Cassazione Civile: responsabilità di organizzatori di competizioni sportive

La causa si protrae dal 1986 in forza della citazione promossa da un guidatore di bob che nel corso di una competizione tenutasi a Cortina d’Ampezzo nel 1981 aveva subito gravi lesioni al volto a causa della perdita del casco nell’urto contro una delle tavole della pista.

Ribadendo il proprio orientamento di cui alla sentenza 2220/2000, la Cassazione ha ricordato che:
- "Se a sostegno della pericolosità dell’attività di organizzazione di una manifestazione sportiva non si invoca una specifica disposizione normativa, spetta al giudice di merito l’apprezzamento se tale attività, per la sua natura o per i mezzi adoperati, fosse in concreto pericolosa;
- in tema di gare sportive, non è possibile predicare in astratto che organizzarle costituisca sempre o mai un’attività pericolosa, ma è necessario considerare, come sempre quando si discute della applicazione di tale norma, se è insita nel successivo svolgimento della attività organizzata la probabilità del danno, o se si tratta invece di attività normalmente innocua".

In sostanza, secondo la Corte, "la pericolosità dell’attività esercitata deve essere valutata in base alle concrete circostanze di fatto in cui si è venuta svolgendo, tenendo conto insieme della specifica capacità di chi è chiamato a svolgerla e della potenzialità di danno che essa comporta. Ora, è certo che l’atleta impegnato in una manifestazione agonistica accetta di esporsi a quegli incidenti che ne rendono prevedibile la verificazione, perché a produrli vi concorrono gli inevitabili errori del gesto sportivo proprio o degli altri atleti impegnati nella gara, come gli errori di manovra dei mezzi usati. E questo esclude che delle conseguenze di tali incidenti debbano rispondere i soggetti cui spetta predisporre e controllare il campo di gara".

Tuttavia, nota la Corte "è proprio tale insita pericolosità della attività di cui si assume l’organizzazione ad imporre che questa non sia aumentata da difetto od errore nella predisposizione delle misure che debbono connotare il campo di gara, in modo da evitare che si producano anche a carico dell’atleta conseguenze più gravi di quelle normali. Sicché, l’attività di organizzazione di una gara sportiva connotata secondo esperienza da elevata possibilità di incidenti dannosi, non solo per chi vi assiste, ma anche per gli atleti, è da riguardare come esercizio di attività pericolosa, ancorché in rapporto agli atleti nella misura in cui li esponga a conseguenze più gravi di quelle che possono essere prodotte dagli stessi errori degli atleti impegnati nella gara".

Alla luce di queste motivazioni, la Corte ha cassato la sentenza d’appello rinviando la causa per una rivalutazione dei fatti "nella duplice prospettiva di un concreto accertamento della pericolosità della predisposizione attuata; della prova del limite alla conseguente responsabilità, in termini fortuito, e della imputazione della responsabilità per attività pericolosa ai diversi soggetti convenuti in giudizio".

La Corte avrebbe infatti dovuto, "acquisito che a determinare la perdita del casco che proteggeva la testa dell’atleta era stata una scheggia di legno staccatasi dal tavolato; una volta che non si poteva escludere in via di principio che l’evento si era prodotto nel corso di un’attività valutabile come pericolosa nel senso già detto", accertare se la pericolosità sussisteva in concreto anche in ragione dei ripari apprestati, mentre non importava stabilire in quale concreto modo il distacco della scheggia fosse avvenuto, ma se si era avuto cura di scegliere ripari non pericolosi in sé o se, non potendosene adoperare altri, si fosse avuto cura di renderli inoffensivi".

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 13 febbraio 2009, n.3528: Organizzatori gara di bob - Attività pericolosa - Responsabilità - Presupposti).

La causa si protrae dal 1986 in forza della citazione promossa da un guidatore di bob che nel corso di una competizione tenutasi a Cortina d’Ampezzo nel 1981 aveva subito gravi lesioni al volto a causa della perdita del casco nell’urto contro una delle tavole della pista.

Ribadendo il proprio orientamento di cui alla sentenza 2220/2000, la Cassazione ha ricordato che:
- "Se a sostegno della pericolosità dell’attività di organizzazione di una manifestazione sportiva non si invoca una specifica disposizione normativa, spetta al giudice di merito l’apprezzamento se tale attività, per la sua natura o per i mezzi adoperati, fosse in concreto pericolosa;
- in tema di gare sportive, non è possibile predicare in astratto che organizzarle costituisca sempre o mai un’attività pericolosa, ma è necessario considerare, come sempre quando si discute della applicazione di tale norma, se è insita nel successivo svolgimento della attività organizzata la probabilità del danno, o se si tratta invece di attività normalmente innocua".

In sostanza, secondo la Corte, "la pericolosità dell’attività esercitata deve essere valutata in base alle concrete circostanze di fatto in cui si è venuta svolgendo, tenendo conto insieme della specifica capacità di chi è chiamato a svolgerla e della potenzialità di danno che essa comporta. Ora, è certo che l’atleta impegnato in una manifestazione agonistica accetta di esporsi a quegli incidenti che ne rendono prevedibile la verificazione, perché a produrli vi concorrono gli inevitabili errori del gesto sportivo proprio o degli altri atleti impegnati nella gara, come gli errori di manovra dei mezzi usati. E questo esclude che delle conseguenze di tali incidenti debbano rispondere i soggetti cui spetta predisporre e controllare il campo di gara".

Tuttavia, nota la Corte "è proprio tale insita pericolosità della attività di cui si assume l’organizzazione ad imporre che questa non sia aumentata da difetto od errore nella predisposizione delle misure che debbono connotare il campo di gara, in modo da evitare che si producano anche a carico dell’atleta conseguenze più gravi di quelle normali. Sicché, l’attività di organizzazione di una gara sportiva connotata secondo esperienza da elevata possibilità di incidenti dannosi, non solo per chi vi assiste, ma anche per gli atleti, è da riguardare come esercizio di attività pericolosa, ancorché in rapporto agli atleti nella misura in cui li esponga a conseguenze più gravi di quelle che possono essere prodotte dagli stessi errori degli atleti impegnati nella gara".

Alla luce di queste motivazioni, la Corte ha cassato la sentenza d’appello rinviando la causa per una rivalutazione dei fatti "nella duplice prospettiva di un concreto accertamento della pericolosità della predisposizione attuata; della prova del limite alla conseguente responsabilità, in termini fortuito, e della imputazione della responsabilità per attività pericolosa ai diversi soggetti convenuti in giudizio".

La Corte avrebbe infatti dovuto, "acquisito che a determinare la perdita del casco che proteggeva la testa dell’atleta era stata una scheggia di legno staccatasi dal tavolato; una volta che non si poteva escludere in via di principio che l’evento si era prodotto nel corso di un’attività valutabile come pericolosa nel senso già detto", accertare se la pericolosità sussisteva in concreto anche in ragione dei ripari apprestati, mentre non importava stabilire in quale concreto modo il distacco della scheggia fosse avvenuto, ma se si era avuto cura di scegliere ripari non pericolosi in sé o se, non potendosene adoperare altri, si fosse avuto cura di renderli inoffensivi".

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 13 febbraio 2009, n.3528: Organizzatori gara di bob - Attività pericolosa - Responsabilità - Presupposti).