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Archeologia - Cassazione Civile: la c.d. sorpresa archeologica e la responsabilità contrattuale dell’ente pubblico nel contratto d’appalto

La Corte di Cassazione si è recentemente occupata del tema della sospensione dei lavori pubblici da parte dell’appaltante per il rinvenimento di reperti archeologici. 

In particolare, il caso di specie ha visto protagonisti, da un lato, un’Associazione Temporanea di Imprese e dall’altro, il comune di Ferrara, che negli anni ‘90 aveva assegnato a tale Associazione la realizzazione di opere per la valorizzazione culturale ed artistica della città, attraverso la stipulazione di tre contratti di appalto. Durante l’esecuzione dei lavori, erano stati ritrovati alcuni reperti murari e delle pavimentazioni, per il cui recupero il Comune aveva disposto la sospensione dei lavori stessi.

L’appaltatore resosi conto dell’eccesiva durata della sospensione agiva in giudizio, chiedendo al Tribunale di Ferrara il risarcimento dei danni subiti per il protrarsi della sospensione. Tale domanda veniva accolta solo in parte dal Giudice poiché questi aveva ritenuto che solo per uno dei tre contratti di appalto era possibile parlare di pregiudizio per l’appaltatore. Avverso questa pronuncia proponeva appello l’attore di primo grado. La Corte di Appello di Bologna confermava la sentenza di primo grado. Per la cassazione della sentenza di appello l’A.T.I proponeva ricorso nei confronti del Comune di Ferrara, lamentando di aver subito pregiudizi economici a causa dell’eccessivo protrarsi della sospensione dei lavori appaltati.

Il Giudice di legittimità ha risposto al quesito presentato dall’A.T.I, richiamando la norma dell’articolo 30 comma 1 del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, che riconosce all’appaltatore il potere di sospendere i lavori pubblici nel momento in cui si venga a concretizzare una causa di forza maggiore. Tra queste cause, la Cassazione novera il rinvenimento di reperti archeologici. La sospensione dei lavori è funzionale alla sistemazione fisica dei beni rinvenuti, che deve avvenire nel più breve tempo possibile per consentire la ripresa dei lavori.

Secondo la Cassazione, il protrarsi illimitato della sospensione è irragionevole e, pertanto, l’appaltatore non solo può chiedere lo scioglimento del contratto, ma anche il risarcimento dei danni subiti a causa della sospensione non giustificata. Affinché l’appaltatore possa ottenere il risarcimento de quo è necessario che egli formuli la riserva di risarcimento nel verbale di ripresa dei lavori, o in un qualsiasi atto successivo al verbale che dispone la sospensione delle opere, quando questa, legittima inizialmente, sia divenuta illegittima per la sua eccessiva protrazione, con il conseguente collegamento del danno a tale illegittimo protrarsi, poiché, in siffatta ipotesi, la rilevanza causale del fatto illegittimo dell’appaltante rispetto ai maggiori oneri derivati all’appaltatore è accertabile solo al momento della ripresa dei lavori.

(Corte di Cassazione - Prima Sezione Civile, Sentenza 5 febbraio 2016, n. 2316)

La Corte di Cassazione si è recentemente occupata del tema della sospensione dei lavori pubblici da parte dell’appaltante per il rinvenimento di reperti archeologici. 

In particolare, il caso di specie ha visto protagonisti, da un lato, un’Associazione Temporanea di Imprese e dall’altro, il comune di Ferrara, che negli anni ‘90 aveva assegnato a tale Associazione la realizzazione di opere per la valorizzazione culturale ed artistica della città, attraverso la stipulazione di tre contratti di appalto. Durante l’esecuzione dei lavori, erano stati ritrovati alcuni reperti murari e delle pavimentazioni, per il cui recupero il Comune aveva disposto la sospensione dei lavori stessi.

L’appaltatore resosi conto dell’eccesiva durata della sospensione agiva in giudizio, chiedendo al Tribunale di Ferrara il risarcimento dei danni subiti per il protrarsi della sospensione. Tale domanda veniva accolta solo in parte dal Giudice poiché questi aveva ritenuto che solo per uno dei tre contratti di appalto era possibile parlare di pregiudizio per l’appaltatore. Avverso questa pronuncia proponeva appello l’attore di primo grado. La Corte di Appello di Bologna confermava la sentenza di primo grado. Per la cassazione della sentenza di appello l’A.T.I proponeva ricorso nei confronti del Comune di Ferrara, lamentando di aver subito pregiudizi economici a causa dell’eccessivo protrarsi della sospensione dei lavori appaltati.

Il Giudice di legittimità ha risposto al quesito presentato dall’A.T.I, richiamando la norma dell’articolo 30 comma 1 del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, che riconosce all’appaltatore il potere di sospendere i lavori pubblici nel momento in cui si venga a concretizzare una causa di forza maggiore. Tra queste cause, la Cassazione novera il rinvenimento di reperti archeologici. La sospensione dei lavori è funzionale alla sistemazione fisica dei beni rinvenuti, che deve avvenire nel più breve tempo possibile per consentire la ripresa dei lavori.

Secondo la Cassazione, il protrarsi illimitato della sospensione è irragionevole e, pertanto, l’appaltatore non solo può chiedere lo scioglimento del contratto, ma anche il risarcimento dei danni subiti a causa della sospensione non giustificata. Affinché l’appaltatore possa ottenere il risarcimento de quo è necessario che egli formuli la riserva di risarcimento nel verbale di ripresa dei lavori, o in un qualsiasi atto successivo al verbale che dispone la sospensione delle opere, quando questa, legittima inizialmente, sia divenuta illegittima per la sua eccessiva protrazione, con il conseguente collegamento del danno a tale illegittimo protrarsi, poiché, in siffatta ipotesi, la rilevanza causale del fatto illegittimo dell’appaltante rispetto ai maggiori oneri derivati all’appaltatore è accertabile solo al momento della ripresa dei lavori.

(Corte di Cassazione - Prima Sezione Civile, Sentenza 5 febbraio 2016, n. 2316)