Cassazione Penale: rapporto causale dell’omicidio colposo del medico per sovradosaggio

"A fronte dell’esistenza di un’ipotesi alternativa e plausibile nella ricostruzione della causalità, seppure ritenuta improbabile - e purchè non consista in una ricostruzione immotivata e di natura meramente congetturale - è consentito al giudice di merito escludere tale ipotesi non solo in base ad una dichiarata e motivata maggiore affidabilità di una delle ipotesi formulate ma tenendo anche conto delle evidenze probatorie esistenti nel processo che consentano di negare, in termini di elevata credibilità razionale, l’ipotesi alternativa. Ciò consente di uscire dalle secche della valutazione probabilistica e di pervenire ad una conclusione che supera il limite costituito dal ragionevole dubbio".

Nel caso di specie, il medico ricorrente in Cassazione, non ponendo in discussione che il decesso della paziente fosse materialmente ricollegabile al sovradosaggio farmacologico che aveva scatenato la crisi che aveva condotto alla morte, aveva ricostruito in termini omissivi la causalità per poter affermare l’inesistenza della prova che, se interrotta o sostituita la cura in atto da adeguata terapia, la paziente si sarebbe salvata.

Approfondendo questo punto, la Cassazione ha affermato che "in astratto, la distinzione tra causalità commissiva e causalità omissiva è del tutto chiara: nella prima viene violato un divieto nella seconda è un comando ad essere violato. Non sempre agevole è però la distinzione in concreto tra le due forme di causalità". "In particolare nella responsabilità professionale medica (ma non solo) viene frequentemente ritenuta omissiva una condotta che tale non è anche perchè sono ben pochi i casi nei quali la condotta cui riferire l’evento dannoso è chiaramente attiva (il chirurgo ha inavvertitamente tagliato un vaso durante l’intervento) o passiva (il medico ha colposamente omesso di ricoverare il paziente). Nella stragrande maggioranza dei casi sono presenti condotte attive e passive che interagiscono tra di loro rendendo ancor più difficile l’accertamento della natura della causalità. E’ peraltro necessario evitare di confondere tra il reato omissivo e le componenti omissive della colpa: i casi del medico che adotta una terapia errata (e quindi omette di somministrare quella corretta) o che dimette anticipatamente il paziente (e quindi omette di continuare a curarlo in ambito ospedaliero) non rientrano nella causalità omissiva ma in quella attiva. Si è detto che i medici che hanno sbagliato diagnosi e terapia "non hanno violato un comando penale, bensì solo un divieto di cagionare (o contribuito a cagionare, si trattasse anche solo di accelerare) lesioni o morte con negligenza, imperizia o imprudenza"".

In sostanza, secondo la Cassazione, "causalità omissiva sarà dunque quella del medico che omette proprio di curare il paziente o che rifiuta di ricoverarlo. Al più potrebbe ritenersi condivisibile il più recente orientamento secondo cui, nell’ambito della responsabilità medica, avrebbe natura commissiva la condotta del medico che ha introdotto nel quadro clinico del paziente un fattore di rischio poi effettivamente concretizzatosi; sarebbe invece omissiva la condotta del sanitario che non abbia contrastato un rischio già presente nel quadro clinico del paziente".

Nel caso di specie, la Cassazione ritiene che non sussistano dubbi sulla natura commissiva della causalità. "Il medico infatti non ha violato un comando omettendo di intervenire in un caso che richiedeva la sua attivazione ma ha violato il divieto di somministrare le terapie in dosaggi superiori a quelli previsti e senza tener conto della pericolosità dei fattori di accumulo. ... e può affermarsi che il medico abbia introdotto nel quadro clinico della paziente un fattore di rischio poi effettivamente concretizzatosi. ... Se dunque nel caso in esame la causalità ha natura commissiva e se l’evento è causalmente ricollegabile alla condotta dell’imputato in termini di sostanziale certezza è evidente che non è necessario porsi la domanda se il mutamento della terapia avrebbe avuto efficacia salvifica. Anche se la risposta fosse negativa l’evento sarebbe infatti pur sempre ricollegabile alla iniziale condotta attiva dell’ agente. Il giudizio controfattuale non va dunque compiuto, come implicitamente richiede il ricorrente, dando per avvenuta una condotta impeditiva che non c’è stata e chiedendosi se, posta in essere la medesima, l’evento sarebbe ugualmente avvenuto in termini di elevata credibilità razionale. Ma chiedendosi se, ipotizzando non avvenuto il mutamento del trattamento farmacologico, si sarebbe ugualmente verificato il processo patologico che ha condotto la paziente all’esito fatale".

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Quarta Penale, Sentenza 10 gennaio 2008, n. 840: Omicidio colposo - Rapporto causale).

"A fronte dell’esistenza di un’ipotesi alternativa e plausibile nella ricostruzione della causalità, seppure ritenuta improbabile - e purchè non consista in una ricostruzione immotivata e di natura meramente congetturale - è consentito al giudice di merito escludere tale ipotesi non solo in base ad una dichiarata e motivata maggiore affidabilità di una delle ipotesi formulate ma tenendo anche conto delle evidenze probatorie esistenti nel processo che consentano di negare, in termini di elevata credibilità razionale, l’ipotesi alternativa. Ciò consente di uscire dalle secche della valutazione probabilistica e di pervenire ad una conclusione che supera il limite costituito dal ragionevole dubbio".

Nel caso di specie, il medico ricorrente in Cassazione, non ponendo in discussione che il decesso della paziente fosse materialmente ricollegabile al sovradosaggio farmacologico che aveva scatenato la crisi che aveva condotto alla morte, aveva ricostruito in termini omissivi la causalità per poter affermare l’inesistenza della prova che, se interrotta o sostituita la cura in atto da adeguata terapia, la paziente si sarebbe salvata.

Approfondendo questo punto, la Cassazione ha affermato che "in astratto, la distinzione tra causalità commissiva e causalità omissiva è del tutto chiara: nella prima viene violato un divieto nella seconda è un comando ad essere violato. Non sempre agevole è però la distinzione in concreto tra le due forme di causalità". "In particolare nella responsabilità professionale medica (ma non solo) viene frequentemente ritenuta omissiva una condotta che tale non è anche perchè sono ben pochi i casi nei quali la condotta cui riferire l’evento dannoso è chiaramente attiva (il chirurgo ha inavvertitamente tagliato un vaso durante l’intervento) o passiva (il medico ha colposamente omesso di ricoverare il paziente). Nella stragrande maggioranza dei casi sono presenti condotte attive e passive che interagiscono tra di loro rendendo ancor più difficile l’accertamento della natura della causalità. E’ peraltro necessario evitare di confondere tra il reato omissivo e le componenti omissive della colpa: i casi del medico che adotta una terapia errata (e quindi omette di somministrare quella corretta) o che dimette anticipatamente il paziente (e quindi omette di continuare a curarlo in ambito ospedaliero) non rientrano nella causalità omissiva ma in quella attiva. Si è detto che i medici che hanno sbagliato diagnosi e terapia "non hanno violato un comando penale, bensì solo un divieto di cagionare (o contribuito a cagionare, si trattasse anche solo di accelerare) lesioni o morte con negligenza, imperizia o imprudenza"".

In sostanza, secondo la Cassazione, "causalità omissiva sarà dunque quella del medico che omette proprio di curare il paziente o che rifiuta di ricoverarlo. Al più potrebbe ritenersi condivisibile il più recente orientamento secondo cui, nell’ambito della responsabilità medica, avrebbe natura commissiva la condotta del medico che ha introdotto nel quadro clinico del paziente un fattore di rischio poi effettivamente concretizzatosi; sarebbe invece omissiva la condotta del sanitario che non abbia contrastato un rischio già presente nel quadro clinico del paziente".

Nel caso di specie, la Cassazione ritiene che non sussistano dubbi sulla natura commissiva della causalità. "Il medico infatti non ha violato un comando omettendo di intervenire in un caso che richiedeva la sua attivazione ma ha violato il divieto di somministrare le terapie in dosaggi superiori a quelli previsti e senza tener conto della pericolosità dei fattori di accumulo. ... e può affermarsi che il medico abbia introdotto nel quadro clinico della paziente un fattore di rischio poi effettivamente concretizzatosi. ... Se dunque nel caso in esame la causalità ha natura commissiva e se l’evento è causalmente ricollegabile alla condotta dell’imputato in termini di sostanziale certezza è evidente che non è necessario porsi la domanda se il mutamento della terapia avrebbe avuto efficacia salvifica. Anche se la risposta fosse negativa l’evento sarebbe infatti pur sempre ricollegabile alla iniziale condotta attiva dell’ agente. Il giudizio controfattuale non va dunque compiuto, come implicitamente richiede il ricorrente, dando per avvenuta una condotta impeditiva che non c’è stata e chiedendosi se, posta in essere la medesima, l’evento sarebbe ugualmente avvenuto in termini di elevata credibilità razionale. Ma chiedendosi se, ipotizzando non avvenuto il mutamento del trattamento farmacologico, si sarebbe ugualmente verificato il processo patologico che ha condotto la paziente all’esito fatale".

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Quarta Penale, Sentenza 10 gennaio 2008, n. 840: Omicidio colposo - Rapporto causale).