Cassazione Civile: comunione legale e aumenti di capitali sottoscritti dopo il matrimonio

Importante pronuncia della Cassazione in materia di rapportri patrimoniali tra coniugi con riferimento alla partecipazione societaria di uno di essi.

"Lo status di socio non attribuisce al partecipante ad una società di persone una posizione giuridica soggettiva qualificabile in termini di diritto di credito avente ad oggetto la restituzione del conferimento o di una quota proporzionale del patrimonio sociale, giacché, anteriormente al verificarsi di una causa di scioglimento della società o del vincolo sociale, è ipotizzabile in favore del socio soltanto una aspettativa economica, legata alI’eventualità che, al momento dello scioglimento, il patrimonio della società abbia una consistenza attiva tale da giustificare l’attribuzione pro quota ai partecipanti alla società di valori proporzionali alla loro partecipazione.

La quota sociale va invece ricondotta nella nozione di beni mobili fornita dagli artt. 810 ed 812, U.C., c.c., perché, essendo trasferibile a terzi inter vivos e mortis causa  ed assoggettabile anche ad espropriazione forzata, pur se per l’opponibilità del trasferimento alla compagine sociale occorre il consenso degli altri soci, costituisce una cosa immateriale che può fondare oggetto di diritti.

L’iniziale partecipazione di uno dei coniugi ad una società di persone ed i suoi successivi aumenti, ferma la distinzione tra la loro titolarità e la legittimazione all’esercizio dei diritti nei confronti della società che essi attribuiscono al socio, rientrano conseguentemente tra gli acquisti che, a norma dell’art. 177, lett. a), c.c., costituiscono oggetto della comunione legale tra i coniugi, anche se effettuati durante il matrimonio ad opera di uno solo di essi, e  con  beni personali, ove non ricorra una delle ipotesi previste dall’art. 179, c.c."

La Corte di Cassazione ha così cassato la sentenza dei giudici di secondo grado che avevano "affermato il principio che facevano parte della comunione legale soltanto gli aumenti della partecipazione della convenuta nella società eseguiti in costanza di matrimonio ed il contrasto con esso della generica declaratoria nel successivo dispositivo che "l’elenco dei beni della comunione comprende pure le quote di partecipazione di Tizia" impone sul punto la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, non avendo distinto nella sua statuizione tra la partecipazione iniziale acquisita anteriormente al matrimonio ed i suoi aumenti successivi. Diversamente va considerato quanto all’ulteriore questione sollevata della (ir)riferibilità degli incrementi della partecipazione nella società ad acquisti della convenuta, essendo stati due di essi effettuati mediante riserve di utili di esercizi sociali precedenti ed un altro, al pari della quota iniziale, con denari del di lei padre, che è stata risolta dal giudice di appello, in diritto, con il rilievo che nell’art. 177, c.c., mancano specificazioni limitative degli strumenti incrementativi del patrimonio comune dei coniugi e, in fatto, con quello dell’inadeguatezza della prova di una donazione indiretta.

Quanto al primo rilievo, va evidenziato che, a norma dell’art. 2262, c.c., applicabile anche alle società in nome collettivo in forza del richiamo di cui all’art 2293, c.c., nella società di persone il singolo socio, a differenza di quanto previsto nell’art. 2433, c.c., per le società di capitali, ha diritto all’immediata percezione degli utili risultanti dal bilancio dopo l’approvazione del rendiconto e che del principio che ne deriva costituisce, ad esempio, applicazione l’art. 5, 1 co., d.p.r. n. 917/86 (T .u.i.r .), che, sia pure a fini tributari, dispone che "I redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili".

Ne consegue che gli utili della società di persone, in caso di mancata distribuzione e di loro accantonamento, salvo che sussista una specifica delibera sociale in senso contrario - che nella specie non è stata allegata - non costituiscono un incremento del patrimonio della società, ma conservano la loro originaria natura di crediti dei singoli soci nei confronti della società, e che il loro utilizzo per un aumento del capitale sociale costituisce unicamente una particolare modalità dell’apporto che ad esso abbiano dato i singoli soci.

Va conseguentemente condivisa la conclusione della sentenza che non potevano essere riferiti allo status di socio acquisito dalla moglie anteriormente al matrimonio gli aumenti della sua partecipazione effettuati con utili degli esercizi precedenti che la società non aveva distribuito ai soci".

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Seconda Civile, Sentenza 2 febbraio 2009, n.2559: Comunione legale tra coniugi e società - Aumenti di capitali sottoscritti da un coniuge dopo il matrimonio - Inclusione nella comunione).

Importante pronuncia della Cassazione in materia di rapportri patrimoniali tra coniugi con riferimento alla partecipazione societaria di uno di essi.

"Lo status di socio non attribuisce al partecipante ad una società di persone una posizione giuridica soggettiva qualificabile in termini di diritto di credito avente ad oggetto la restituzione del conferimento o di una quota proporzionale del patrimonio sociale, giacché, anteriormente al verificarsi di una causa di scioglimento della società o del vincolo sociale, è ipotizzabile in favore del socio soltanto una aspettativa economica, legata alI’eventualità che, al momento dello scioglimento, il patrimonio della società abbia una consistenza attiva tale da giustificare l’attribuzione pro quota ai partecipanti alla società di valori proporzionali alla loro partecipazione.

La quota sociale va invece ricondotta nella nozione di beni mobili fornita dagli artt. 810 ed 812, U.C., c.c., perché, essendo trasferibile a terzi inter vivos e mortis causa  ed assoggettabile anche ad espropriazione forzata, pur se per l’opponibilità del trasferimento alla compagine sociale occorre il consenso degli altri soci, costituisce una cosa immateriale che può fondare oggetto di diritti.

L’iniziale partecipazione di uno dei coniugi ad una società di persone ed i suoi successivi aumenti, ferma la distinzione tra la loro titolarità e la legittimazione all’esercizio dei diritti nei confronti della società che essi attribuiscono al socio, rientrano conseguentemente tra gli acquisti che, a norma dell’art. 177, lett. a), c.c., costituiscono oggetto della comunione legale tra i coniugi, anche se effettuati durante il matrimonio ad opera di uno solo di essi, e  con  beni personali, ove non ricorra una delle ipotesi previste dall’art. 179, c.c."

La Corte di Cassazione ha così cassato la sentenza dei giudici di secondo grado che avevano "affermato il principio che facevano parte della comunione legale soltanto gli aumenti della partecipazione della convenuta nella società eseguiti in costanza di matrimonio ed il contrasto con esso della generica declaratoria nel successivo dispositivo che "l’elenco dei beni della comunione comprende pure le quote di partecipazione di Tizia" impone sul punto la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, non avendo distinto nella sua statuizione tra la partecipazione iniziale acquisita anteriormente al matrimonio ed i suoi aumenti successivi. Diversamente va considerato quanto all’ulteriore questione sollevata della (ir)riferibilità degli incrementi della partecipazione nella società ad acquisti della convenuta, essendo stati due di essi effettuati mediante riserve di utili di esercizi sociali precedenti ed un altro, al pari della quota iniziale, con denari del di lei padre, che è stata risolta dal giudice di appello, in diritto, con il rilievo che nell’art. 177, c.c., mancano specificazioni limitative degli strumenti incrementativi del patrimonio comune dei coniugi e, in fatto, con quello dell’inadeguatezza della prova di una donazione indiretta.

Quanto al primo rilievo, va evidenziato che, a norma dell’art. 2262, c.c., applicabile anche alle società in nome collettivo in forza del richiamo di cui all’art 2293, c.c., nella società di persone il singolo socio, a differenza di quanto previsto nell’art. 2433, c.c., per le società di capitali, ha diritto all’immediata percezione degli utili risultanti dal bilancio dopo l’approvazione del rendiconto e che del principio che ne deriva costituisce, ad esempio, applicazione l’art. 5, 1 co., d.p.r. n. 917/86 (T .u.i.r .), che, sia pure a fini tributari, dispone che "I redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili".

Ne consegue che gli utili della società di persone, in caso di mancata distribuzione e di loro accantonamento, salvo che sussista una specifica delibera sociale in senso contrario - che nella specie non è stata allegata - non costituiscono un incremento del patrimonio della società, ma conservano la loro originaria natura di crediti dei singoli soci nei confronti della società, e che il loro utilizzo per un aumento del capitale sociale costituisce unicamente una particolare modalità dell’apporto che ad esso abbiano dato i singoli soci.

Va conseguentemente condivisa la conclusione della sentenza che non potevano essere riferiti allo status di socio acquisito dalla moglie anteriormente al matrimonio gli aumenti della sua partecipazione effettuati con utili degli esercizi precedenti che la società non aveva distribuito ai soci".

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Seconda Civile, Sentenza 2 febbraio 2009, n.2559: Comunione legale tra coniugi e società - Aumenti di capitali sottoscritti da un coniuge dopo il matrimonio - Inclusione nella comunione).