Cassazione Civile: onere della prova dell’errore scusabile a carico della banca nel furto d’identità
Un soggetto agisce nei confronti di alcuni istituti di credito per i danni patiti a causa dell’apertura di conti correnti muniti di convenzione assegni a favore di un terzo che, a tal fine, aveva presentato come documento di identità la patente di guida di cui il primo aveva denunciato lo smarrimento due anni innanzi. La vittima del furto d’identità ricorre in Cassazione avverso la sentenza con la quale la Corte d’appello ha assolto gli istituti di credito citati, compensando le spese di giudizio.
La Cassazione ha rigettato innanzitutto la tesi del ricorrente rilevando che "Va disatteso il richiamo all’articolo 2050 Codice Civile non potendosi l’attività bancaria considerare attività pericolosa, di per sé od in relazione alla natura dei mezzi adoperati, nei termini di cui alla citata norma, come si è venuta storicamente formando e come viene normalmente interpretata. L’attività bancaria può indubbiamente sollecitare (più di altre) iniziative e comportamenti illeciti da parte di terzi, anche pericolosi per l’incolumità altrui. Né si può escludere che in futuro - con il moltiplicarsi del numero e della potenzialità dannosa degli illeciti - possano essere elaborate regole peculiari e più ampie di imputazione della responsabilità, a tutela degli utenti dei servizi bancari. Ad oggi, l’esercizio dell’attività bancaria si considera mera occasione dell’esposizione a pericolo del patrimonio od anche dell’incolumità fisica della clientela; non invece la causa prima ed originaria dei corrispondenti rischi".
Tuttavia, secondo la Cassazione "la motivazione della Corte di appello appare illogica e contraddittoria sotto svariati profili". In particolare, secondo la Cassazione, "In primo luogo perché richiama la non esigibilità di controlli particolarmente sofisticati da parte della banca, mentre nella specie si trattava di verificare se fossero stati effettuati i controlli minimi indispensabili al fine di identificare il cliente, cioè la verifica della corrispondenza della fotografia riportata sul documento alla persona del richiedente il servizio. In secondo luogo perché incorre in una vera e propria petizione di principio, quando afferma che la foto era da presumere somigliante perché il falso non è stato riconosciuto, dando così per dimostrato il fatto che l’impiegato allo sportello avesse controllato il documento e la fotografia, circostanza che era invece da dimostrare. Il fatto che il documento non fosse stato in alcun modo falsificato o alterato induce a presumere che lo scambio di identità fosse immediatamente riconoscibile (come è stato in effetti riconosciuto da altro operatore economico, a breve distanza di tempo)".
In conclusione la Cassazione ha rilevato che "Risultando in fatto dimostrati il furto di identità e l’utilizzazione da parte del reo di un documento altrui in nulla alterato o modificato, la riconoscibilità dell’abuso era da ritenere in re ipsa, e da presumere fino a prova contraria. Era a carico della banca, quindi, e non del danneggiato, l’onere di fornire la prova della scusabilità del suo errore (per la somiglianza fra le due persone o per altra causa), contrariamente a quanto ha affermato la Corte di appello".
(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 11 febbraio 2009, n.3350: Apertura di conto correnti con convenzione assegni - Furto d’identità - Valutazione dell’errore della banca - Onere della prova dell’errore scusabile - Risarcimento danni a favore del soggetto danneggiato).
Un soggetto agisce nei confronti di alcuni istituti di credito per i danni patiti a causa dell’apertura di conti correnti muniti di convenzione assegni a favore di un terzo che, a tal fine, aveva presentato come documento di identità la patente di guida di cui il primo aveva denunciato lo smarrimento due anni innanzi. La vittima del furto d’identità ricorre in Cassazione avverso la sentenza con la quale la Corte d’appello ha assolto gli istituti di credito citati, compensando le spese di giudizio.
La Cassazione ha rigettato innanzitutto la tesi del ricorrente rilevando che "Va disatteso il richiamo all’articolo 2050 Codice Civile non potendosi l’attività bancaria considerare attività pericolosa, di per sé od in relazione alla natura dei mezzi adoperati, nei termini di cui alla citata norma, come si è venuta storicamente formando e come viene normalmente interpretata. L’attività bancaria può indubbiamente sollecitare (più di altre) iniziative e comportamenti illeciti da parte di terzi, anche pericolosi per l’incolumità altrui. Né si può escludere che in futuro - con il moltiplicarsi del numero e della potenzialità dannosa degli illeciti - possano essere elaborate regole peculiari e più ampie di imputazione della responsabilità, a tutela degli utenti dei servizi bancari. Ad oggi, l’esercizio dell’attività bancaria si considera mera occasione dell’esposizione a pericolo del patrimonio od anche dell’incolumità fisica della clientela; non invece la causa prima ed originaria dei corrispondenti rischi".
Tuttavia, secondo la Cassazione "la motivazione della Corte di appello appare illogica e contraddittoria sotto svariati profili". In particolare, secondo la Cassazione, "In primo luogo perché richiama la non esigibilità di controlli particolarmente sofisticati da parte della banca, mentre nella specie si trattava di verificare se fossero stati effettuati i controlli minimi indispensabili al fine di identificare il cliente, cioè la verifica della corrispondenza della fotografia riportata sul documento alla persona del richiedente il servizio. In secondo luogo perché incorre in una vera e propria petizione di principio, quando afferma che la foto era da presumere somigliante perché il falso non è stato riconosciuto, dando così per dimostrato il fatto che l’impiegato allo sportello avesse controllato il documento e la fotografia, circostanza che era invece da dimostrare. Il fatto che il documento non fosse stato in alcun modo falsificato o alterato induce a presumere che lo scambio di identità fosse immediatamente riconoscibile (come è stato in effetti riconosciuto da altro operatore economico, a breve distanza di tempo)".
In conclusione la Cassazione ha rilevato che "Risultando in fatto dimostrati il furto di identità e l’utilizzazione da parte del reo di un documento altrui in nulla alterato o modificato, la riconoscibilità dell’abuso era da ritenere in re ipsa, e da presumere fino a prova contraria. Era a carico della banca, quindi, e non del danneggiato, l’onere di fornire la prova della scusabilità del suo errore (per la somiglianza fra le due persone o per altra causa), contrariamente a quanto ha affermato la Corte di appello".
(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 11 febbraio 2009, n.3350: Apertura di conto correnti con convenzione assegni - Furto d’identità - Valutazione dell’errore della banca - Onere della prova dell’errore scusabile - Risarcimento danni a favore del soggetto danneggiato).