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Aspettando la Class action. Prime considerazioni e perplessità sull’azione collettiva risarcitoria a tutela dei consumatori

Un gradito regalo ai consumatori italiani.

La vigilia del natale 2007 è stata particolarmente felice per i consumatori e le rispettive associazioni, cui il Governo accordato la prima class action del nostro Ordinamento.

Dopo anni di attesa e di polemiche, dal fecondo grembo della Finanziaria 2008[1] è scaturita la prima azione collettiva risarcitoria a tutela dei consumatori.

I tempi ormai erano maturi per l’introduzione nel nostro Paese di una tutela giudiziaria specifica per i cosiddetti illeciti plurioffensivi.

Da un lato gli scandali finanziari degli ultimi anni, con migliaia di risparmiatori truffati rappresentavano una ferita ancora aperta, dall’altro la stessa Unione Europea ha finalmente deciso di dar vita, nell’ambito della programmazione 2007-2013, a meccanismi di ricorso collettivi per la violazione della regolamentazione a tutela dei consumatori[2].

Nel perdurare dei trionfalismi eccessivi da parte di alcuni e della vera e propria isteria mediatica creatasi intorno alla class action nostrana, divenuta quasi un tormentone quotidiano, non scevro da aspetti di vera e propria disinformazione[3], è opportuna qualche considerazione sulla reale portata del nuovo istituto.

L’assenza di una efficace tutela risarcitoria per il cittadino-consumatore in Italia.

Più volte si è denunciata l’assenza nel sistema giuridico italiano di strumenti processuali facilmente fruibili per il cittadino consumatore. Ai tanti principi sanciti dal Codice del consumo (di seguito CdC), non si affiancava una adeguata tutela giudiziaria, spesso rilasciata all’iniziativa dei singoli e di qualche intraprendente avvocato.

Fortunatamente negli ultimi anni, la giurisprudenza di merito ha cominciato finalmente ad assimilare l’azione inibitoria prevista dall’art. 140 del CdC., riservata alle associazioni dei consumatori per inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti.

E’ un dato di fatto, tuttavia, che la mole di illeciti plurioffensivi in termini di violazioni contrattuali, pratiche commerciali scorrette e conseguenti danni, anche extracontrattuali ai cittadini, resta priva di una adeguata tutela risarcitoria.

Le condotte vessatorie ed in alcuni casi palesemente contrarie alla legge hanno ormai superato il livello di guardia in alcuni settori tra cui quello dei servizi a rete quali energia, trasporti, telecomunicazioni[4].

A questo stato di cose che gli avvocati giusconsumeristi denunciano da tempo, cerca di rispondere la neonata class action, per alcuni una storica conquista, per molte aziende un incubo, per i più realisti una opzione in più di tutela dei diritti dei cittadini.

Chi e quando potrà agire in giudizio con la class action.

Il 30 giugno 2008 entrerà in vigore il nuovo articolo 140 bis del CdC rubricato appunto azione collettiva risarcitoria.

Dal 1° luglio le associazioni dei consumatori rappresentative a livello nazionale (iscritte nell’elenco presso il Ministero dello sviluppo economico), ma anche qualsiasi altra associazione o comitato, allorquando ritengano lesi i diritti di una pluralità di consumatori o di utenti, potranno agire innanzi il Tribunale del luogo in cui ha la sede legale l’impresa ritenuta responsabile.

La domanda consisterà nell’accertamento del diritto al risarcimento del danno ed alla restituzione delle somme spettanti nell’ambito di rapporti giuridici relativi a contratti stipulati ai sensi dell’articolo 1342 del c. c., ovvero in conseguenza di atti illeciti extracontrattuali, di pratiche commerciali scorrette (elencate all’art. 20 e ss del CdC[5]) o di comportamenti anticoncorrenziali.

L’azione collettiva risarcitoria non sarà dunque riservata alle sole associazioni di consumatori riconosciute, ma anche da altri soggetti o comitati (anche, perché no, organizzati da studi legali) purchè adeguatamente rappresentativi dell’interesse collettivo fatto valere. Il vaglio della rappresentatività del soggetto sarà effettuato in via preliminare dal Tribunale adito in composizione collegiale.

Il proponente avvierà l’ iniziativa processuale cui i singoli consumatori interessati o altri soggetti rappresentativi potranno aderire, anche in seguito sino al termine perentorio della precisazione delle conclusioni in appello.

L’esercizio dell’azione collettiva o, se successiva, l’adesione alla stessa produrranno gli effetti interruttivi della prescrizione ai sensi dell’art. 2945 del c. c..

L’oggetto della domanda ed il Giudice competente.

L’azione collettiva risarcitoria ha quale precipua finalità l’accertamento di un illecito plurioffensivo e del conseguente diritto al risarcimento del danno o alla restituzione delle somme ai consumatori lesi.

Alla base della domanda deve porsi la violazione di una o più norme del CdC, di un contratto stipulato ai sensi dell’art 1342 c.c., la messa in opera di condotte anticoncorrenziali che comportino l’aumento dei prezzi di taluni beni o servizi ed ogni altra ipotesi di illeciti, anche estranei a specifici contratti, idonei a produrre danni a più consumatori.

Dalla pluralità dei soggetti coinvolti consegue la competenza territoriale presso il Tribunale, in composizione collegiale, ove ha sede legale l’impresa convenuta. Resta fermo per il consumatore il diritto di agire singolarmente innanzi il proprio giudice naturale per una controversia analoga a quella collettiva cui decida di non aderire.

La prima udienza, il filtro della ammissibilità ed i costi della “adeguata pubblicità” dell’azione.

Alla prima udienza il Tribunale, sentite le parti e assunte quando occorre sommarie informazioni, pronuncia sull’ammissibilità della domanda, con ordinanza che pronuncia in camera di consiglio, reclamabile davanti alla Corte di appello.

Spetterà dunque ai Giudici quell’opera di filtro, o se si vuole di sbarramento, che il legislatore ha evitato volutamente di sancire in via amministrativa.

L’azione potrà essere dichiarata inammissibile quando il collegio la ritenga manifestamente infondata, quando sussista un conflitto di interessi, ovvero quando non ravvisi l’esistenza di un interesse collettivo suscettibile di adeguata tutela in sede di azione collettiva.

Il Tribunale potrà differire la pronuncia sull’ammissibilità della domanda quando sul medesimo oggetto sia in corso un’istruttoria di un’autorità indipendente come l’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, l’Autorità per l’energia, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni o il Garante della privacy.

Superato il primo ostacolo con riservate che potrebbero durare anche mesi, o addirittura anni nel caso di indagini delle autorità indipendenti (i cui provvedimenti potrebbero essere anche impugnati al Tar e successivamente al Consiglio di stato), ritenuta ammissibile la domanda il giudice dispone, a cura di chi ha proposto l’azione collettiva, che ne venga data idonea pubblicità e dà i provvedimenti per la prosecuzione del giudizio. La divulgazione dell’azione alla generalità dei consumatori è a carico esclusivo del proponente ed i relativi costi, cui si aggiungono quelli gestione di centinaia o addirittura migliaia di deleghe degli aderenti, rappresentano uno dei fattori che rendono l’azione collettiva risarcitoria particolarmente onerosa per chi la promuove e per i suoi legali, quanto maggiore sarà la pluralità dei soggetti coinvolti.

L’istruttoria e la sentenza.

Esaurita l’ istruttoria e fatte precisare le conclusioni il Collegio decide sulla domanda. In caso di rigetto al proponente non resta che l’appello previa informativa agli aderenti e ferma restando l’ipotesi che altri coraggiosi consumatori decidano comunque, in secondo grado, di aderire all’azione sperando in un capovolgimento della decisione di primo grado. Al contrario, in caso di accoglimento, il Collegio in Sentenza determina i criteri in base ai quali liquidare la somma da corrispondere o da restituire ai singoli consumatori o utenti che hanno aderito all’azione collettiva o che sono intervenuti nel giudizio.

Qualora ne sussistano i presupposti processuali il Tribunale potrebbe anche determinare un importo minimo da corrispondere a ciascun consumatore o utente con ciò, ad avviso dello scrivente, mutando la decisione da accertamento in vera e propria condanna.

Ricordiamo che il legislatore italiano non ha previsto l’adozione da parte del Tribunale dei cosiddetti punitive damages in capo all’azienda soccombente, caratteristica dell’azione statunitense finalizzata ad una funzione di temibile deterrente di possibili comportamenti atti a danneggiare i consumatori e quindi il regolare funzionamento dei mercati.

A questo punto il procuratore del proponente la class action notificherà la sentenza all’impresa convenuta, che fa stato anche nei confronti dei consumatori aderenti. Nei sessanta giorni successivi la soccombente proporrà il pagamento di una somma, con atto sottoscritto, comunicato a ciascun avente diritto e depositato in cancelleria. La proposta, in qualsiasi forma accettata dal consumatore o utente costituisce titolo esecutivo.

Tutti i consumatori danneggiati dalla condotta dell’ impresa accertata come illecita, ma che non hanno aderito all’azione collettiva, anche dopo la sentenza collettiva, potranno agire individualmente innanzi al giudice del foro del consumatore a tutela dei propri diritti.

Il mancato accordo sulla quantificazione del danno e la camera di conciliazione.

La procedura prevista dopo la decisione del Tribunale che accoglie la domanda costituisce la vera peculiarità dell’azione risarcitoria collettiva italiana. Dopo gli anni necessari per arrivare ad una sentenza , pur sempre contrastabile in appello (ed eventualmente in Cassazione), se l’impresa non comunica la proposta di pagamento ai consumatori entro 60 giorni dalla notifica o il proponente e/o gli aderenti non accettano quella fatta, la fase esecutiva viene sostituita da quella che è stata polemicamente battezzata da alcuni giuristi come la “camera di transazione”[6]. La norma prevede infatti che il Presidente del Tribunale costituisca un’unica camera di conciliazione per la determinazione delle somme da corrispondere o da restituire ai consumatori utenti che hanno aderito all’azione collettiva o sono intervenuti e che ne fanno domanda.

La camera di conciliazione è composta da un avvocato scelto dai proponenti l’azione, da un legale indicato dall’impresa convenuta ed è presieduta da un avvocato nominato dal Presidente del Tribunale tra gli iscritti all’albo speciale per le giurisdizioni superiori.

La camera di conciliazione quantifica, con verbale sottoscritto dal presidente, i modi, i termini e l’ammontare da corrispondere ai singoli consumatori o utenti. Il verbale di conciliazione costituisce titolo esecutivo.

In alternativa, su concorde richiesta del promotore dell’azione e dell’impresa convenuta, il Presidente dispone che la composizione non contenziosa abbia luogo presso uno degli organismi di conciliazione riconosciuti ai sensi del D.lgs n. 5/03 in materia di diritto societario.

Non è chiaro chi ed in quale misura sopporterà i costi ulteriori di questo rilevante passaggio procedurale che sarà rimesso alla concorde determinazione delle parti o, più credibilmente, alla decisione del Presidente.

Conclusioni e perplessità.

La scelta di introdurre l’azione risarcitoria collettiva in sede di legge finanziaria dimostra che il Governo in carica ne ha inteso privilegiare più l’aspetto “politico” che giuridico. I tempi ristretti e la necessità di aggirare la potenti lobby imprenditoriale che in questi anni si è battuta in sede parlamentare per bloccare (ed attualmente per limitare quanto più possibile) qualsiasi ipotesi di azione collettiva da parte dei consumatori ha quasi imposto questa scelta legislativa. Naturalmente il frutto di questo modus operandi si riflette marcatamente sulla fruibilità e l’efficacia dello strumento giudiziario da parte di chi dovrebbe tutelare. Non mancano a riguardo incertezze sulla procedura, sui costi effettivi che graveranno sul proponente, di per se soggetto debole, sui tempi della decisione che potrebbero essere lunghissimi, incentivando resistenze strumentali in giudizio da parte delle imprese, molte delle quali potrebbero anche fallire in corso di causa, soprattutto nel caso realizzino che la causa si metta male.

Da considerare anche, per converso, i riflessi negativi sul mercato ed il conseguente danno all’immagine commerciale di aziende coinvolte in class action “adeguatamente pubblicizzate” che vengano poi respinte in primo grado o in appello (ma anche in Cassazione). In questo contesto le spese legali della soccombenza sarebbero inevitabilmente pesanti soprattutto per gli attori proponenti ed i consumatori aderenti che, non è chiaro se potrebbero essere esposti al rischio di condanna.

Forse la stipula di una garanzia fideiussoria obbligatoria all’avvio della azione per entrambe le parti, sarebbe stata una misura che avrebbe garantito sia i consumatori che le imprese, pur comportando una ulteriore lievitazione dei costi.

Da registrare l’eliminazione in sede di approvazione della ridicola norma blocca onorari degli avvocati, per cui nel caso di soccombenza dell’impresa la stessa poteva essere condannata al pagamento delle spese legali ma il compenso non doveva superare l’importo del 10% del valore della controversia.

In conclusione è evidente che i veri protagonisti della class action all’italiana, nell’attesa di quella comunitaria, saranno ancora una volta gli avvocati dei proponenti, i Tribunali e le rispettive e già intasate cancellerie, cui spetterà il compito di integrazione giurisprudenziale delle lacune della legge, gestendo responsabilmente e con equità le aspettative di giustizia, speriamo sempre fondate, dei cittadini consumatori nel contrastato rapporto con le imprese del mercato italiano, tutt’altro che etico e liberalizzato.



[1] Legge 24 Dicembre 2007 n. 244, pubblicata sul supp. ord. n. 285 alla Gazzetta Ufficiale del 28 Dicembre 2007 n. 300.

[2] Nella Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo ed al Comitato economico e sociale europeo del 13 marzo 2007 dal titolo Strategia per la politica dei consumatori dell’UE 2007-2013 [COM (2007) 99 def. Non pubblicata in Gazzetta Ufficiale] tra le azioni previste vi è il miglioramento del controllo dell’applicazione e delle vie di ricorso con la creazione di meccanismi di ricorso collettivi in caso di inadempimento della regolamentazione a tutela dei consumatori (http://europa.eu/scadplus/leg/it/1vb/132054.htm).

[3] A riprova della superficialità, delle false attese, se non addirittura della disinformazione generatasi intorno al nuovo istituto, la notizia data nel gennaio 2008 da tutti i telegiornali nazionali nel corso dell’emergenza rifiuti in Campania che i commercianti di Napoli avevano avviato la prima class action in Italia. In questo caso i media hanno finito per confondere l’ esposto di un gruppo di negozianti alla Procura della repubblica di Napoli con la nuova azione collettiva risarcitoria, riservata ai soli consumatori ed associazioni.

[4] Un esempio eclatante di palese dispregio delle norme a tutela degli utenti lo hanno reso le compagnie telefoniche. In particolare la Wind Telecomunicazioni spa nonostante l’entrata in vigore del Decreto Legge Bersani (poi convertito in L. n. 40/07) che ne prevedeva l’abolizione, ha continuato per alcuni giorni ad applicare il balzello sulle ricariche dei propri telefoni cellulari sino all’intervento sanzionatorio della AGCOM.

[5] Le pratiche commerciali scorrette sono state recentemente codificate nel Codice del Consumo in base al D.lgs n. 146/2007 (Gu 6.9.2007 n. 207) che ha dato attuazione alla direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica le direttive 84/450/CEE, 97/7/CE, 98/27/CE, 2002/65/CE, e il Regolamento (CE) n. 2006/2004.

[6] Il Prof. Guido Alpa così commentava su Il Sole 24 ore del 17.11.2007 l’azione collettiva risarcitoria appena approvata dal Senato “La gestione dei rimborsi individuali tramite una camera di conciliazione successiva alla decisione di accertamento e condanna della responsabilità dell’impresa implica il rovesciamento della logica giuridica processuale, perché la conciliazione serve a prevenire le cause, altrimenti trattasi di una "camera di transazione".

Appendice Normativa

L’azione inibitoria e l’azione collettiva risarcitoria nel Codice del consumo

Codice del Consumo D.lgs 6 settembre 2005, n. 206

PARTE V

ASSOCIAZIONI DEI CONSUMATORI E ACCESSO ALLA GIUSTIZIA

Art. 140-bis. – (Azione collettiva risarcitoria).

1. Le associazioni di cui al comma 1 dell’articolo 139 e gli altri soggetti di cui al comma 2 del presente articolo sono legittimati ad agire a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti richiedendo al tribunale del luogo in cui ha sede l’impresa l’accertamento del diritto al risarcimento del danno e alla restituzione delle somme spettanti ai singoli consumatori o utenti nell’ambito di rapporti giuridici relativi a contratti stipulati ai sensi dell’articolo 1342 del codice civile, ovvero in conseguenza di atti illeciti extracontrattuali, di pratiche commerciali scorrette o di comportamenti anticoncorrenziali, quando sono lesi i diritti di una pluralità di consumatori o di utenti.

2. Sono legittimati ad agire ai sensi del comma 1 anche associazioni e comitati che sono adeguatamente rappresentativi degli interessi collettivi fatti valere. I consumatori o utenti che intendono avvalersi della tutela prevista dal presente articolo devono comunicare per iscritto al proponente la propria adesione all’azione collettiva. L’adesione può essere comunicata, anche nel giudizio di appello, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni. Nel giudizio promosso ai sensi del comma 1 è sempre ammesso l’intervento dei singoli consumatori o utenti per proporre domande aventi il medesimo oggetto. L’esercizio dell’azione collettiva di cui al comma 1 o, se successiva, l’adesione all’azione collettiva, produce gli effetti interrottivi della prescrizione ai sensi dell’articolo 2945 del codice civile.

3. Alla prima udienza il tribunale, sentite le parti, e assunte quando occorre sommarie informazioni, pronuncia sull’ammissibilità della domanda, con ordinanza reclamabile davanti alla corte di appello, che pronuncia in camera di consiglio. La domanda è dichiarata inammissibile quando è manifestamente infondata, quando sussiste un conflitto di interessi, ovvero quando il giudice non ravvisa l’esistenza di un interesse collettivo suscettibile di adeguata tutela ai sensi del presente articolo. Il giudice può differire la pronuncia sull’ammissibilità della domanda quando sul medesimo oggetto è in corso un’istruttoria davanti ad un’autorità indipendente. Se ritiene ammissibile la domanda il giudice dispone, a cura di chi ha proposto l’azione collettiva, che venga data idonea pubblicità dei contenuti dell’azione proposta e dà i provvedimenti per la prosecuzione del giudizio.

4. Se accoglie la domanda, il giudice determina i criteri in base ai quali liquidare la somma da corrispondere o da restituire ai singoli consumatori o utenti che hanno aderito all’azione collettiva o che sono intervenuti nel giudizio. Se possibile allo stato degli atti, il giudice determina la somma minima da corrispondere a ciascun consumatore o utente. Nei sessanta giorni successivi alla notificazione della sentenza, l’impresa propone il pagamento di una somma, con atto sottoscritto, comunicato a ciascun avente diritto e depositato in cancelleria. La proposta in qualsiasi forma accettata dal consumatore o utente costituisce titolo esecutivo.

5. La sentenza che definisce il giudizio promosso ai sensi del comma 1 fa stato anche nei confronti dei consumatori e utenti che hanno aderito all’azione collettiva. È fatta salva l’azione individuale dei consumatori o utenti che non aderiscono all’azione collettiva, o non intervengono nel giudizio promosso ai sensi del comma 1.

6. Se l’impresa non comunica la proposta entro il termine di cui al comma 4 o non vi è stata accettazione nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione della stessa, il presidente del tribunale competente ai sensi del comma 1 costituisce un’unica camera di conciliazione per la determinazione delle somme da corrispondere o da restituire ai consumatori o utenti che hanno aderito all’azione collettiva o sono intervenuti ai sensi del comma 2 e che ne fanno domanda. La camera di conciliazione è composta da un avvocato indicato dai soggetti che hanno proposto l’azione collettiva e da un avvocato indicato dall’impresa convenuta ed è presieduta da un avvocato nominato dal presidente del tribunale tra gli iscritti all’albo speciale per le giurisdizioni superiori. La camera di conciliazione quantifica, con verbale sottoscritto dal presidente, i modi, i termini e l’ammontare da corrispondere ai singoli consumatori o utenti. Il verbale di conciliazione costituisce titolo esecutivo. In alternativa, su concorde richiesta del promotore dell’azione collettiva e dell’impresa convenuta, il presidente del tribunale dispone che la composizione non contenziosa abbia luogo presso uno degli organismi di conciliazione di cui all’articolo 38 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, e successive modificazioni, operante presso il comune in cui ha sede il tribunale. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 39 e 40 del citato decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, e successive modificazioni.

Un gradito regalo ai consumatori italiani.

La vigilia del natale 2007 è stata particolarmente felice per i consumatori e le rispettive associazioni, cui il Governo accordato la prima class action del nostro Ordinamento.

Dopo anni di attesa e di polemiche, dal fecondo grembo della Finanziaria 2008[1] è scaturita la prima azione collettiva risarcitoria a tutela dei consumatori.

I tempi ormai erano maturi per l’introduzione nel nostro Paese di una tutela giudiziaria specifica per i cosiddetti illeciti plurioffensivi.

Da un lato gli scandali finanziari degli ultimi anni, con migliaia di risparmiatori truffati rappresentavano una ferita ancora aperta, dall’altro la stessa Unione Europea ha finalmente deciso di dar vita, nell’ambito della programmazione 2007-2013, a meccanismi di ricorso collettivi per la violazione della regolamentazione a tutela dei consumatori[2].

Nel perdurare dei trionfalismi eccessivi da parte di alcuni e della vera e propria isteria mediatica creatasi intorno alla class action nostrana, divenuta quasi un tormentone quotidiano, non scevro da aspetti di vera e propria disinformazione[3], è opportuna qualche considerazione sulla reale portata del nuovo istituto.

L’assenza di una efficace tutela risarcitoria per il cittadino-consumatore in Italia.

Più volte si è denunciata l’assenza nel sistema giuridico italiano di strumenti processuali facilmente fruibili per il cittadino consumatore. Ai tanti principi sanciti dal Codice del consumo (di seguito CdC), non si affiancava una adeguata tutela giudiziaria, spesso rilasciata all’iniziativa dei singoli e di qualche intraprendente avvocato.

Fortunatamente negli ultimi anni, la giurisprudenza di merito ha cominciato finalmente ad assimilare l’azione inibitoria prevista dall’art. 140 del CdC., riservata alle associazioni dei consumatori per inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti.

E’ un dato di fatto, tuttavia, che la mole di illeciti plurioffensivi in termini di violazioni contrattuali, pratiche commerciali scorrette e conseguenti danni, anche extracontrattuali ai cittadini, resta priva di una adeguata tutela risarcitoria.

Le condotte vessatorie ed in alcuni casi palesemente contrarie alla legge hanno ormai superato il livello di guardia in alcuni settori tra cui quello dei servizi a rete quali energia, trasporti, telecomunicazioni[4].

A questo stato di cose che gli avvocati giusconsumeristi denunciano da tempo, cerca di rispondere la neonata class action, per alcuni una storica conquista, per molte aziende un incubo, per i più realisti una opzione in più di tutela dei diritti dei cittadini.

Chi e quando potrà agire in giudizio con la class action.

Il 30 giugno 2008 entrerà in vigore il nuovo articolo 140 bis del CdC rubricato appunto azione collettiva risarcitoria.

Dal 1° luglio le associazioni dei consumatori rappresentative a livello nazionale (iscritte nell’elenco presso il Ministero dello sviluppo economico), ma anche qualsiasi altra associazione o comitato, allorquando ritengano lesi i diritti di una pluralità di consumatori o di utenti, potranno agire innanzi il Tribunale del luogo in cui ha la sede legale l’impresa ritenuta responsabile.

La domanda consisterà nell’accertamento del diritto al risarcimento del danno ed alla restituzione delle somme spettanti nell’ambito di rapporti giuridici relativi a contratti stipulati ai sensi dell’articolo 1342 del c. c., ovvero in conseguenza di atti illeciti extracontrattuali, di pratiche commerciali scorrette (elencate all’art. 20 e ss del CdC[5]) o di comportamenti anticoncorrenziali.

L’azione collettiva risarcitoria non sarà dunque riservata alle sole associazioni di consumatori riconosciute, ma anche da altri soggetti o comitati (anche, perché no, organizzati da studi legali) purchè adeguatamente rappresentativi dell’interesse collettivo fatto valere. Il vaglio della rappresentatività del soggetto sarà effettuato in via preliminare dal Tribunale adito in composizione collegiale.

Il proponente avvierà l’ iniziativa processuale cui i singoli consumatori interessati o altri soggetti rappresentativi potranno aderire, anche in seguito sino al termine perentorio della precisazione delle conclusioni in appello.

L’esercizio dell’azione collettiva o, se successiva, l’adesione alla stessa produrranno gli effetti interruttivi della prescrizione ai sensi dell’art. 2945 del c. c..

L’oggetto della domanda ed il Giudice competente.

L’azione collettiva risarcitoria ha quale precipua finalità l’accertamento di un illecito plurioffensivo e del conseguente diritto al risarcimento del danno o alla restituzione delle somme ai consumatori lesi.

Alla base della domanda deve porsi la violazione di una o più norme del CdC, di un contratto stipulato ai sensi dell’art 1342 c.c., la messa in opera di condotte anticoncorrenziali che comportino l’aumento dei prezzi di taluni beni o servizi ed ogni altra ipotesi di illeciti, anche estranei a specifici contratti, idonei a produrre danni a più consumatori.

Dalla pluralità dei soggetti coinvolti consegue la competenza territoriale presso il Tribunale, in composizione collegiale, ove ha sede legale l’impresa convenuta. Resta fermo per il consumatore il diritto di agire singolarmente innanzi il proprio giudice naturale per una controversia analoga a quella collettiva cui decida di non aderire.

La prima udienza, il filtro della ammissibilità ed i costi della “adeguata pubblicità” dell’azione.

Alla prima udienza il Tribunale, sentite le parti e assunte quando occorre sommarie informazioni, pronuncia sull’ammissibilità della domanda, con ordinanza che pronuncia in camera di consiglio, reclamabile davanti alla Corte di appello.

Spetterà dunque ai Giudici quell’opera di filtro, o se si vuole di sbarramento, che il legislatore ha evitato volutamente di sancire in via amministrativa.

L’azione potrà essere dichiarata inammissibile quando il collegio la ritenga manifestamente infondata, quando sussista un conflitto di interessi, ovvero quando non ravvisi l’esistenza di un interesse collettivo suscettibile di adeguata tutela in sede di azione collettiva.

Il Tribunale potrà differire la pronuncia sull’ammissibilità della domanda quando sul medesimo oggetto sia in corso un’istruttoria di un’autorità indipendente come l’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, l’Autorità per l’energia, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni o il Garante della privacy.

Superato il primo ostacolo con riservate che potrebbero durare anche mesi, o addirittura anni nel caso di indagini delle autorità indipendenti (i cui provvedimenti potrebbero essere anche impugnati al Tar e successivamente al Consiglio di stato), ritenuta ammissibile la domanda il giudice dispone, a cura di chi ha proposto l’azione collettiva, che ne venga data idonea pubblicità e dà i provvedimenti per la prosecuzione del giudizio. La divulgazione dell’azione alla generalità dei consumatori è a carico esclusivo del proponente ed i relativi costi, cui si aggiungono quelli gestione di centinaia o addirittura migliaia di deleghe degli aderenti, rappresentano uno dei fattori che rendono l’azione collettiva risarcitoria particolarmente onerosa per chi la promuove e per i suoi legali, quanto maggiore sarà la pluralità dei soggetti coinvolti.

L’istruttoria e la sentenza.

Esaurita l’ istruttoria e fatte precisare le conclusioni il Collegio decide sulla domanda. In caso di rigetto al proponente non resta che l’appello previa informativa agli aderenti e ferma restando l’ipotesi che altri coraggiosi consumatori decidano comunque, in secondo grado, di aderire all’azione sperando in un capovolgimento della decisione di primo grado. Al contrario, in caso di accoglimento, il Collegio in Sentenza determina i criteri in base ai quali liquidare la somma da corrispondere o da restituire ai singoli consumatori o utenti che hanno aderito all’azione collettiva o che sono intervenuti nel giudizio.

Qualora ne sussistano i presupposti processuali il Tribunale potrebbe anche determinare un importo minimo da corrispondere a ciascun consumatore o utente con ciò, ad avviso dello scrivente, mutando la decisione da accertamento in vera e propria condanna.

Ricordiamo che il legislatore italiano non ha previsto l’adozione da parte del Tribunale dei cosiddetti punitive damages in capo all’azienda soccombente, caratteristica dell’azione statunitense finalizzata ad una funzione di temibile deterrente di possibili comportamenti atti a danneggiare i consumatori e quindi il regolare funzionamento dei mercati.

A questo punto il procuratore del proponente la class action notificherà la sentenza all’impresa convenuta, che fa stato anche nei confronti dei consumatori aderenti. Nei sessanta giorni successivi la soccombente proporrà il pagamento di una somma, con atto sottoscritto, comunicato a ciascun avente diritto e depositato in cancelleria. La proposta, in qualsiasi forma accettata dal consumatore o utente costituisce titolo esecutivo.

Tutti i consumatori danneggiati dalla condotta dell’ impresa accertata come illecita, ma che non hanno aderito all’azione collettiva, anche dopo la sentenza collettiva, potranno agire individualmente innanzi al giudice del foro del consumatore a tutela dei propri diritti.

Il mancato accordo sulla quantificazione del danno e la camera di conciliazione.

La procedura prevista dopo la decisione del Tribunale che accoglie la domanda costituisce la vera peculiarità dell’azione risarcitoria collettiva italiana. Dopo gli anni necessari per arrivare ad una sentenza , pur sempre contrastabile in appello (ed eventualmente in Cassazione), se l’impresa non comunica la proposta di pagamento ai consumatori entro 60 giorni dalla notifica o il proponente e/o gli aderenti non accettano quella fatta, la fase esecutiva viene sostituita da quella che è stata polemicamente battezzata da alcuni giuristi come la “camera di transazione”[6]. La norma prevede infatti che il Presidente del Tribunale costituisca un’unica camera di conciliazione per la determinazione delle somme da corrispondere o da restituire ai consumatori utenti che hanno aderito all’azione collettiva o sono intervenuti e che ne fanno domanda.

La camera di conciliazione è composta da un avvocato scelto dai proponenti l’azione, da un legale indicato dall’impresa convenuta ed è presieduta da un avvocato nominato dal Presidente del Tribunale tra gli iscritti all’albo speciale per le giurisdizioni superiori.

La camera di conciliazione quantifica, con verbale sottoscritto dal presidente, i modi, i termini e l’ammontare da corrispondere ai singoli consumatori o utenti. Il verbale di conciliazione costituisce titolo esecutivo.

In alternativa, su concorde richiesta del promotore dell’azione e dell’impresa convenuta, il Presidente dispone che la composizione non contenziosa abbia luogo presso uno degli organismi di conciliazione riconosciuti ai sensi del D.lgs n. 5/03 in materia di diritto societario.

Non è chiaro chi ed in quale misura sopporterà i costi ulteriori di questo rilevante passaggio procedurale che sarà rimesso alla concorde determinazione delle parti o, più credibilmente, alla decisione del Presidente.

Conclusioni e perplessità.

La scelta di introdurre l’azione risarcitoria collettiva in sede di legge finanziaria dimostra che il Governo in carica ne ha inteso privilegiare più l’aspetto “politico” che giuridico. I tempi ristretti e la necessità di aggirare la potenti lobby imprenditoriale che in questi anni si è battuta in sede parlamentare per bloccare (ed attualmente per limitare quanto più possibile) qualsiasi ipotesi di azione collettiva da parte dei consumatori ha quasi imposto questa scelta legislativa. Naturalmente il frutto di questo modus operandi si riflette marcatamente sulla fruibilità e l’efficacia dello strumento giudiziario da parte di chi dovrebbe tutelare. Non mancano a riguardo incertezze sulla procedura, sui costi effettivi che graveranno sul proponente, di per se soggetto debole, sui tempi della decisione che potrebbero essere lunghissimi, incentivando resistenze strumentali in giudizio da parte delle imprese, molte delle quali potrebbero anche fallire in corso di causa, soprattutto nel caso realizzino che la causa si metta male.

Da considerare anche, per converso, i riflessi negativi sul mercato ed il conseguente danno all’immagine commerciale di aziende coinvolte in class action “adeguatamente pubblicizzate” che vengano poi respinte in primo grado o in appello (ma anche in Cassazione). In questo contesto le spese legali della soccombenza sarebbero inevitabilmente pesanti soprattutto per gli attori proponenti ed i consumatori aderenti che, non è chiaro se potrebbero essere esposti al rischio di condanna.

Forse la stipula di una garanzia fideiussoria obbligatoria all’avvio della azione per entrambe le parti, sarebbe stata una misura che avrebbe garantito sia i consumatori che le imprese, pur comportando una ulteriore lievitazione dei costi.

Da registrare l’eliminazione in sede di approvazione della ridicola norma blocca onorari degli avvocati, per cui nel caso di soccombenza dell’impresa la stessa poteva essere condannata al pagamento delle spese legali ma il compenso non doveva superare l’importo del 10% del valore della controversia.

In conclusione è evidente che i veri protagonisti della class action all’italiana, nell’attesa di quella comunitaria, saranno ancora una volta gli avvocati dei proponenti, i Tribunali e le rispettive e già intasate cancellerie, cui spetterà il compito di integrazione giurisprudenziale delle lacune della legge, gestendo responsabilmente e con equità le aspettative di giustizia, speriamo sempre fondate, dei cittadini consumatori nel contrastato rapporto con le imprese del mercato italiano, tutt’altro che etico e liberalizzato.



[1] Legge 24 Dicembre 2007 n. 244, pubblicata sul supp. ord. n. 285 alla Gazzetta Ufficiale del 28 Dicembre 2007 n. 300.

[2] Nella Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo ed al Comitato economico e sociale europeo del 13 marzo 2007 dal titolo Strategia per la politica dei consumatori dell’UE 2007-2013 [COM (2007) 99 def. Non pubblicata in Gazzetta Ufficiale] tra le azioni previste vi è il miglioramento del controllo dell’applicazione e delle vie di ricorso con la creazione di meccanismi di ricorso collettivi in caso di inadempimento della regolamentazione a tutela dei consumatori (http://europa.eu/scadplus/leg/it/1vb/132054.htm).

[3] A riprova della superficialità, delle false attese, se non addirittura della disinformazione generatasi intorno al nuovo istituto, la notizia data nel gennaio 2008 da tutti i telegiornali nazionali nel corso dell’emergenza rifiuti in Campania che i commercianti di Napoli avevano avviato la prima class action in Italia. In questo caso i media hanno finito per confondere l’ esposto di un gruppo di negozianti alla Procura della repubblica di Napoli con la nuova azione collettiva risarcitoria, riservata ai soli consumatori ed associazioni.

[4] Un esempio eclatante di palese dispregio delle norme a tutela degli utenti lo hanno reso le compagnie telefoniche. In particolare la Wind Telecomunicazioni spa nonostante l’entrata in vigore del Decreto Legge Bersani (poi convertito in L. n. 40/07) che ne prevedeva l’abolizione, ha continuato per alcuni giorni ad applicare il balzello sulle ricariche dei propri telefoni cellulari sino all’intervento sanzionatorio della AGCOM.

[5] Le pratiche commerciali scorrette sono state recentemente codificate nel Codice del Consumo in base al D.lgs n. 146/2007 (Gu 6.9.2007 n. 207) che ha dato attuazione alla direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica le direttive 84/450/CEE, 97/7/CE, 98/27/CE, 2002/65/CE, e il Regolamento (CE) n. 2006/2004.

[6] Il Prof. Guido Alpa così commentava su Il Sole 24 ore del 17.11.2007 l’azione collettiva risarcitoria appena approvata dal Senato “La gestione dei rimborsi individuali tramite una camera di conciliazione successiva alla decisione di accertamento e condanna della responsabilità dell’impresa implica il rovesciamento della logica giuridica processuale, perché la conciliazione serve a prevenire le cause, altrimenti trattasi di una "camera di transazione".

Appendice Normativa

L’azione inibitoria e l’azione collettiva risarcitoria nel Codice del consumo

Codice del Consumo D.lgs 6 settembre 2005, n. 206

PARTE V

ASSOCIAZIONI DEI CONSUMATORI E ACCESSO ALLA GIUSTIZIA

Art. 140-bis. – (Azione collettiva risarcitoria).

1. Le associazioni di cui al comma 1 dell’articolo 139 e gli altri soggetti di cui al comma 2 del presente articolo sono legittimati ad agire a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti richiedendo al tribunale del luogo in cui ha sede l’impresa l’accertamento del diritto al risarcimento del danno e alla restituzione delle somme spettanti ai singoli consumatori o utenti nell’ambito di rapporti giuridici relativi a contratti stipulati ai sensi dell’articolo 1342 del codice civile, ovvero in conseguenza di atti illeciti extracontrattuali, di pratiche commerciali scorrette o di comportamenti anticoncorrenziali, quando sono lesi i diritti di una pluralità di consumatori o di utenti.

2. Sono legittimati ad agire ai sensi del comma 1 anche associazioni e comitati che sono adeguatamente rappresentativi degli interessi collettivi fatti valere. I consumatori o utenti che intendono avvalersi della tutela prevista dal presente articolo devono comunicare per iscritto al proponente la propria adesione all’azione collettiva. L’adesione può essere comunicata, anche nel giudizio di appello, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni. Nel giudizio promosso ai sensi del comma 1 è sempre ammesso l’intervento dei singoli consumatori o utenti per proporre domande aventi il medesimo oggetto. L’esercizio dell’azione collettiva di cui al comma 1 o, se successiva, l’adesione all’azione collettiva, produce gli effetti interrottivi della prescrizione ai sensi dell’articolo 2945 del codice civile.

3. Alla prima udienza il tribunale, sentite le parti, e assunte quando occorre sommarie informazioni, pronuncia sull’ammissibilità della domanda, con ordinanza reclamabile davanti alla corte di appello, che pronuncia in camera di consiglio. La domanda è dichiarata inammissibile quando è manifestamente infondata, quando sussiste un conflitto di interessi, ovvero quando il giudice non ravvisa l’esistenza di un interesse collettivo suscettibile di adeguata tutela ai sensi del presente articolo. Il giudice può differire la pronuncia sull’ammissibilità della domanda quando sul medesimo oggetto è in corso un’istruttoria davanti ad un’autorità indipendente. Se ritiene ammissibile la domanda il giudice dispone, a cura di chi ha proposto l’azione collettiva, che venga data idonea pubblicità dei contenuti dell’azione proposta e dà i provvedimenti per la prosecuzione del giudizio.

4. Se accoglie la domanda, il giudice determina i criteri in base ai quali liquidare la somma da corrispondere o da restituire ai singoli consumatori o utenti che hanno aderito all’azione collettiva o che sono intervenuti nel giudizio. Se possibile allo stato degli atti, il giudice determina la somma minima da corrispondere a ciascun consumatore o utente. Nei sessanta giorni successivi alla notificazione della sentenza, l’impresa propone il pagamento di una somma, con atto sottoscritto, comunicato a ciascun avente diritto e depositato in cancelleria. La proposta in qualsiasi forma accettata dal consumatore o utente costituisce titolo esecutivo.

5. La sentenza che definisce il giudizio promosso ai sensi del comma 1 fa stato anche nei confronti dei consumatori e utenti che hanno aderito all’azione collettiva. È fatta salva l’azione individuale dei consumatori o utenti che non aderiscono all’azione collettiva, o non intervengono nel giudizio promosso ai sensi del comma 1.

6. Se l’impresa non comunica la proposta entro il termine di cui al comma 4 o non vi è stata accettazione nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione della stessa, il presidente del tribunale competente ai sensi del comma 1 costituisce un’unica camera di conciliazione per la determinazione delle somme da corrispondere o da restituire ai consumatori o utenti che hanno aderito all’azione collettiva o sono intervenuti ai sensi del comma 2 e che ne fanno domanda. La camera di conciliazione è composta da un avvocato indicato dai soggetti che hanno proposto l’azione collettiva e da un avvocato indicato dall’impresa convenuta ed è presieduta da un avvocato nominato dal presidente del tribunale tra gli iscritti all’albo speciale per le giurisdizioni superiori. La camera di conciliazione quantifica, con verbale sottoscritto dal presidente, i modi, i termini e l’ammontare da corrispondere ai singoli consumatori o utenti. Il verbale di conciliazione costituisce titolo esecutivo. In alternativa, su concorde richiesta del promotore dell’azione collettiva e dell’impresa convenuta, il presidente del tribunale dispone che la composizione non contenziosa abbia luogo presso uno degli organismi di conciliazione di cui all’articolo 38 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, e successive modificazioni, operante presso il comune in cui ha sede il tribunale. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 39 e 40 del citato decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, e successive modificazioni.