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Cassazione Lavoro: illegittimo il licenziamento del lavoratore che invia files aziendali al proprio legale

Non configura una giusta causa né un giustificato motivo oggettivo di licenziamento il caso in cui il dipendente trasferisca al proprio difensore documenti in formato elettronico appartenenti all’azienda.

Nel caso di specie, un dipendente di una società addetto al settore ufficio gare era stato licenziato per aver inviato al proprio legale un notevole quantitativo di files relativi a commesse e appalti della propria azienda, nell’eventualità di una controversia giudiziale con la stessa.

Il lavoratore, avverso il licenziamento, ricorreva all’Autorità giudiziaria. I giudici del Tribunale confermavano la legittimità del licenziamento intimato al dipendente per aver questo “divulgato”, senza autorizzazione, documenti aziendali.

La Corte d’Appello accoglieva il ricorso proposto dalla parte soccombente nel giudizio di primo grado, riformando la sentenza impugnata e dichiarando il licenziamento contestato illegittimo. La Corte condannava pertanto la società a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro e a risarcire il danno cagionato.

Su ricorso della società datrice di lavoro, i giudici di legittimità hanno stabilito che “la trasmissione di files aziendali in nessun caso potrebbe apparire come un comportamento sanzionabile con il licenziamento (peraltro l’episodio ha già condotto ad una sanzione non a carattere espulsivo) per due ordini di motivi: in primo luogo, perché i files non risultano essere stati divulgati ma trasmessi al difensore e quindi destinati a rimanere in un ambito prestabilito di conoscenza limitato ad eventuali attività difensive del ricorrente. In secondo luogo, perché la società non aveva offerto alcun elemento per comprendere la natura di tali documenti e quindi per capire l’importanza dell’inadempimento posto in essere dal lavoratore”.

La trasmissionesi legge nel testo della sentenzadi atti aziendali ad un difensore e la loro divulgazione sono condotte radicalmente diverse tra di loro in quanto il primo radica l’informazione presso un professionista che è tenuto alla riservatezza ed anche, sul piano deontologico, ad informare il cliente sulle conseguenze di una diffusione ulteriore di informazioni procurate nel modo prima indicato”.

Di conseguenza, secondo la Cassazione, la Corte territoriale, lungi dall’operare un bilanciamento generale tra il diritto di difesa del lavoratore (in questo caso, soltanto eventuale) e il diritto di riservatezza del datore di lavoro, si è limitata a considerare le circostanze del caso, cioè che i documenti erano stati trasmessi al solo difensore e che il loro contenuto non era stato in alcun modo ricostruito dalla società, sicché non si poteva pienamente giudicare sull’importanza dell’inadempimento contestato.

In conclusione, i giudici della Suprema Corte hanno dichiarato incensurabile la sentenza impugnata, confermando la condanna inflitta alla società datrice di lavoro.

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 5 marzo 2014, n. 5197)

Non configura una giusta causa né un giustificato motivo oggettivo di licenziamento il caso in cui il dipendente trasferisca al proprio difensore documenti in formato elettronico appartenenti all’azienda.


Nel caso di specie, un dipendente di una società addetto al settore ufficio gare era stato licenziato per aver inviato al proprio legale un notevole quantitativo di files relativi a commesse e appalti della propria azienda, nell’eventualità di una controversia giudiziale con la stessa.

Il lavoratore, avverso il licenziamento, ricorreva all’Autorità giudiziaria. I giudici del Tribunale confermavano la legittimità del licenziamento intimato al dipendente per aver questo “divulgato”, senza autorizzazione, documenti aziendali.

La Corte d’Appello accoglieva il ricorso proposto dalla parte soccombente nel giudizio di primo grado, riformando la sentenza impugnata e dichiarando il licenziamento contestato illegittimo. La Corte condannava pertanto la società a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro e a risarcire il danno cagionato.

Su ricorso della società datrice di lavoro, i giudici di legittimità hanno stabilito che “la trasmissione di files aziendali in nessun caso potrebbe apparire come un comportamento sanzionabile con il licenziamento (peraltro l’episodio ha già condotto ad una sanzione non a carattere espulsivo) per due ordini di motivi: in primo luogo, perché i files non risultano essere stati divulgati ma trasmessi al difensore e quindi destinati a rimanere in un ambito prestabilito di conoscenza limitato ad eventuali attività difensive del ricorrente. In secondo luogo, perché la società non aveva offerto alcun elemento per comprendere la natura di tali documenti e quindi per capire l’importanza dell’inadempimento posto in essere dal lavoratore”.

La trasmissionesi legge nel testo della sentenzadi atti aziendali ad un difensore e la loro divulgazione sono condotte radicalmente diverse tra di loro in quanto il primo radica l’informazione presso un professionista che è tenuto alla riservatezza ed anche, sul piano deontologico, ad informare il cliente sulle conseguenze di una diffusione ulteriore di informazioni procurate nel modo prima indicato”.

Di conseguenza, secondo la Cassazione, la Corte territoriale, lungi dall’operare un bilanciamento generale tra il diritto di difesa del lavoratore (in questo caso, soltanto eventuale) e il diritto di riservatezza del datore di lavoro, si è limitata a considerare le circostanze del caso, cioè che i documenti erano stati trasmessi al solo difensore e che il loro contenuto non era stato in alcun modo ricostruito dalla società, sicché non si poteva pienamente giudicare sull’importanza dell’inadempimento contestato.

In conclusione, i giudici della Suprema Corte hanno dichiarato incensurabile la sentenza impugnata, confermando la condanna inflitta alla società datrice di lavoro.

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 5 marzo 2014, n. 5197)