Cassazione Civile: non delibabile la sentenza straniera che condanna al risarcimento di danni punitivi

La Corte d’appello ha respinto per contrarietà all’ordine pubblico interno la domanda di delibazione della sentenza della Corte distrettuale della Contea di Jefferson (Alabama - Stati Uniti) proposta dalla madre di un ragazzo che, sbalzato dalla motocicletta a seguito dell’urto con un autoveicolo, aveva perso il casco protettivo per difetto di progettazione e costruzione della fibbia di chiusura e, cadendo a terra era morto. La citata sentenza statunitense aveva condannato la società produttrice al pagamento di un milione di dollari USA a titolo di risarcimento danni.

Sul ricorso promosso dalla madre, la Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi in merito alla delibazione in Italia di sentenze che prevedano il pagamento dei cosiddetti "danni punitivi" previsti in particolare nell’ordinamento statunitense.

Vale la pena ripercorrere i passaggi salienti della pronuncia della Cassazione, che costituisce un importante precedente di notevole interesse per le società che esportano beni nel mercato statunitense.

"Non v’è alcuna contraddizione tra l’affermare che la mancanza di motivazione non impedisce la delibazione in Italia di un provvedimento del giudice straniero e il trarre da quella stessa mancanza argomento per attribuire alla condanna al risarcimento del danno comminata da quel giudice natura e finalità punitiva e sanzionatoria.

Né tale attribuzione può ritenersi apodittica, come sostenuto dalla ricorrente principale, poggiando essa sia sulla carenza di qualsiasi indicazione circa i criteri seguiti per la determinazione dell’importo del risarcimento, nonché circa la natura e la specie del danno arrecato, alla eliminazione delle cui conseguenze è volta la condanna, sia su una valutazione di eccessività o sproporzionatezza della somma liquidata, in sé, attesi i criteri generalmente seguiti dai giudici italiani, e in relazione a quanto già di considerevole conseguito dalla madre allo stesso titolo dalla conducente dell’autovettura con la quale era andato a scontrarsi la motocicletta del figlio, dalla società produttrice del casco e da altri soggetti pure convenuti in giudizio.

D’altra parte, l’apprezzamento del giudice della delibazione sull’eccessività dell’importo liquidato per danni dal giudice straniero e l’attribuzione alla condanna, anche per effetto di tale valutazione, di natura e finalità punitiva e sanzionatoria si risolvono in un giudizio di fatto, riservato al giudice della delibazione stessa, insindacabile in sede di legittimità se, come nella specie, congruamente e logicamente motivato.

...

La clausola penale non ha natura e finalità sanzionatoria o punitiva. Essa assolve la funzione di rafforzare il vincolo contrattuale e di liquidare preventivamente la prestazione risarcitoria, tant’è che se l’ammontare fissato venga a configurare, secondo l’apprezzamento discrezionale del giudice, un abuso o sconfinamento dell’autonomia privata oltre determinati limiti di equilibrio contrattuale, può essere equamente ridotta. Quindi, se la somma prevista a titolo di penale è dovuta indipendentemente dalla prova del danno subito e da una rigida correlazione con la sua entità, è in ogni caso da escludere che la clausola di cui all’art.1382 c.c. possa essere ricondotta all’istituto dei punitive damages proprio del diritto nordamericano, istituto che non solo si collega, appunto per la sua funzione, alla condotta dell’autore dell’illecito e non al tipo di lesione del danneggiato, ma si caratterizza per un’ingiustificata sproporzione tra l’importo liquidato e il danno effettivamente subito.

Del pari errata è da ritenere qualsiasi identificazione o anche solo parziale equiparazione del risarcimento del danno morale con l’istituto dei danni punitivi. Il danno morale corrisponde ad una lesione subita dal danneggiato e ad essa è ragguagliato l’ammontare del risarcimento. Nell’ipotesi del danno morale, infatti, l’accento è posto sulla sfera del danneggiato e non del danneggiante: la finalità perseguita è soprattutto quella di reintegrare la lesione, mentre nel caso dei punitive damages, come si è visto, non c’è alcuna corrispondenza tra l’ammontare del risarcimento e il danno effettivamente subito.

Nel vigente ordinamento l’idea della punizione e della sanzione è estranea al risarcimento del danno, cosi come è indifferente la condotta del danneggiante. Alla responsabilità civile è assegnato il compito precipuo di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, mediante il pagamento di una sonuna di denaro che tenda ad eliminare le conseguenze del danno arrecato. E ciò vale per qualsiasi danno, compreso il danno non patrimoniale o morale, per il cui risarcimento, proprio perché non possono ad esso riconoscersi finalità punitive, non solo sono irrilevanti lo stato di bisogno del danneggiato e la capacità patrimoniale dell’obbligato, ma occorre altresì la prova dell’esistenza della sofferenza determinata dall’illecito, mediante l’allegazione di concrete circostanze di fatto da cui presumerlo, restando escluso che tale prova possa considerarsi " in re ipsa" (Cass. n.10024/1997, n.12767/1998, n.1633/2000).

Ricordiamo che attualmente è pendente avanti le Sezioni Unite una questione concernente i danni punitivi.

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 19 gennaio 2007, n.1183: Risarcimento danni - Danni Punitivi - Delibazione sentenza).

La Corte d’appello ha respinto per contrarietà all’ordine pubblico interno la domanda di delibazione della sentenza della Corte distrettuale della Contea di Jefferson (Alabama - Stati Uniti) proposta dalla madre di un ragazzo che, sbalzato dalla motocicletta a seguito dell’urto con un autoveicolo, aveva perso il casco protettivo per difetto di progettazione e costruzione della fibbia di chiusura e, cadendo a terra era morto. La citata sentenza statunitense aveva condannato la società produttrice al pagamento di un milione di dollari USA a titolo di risarcimento danni.

Sul ricorso promosso dalla madre, la Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi in merito alla delibazione in Italia di sentenze che prevedano il pagamento dei cosiddetti "danni punitivi" previsti in particolare nell’ordinamento statunitense.

Vale la pena ripercorrere i passaggi salienti della pronuncia della Cassazione, che costituisce un importante precedente di notevole interesse per le società che esportano beni nel mercato statunitense.

"Non v’è alcuna contraddizione tra l’affermare che la mancanza di motivazione non impedisce la delibazione in Italia di un provvedimento del giudice straniero e il trarre da quella stessa mancanza argomento per attribuire alla condanna al risarcimento del danno comminata da quel giudice natura e finalità punitiva e sanzionatoria.

Né tale attribuzione può ritenersi apodittica, come sostenuto dalla ricorrente principale, poggiando essa sia sulla carenza di qualsiasi indicazione circa i criteri seguiti per la determinazione dell’importo del risarcimento, nonché circa la natura e la specie del danno arrecato, alla eliminazione delle cui conseguenze è volta la condanna, sia su una valutazione di eccessività o sproporzionatezza della somma liquidata, in sé, attesi i criteri generalmente seguiti dai giudici italiani, e in relazione a quanto già di considerevole conseguito dalla madre allo stesso titolo dalla conducente dell’autovettura con la quale era andato a scontrarsi la motocicletta del figlio, dalla società produttrice del casco e da altri soggetti pure convenuti in giudizio.

D’altra parte, l’apprezzamento del giudice della delibazione sull’eccessività dell’importo liquidato per danni dal giudice straniero e l’attribuzione alla condanna, anche per effetto di tale valutazione, di natura e finalità punitiva e sanzionatoria si risolvono in un giudizio di fatto, riservato al giudice della delibazione stessa, insindacabile in sede di legittimità se, come nella specie, congruamente e logicamente motivato.

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La clausola penale non ha natura e finalità sanzionatoria o punitiva. Essa assolve la funzione di rafforzare il vincolo contrattuale e di liquidare preventivamente la prestazione risarcitoria, tant’è che se l’ammontare fissato venga a configurare, secondo l’apprezzamento discrezionale del giudice, un abuso o sconfinamento dell’autonomia privata oltre determinati limiti di equilibrio contrattuale, può essere equamente ridotta. Quindi, se la somma prevista a titolo di penale è dovuta indipendentemente dalla prova del danno subito e da una rigida correlazione con la sua entità, è in ogni caso da escludere che la clausola di cui all’art.1382 c.c. possa essere ricondotta all’istituto dei punitive damages proprio del diritto nordamericano, istituto che non solo si collega, appunto per la sua funzione, alla condotta dell’autore dell’illecito e non al tipo di lesione del danneggiato, ma si caratterizza per un’ingiustificata sproporzione tra l’importo liquidato e il danno effettivamente subito.

Del pari errata è da ritenere qualsiasi identificazione o anche solo parziale equiparazione del risarcimento del danno morale con l’istituto dei danni punitivi. Il danno morale corrisponde ad una lesione subita dal danneggiato e ad essa è ragguagliato l’ammontare del risarcimento. Nell’ipotesi del danno morale, infatti, l’accento è posto sulla sfera del danneggiato e non del danneggiante: la finalità perseguita è soprattutto quella di reintegrare la lesione, mentre nel caso dei punitive damages, come si è visto, non c’è alcuna corrispondenza tra l’ammontare del risarcimento e il danno effettivamente subito.

Nel vigente ordinamento l’idea della punizione e della sanzione è estranea al risarcimento del danno, cosi come è indifferente la condotta del danneggiante. Alla responsabilità civile è assegnato il compito precipuo di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, mediante il pagamento di una sonuna di denaro che tenda ad eliminare le conseguenze del danno arrecato. E ciò vale per qualsiasi danno, compreso il danno non patrimoniale o morale, per il cui risarcimento, proprio perché non possono ad esso riconoscersi finalità punitive, non solo sono irrilevanti lo stato di bisogno del danneggiato e la capacità patrimoniale dell’obbligato, ma occorre altresì la prova dell’esistenza della sofferenza determinata dall’illecito, mediante l’allegazione di concrete circostanze di fatto da cui presumerlo, restando escluso che tale prova possa considerarsi " in re ipsa" (Cass. n.10024/1997, n.12767/1998, n.1633/2000).

Ricordiamo che attualmente è pendente avanti le Sezioni Unite una questione concernente i danni punitivi.

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 19 gennaio 2007, n.1183: Risarcimento danni - Danni Punitivi - Delibazione sentenza).