Cassazione Civile: no al risarcimento per illecito del terzo a favore del socio di società

Il socio di società di capitali non è titolare del diritto al risarcimento del danno cagionato da un terzo al patrimonio sociale.

La Cassazione ha così ribadito l’orientamento elaborato dalle Sezioni Unite, in forza del quale: “il diritto al risarcimento compete solo alla società e non anche al socio, in quanto l’illecito colpisce direttamente la società e il suo patrimonio, mentre l’incidenza negativa sulla partecipazione sociale costituisce soltanto un effetto indiretto di detto pregiudizio e non conseguenza immediata e diretta dell’illecito (Cassazione Civile 24 dicembre 2009, n.27346).

Tra le altre argomentazioni addotte dal precedente citato, la Cassazione ricorda che:

- “essendo le società di capitali fornite di personalità giuridica, ed essendo a questa coessenziale una perfetta autonomia patrimoniale, v’è una netta separazione tra il patrimonio della società e quello personale dei soci, così da essere i rispettivi patrimoni direttamente e reciprocamente insensibili l’uno alle vicende che riguardano l’altro”;

- “la società è l’unica titolare dei diritti, reali come di credito, ad essa spettanti, nascano questi ultimi da contratto o da altra fonte prevista dall’articolo 1173 Codice Civile, ivi compresi i fatti illeciti, di qualunque genere”,

- “a ben vedere, il risarcimento ottenuto dalla società elimina automaticamente ogni danno per il socio, il che conferma che questo non è direttamente danneggiato dall’illecito subito dalla società, mentre può esserlo dal comportamento degli organi gestori, ove non si attivino per ottenere il risarcimento ad essa dovutoc

-  “in correlazione con la nascita, in conseguenza del contratto, dell’ente sociale, questo non è immediatamente tenuto ad alcuna prestazione nei confronti dei soci, la quale possa fare assimilare la loro posizione giuridica nei suoi confronti a un diritto di credito“.

Non solo: “se si ammettesse che i soci di una società di capitali possano agire per ottenere il risarcimeto dei danni procurati da terzi alla società, in quanto incidenti sui diritti loro derivanti dalla partecipazione, non potendosi negare lo stesso diritto alla società, si finirebbe con il configurare un duplice risarcimento per lo stesso danno”.

Nel caso di specie, la circostanza che la quota del socio sia pari all’intero capitale sociale costituisce “dato meramente fattuale, giuridicamente irrilevante, inidoneo a scalfire il principio per cui, stante la netta separazione tra patrimonio della società e patrimonio personale dei soci, qualsiasi danno che attinga il patrimonio sociale può riguardare la partecipazione solo indirettamente e non è quindi suscettibile di autonoma risarcibilità”.

(Corte di Cassazione - Terza Sezione Civile, Sentenza 14 febbraio 2012, n.2087)

Il socio di società di capitali non è titolare del diritto al risarcimento del danno cagionato da un terzo al patrimonio sociale.

La Cassazione ha così ribadito l’orientamento elaborato dalle Sezioni Unite, in forza del quale: “il diritto al risarcimento compete solo alla società e non anche al socio, in quanto l’illecito colpisce direttamente la società e il suo patrimonio, mentre l’incidenza negativa sulla partecipazione sociale costituisce soltanto un effetto indiretto di detto pregiudizio e non conseguenza immediata e diretta dell’illecito (Cassazione Civile 24 dicembre 2009, n.27346).

Tra le altre argomentazioni addotte dal precedente citato, la Cassazione ricorda che:

- “essendo le società di capitali fornite di personalità giuridica, ed essendo a questa coessenziale una perfetta autonomia patrimoniale, v’è una netta separazione tra il patrimonio della società e quello personale dei soci, così da essere i rispettivi patrimoni direttamente e reciprocamente insensibili l’uno alle vicende che riguardano l’altro”;

- “la società è l’unica titolare dei diritti, reali come di credito, ad essa spettanti, nascano questi ultimi da contratto o da altra fonte prevista dall’articolo 1173 Codice Civile, ivi compresi i fatti illeciti, di qualunque genere”,

- “a ben vedere, il risarcimento ottenuto dalla società elimina automaticamente ogni danno per il socio, il che conferma che questo non è direttamente danneggiato dall’illecito subito dalla società, mentre può esserlo dal comportamento degli organi gestori, ove non si attivino per ottenere il risarcimento ad essa dovutoc

-  “in correlazione con la nascita, in conseguenza del contratto, dell’ente sociale, questo non è immediatamente tenuto ad alcuna prestazione nei confronti dei soci, la quale possa fare assimilare la loro posizione giuridica nei suoi confronti a un diritto di credito“.

Non solo: “se si ammettesse che i soci di una società di capitali possano agire per ottenere il risarcimeto dei danni procurati da terzi alla società, in quanto incidenti sui diritti loro derivanti dalla partecipazione, non potendosi negare lo stesso diritto alla società, si finirebbe con il configurare un duplice risarcimento per lo stesso danno”.

Nel caso di specie, la circostanza che la quota del socio sia pari all’intero capitale sociale costituisce “dato meramente fattuale, giuridicamente irrilevante, inidoneo a scalfire il principio per cui, stante la netta separazione tra patrimonio della società e patrimonio personale dei soci, qualsiasi danno che attinga il patrimonio sociale può riguardare la partecipazione solo indirettamente e non è quindi suscettibile di autonoma risarcibilità”.

(Corte di Cassazione - Terza Sezione Civile, Sentenza 14 febbraio 2012, n.2087)