale;
  • ed infine, altre ancora che, valorizzando al massimo la discrezionalità dell’intervento, hanno ricondotto il potere in parola all’attività di <alta amministrazione> o di <indirizzo politico>, destinato a far prevalere, nel conflitto tra interessi locali e centrali, le esigenze connesse all’indirizzo politico nazionale  Si tratterebbe di un potere facoltativo e svincolato da qualsivoglia tipizzazione dei contenuti o degli interessi generali da affermare in sede di adozione del provvedimento demolitorio.

In realtà, come ha chiarito la Corte Costituzionale, il fatto che il potere venga esercitato da un soggetto esterno all’amministrazione che ha posto l’atto da annullare e nei confronti di atti comunque viziati nella legittimità induce a ritenere prevalenti, nella fattispecie, le garanzie della legalità che si ricollegano al controllo di legittimità sugli atti, pur con tutte le connotazioni speciali che tendono ad avvicinare il potere stesso all’amministrazione attiva, in relazione sia alla facoltatività dell’annullamento, sia all’inesistenza di un limite temporale per il suo esercizio, sia all’ampia discrezionalità della valutazione relativa alla presenza di un interesse attuale di carattere generale in grado di giustificare l’intervento straordinario del Governo.

Non possiamo che concludere con le parole del Consiglio di Stato espressosi sul punto a seguito di interlocuzione governativa (cfr. Sez.1, parere 7 aprile del 2020, n. 735): la perdurante attualità e rilevanza di tale istituto, in un quadro di razionale equilibrio tra i poteri dello Stato e tra questi e le autonomie territoriali, è resa particolarmente evidente a fronte di fenomeni di dimensione globale quali l’attuale emergenza sanitaria da pandemia che affligge il Paese, dinanzi ai quali l’unitarietà dell’ordinamento giuridico, pur nel pluralismo autonomistico che caratterizza la Repubblica, costituisce la precondizione dell’ordine e della razionalità del sistema, in relazione ai fondamentali principi di solidarietà e di uguaglianza, formale e sostanziale, che ne rappresentano le basi fondative generali.

Bibliografia:

  • BORSI, Intorno al cosiddetto controllo sostitutivo, in Studi senesi, XXX, 1916
  • BENVENUTI, Il controllo  mediante richiesta di riesame, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1954, 376 ss.
  • CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, 2019
  • GAROFOLI-FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, 2019-2020
  • SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo I, Napoli, 564