Cassazione Penale: danneggiamento di informazioni mediante cancellazione di file
Sussiste il reato previsto dall’articolo 635 bis Codice Penale (danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici) anche qualora i file cancellati dal dipendente possano essere oggetto di recupero. Secondo la Cassazione, infatti: “Il danneggiamento che è presupposto della previsione sostanziale, sottospecie del genus rappresentato dal reato di danneggiamento di cui all’articolo 635 c.p., deve intendersi integrato dalla manomissione ed alterazione dello stato del computer, rimediabili solo con postumo intervento recuperatorio, e comunque non reintegrativo dell’originaria configurazione dell’ambiente di lavoro”.
«Art. 635-bis. - (Danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici). - Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque distrugge, deteriora, cancella, altera o sopprime informazioni, dati o programmi informatici altrui è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Se ricorre la circostanza di cui al numero 1) del secondo comma dell’articolo 635 ovvero se il fatto è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è della reclusione da uno a quattro anni e si procede d’ufficio».
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che ha confermato la pronuncia di condanna della Corte d’Appello di Catania.
Leggiamo i passaggi salienti della pronuncia.
"La censura dubita della sussistenza degli estremi del reato ipotizzato (danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici). La ratio della doglianza risiede nell’assunto secondo cui, essendo stati recuperati i files cancellati, in esito all’intervento di un tecnico di fiducia della ditta interessata, non ricorrerebbe la fattispecie delittuosa, che postulerebbe, in una delle alternative prospettazioni, la cancellazione in senso di definitiva rimozione dei dati cancellati dalla memoria del computer.
La censura è destituita di fondamento, sia in linea astratta, che con riferimento alle peculiarità della fattispecie concreta.
Prendendo le mosse dalla dimensione fattuale, è vero che dall’istruttoria dibattimentale, attraverso l’escussione del teste che, su incarico della ditta aveva effettuato l’operazione di recupero, risultava l’effettivo salvataggio dei files cancellati, ma è pur vero che il tecnico aveva riferito di non avere aperto gli stessi e che, solo in esito alla loro apertura, se ne sarebbe potuta verificare l’integrità. Dall’escussione di altri testi era, poi, emerso che, inutilmente, se ne era tentata l’apertura, in quanto buona parte dei files erano irrecuperabili.
Senonché, anche dal punto di vista meramente formale, il rilievo difensivo è infondato, in quanto il lemma cancella che figura nel dettato normativo non può essere inteso nel suo precipuo significato semantico, rappresentativo di irrecuperabile elisione, ma nella specifica accezione tecnica recepita dal dettato normativo, notoriamente introdotto in sede di ratifica di convenzione europea in tema di criminalità informatica (con legge 23 dicembre 1993, n.547). Ebbene, nel gergo informatico l’operazione della cancellazione consiste nella rimozione da un certo ambiente di determinati dati, in via provvisoria attraverso il loro spostamento nell’apposito cestino o in via "definitiva" mediante il successivo svuotamento dello stesso. L’uso dell’inciso per evidenziare il termine "definitiva" è dovuto al fatto che neppure tale operazione può definirsi davvero tale, in quanto anche dopo lo svuotamento del cestino i files cancellati possono essere recuperati, ma solo attraverso una complessa procedura tecnica che richiede l’uso di particolari sistemi applicativi e presuppone specifiche conoscenza nel campo dell’informatica. Di talché, sembra corretto ritenere conforme allo spirito della disposizione normativa che anche la cancellazione, che non escluda la possibilità di recupero se non con l’uso - anche dispendioso - di particolari procedure, integri gli estremi oggettivi della fattispecie delittuosa. Il danneggiamento che è presupposto della previsione sostanziale, sottospecie del genus rappresentato dal reato di danneggiamento di cui all’articolo 635 c.p., deve intendersi integrato dalla manomissione ed alterazione dello stato del computer, rimediabili solo con postumo intervento recuperatorio, e comunque non reintegrativo dell’originaria configurazione dell’ambiente di lavoro.
Si tratta, dunque, di attività produttiva di danno, in quanto il recupero, ove possibile, comporta oneri di spesa o, comunque, l’impiego di unità di tempo lavorativo.
Nel caso di specie, oltretutto, non mancava neppure la componente del danneggiamento in senso fisico, in quanto i files in buona parte recuperati non potevano più essere aperti e, quindi, erano definitivamente perduti, segno evidente che la cancellazione era avvenuta con l’uso di apposito sistema di sovrascrittura".
(Corte di Cassazione - Sezione Quinta Penale, Sentenza 5 marzo 2012, n.8555)
Sussiste il reato previsto dall’articolo 635 bis Codice Penale (danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici) anche qualora i file cancellati dal dipendente possano essere oggetto di recupero. Secondo la Cassazione, infatti: “Il danneggiamento che è presupposto della previsione sostanziale, sottospecie del genus rappresentato dal reato di danneggiamento di cui all’articolo 635 c.p., deve intendersi integrato dalla manomissione ed alterazione dello stato del computer, rimediabili solo con postumo intervento recuperatorio, e comunque non reintegrativo dell’originaria configurazione dell’ambiente di lavoro”.
«Art. 635-bis. - (Danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici). - Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque distrugge, deteriora, cancella, altera o sopprime informazioni, dati o programmi informatici altrui è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Se ricorre la circostanza di cui al numero 1) del secondo comma dell’articolo 635 ovvero se il fatto è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è della reclusione da uno a quattro anni e si procede d’ufficio».
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che ha confermato la pronuncia di condanna della Corte d’Appello di Catania.
Leggiamo i passaggi salienti della pronuncia.
"La censura dubita della sussistenza degli estremi del reato ipotizzato (danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici). La ratio della doglianza risiede nell’assunto secondo cui, essendo stati recuperati i files cancellati, in esito all’intervento di un tecnico di fiducia della ditta interessata, non ricorrerebbe la fattispecie delittuosa, che postulerebbe, in una delle alternative prospettazioni, la cancellazione in senso di definitiva rimozione dei dati cancellati dalla memoria del computer.
La censura è destituita di fondamento, sia in linea astratta, che con riferimento alle peculiarità della fattispecie concreta.
Prendendo le mosse dalla dimensione fattuale, è vero che dall’istruttoria dibattimentale, attraverso l’escussione del teste che, su incarico della ditta aveva effettuato l’operazione di recupero, risultava l’effettivo salvataggio dei files cancellati, ma è pur vero che il tecnico aveva riferito di non avere aperto gli stessi e che, solo in esito alla loro apertura, se ne sarebbe potuta verificare l’integrità. Dall’escussione di altri testi era, poi, emerso che, inutilmente, se ne era tentata l’apertura, in quanto buona parte dei files erano irrecuperabili.
Senonché, anche dal punto di vista meramente formale, il rilievo difensivo è infondato, in quanto il lemma cancella che figura nel dettato normativo non può essere inteso nel suo precipuo significato semantico, rappresentativo di irrecuperabile elisione, ma nella specifica accezione tecnica recepita dal dettato normativo, notoriamente introdotto in sede di ratifica di convenzione europea in tema di criminalità informatica (con legge 23 dicembre 1993, n.547). Ebbene, nel gergo informatico l’operazione della cancellazione consiste nella rimozione da un certo ambiente di determinati dati, in via provvisoria attraverso il loro spostamento nell’apposito cestino o in via "definitiva" mediante il successivo svuotamento dello stesso. L’uso dell’inciso per evidenziare il termine "definitiva" è dovuto al fatto che neppure tale operazione può definirsi davvero tale, in quanto anche dopo lo svuotamento del cestino i files cancellati possono essere recuperati, ma solo attraverso una complessa procedura tecnica che richiede l’uso di particolari sistemi applicativi e presuppone specifiche conoscenza nel campo dell’informatica. Di talché, sembra corretto ritenere conforme allo spirito della disposizione normativa che anche la cancellazione, che non escluda la possibilità di recupero se non con l’uso - anche dispendioso - di particolari procedure, integri gli estremi oggettivi della fattispecie delittuosa. Il danneggiamento che è presupposto della previsione sostanziale, sottospecie del genus rappresentato dal reato di danneggiamento di cui all’articolo 635 c.p., deve intendersi integrato dalla manomissione ed alterazione dello stato del computer, rimediabili solo con postumo intervento recuperatorio, e comunque non reintegrativo dell’originaria configurazione dell’ambiente di lavoro.
Si tratta, dunque, di attività produttiva di danno, in quanto il recupero, ove possibile, comporta oneri di spesa o, comunque, l’impiego di unità di tempo lavorativo.
Nel caso di specie, oltretutto, non mancava neppure la componente del danneggiamento in senso fisico, in quanto i files in buona parte recuperati non potevano più essere aperti e, quindi, erano definitivamente perduti, segno evidente che la cancellazione era avvenuta con l’uso di apposito sistema di sovrascrittura".
(Corte di Cassazione - Sezione Quinta Penale, Sentenza 5 marzo 2012, n.8555)