Atti amministrativi: il diritto di accesso

ordinario, accesso civico semplice e accesso civico generalizzato
estate
Ph. Erika Pucci / estate

Indice:

1. Coordinamento dell’accesso ex articolo 10 del decreto legislativo n. 267/2000 con le disposizioni di cui all’articolo 22 della legge n. 241/1990

2. Accesso documentale/ordinario/tradizionale di cui alla legge 241/1990

3. Accesso civico semplice

4. Accesso civico generalizzato

5. Considerazioni conclusive

 

1. Coordinamento dell’accesso ex articolo 10 del decreto legislativo n. 267/2000 con le disposizioni di cui all’articolo 22 della legge n. 241/1990

Senza citare le non univoche posizioni dottrinarie e giurisprudenziali registratesi nell’ultimo trentennio, si può sostenere che il contrasto interpretativo tra l’istituto dell’accesso previsto dall’articolo 10 del decreto legislativo 267/2000 e quello tradizionale di cui alla legge 241/1990, è stato risolto per effetto dell’articolo 17, comma 92, della legge 127/1997 (conosciuta anche come “Bassanini–bis”) il quale ha previsto che fino all’approvazione del regolamento (obbligatorio), si applica la legge 7 agosto 1990, n. 241.

Quindi, considerato che ad oggi tutti gli enti locali hanno approvato il suddetto regolamento, è a questo atto di normazione secondaria o sub primaria, in cui sono contenuti anche i casi di esclusione o differimento dell’accesso, che bisogna fare riferimento onde pervenire, nel rispetto dei principi da entrambe sancite, alla composizione delle antinomie tra la legge sull’ordinamento degli enti locali e la legge 241/1990.

I giudici di Palazzo Spada hanno confermato un’impostazione dell’articolo 10 del decreto legislativo 267/2000 del tutto autonoma rispetto alle condizioni ed ai presupposti dell’accesso disciplinato dalla legge generale sul procedimento amministrativo, ribadendo che la giurisprudenza amministrativa si è consolidata, senza più alcuna oscillazione, nel senso che l’accesso ex articolo 10 Tuel 267/2000 non deroga alla disciplina generale stabilita dalla legge sul procedimento amministrativo, non sussistendo spazi di distonia tra i due istituti in commento. La necessità di ancorare l’accesso agli atti alla sussistenza di un interesse giuridico personale, diretto, concreto ed attuale non è sacrificata nel nome dell’apparente più sommaria normazione operata dal Tuel 267/2000.

Il citato articolo 10 del Tuel 267/2000, nel sancire il generale principio della pubblicità degli atti delle amministrazioni locali, quindi conoscibili, si discosta dall’articolo 24 della legge 241/90, ma non deroga affatto ai principi stabiliti dal successivo articolo 25 per quanto attiene ai presupposti per l'esercizio del diritto di accesso; ne consegue che anche l’ostensione dei suddetti atti può essere domandata solo da chi vanti un interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n. 7773 del 29 novembre 2004).

La disposizione succitata stabilisce soltanto che, “in linea di massima, gli atti comunali e provinciali non sono riservati ed inaccessibili (fatte salve le esclusioni ivi contemplate), mentre nulla dispone riguardo ai requisiti di accoglimento della domanda che, pertanto, non si discostano da quelli sanciti dalla disciplina generale contenuta negli articoli 22 e seguenti del Capo V della legge 7.8.1990, n. 241. In definitiva, l’articolo 10 del Tuel 267/2000 contiene una deroga all’articolo 24 della legge n. 241/1990, che elenca i documenti esclusi dal diritto di accesso, e non anche all’articolo 22 della stessa legge.” (Consiglio di Stato, Sez. VI, sent. n. 116 del 12-01-2011).

 

  1. Il quadro normativo di riferimento

La legge 241/1990 ha introdotto una nuova disciplina del diritto di accesso che ha, quindi, subito nel corso del tempo e di pari passo con il consolidamento dei principi di trasparenza, pubblicità, legalità e partecipazione all’attività amministrativa, una vera e propria evoluzione transitando dalla legge n. 190/2012 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione), al decreto legislativo 33/2013 (in materia di trasparenza) come modificato dal decreto legislativo n. 97/2016 (acronimo di F.O.I.A.), provvedimento sulla libertà di informazione, diretto ad assicurare un adeguamento di tale strumento all’evoluzione della società.

La cd. legge sulla “trasparenza” ha avuto, quindi, il merito di aver invertito le modalità di approccio nei confronti dell’accesso agli atti amministrativi detenuti dalla pubblica amministrazione rispetto alla pregressa disciplina: la trasparenza e la piena conoscibilità dell’azione amministrativa è diventata la regola e il vincolo di segretezza l’eccezione, ma solo per casi tassativamente elencati dalla legge stessa.

Quindi, ad oggi coesistono nel nostro ordinamento giuridico, tre tipi di accesso ai documenti della pubblica amministrazione:

a) L’accesso “documentale/ordinario/tradizionale” (ex legge 241/90) collegato alle specifiche esigenze del richiedente e caratterizzato dalla connotazione strumentale agli interessi individuali dell’istante, posto in una posizione differenziata rispetto agli altri cittadini, che legittima il diritto di conoscere e di estrarre copia di un documento amministrativo;

b) L’accesso civico “semplice” (decreto legislativo n. 33/2013) imperniato sugli obblighi di pubblicazione gravanti sulla pubblica amministrazione e sulla legittimazione di ogni cittadino a richiederne l’adempimento;

c) L’accesso civico “generalizzato” (introdotto dal decreto legislativo n. 97 del 2016) avente ad oggetto i dati, i documenti ed informazioni detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli per i quali è stabilito un obbligo di pubblicazione. E’ riconosciuto proprio “allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”.

Senza avere la pretesa di essere esaustivi, in questa sede tratteremo la natura, le specificità e le differenze tra le varie tipologie di accesso previste dall’ordinamento, nonché il delicato problema del bilanciamento tra trasparenza e protezione dei dati.

 

2. Accesso documentale/ordinario/tradizionale di cui alla legge 241/1990

Il primo e risalente accesso riconosciuto dall’ordinamento giuridico è quello disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della legge 241/1990; accesso cd. documentale/ordinario/tradizionale, definito dalla giurisprudenza come un valore di principio generale dell’azione amministrativa (Tar Napoli, Sez. VI, 09/04/2019, n. 1970).

Si tratta di un istituto posto a tutela degli interessi individuali del richiedente, il quale si trova in una posizione differenziata rispetto alla generalità dei cittadini. Tale posizione lo legittima a conoscere uno specifico documento detenuto dalla pubblica amministrazione, rendendolo titolare di un interesse diretto, concreto e attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente rilevante e collegata alla documentazione alla quale si chiede di accedere, strumentale ad acquisire la conoscenza necessaria a valutare la portata lesiva di atti o comportamenti.

L’accesso agli atti, funzionale alla tutela degli interessi individuali di un soggetto, si pone in una situazione distinta dalla generalità dei cittadini e, quindi in un rapporto speciale con i documenti richiesti ed ha la finalità di garantire migliore difesa in giudizio, oltre la facoltà di partecipazione al procedimento, attraverso una completa conoscenza dei provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione nel procedimento in cui si è parte.

In sostanza, ai fini dell’istanza di accesso documentale il richiedente deve dimostrare/motivare di essere titolare di un “interesse diretto (deve esserci una connessione evidente tra l’istante e il documento) concreto (non astratto o meramente ipotetico) e attuale (riflessi correnti sulla posizione giuridica tutelata), corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso” .

L’amministrazione destinataria, valutata positivamente l’istanza di accesso, ha la possibilità di consegnare gli atti richiesti, esercitando le seguenti due opzioni:

1) accoglimento parziale della domanda di accesso, qualora non tutti i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale oggetto di richiesta, siano effettivamente “indispensabili”, ai fini della corretta instaurazione di un pieno contraddittorio procedimentale e di una adeguata elaborazione della strategia difensiva in sede di contenzioso;

2) oscuramento dei dati personali di controinteressati eventualmente individuati o parti dei documenti richiesti che possono comportare un pregiudizio concreto agli interessi privati.

L’indirizzo giurisprudenziale del Consiglio di Stato è costante nel ritenere che è onere della parte richiedente l’accesso dimostrare che gli atti abbiano una specifica utilità per la tutela di propri interessi, e sebbene non necessariamente coincidenti con il diritto di difesa ex articoli 24 e 113 Costituzione, devono comunque essere apprezzabili sul piano giuridico ed essere dotati della necessaria concretezza (in questo senso, ex multis: Consiglio di Stato, n. 2680/2017; nn. 4372, 4373 e 4376 del 2016; n. 1568/2013): le necessità difensive, riconducibili alla effettività della tutela di cui all’articolo 24 Costituzione, debbano prevalere rispetto a quelle della riservatezza.

L'applicazione di siffatto principio incontra dei limiti quando vengano esaminati dati sensibili (origine razziale ed etnica, convinzioni religiose, opinioni politiche, adesione a partiti, sindacati, etc.) o sensibilissimi, ossia i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale degli individui; in questi casi l’accesso è consentito a particolari condizioni, nello specifico disciplinate dall’articolo 60 del decreto legislativo n. 196 del 2003 (in questi termini: T.A.R. Roma n. 5140/2017; T.A.R. Milano n. 2065/2011).

Per gli effetti dell’articolo 60, comma 1 del predetto decreto, qualora il trattamento concerne dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale, esso è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi è di rango almeno pari ai diritti dell'interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile.

Tale disposizione, riguardante in particolare il rapporto tra diritto di accesso e diritto alla riservatezza dei dati c.d. sensibilissimi, esprime dunque il principio del “pari rango”, chiarendo in modo inequivoco che, in siffatte ipotesi, il diritto di accesso è esercitabile soltanto se, in seguito ad una delicata operazione di bilanciamento di interessi, la situazione giuridica rilevante sottesa al diritto di accesso viene considerata di rango almeno pari al diritto alla riservatezza riferito alla sfera della salute e della vita sessuale dell'interessato (Tar Lazio, Roma, sentenza 16 aprile 2020, n. 3985).

Il confronto tra diverse se non opposte esigenze - accesso e riservatezza da una parte, dati sensibilissimi, dall’altra - va dunque effettuato non in astratto bensì in concreto, sulla base dei principi di proporzionalità, pertinenza e non eccedenza. Soccorre in questa direzione la norma di cui all'articolo 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990, secondario rispetto al citato articolo 60 del Codice della privacy, in base al quale l’accesso è in tutti questi casi consentito qualora ciò risulti strettamente necessario e indispensabile per la difesa dei propri interessi giuridici: l'accesso viene interpretato, in questa direzione, come estremo rimedio.

Anche nel caso in cui l’accesso potrebbe interferire con l’esigenza di tutela della riservatezza di terzi, esso deve essere comunque garantito laddove la conoscenza del documento sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici, ma ove il documento contenga dati sensibili o giudiziari (questi ultimi intesi come dati personali idonei a rivelare provvedimenti di cui all'articolo 3, comma 1, lettere da a) a o) e da r) a u), del dereto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313, in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, o la qualità di imputato o di indagato ai sensi degli articoli 60 e 61 del codice di procedura penale), l’accesso è consentito solo nei limiti in cui sia strettamente indispensabile (in tal senso, T.A.R. Roma n. 5140/2017; T.A.R. Torino n. 932/2014).

La tutela riconosciuta dal legislatore ai soggetti interessati consente un’ostensione approfondita e connessa con la tutela dei diritti dell’istante.

In virtù di detto rapporto di specialità, l’istante è legittimato ad ottenere un’ostensione più analitica rispetto a quanto avviene per un soggetto che chieda di conoscere in base alle norme sull’accesso civico, semplice o generalizzato, finalizzato al perseguimento della trasparenza amministrativa.

Riassumendo, si possono definire:

1) dati “personali o comuni”, intesi come informazione relativa a una persona fisica, identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale, il diritto all’accesso ai documenti amministrativi sarà consentito se “interesse diretto, concerto ed attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento per il quale è chiesto l’accesso, prevale sempre sull’interesse alla riservatezza, a prescindere dalla preordinazione dell’accesso ad esigenze di difesa;

2) dati “sensibili”, idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od o organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale della persona, l’amministrazione deve individuare modalità di accesso che contemperi l’esigenza dell’istante ad accedere agli atti in con le ragioni alla riservatezza dell’altro; l’istante dovrà provare l’indispensabilità dell’accesso al documento oggetto di richiesta in relazione alla posizione giuridica da tutelare;

3) dati “sensibilissimi”, idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale della persona, il diritto di accesso prevale solo “se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi, è di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile”. L’amministrazione avrà il compito di valutare in concreto l’interesse sotteso all’istanza di accesso e di effettuarne la comparazione con quello alla riservatezza dei dati relativi alla salute e alla vita sessuale della persona ed eventualmente valutare un accoglimento parziale della richiesta, se non tutti i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale oggetto di richiesta siano effettivamente “indispensabili” al fine di far valere gli equivalenti diritti in sede contenziosa (cd. principio di minimizzazione).

 

3. Accesso civico semplice

L’accesso civico semplice di cui all’articolo 5, comma 1, introdotto dal decreto legislativo n. 33/2013, afferisce alla pubblicazione obbligatoria/vincolata di categorie di documenti specificatamente individuati nel citato decreto.

Tale forma di accesso consiste in un mezzo utile a rimediare alla mancata osservanza degli obblighi di pubblicazione gravanti sulla pubblica amministrazione, ritenendo meritevole di tutela il diritto del cittadino di accedere ai documenti, dati e informazioni oggetto dell’inadempienza del dovere di pubblicazione nell’apposita sezione “Amministrazione trasparente”, e con la finalità di assicurare la massima ed integrale pubblicità degli stessi che sono da considerare pubblici e, quindi conoscibili.

Agli obblighi che incombono sui soggetti obbligati alla pubblicazione corrisponde il diritto di “chiunque” di richiedere, senza limitazioni e senza necessità di motivazione, documenti, informazioni o dati di cui sia stata accertata l’omessa pubblicazione. Per far valere tale diritto occorre dunque poter riferire il documento richiesto ad una delle specifiche categorie individuate dal suddetto decreto, evidenziando che il soggetto tenuto all’adempimento non ha adempiuto.

L’accesso civico “semplice” in definitiva consiste nella possibilità di ogni soggetto di pretendere dalla pubblica amministrazione le pubblicazioni, ai sensi del più volte citato decreto, che siano state omesse e, evidentemente, di richiedere l’atto/dato non pubblicato. Presupposto indispensabile per il suo esercizio è che si può azionare nel momento in cui la pubblica amministrazione viola i propri obblighi di trasparenza.

Per questo tipo di accesso cade, dunque sia la motivazione sia il riferimento all’interesse diretto, concreto e attuale, per la tutela di situazioni rilevanti e, pertanto, strumentale alla difesa in giudizio. Esso è attivabile dal quivis populo, non essendo richiesta la legittimazione del richiedente di cui all’accesso documentale: è sufficiente l’individuazione dei soggetti indicati nell’articolo 2-bis del decreto 33/2013, come modificato dal decreto legislativo n. 97/2016 e dei dati, delle informazioni o i documenti in possesso della pubblica amministrazione.

Ha una portata alquanto limitata: riguarda esclusivamente la possibilità di accedere a documenti, informazioni e dati oggetto di pubblicazione obbligatoria (articolo 5, comma 1, del decreto legislativo n. 33/2013), non richiede requisiti di qualificazione da parte del richiedente e può essere esercitato da chiunque in caso di mancata pubblicazione senza alcuna formalità né legittimazione attiva.

Lo scopo di questo tipo di accesso è quello di assicurare il rispetto delle disposizioni previste dal decreto legislativo 33/2013 anche in caso di “inerzia” dell’ente.

Si ritiene che l’istanza di accesso civico, riferita a pubblicazioni obbligatorie, possa essere indirizzata al Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza.

L’accesso civico semplice, previsto dal decreto legislativo n. 33/2013, rimasto immutato anche dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 97/2016, continua a sorvegliare gli obblighi di trasparenza obbligatoria: infatti, in caso di mancato rispetto, da parte della pubblica amministrazione, degli obblighi di pubblicare documenti, informazioni o dati, “chiunque” ha il diritto di richiedere che si ponga a quelle “omissioni” di conoscenza da parte della pubblica amministrazione.

 

4. Accesso civico generalizzato

Con l’articolo 5, comma 2 del decreto legislativo n. 97/2016 “Decreto Trasparenza”, equivalente a quello che nei sistemi anglosassoni viene definito “Freedom of Information Act (c.d. F.O.I.A.), il legislatore ha allargato e completato la nozione di nuova trasparenza amministrativa dal punto di vista quali-quantitativo, la quale concerne non più solo le informazioni in possesso delle pubbliche amministrazioni, ma qualsiasi dato e documento detenuto da esse.

Detto decreto ha introdotto nel nostro ordinamento l’istituto dell’accesso civico generalizzato che si distingue dall’accesso civico “semplice”, in quanto consente ai cittadini di accedere a dati e documenti detenuti dall’amministrazione, in aggiunta a quelli oggetto di pubblicazione, nel rispetto dei limiti della tutela di interessi pubblici e privati individuali e con il solo limite della tutela degli interessi pubblici e privati, che risultano giuridicamente rilevanti. A differenza dell’accesso civico semplice non sono richiamate le informazioni, con la conseguenza che dovranno essere escluse da tale forma di accesso le informazioni ulteriori rispetto a quelle oggetto di pubblicazione obbligatoria.

A scanso di ogni possibile equivoco, si evidenzia che l’istituto dell’accesso civico generalizzato può avere a oggetto solo dati e documenti “detenuti” dalle pubbliche amministrazioni (articolo 5, comma 2, del decreto legislativo n. 33/2013), con impossibilità di accogliere istanze che abbiano a oggetto dati o informazioni non ancora in possesso della Pubblica amministrazione o l’attivazione di flussi futuri di comunicazione di dati. L?Autorità Nazione Anticorruzione (c.d. ANAC), nelle linee guida n. 1309/2016 in materia di accesso civico, ha evidenziato che l’amministrazione ha l’obbligo di “consentire l’accesso ai documenti nei quali siano contenute le informazioni già detenute e gestite dall’amministrazione stessa”, escludendo che la stessa “sia tenuta a formare o raccogliere o altrimenti procurarsi informazioni che non siano già in suo possesso” (paragrafo 4.2.). L’accesso civico generalizzato consente una conoscenza estesa ma meno profonda di quella che si può ottenere in base alla legge 241/1990, per cui il richiedente potrà accedere agli atti che rappresentano il risultato finale ottenuto dall’amministrazione ma non agli atti endoprocedimentali i quali possono essere conosciuti solo mediante istanze avanzate ai sensi dell’articolo 22 della legge 241/1990.

Questa forma di accesso si affianca alle altre forme di pubblicazione previste dalla legge 241/1990 e dal decreto legislativo n. 33/2013, svincolandosi dal solo procedimento previsto dalla legge 241/1990 in quanto “chiunque” “quisque de populo ” e non più dell’interessato qualificato, consentendo a tutti i cittadini singoli o associati l’accesso alla generalità degli atti e delle informazioni, senza onere di motivazione.

 

1. Ambito soggettivo di applicazione

L’accesso civico generalizzato si applica nei confronti dei seguenti soggetti:

- tutte le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ivi comprese le autorità portuali, nonché le autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione;

- agli enti pubblici economici e agli ordini professionali;

- alle società in controllo pubblico come definite dall'articolo 2, comma 1, lettera m), del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175. Sono escluse le società quotate come definite dall'articolo 2, comma 1, lettera p), dello stesso decreto legislativo, nonché le società da esse partecipate, salvo che queste ultime siano, non per il tramite di società quotate, controllate o partecipate da amministrazioni pubbliche;

- alle associazioni, alle fondazioni e agli enti di diritto privato comunque denominati, anche privi di personalità giuridica, con bilancio superiore a cinquecentomila euro, la cui attività sia finanziata in modo maggioritario per almeno due esercizi finanziari consecutivi nell'ultimo triennio da pubbliche amministrazioni e in cui la totalità dei titolari o dei componenti dell'organo d'amministrazione o di indirizzo sia designata da pubbliche amministrazioni;

- qualora compatibile, limitatamente ai dati e ai documenti inerenti all'attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell'Unione europea, alle società in partecipazione pubblica come definite dal decreto legislativo emanato in attuazione dell'articolo 18 della legge 7 agosto 2015, n. 124, e alle associazioni, alle fondazioni e agli enti di diritto privato, anche privi di personalità giuridica, con bilancio superiore a cinquecentomila euro, che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici.

 

2. Esclusioni e limiti all’accesso civico

L’accesso civico generalizzato è escluso nei casi previsto dall’articolo 5-bis, comma 3 del decreto legislativo n. 33/2013, vale a dire:

- segreto di Stato;

- divieto di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l'accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all'articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990.

E’, quindi, esclusa dall’accesso civico generalizzato ex articolo 5, comma 2 del decreto legislativo n. 33/2013 la consulenza tecnica d’ufficio (CTU), in quanto mezzo di indagine riconducibile nell’ambito degli atti giudiziari.

L’accesso a tale atto è, infatti, disciplinato da regole autonome previste dal codice di rito ed in particolare dalla disposizione di cui all’articolo 76 disposizioni di attuazione del Codice di procedura civile ai sensi della quale l’accesso agli atti giudiziari è riservato ai difensori e alle parti del giudizio, nonché dalle norme che subordinano il rilascio di copie al pagamento di appositi diritti (cfr. art. 744 codice procedura civile). Tali disposizioni sono quelle non derogabili dalla disciplina in materia di accesso civico, per effetto di quanto prevede il sopra citato articolo 5-bis, comma 3 del decreto legislativo n. 33/2013 nella parte in cui descrive i casi di esclusione dall’accesso civico.

 

3. Limiti connessi alla tutela degli interessi pubblici

La normativa riguarda l’accesso civico generalizzato prevede il diniego qualora necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi pubblici inerenti a:

a) la sicurezza pubblica e l'ordine pubblico;
b) la sicurezza nazionale;
c) la difesa e le questioni militari;
d) le relazioni internazionali;
e) la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato;
f) la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento;
g) il regolare svolgimento di attività ispettive.

 

4. Limiti connessi alla tutela degli interessi privati

Più difficile sono da interpretare le limitazioni relative ai profili di privacy, non essendo applicabile la disciplina relativa all’accesso documentale, per cui sarà compito arduo dell’Amministrazione procedente ponderare attentamente gli interessi in gioco.

Ai sensi dell’articolo 5-bis, comma 2, l’accesso è altresì rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno dei seguenti interessi privati:

a) la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia;

b) la libertà e la segretezza della corrispondenza;

c) gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d'autore e i segreti commerciali.

Ad ogni soggetto è consentito la conoscibilità delle informazioni detenute dalla pubblica amministrazione e di richiedere l’ostensione di atti/dati, in aggiunta rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria, del tutto autonomo ed indipendente dagli obblighi di pubblicazione, senza alcuna formalità né legittimazione attiva considerato, come detto, che lo scopo è quello di consentire forme di controllo diffuso.

L’accesso civico generalizzato, indipendentemente dagli obblighi di pubblicazione ex lege o dall’esistenza di un interesse diretto, concreto, attuale a formulare istanze in connessione con la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, è attivabile da chiunque e senza alcun obbligo di motivazione, con il solo limite della tutela degli interessi pubblici e privati, che risultano giuridicamente rilevanti.

L’estensione di detta forma di accesso non deve, come nel passato, favorire solo forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, ma tutelare altresì i diritti dei cittadini e promuovere la partecipazione degli interessati al dibattito pubblico, inteso come intervento popolare alla cosa pubblica e non più al singolo procedimento amministrativo.

Le finalità proprie dell’accesso civico sono, dunque volte a soddisfare le esigenze di trasparenza amministrativa che attiene alla cura dei beni comuni a fini d’interesse pubblico, rafforzando il rapporto di fiducia tra cittadini e pubblica amministrazione.

La ratio ispiratrice della norma è quella di ergere la trasparenza a condizione indispensabile a incentivare il coinvolgimento dei cittadini nella cura della res pubblica, configurando le informazioni, i dati e le informazioni come bene della vita cui il cittadino aspira, al fine di soddisfare il proprio diritto a conoscere e partecipare.

Il Consiglio di Stato, nell’ambito del parere reso sul citato decreto legislativo n. 97/2016, ha posto in evidenza che “La trasparenza si pone, allora, non solo come forma di prevenzione dei fenomeni corruttivi, ma come strumento ordinario e primario di riavvicinamento del cittadino alla pubblica amministrazione, destinata sempre più ad assumere i contorni di una “casa di vetro”, nell’ambito di una visione più ampia dei diritti fondamentali sanciti dall’articolo 2 della Costituzione, che non può prescindere dalla partecipazione ai pubblici poteri. In sostanza, la trasparenza viene a configurarsi, ad un tempo, come un mezzo per porre in essere una azione amministrativa più efficace e conforme ai canoni costituzionali e come un obiettivo a cui tendere, direttamente legato al valore democratico della funzione amministrativa” (Consiglio Stato, parere n. 515/2016).

Significativa al riguardo è la sentenza n. 5901 del 13/12/2017, con la quale il Tar Campania ha dichiarato illegittimo, per difetto di motivazione, il diniego di accesso civico, opposto in merito ad una istanza ostensiva, che,ai sensi del decreto legislativo n. 33 del 2013, tendeva ad acquisire documenti ed informazioni concernenti la presenza sul luogo di lavoro di un dipendente a tempo indeterminato di una società a partecipazione pubblica e, in particolare, ai dati ed ai fogli di presenza e/o a corrispondenti strumenti, anche informatici, di rilevazione delle presenze sul luogo di lavoro, in quanto atti pubblici, relativi ad un determinato arco temporale, che sia motivato con esclusivo riferimento alla opposizione del dipendente interessato; infatti, la documentazione dalla quale emergono i rilevamenti delle presenze del personale in servizio rientra proprio nell’ambito della possibilità di controllo sul perseguimento da parte di un dato ente delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo da parte di questo delle risorse pubbliche, finalizzato alla partecipazione al dibattito pubblico.

Lo stesso Tar, con successiva sentenza n. 4418 del 27/08/2019 ha stabilito che: “ ………… il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, come modificato dal decreto legislativo n. 97/2016, ha operato una importante estensione dei confini della trasparenza…… l’ampio diritto all’informazione e alla trasparenza ……………….resta temperato solo dalla necessità di garantire le esigenze di riservatezza, di segretezza e di tutela di determinati interessi pubblici e privati (come elencati nell’articolo 5- bis del decreto legislativo n. 33/2013) che diventano l’eccezione, alla stregua degli ordinamenti caratterizzati dal modello FOIA (Freedom of Information Act, la cd. legge sulla libertà di informazione adottata negli Stati Uniti il 4 luglio 1966)………………..”.

Il nuovo accesso civico, quale strumento di trasparenza amministrativa afferente alla cura dei beni comuni a fini d’interesse generale, si affianca alle forme di pubblicazione ”on line” del 2013 e all’accesso agli atti amministrativi di cui alla legge 241/1990, consentendo, del tutto coerentemente con la ratio che lo ha ispirato (e che lo differenzia dall’accesso qualificato previsto dalla legge generale sul procedimento amministrativo), l’accesso alla generalità degli atti e delle informazioni, senza onere di motivazione, a tutti i cittadini singoli e associati, in guisa da far assurgere la trasparenza a condizione indispensabile per favorire il coinvolgimento dei cittadini nella cura della “cosa pubblica”, oltreché mezzo per contrastare ogni ipotesi di corruzione e per garantire l’imparzialità e il buon andamento dell’Amministrazione (cfr.: Consiglio di Stato sez. III, 6 marzo 2019, n. 1546).

Innovativa in tal senso appare la recentissima Sentenza del TAR Lazio sez. Terza Quater n. 5346/2021 del 7.5.2021 che, alla luce del combinato disposto tra l’articolo 22 della legge 241/90 e del comma 3 dell’articolo 5 del decreto legislativo n. 33 del 14/03/2013, ha concluso nel senso che “tutti i documenti amministrativi sono accessibili, ad eccezione di quelli indicati all’articolo 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6”, accogliendo in definitiva il ricorso e ordinando al Ministero l’ostensione dei “documenti nella disponibilità del Ministero della Salute e a qualsiasi titolo da essi redatti e detenuti inerenti lo svolgimento delle riunioni della task force di cui al comunicato stampa 7/5/2021 del 22 gennaio 2020 e nei quali si dia conto del contenuto di queste riunioni”.

Nella motivazione della sentenza il TAR laziale, evidenziando che l’articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 14/03/2013 n. 33, nel prevedere il diritto di “chiunque” “di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni”, fa espresso riferimento allo “scopo di favorire controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”, ha ribadito il principio che tali forme diffuse di controllo sono quanto mai necessarie in una situazione di così grave preoccupazione per la salute pubblica e individuale, nel perseguimento della cui tutela si inserisce certamente un notevole “utilizzo delle risorse pubbliche”, in cui si colloca l’istanza di accesso il cui diniego era stato impugnato.

Con tale istituto si introduce il diritto della persona a ricercare informazioni, quale diritto che consente la partecipazione al dibattito pubblico mediante la conoscenza di dati pubblici e delle decisioni delle amministrazioni al fine di rendere possibile quel controllo “democratico” che tale misura intende perseguire. Le informazioni, i dati e i documenti si configurano, quindi, come il “bene della vita” cui il cittadino aspira, al fine di soddisfare il proprio diritto a conoscere e partecipare.

Il diritto di informarsi e di essere informati é alla base della formazione dell’opinione pubblica e di ogni sistema democratico: se si vuole effettivamente garantire la partecipazione pubblica del cittadino, non si può prescindere dalla conoscenza e dalla libertà di accedere alle informazioni pubbliche.La conoscenza delle informazioni amministrative consente, in conclusione, la partecipazione alla vita di una comunità, la vicinanza tra governanti e governati, il consapevole processo di responsabilizzazione (accountability) della classe politica e dirigente del Paese…….”.

 

5. Coordinamento tra accesso ordinario e accesso generalizzato

Questione dibattuta è se la Pubblica Amministrazione in presenza di una istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale di cui alla legge n. 241 del 1990 o ai suoi elementi sostanziali, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’articolo 22 della citata legge, sia comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le condizioni dell’accesso civico generalizzato, di cui al decreto legislativo n. 33 del 2013. Ed ancora, se in tale ultima circostanza, di conseguenza il giudice, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria, di cui alla legge n. 241 del 1990 o ai suoi presupposti sostanziali, abbia o meno il potere-dovere di accertare la sussistenza del diritto del richiedente, secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato.

In materia si registrano posizioni giurisprudenziali contrastanti.

Il Tar Toscana, pronuncia n. 1748/2019, analizza il caso in cui un’istanza formulata ai sensi degli articoli 22 e seguenti della legge n. 241/1990 possa essere accolta in giudizio non solo ai sensi di tale normativa, ma anche a titolo di diritto di accesso civico generalizzato. Il giudice amministrativo propende per la tesi “limitativa”, secondo cui i 3 istituti che regolamentano l’accesso ai documenti amministrativi (tradizionale, civico semplice e civico generalizzato), sono a carattere generale, ma ognuno con oggetto diverso, applicabili quindi a diverse specifiche fattispecie: ne segue che ciascun sistema opera nel proprio ambito di azione, senza possibile assorbimento di una fattispecie in un’altra. Qualora l’istante abbia scelto per un modello, è precluso all’Amministrazione qualificare l’istanza “diversamente” - applicando la disciplina ritenuta corretta – né potendo ammettersi una “trasformazione del titolo” in sede giuridica, poiché il rapporto tra richiedente ed Amministrazione si è formato non attorno a un generico diritto (del primo) ad accedere a una determinata documentazione, ma su una precisa richiesta connotata nei suoi presupposti giuridici e fattuali.

Di diverso avviso sono i giudici lombardi (sentenza n. 2750 del 27/12/2019) i quali, trovandosi ad accertare la legittimità del diritto di accesso documentale, procedimentale e civico del ricorrente a informazioni relative ad una domanda di protezione internazionale, sostengono che, pur tenendo conto della diversità dei requisiti delle due richieste di accesso (documentale e accesso generalizzato) rispetto ad una complessa domanda di accesso civico generalizzato e, in alternativa, documentale proposta dal richiedente, l'amministrazione che detiene la documentazione richiesta può, (anch’essa) alternativamente, fare applicazione di un istituto piuttosto che dell’altro, in ragione dell’esito della verifica circa la sussistenza dei presupposti legittimanti l’una o l’altra richiesta rispetto ad una complessa domanda di accesso civico generalizzato (Consiglio di Stato, sez. VI, 29 aprile 2019, n. 2737).

Stante l’evidente contrasto giurisprudenziale, la questione è stata sottoposta all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (pronuncia n. 10 del 2 aprile 2020) che, pronunciandosi in favore della valorizzazione di un interesse ostensivo alternativo a quello documentale, ma solo laddove possa ricavarsi – in atti - una volontà almeno implicita di voler dar corso ad una forma di accesso differente, nel caso di specie, all’accesso generalizzato, ha enunciato per quel che interessa il presente scritto, il seguente principio di diritto: “La pubblica amministrazione ha il potere-dovere di esaminare l’istanza di accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina dell’accesso civico generalizzato, a meno che l’interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dell’accesso documentale, nel qual caso essa dovrà esaminare l’istanza solo con specifico riferimento ai profili della legge n. 241 del 1990, senza che il giudice amministrativo, adito ai sensi dell’articolo 116 codice procedimento amministrativo, possa mutare il titolo dell’accesso, definito dall’originaria istanza e dal conseguente diniego adottato dalla pubblica amministrazione all’esito del procedimento”.

La pronuncia della Plenaria assume rilievo in quanto consente, tenuto conto delle Linee guida ANAC, adottate con delibera n. 1309/2016 e della Circolare n. 2 del Ministero della Pubblica Amministrazione sull’attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (c.d. FOIA), all’interessato di presentare istanza di accesso agli atti, civico o documentale, congiuntamente, i quali operano in concomitanza tra loro ma sulla base di norme e presupposti diversi. L’amministrazione, qualora l’istanza non potrà essere accolta per carenza dell’interesse qualificato (documentale) ha la facoltà, in subordine, di accogliere la stessa come accesso civico generalizzato.

Quindi le decisioni finali sono precedute dalla precisa individuazione dell’oggetto della decisione da assumere, di guisa che nei procedimenti amministrativi, come quello relativo all’accesso, la pubblica amministrazione ha inderogabilmente il dovere di definire l’istanza di parte, al fine di individuare il tipo di procedimento legale da applicare alla fattispecie, per il corretto esercizio delle sue funzioni.

Al tradizionale diritto di accesso documentale di cui alla legge n. 241 del 1990, nel corso del tempo si è affiancata la categoria di accesso civico semplice e generalizzato disciplinati dal decreto legislativo n. 33/2013, modificato ed integrato dal decreto legislativo n. 97/2016 che, come già evidenziato, divergono quanto ai presupposti, alle finalità e ai profili procedurali.

Altre forme di accesso, contenute in distinti corpi normativi, disciplinante una fattispecie specifica di accesso, operano solo nel proprio settore e costituiscono un “sottosistema normativo” (es., diritto di accesso alle informazioni dei consiglieri comunali ex articolo 43 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267; accesso agli atti delle procedure contrattuali di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50; accesso alle informazioni ambientali di cui al decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195).

In un sistema normativo differenziato, la corretta qualificazione dell’istanza da parte del soggetto destinatario e del Giudice adito, è di assoluta importanza, proprio perché con detta operazione si individua la specifica disciplina applicabile tra le diverse esistenti, esercitando la funzione amministrativa propria del procedimento attivato.

 

6. Aspetti procedurali

L’istanza di accesso civico, semplice o generalizzato, va indirizzata all’Ufficio che detiene l’oggetto di accesso o altro Ufficio ad hoc individuato dall’Ente, riportato nella Sezione “Amministrazione Trasparente”.

Nel solo caso di accesso riguardante documenti, informazioni o dati la cui pubblicazione è obbligatoria, la richiesta può essere indirizzata al Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza.

Il Responsabile dell’Ufficio competente ratione materiae, o altro ufficio individuato ad hoc dall’Ente, acquisita l’istanza ed accertata l’inesistenza di limiti assoluti, valuta con la tecnica del bilanciamento se l’ostensione degli atti possa determinare un possibile pregiudizio ali interessi pubblici e/o privati. In questa operazione favorisce la scelta dell’accoglimento dell’istanza di accesso, non travalicando i limiti della proporzionalità che esige che le deroghe non eccedano quanto è adeguato e necessario per raggiungere lo scopo perseguito, ricorrendo, qualora opportuno, alla tecnica dell’oscuramento totale e/o parziale dei dati.

Il destinatario di una istanza di accesso civico generalizzato o il RPCT in sede di “riesame” sono quindi tenuti, ai fini dell’accoglimento, a ben ponderare che la richiesta sia diretta a soddisfare un “interesse che presenti una valenza pubblica” e non, invece, un bisogno conoscitivo esclusivamente privato, individuale, egoistico o peggio emulativo.

Partendo dalla considerazione che il soggetto titolare del potere sostitutivo non dovrebbe rivestire una qualifica inferiore o equivalente rispetto al soggetto sostituito, il Responsabile della Trasparenza competente per l’accesso civico non può essere anche titolare del potere sostitutivo. Di conseguenza nel caso in cui vi sia un unico dirigente/responsabile a cui attribuire le funzioni di Responsabile della Trasparenza e di Prevenzione della Corruzione, si ritiene che le funzioni relative all’accesso civico di cui all’articolo 5, comma del decreto legislativo n. 33/2013 siano delegabili dal RPCT ad altro dipendente, in modo che il potere sostitutivo permanga in capo al Responsabile stesso. Resta inteso che, comunque, ogni diversa soluzione è rimessa all’autonomia organizzativa degli enti.

Il Garante della Privacy, in un parere rilasciato in merito alla verifica della legittimità di un diniego opposto a una richiesta di accesso civico, ha chiarito che deve sempre essere valutata la sussistenza o meno di un possibile pregiudizio alla privacy di colui che, nel caso esaminato, aveva presentato l’esposto.

Con il medesimo parere ha anche precisato che, diversamente, in caso di richiesta di accesso agli atti ex articoli 22 e seguenti della legge 241/1990, adeguatamente motivata e comprovante la sussistenza, da parte dell’istante, di un interesse diretto, concreto, attuale all’accessibilità dei dati contenuti nei documenti, l’ente dovrebbe accogliere l’istanza d’accesso, in quanto, nella fattispecie, la documentazione rilasciata al richiedente non diverrebbe pubblica, né potrebbe essere diffusa, ma utilizzata esclusivamente per la tutela di una propria situazione giuridica soggettiva che potrebbe essere stata pregiudicata.

In quest’ottica, la pubblica amministrazione, nel bilanciare i contrapposti interessi (diritto alla riservatezza dei contro interessati) dovrebbe ritenere l’istanza di accesso ammissibile solo quando il bisogno conoscitivo riveste una rilevanza sociale e non quindi ancorata esclusivamente al soddisfacimento di desideri puramente individuali, di mera rilevanza privata o peggio ancora emulativi, non riconducibili quindi alle finalità espresse dalla norma (es., buon uso delle risorse pubbliche, perseguimento delle funzioni istituzionale, partecipazione all’attività amministrativa e al dibattito pubblico).

Nei casi di accesso civico generalizzato l’Ente, ricevuta l’istanza, la trasmette a uno o più controinteressati, qualora esistente, che possono presentare all’Ente destinatario motivata opposizione all’accesso.

Qualora l’elevato numero di soggetti potenzialmente identificabili come contro interessati rischia di arrecare un serio pregiudizio al buon andamento, a causa della onerosità dell’attività di notifica mediante raccomandata con avviso di ricevimento, l’amministrazione può consentire l’accesso parziale, oscurando i dati personali o le parti dei documenti richiesti che possano comportare un pregiudizio concreto agli interessi privati indicati nell’articolo 5-bis, comma 2, del decreto trasparenza.

Nei casi di diniego – totale o parziale – dell’accesso o di mancato riscontro entro il termine di 30 giorni (termine sospeso nel caso di comunicazione dell’istanza al contro interessato per consentire allo stesso di presentare eventuale opposizione entro il termine di 10 giorni dalla comunicazione), il richiedente può presentare, entro 30 giorni dalla decisione di prima istanza, ai sensi della Circolare ministeriale n. 1/2019, una richiesta di riesame al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza.

Il riesame da parte del RPCT costituisce esplicazione di una forma di tutela amministrativa interna la cui decisione, con provvedimento motivato, deve essere emessa entro 20 giorni. Decorso tale termine, il RPCT dichiara irricevibile la tardiva istanza di riesame.

Qualora il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza riscontri che in prima istanza la partecipazione dei controinteressati non sia avvenuta, dovrà comunicare l’avvio del procedimento anche al controinteressato pretermesso, in applicazione dell’articolo 7, comma 1, della legge n. 241 del 1990. Questi può, quindi, presentare una motivata opposizione entro 10 giorni dalla ricezione della comunicazione e il termine di conclusione del procedimento di riesame (20 giorni) potrebbe essere sospeso, ove necessario, fino all’eventuale opposizione dei controinteressati e comunque per non più di 10 giorni.

Se l’accesso è stato negato o differito a tutela della protezione dei dati personali di cui all’articolo 5-bis, comma 2, lettera a), del decreto legislativo n. 33/2013, il RPCT provvede al riesame, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, che è tenuto a pronunciarsi entro il termine di 10 giorni dalla richiesta, nel corso dei quali il provvedimento del RPCT è sospeso.

La procedura di solito si conclude nel termine ordinario di trenta giorni dalla presentazione dell’istanza, ma il termine reale può subire allungamenti nel caso della sospensione dei termini di cui sopra detto.

Avverso la decisione del soggetto destinatario della richiesta o, in caso di riesame, avverso quella del RPCT, il richiedente può proporre ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale ai sensi dell’articolo 116 del Codice del processo amministrativo o al Difensore civico competente, ove costituito, nel termine di 30 dalla ricezione della comunicazione.

Da quanto innanzi detto si evince che l’istruttoria del RPCT vede coinvolto anche il Garante per la protezione dei dati personali, con particolare riferimento, al caso in cui l’accesso venga negato o differito a tutela dei dati personali. Con tali istituti si pone, quindi, in risalto un principio cardine dell’attività amministrativa, ossia la trasparenza, che si trasforma da trasparenza realizzata mediante la pubblicazione obbligatoria sui siti istituzionali dei dati e delle notizie indicati dalla legge, ad una trasparenza ad impulso di parte e cioè in risposta alle istanze di conoscenza avanzate dai cittadini interessati.

Nel caso di atti delle regioni e degli enti locali, poi, il richiedente può presentare specifica istanza al difensore civico competente per territorio. In tal modo, l’accesso è consentito se nel termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore civico l’amministrazione non conferma il diniego o il differimento. Il ricorso a tale tipologia di tutela non esclude, comunque, la possibilità di ricorrere alla tutela giurisdizionale. Il termine per agire giudizialmente, qualora il richiedente l’accesso si sia rivolto al difensore civico, decorrerà dalla data di ricevimento dell’esito della istanza inoltrata al difensore civico.

 

5. Considerazioni conclusive

L’introduzione nel nostro ordinamento dell’accesso civico, soprattutto quello generalizzato, ha certamente avuto un impatto notevole sulla gestione dei dati nella pubblica amministrazione, inducendo la stessa ad un adeguamento tecnologico e culturale indispensabile a garantire la trasparenza richiesta dalla normativa in esame.

A ciò è venuto incontro la Circolare ministeriale n. 1/2019, che ha fornito interpretazioni della norma e posto la pubblica amministrazione in condizioni di meglio adeguarsi al sistema generale di trasparenza amministrativa delineato dal legislatore, nel difficile e costante compito di bilanciamento e coordinamento del diritto alla trasparenza con il diritto alla privacy del cittadino.

Sullo sfondo permane l’incognita sul concreto raggiungimento dello scopo della norma: é possibile che tutto il patrimonio informativo in possesso delle pubbliche amministrazioni venga portato a conoscenza dei cittadini? Si riescono a superare le resistenze culturali opposte dalle pubbliche amministrazioni? Possono i piccoli Enti sottodimensionati o in difficoltà finanziarie adeguarsi a quanto chiesto dal legislatore?

Quale che siano le risposte, il dato è tratto: l’istituto dell’accesso è diventato nel nostro ordinamento, oltre che un processo irreversibile, un corpus normativo a garanzia dell’accessibilità ai dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, di cui non si può ignorare l’esistenza.

La novella legislativa ha, sicuramente, il pregio di aver consentito un significativo passo in avanti verso una pubblica amministrazione definita con storica e calzante espressione “casa di vetro”.

  1. A. Monea – La nuova trasparenza amministrativa alla luce del D.Lgs n. 97/2016. L’accesso civico – Azienditalia 11/2016
  2. Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili – Osservatorio Enti Locali – Focus sullo stato di attuazione della normativa alla luce delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 97/2016 - Novembre 2016
  3. C. Bonora - La riforma della trasparenza amministrativa. Il nuovo istituto dell’accesso civico dopo il Decreto Legislativo n. 97/2016 – Filodiritto 20 febbraio 2017
  4. P. Cosmai – Decreto Foia, approvate le linee guida ANAC – Azienditalia 3/2017
  5. A. Sarlo - L’accesso civico e la sua attuale regolamentazione – Filodiritto 16 ottobre 2017
  6. R. De Parigi – Accesso civico generalizzato: abuso del diritto – Tributi & Bilancio – n. 6 – 2017
  7. I. Cavallini – M. Orsetti – Gli istituti dell’accesso ad atti e documenti delle PPAA e degli organismi a partecipazione pubblica – Azienditalia n. 1/2019
  8. V. Giannotti – G. Popolla – Accesso civico generalizzato agli atti del concorso: i documenti ostensibili secondo il giudice amministrativo – Il personale – Maggioli Editore - 16/10/2019
  9. A. Ziruolo – L’attuazione della normativa FOIA alla luce della Circolare ministeriale n. 1/2019 – Azienditalia 12/2019
  10.  Garofalo Silvio Quinzone – Rapporto tra accesso civico, semplice e generalizzato, ed accesso agli atti amministrativi della pubblica amministrazione: continua l’opera di delineazione dell’ambito applicativo delle varie forme di accesso - Diritto.it – 2 marzo 2020
  11.  A. Marcella – Diritto di accesso ai documenti amministrativi: accesso e riservatezza – Sistema PA Maggioli – 19/03/2021.