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La responsabilità del prestatore d’opera intellettuale, con particolare riferimento alle professioni sanitarie

Responsabilità
Responsabilità

Indice:

1. Premessa

2. Prestatore d’opera intellettuale

3. Natura della responsabilità

4. Responsabilità sanitaria

 

1. Premessa

Il presente contributo si propone l’obiettivo di inquadrare la professione intellettuale e di evidenziarne le caratteristiche precipue.

L’indagine si incentrerà poi sull’individuazione della natura giuridica di tale professione e, infine, si metterà in raffronto la disciplina generale con la responsabilità sanitaria.

 

2. Prestatore d’opera intellettuale

La figura del prestatore d’opera intellettuale trova il suo referente normativo nel libro V, titolo III, capo II del codice civile, e precisamente agli articoli che vanno da 2229 a 2238.

Le norme citate non forniscono una definizione su cosa debba intendersi con l’espressione professione intellettuale, tuttavia, da un esame sistematico delle disposizioni citate è possibile inquadrarla.

Si osserva, infatti, che il capo II è collocato nel titolo III, il quale reca la disciplina del lavoro autonomo. Da ciò può dedursi che il prestatore d’opera intellettuale è un lavoratore autonomo, il quale, a differenza del lavoratore subordinato, gode di autonomia di azione nella prestazione dell’opera medesima, non essendo sottoposto ad un potere direttivo, disciplinare o organizzativo di un superiore.

Nondimeno, è ben possibile che il prestatore d’opera intellettuale, pur godendo di autonomia, possa prestare la sua opera nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato (si pensi alla figura del medico che svolge la propria attività in un ente ospedaliero). Ciò è possibile perché, nonostante il legislatore collochi la disciplina nell’ambito del lavoro autonomo, non vi sono norme che la ritengono incompatibile col lavoro subordinato.

Ne deriva che il prestatore d’opera può prestare la propria opera anche nell’ambito di un lavoro subordinato, purché a questo venga assicurata un’ampia discrezionalità con riguardo al modo in cui eseguire l’opera stessa.

Chiarito ciò, può passarsi ad individuare un altro tratto caratterizzante il professionista intellettuale, ovvero quello dei requisiti per potere esercitare tale professione.

Sul punto viene in soccorso la norma di apertura del capo II, ossia l’articolo 2229 Codice Civile, il quale recita che la legge determina le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è richiesta l’iscrizione in apposti albi o elenchi. Pertanto, all’interno delle professioni d’opera intellettuale, vi sono quelle per la quali la legge subordina l’esercizio della stessa all’iscrizione ad un albo (cosiddette regolamentate) e quelle prive di tale obbligo (chiamate non regolamentate).

La differenza principale sta nel fatto che il professionista tenuto ad iscriversi obbligatoriamente in albi ed elenchi è tenuto ad avvalersi, per prestare la sua attività, alle regole proprie del contratto d’opera di cui all’articolo 2230 Codice Civile. Il professionista al quale la legge non pone questo obbligo, invece, è libero di configurare il rapporto col cliente mediante forme contrattuali differenti dal contratto d’opera (si pensi all’appalto, etc.).

Questo diverso trattamento di disciplina risponde ad una precisa scelta discrezionale del legislatore, il quale, per determinate professioni, ha ravvisato un particole interesse pubblico sotteso allo svolgimento della stessa, tale da giustificare la creazione di associazioni professionali che vigilino su queste.

Si richiama a conferma di quanto detto l’articolo 33, comma 5, Cost. a mente del quale è prescritto un esame di stato per l’abilitazione all’esercizio professionale.

L’accertamento di ciò nonché il potere disciplinare è demandato, ex articolo 2229, comma 2, Codice Civile, alle associazioni professionali (Ordini e Collegi), che operano sotto la vigilanza dello Stato.

Si osserva che questa tutela è richiesta quando risponda alla salvaguardia di interessi aventi rilievo costituzionale, si pensi alla salute ed alla difesa. Tali prescrizioni mirano ad assicurare che i professionisti abbiano un’adeguata preparazione tale per cui l’esercizio della professione non danneggi l’interesse pubblico ad essa sotteso.

Negli altri casi, invece, qualora non si verta su interessi aventi un rilievo costituzione e come tale socialmente utili, prevedere questi obblighi per i professionisti potrebbe addirittura essere controproducente e mortificare il principio costituzionale di libertà di iniziativa economica privata di cui all’articolo 41 Costituzione.

Ulteriore tratto qualificante la prestazione d’opera intellettuale è il carattere personale della prestazione medesima. Infatti, alla base di tale prestazione vi è un rapporto fiduciario che si instaura tra il professionista ed il cliente. Questa caratteristica è messa in evidenza dall’articolo 2232 Codice Civile, il quale dispone che il prestatore deve eseguire personalmente l’incarico assunto, questi può tuttavia valersi di ausiliari se ciò non è incompatibile con l’oggetto della prestazione.

 

3. Natura della responsabilità

Si ritiene che la violazione di un diritto sancito da un pregresso rapporto obbligatorio sia fonte di responsabilità da inadempimento, ovvero contrattuale.

Ed infatti, come già anticipato, il rapporto obbligatorio nascente tra il professionista intellettuale ed il cliente trae la sua origine dal contratto d’opera intellettuale di cui all’articolo 2230 Codice Civile Ne consegue che con il conferimento dell’incarico sorge per il cliente il diritto ad ottenere l’esatto adempimento del suo diritto sancito nell’obbligazione.

Un problema che si è posto in dottrina e in giurisprudenza è quello relativo ai criteri – oggettivi o soggettivi – dell’inadempimento.

La teoria oggettiva, più risalente nel tempo e basata sull’interpretazione dell’articolo 1218 Codice Civile, ritiene che l’impossibilità della prestazione è quella oggettiva, ossia quella che riguarda la prestazione in sé e per sé considerata, e assoluta, ossia quella la quale non può essere rimossa con nessuna intensità di sforzo.

La teoria soggettiva (prevalente in giurisprudenza), invece, prende in considerazione anche l’articolo 1176, il quale considera impossibile quell’adempimento che richieda il dispiego di una diligenza superiore a quella del buon padre di famiglia.

Chiarito ciò, ne deriva che ai fini dell’addebitabilità dell’inadempimento contrattuale al prestatore d’opera è necessario indagare sulla natura delle obbligazioni da questi assunte mediante il contratto.

Il codice non fornisce alcuna indicazione sul punto.

La prevalente dottrina, invece, è solita distinguere le obbligazioni in due categorie: mezzo e di risultato.

Nelle prime, il soggetto risulta inadempiente al programma obbligatorio qualora, nell’espletamento della prestazione non si sia attenuto ai parametri di diligenza richiesti per tale operazione. Conseguentemente, se questi abbia adempiuto al suo dovere di diligenza, sarà esonerato da responsabilità a prescindere dal raggiungimento sperato dal cliente (è il caso dell’avvocato o del medico).

Viceversa, nel secondo caso, il comportamento conforme a diligenza non è sufficiente ai fini dell’esonero da responsabilità, poiché ciò che rileva è esclusivamente il risultato raggiunto, in assenza del quale il soggetto risulterà inadempiente (si pensi all’appaltatore).

Applicando tali coordinate alle professioni che qui interessano, ne consegue che il semplice prestatore d’opera (di cui all’articolo 2222 Codice Civile) assume con il contratto un’obbligazione di risultato perché si impegna a realizzare al cliente un’opera ovvero un servizio.

Il professionista intellettuale (ex articolo 2230 Codice Civile), invece, assume con il contratto d’opera intellettuale obbligazioni di mezzi, le quali hanno ad oggetto solo un comportamento professionalmente adeguato.

La norma a cui riferirsi per valutare la diligenza è l’articolo 1176, comma 2, Codice Civile, il quale dispone che nell’adempimento delle obbligazioni inerenti l’attività professionale “la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.

Il modello di riferimento è dunque il cosiddetto professionista medio, il quale è dotato di normali capacità tecniche che siano espressione del livello medio della categoria di appartenenza.

Tale distinzione ha delle precise conseguenze pratiche in ordine al riparto dell’onere probatorio.

Nelle obbligazioni di risultato la condizione necessaria affinché il prestatore d’opera sia liberato dalla responsabilità da inadempimento è che questi dimostri, ex articolo 1218 Codice Civile, che la mancata o inesatta esecuzione della prestazione sia dipesa da causa a lui non imputabile.

Nelle obbligazioni di mezzi, invece, la condizione necessaria affinché al professionista intellettuale possa essere imputata la responsabilità dell’inadempimento nei confronti del cliente è che quest’ultimo dimostri che la prestazione pattuita non è stata eseguita con la diligenza richiesta per tale operazione. A conferma di quanto detto si richiama l’articolo 2236 Codice Civile, rubricato responsabilità del prestatore d’opera intellettuale, il quale dispone che “se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni se non in caso di solo o colpa grave.

Tuttavia, per completezza, si segnala che la giurisprudenza tende a mitigare la rigida contrapposizione tra obbligazioni di mezzo e di risultato, basandosi su un duplice ordine di ragioni.

Da un lato, si ritiene che tutte le obbligazioni siano caratterizzate da un elemento teleologico, pertanto, anche nell’espletamento delle obbligazioni di risultato il comportamento negligente dovrebbe integrare gli estremi dell’inadempimento.

Dall’altro, ha manifestato la tendenza a dilatare il novero delle obbligazioni professionali di risultato rispetto a quelle di mezzi, specie in alcuni particolari settori professionali; ciò con l’esito di determinare un considerevole ampliamento delle fattispecie in cui il professionista è ritenuto responsabile di inadempimento in senso stretto e non solo per colpa.

Acclarata la natura contrattuale del prestatore d’opera intellettuale, tuttavia, non è escluso che questi a causa dell’espletamento della sua attività si renda responsabile anche di danni di natura extracontrattuale nei confronti dello stesso cliente o anche nei riguardi dei terzi.

Per quanto specificamente concerne i rapporti col cliente si precisa che la medesima condotta posta in essere dal professionista può essere causa di inadempimento contrattuale ex articolo 1218 Codice Civile e di un fatto illecito ex articolo 2043 Codice Civile.

Tale situazione viene denominata concorso di responsabilità che non comporta un cumulo di risarcimenti, ma soltanto la possibilità di avvalersi dell’una o dell’altra azione risarcitoria. La scelta è sovente dettata dalla disciplina che risulta più conveniente per il danneggiato.

Ad ogni modo, ciò che risulta necessario, indipendentemente dal titolo di responsabilità richiamato – contrattuale o extracontrattuale – è che, tra il comportamento realizzato dal professionista e l’evento dannoso, sussista un nesso causale tale per cui l’evento è considerato conseguenza dell’azione del professionista stesso.

 

4. Responsabilità sanitaria

Quanto alla figura del prestatore d’opera intellettuale in ambito sanitario, si osserva come essa segua delle regole in parte diverse da quelle sopra descritte. Questa è stata al centro di vivaci contrasti dottrinali e giurisprudenziali dovuti alla circostanza che sovente il medico che cagiona danni al paziente non è un libero professionista, ma è alle dipendenze di una struttura sanitaria. Dunque, in tali circostanze, si è in presenza di un triplice ordine di rapporti: 1) medico con struttura sanitaria, 2) struttura sanitaria con paziente e 3) medico con paziente.

È pacifico che il medico instaura con la struttura sanitaria un contratto di lavoro subordinato (di cui all’articolo 2094 Codice Civile), che, tuttavia, gli consente – come anticipato – ampi margini di autonomia.

È altrettanto pacifico che il paziente instaura con la struttura sanitaria un vincolo contrattuale (seppure atipico), chiamato di spedalità, che si conclude con il ricovero dello stesso all’interno dell’ospedale, dal quale scaturiscono specifici obblighi della struttura nei confronti del soggetto (accanto a obblighi di tipo alberghieri, vi sono anche quelli di messa a disposizione del personale medico ausiliario e dell’apprestamento di tutte le attrezzature necessarie in vista di eventuali complicazioni od emergenze).

Poi vi è il rapporto tra il medico ed il paziente, i quali di regola non sono legati da un contratto.

Questa circostanza ha generato dubbi in ordine alla qualificazione della responsabilità del medico.

Sulla questione vi è stato chi ha ritenuto che, stante la mancanza di un contratto che leghi il paziente ed il medico, la responsabilità di questi non può che essere di tipo extracontrattuale ex articolo 2043 Codice Civile. Con la conseguenza della prescrizione del diritto del paziente al risarcimento di cinque anni (di cui all’articolo 2947, comma 1, Codice Civile) e del più gravoso onere probatorio a suo carico (ex articolo 2697, comma 1, Codice Civile secondo cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento).

Ed altri, invece, che ritenevano il rapporto intercorrente tra medico e paziente non fosse un rapporto tra sconosciuti che vengono in contatto solo in occasione del fatto illecito del medico, ma al contrario un rapporto fondato sul cosiddetto contatto sociale.

Con l’espressione contatto sociale si suole indicare un rapporto “sociale” idoneo ad ingenerare l’affidamento dei soggetti coinvolti in virtù del fatto che si tratta di un rapporto “qualificato” dall’ordinamento giuridico, che vi ricollega una serie di doveri di collaborazione e protezione volti alla salvaguardia di determinati beni giuridici.

Si tratta di una figura elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza per disciplinare tutti quei casi in cui si instaura una relazione tra due soggetti non nascente da contratto e che, nonostante ciò, generi vincoli obbligatori fondati sul generale principio della buona fede sancito dall’articolo 1175 Codice Civile, secondo cui il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza.

Questa disposizione, genera specifici obblighi a carico delle parti che vengano a contatto in una determinata fattispecie, connotata dall’affidamento di una parte nei confronti dell’altra affinché quest’ultima non modifichi in senso negativo la sfera giuridica della parte destinataria dell’obbligo, che per tale ragione si configura come “obbligo di protezione”.

Si tratta di un’estrinsecazione del generale dovere di solidarietà sociale imposto dall’articolo 2 Costituzione, che impone a ciascuna parte del rapporto il dovere di agire avendo riguardo agli interessi dell’altra, in una condizione di reciprocità. Tale fattispecie si inserisce nel novero delle fonti dell’obbligazione, in particolare all’interno della terza fonte enunciata dall’articolo 1173 Codice Civile, (ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico).

La violazione di tali doveri, dunque, determina la responsabilità da contatto sociale qualificato.

In tal caso, infatti, per effetto della relazione contrattuale di fatto, che genera un contatto sociale qualificato, il debitore risponde per responsabilità da inadempimento ex articolo 1218 Codice Civile, poiché l’obbligazione risarcitoria nasce in conseguenza della mancata o inesatta esecuzione delle prestazioni alla base del generale obbligo di protezione.

L’effetto principale, sul piano della disciplina, di una siffatta configurazione è rappresentato da una maggiore tutela per il soggetto danneggiato. Invero, attraverso la responsabilità da inadempimento, il creditore danneggiato dispone di un onere della prova meno gravoso e di un termine prescrizionale più ampio di quanto invece previsto se si trattasse di responsabilità extracontrattuale.

In particolare, nel modello di responsabilità da inadempimento, ex articolo 1218 Codice Civile, l’onere della prova gravante sul paziente si ritiene assolto qualora il medesimo provi il titolo del rapporto (dunque, il contatto sociale qualificato) e il danno conseguente all’inadempimento; il quale dovrà essere solo allegato e non provato.

Si osserva, tuttavia, che il creditore dovrà allegare un inadempimento espresso non in termini generici, bensì specifici: entra in gioco, dunque, il concetto di causalità, poiché il creditore è tenuto ad allegare uno specifico inadempimento idoneo a provocare il danno concretamente sofferto.

Sarà, poi, onere del debitore fornire la prova della propria diligenza, ai sensi dell’articolo 1176 Codice Civile, e dell’impossibilità della prestazione (ovvero dell’inevitabilità del danno nonostante la diligenza applicata), ai sensi dell’articolo 1218 Codice Civile per liberarsi dalla responsabilità.

Infine, il paziente gode del più favorevole termine di prescrizione decennale (di cui all’articolo 2946 Codice Civile).

Negli scorsi anni, dopo un iniziale timore, ha prevalso in giurisprudenza l’orientamento più favorevole al paziente che configura la responsabilità del medico come contrattuale basata sul contatto sociale qualificato.

Tale teoria è stata dominante sino a quando il legislatore per scongiurare il fenomeno della cosiddetta medicina difensiva (essa consiste nella pratica con la quale il medico difende sé stesso contro eventuali azioni di responsabilità seguenti alle cure mediche prestate) ha introdotto il decreto legge n. 158/2012, convertito in con legge n. 201/2012.

Di notevole rilievo per gli aspetti che qui interessano è l’articolo 3, il quale prevede che l’esercente le professioni sanitarie che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo.

Ne consegue che la responsabilità del medico per condotte che non costituiscono inadempimento di un contratto d’opera va ricondotta alla responsabilità da fatto illecito di cui all’articolo 2043 Codice Civile.

Da quanto detto risulta chiaro quale sia stato l’obbiettivo perseguito dal legislatore.

Ed infatti, l’esplicito richiamo all’articolo 2043 Codice Civile, non può che significare un ritorno al sistema normativo come in precedenza interpretato e come la stessa interpretazione letterale impone; contenendo, in tal modo, il contenzioso che rappresenta la causa prima della medicina difensiva.

Nonostante l’intervento legislativo di cui sopra, il dibattito circa la natura – extracontrattuale o contrattuale – della responsabilità dell’esercente la professione sanitaria nei confronti dei danni arrecati ai pazienti non si è sopito.

In particolare, in giurisprudenza è stato sostenuto che la novella, in realtà, non aveva apportato alcuna effettiva novità rispetto alla natura della responsabilità medico-sanitaria e che detto inciso è stato introdotto con l’intento di escludere, nell’ambito aquiliano, l’irrilevanza della colpa lieve.

I persistenti dubbi interpretativi hanno indotto il legislatore a ritornare sulla materia con la legge n. 124/2017.

L’articolo 7, comma 1, cristallizza come contrattuale (ex artt. 1218 e 1228 Codice Civile) la responsabilità della struttura sanitaria nei confronti del paziente.

Quest’ultima avrà poi diritto di rivalsa nei confronti del proprio dipendente, nei casi di condotta caratterizzata dall’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave (articolo 9)

Il comma 3, invece, sancisce espressamente che l’esercente la professione sanitaria risponde del proprio operato ai sensi dell’articolo 2043 Codice Civile, salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente.

Ne deriva un doppio binario di responsabilità (con conseguenti diversi regimi probatori e prescrizionali).

Il primo riguarda la responsabilità civilistica delle strutture sanitarie (pubbliche o private) nei confronti dei pazienti che ha natura contrattuale.

Il secondo, invece, riguarda la responsabilità civilistica degli esercenti la professione sanitaria (ancorché non dipendenti di una struttura ospedaliera) nei confronti dei pazienti che ha natura extracontrattuale, salva l’ipotesi in cui il medico abbia agito nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta col paziente (ex articolo 2930 Codice Civile).

Di conseguenza, è possibile che per lo stesso fatto nascano dei procedimenti che seguano regole diverse a seconda dei soggetti coinvolti.

Per garantire la solvibilità della struttura sanitaria (pubblica o privata) e del medico, inoltre, è previsto, ex articolo 10, l’obbligo di copertura assicurativa.

Si è, poi, provveduto ad abrogare espressamente l’articolo 3, comma 1, del decreto legge n. 158/2012, in quanto la novella contiene anche una nuova disciplina della responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria (articolo 6, che ha introdotto nel codice penale il nuovo articolo 590-sexies, rubricato responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario).

A conclusione di quanto detto si segnala che, al fine di scongiurare la nascita di un orientamento giurisprudenziale che possa fondare nuovamente la responsabilità medica sul contatto sociale, l’articolo 5 prescrive che le disposizioni del presente articolo costituiscono norme imperative ai sensi del codice civile, e come tali non sono derogabili.

Letture consigliate:

Articoli 33 e 41 Costituzione

Articoli 1176, 1218 e 2043 Codice Civile

Articoli da 2229 a 2238 Codice Civile

Legge n. 201/2012 (cosiddetta legge Balduzzi)

Cass. Sez. III, n. 589/1999 (Contatto sociale qualificato)

Legge n. 124/2017 (cosiddetta legge Gelli-Bianco)