x

x

Che succede quando piove su un piazzale di cava?

Nota a Consiglio di Stato - Sezione Sesta, Sentenza 4 dicembre 2009, n. 7618
Che succede quando piove, anziché sui marciapiedi della città, su di un piazzale utilizzato per la frantumazione, lo stoccaggio, il caricamento ed il successivo trasporto di materiale estrattivo proveniente da un’adiacente cava? Le acque, che il legislatore chiama “meteoriche di dilavamento”, sono innocua pioggia che può incanalarsi verso i vicini fossati o corsi d’acqua, o sono delle acque da controllare, bisognose di un’autorizzazione per essere immesse nei corpi idrici circostanti?

A questa domanda ha risposto prima il T.A.R. della Toscana, con la sentenza della I Sezione, n. 1044/2007, poi il Consiglio di Stato, con la decisione della VI Sezione n. 7618/2009 (depositata il 4 dicembre 2009).

Il T.A.R. aveva risposto considerando le acque meteoriche bisognose di autorizzazione per lo scarico, mentre il Consiglio di Stato ha stabilito il contrario. La questione è ulteriormente complicata dal fatto che casi come quello esaminato nella sentenza sono stati poi oggetto di una legislazione regionale (siamo in Toscana) decisamente interessante.

Le norme di cui si tratta sono - in ordine di tempo:

- l’art. 2, comma 1, lett. h), del D.Lgs. n. 152/1999, che definisce le acque reflue industriali e le distingue dalle acque meteoriche di dilavamento;

- l’art. 39 del D.Lgs. n. 152/1999, che consente alle regioni di sottoporre a particolari prescrizioni in determinati casi le acque meteoriche di dilavamento;

- L.R. Toscana 31 maggio 2006 n. 20, artt. 1, 2 e 13, che introduce il concetto di “acque meteoriche dilavanti contaminate”;

- l’art. 74, comma 1, lettera h) del D.Lgs. n. 152/2006 (c.d. Codice Ambiente), come modificato dall’art. 2 comma 1 del D.Lgs. n. 4/2008 (secondo correttivo al Codice Ambiente), che ripete la definizione dell’art. 2 del 1999, senza più comprendere nella categoria delle acque meteoriche dilavanti “quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento”.

Da queste norme si ricava - secondo la sentenza in esame - che le acque meteoriche di dilavamento non possono essere considerate “acque reflue industriali”. Lo diventano se provengono da edifici o impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione, ma a condizione di esservi state immesse dalla volontà umana. Senza l’immissione per iniziativa umana nel ciclo produttivo, l’acqua meteorica resta una normale pioggia, il cui deflusso non è soggetto ad autorizzazioni. Quindi acque reflue industriali e acque meteoriche di dilavamento restano entità ben distinte.

Per effetto dell’art. 39 cit e della susseguente l.r. Toscana n. 20 nasce invece una terza figura: le “acque dilavanti contaminate”. Ma la relativa disciplina non poteva applicarsi al caso esaminato perché non esisteva ancora – all’epoca del provvedimento impugnato – la legge regionale della Toscana che l’ha fatta nascere.

Ma vediamo più da vicino le due sentenze.

Il TAR Toscana, in base all’art. 2 del del D.Lgs. n. 152/1999, ha ritenuto che si dovesse applicare il regime autorizzativo delle acque reflue industriali perché la pioggia, cadendo su un piazzale utilizzato nell’attività di cava, si mescolava alle polveri residue e alle perdite di idrocarburi degli automezzi, cambiando così natura; da acque meteoriche in acque reflue industriali. Le acque, ancorché meteoriche, dovevano ritenersi “provenienti dall’insediamento produttivo” ex art. 2 citato che definisce le acque reflue industriali: “qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od installazioni in cui si svolgono attivita’ commerciali o di produzione di beni”.

E’ proprio su questo aspetto che il Consiglio di Stato argomenta la sua contrastante decisione. Contesta anzitutto che le acque meteoriche possano ritenersi “provenienti” dall’insediamento produttivo, anche se il piazzale può essere considerato parte dell’insediamento produttivo. La loro origine resta meteorica e la provenienza dall’impianto deve ritenersi “incidentale” . Chiarisce inoltre che la provenienza presa in considerazione dalla legge, deve ritenersi “funzionale” in relazione al ciclo produttivo e non solo “spaziale” in relazione all’ubicazione di un impianto. A conferma cita l’art. 39 del D.Lgs. n. 152/1999. L’art. 39 prende in considerazione la possibilità che anche le acque meteoriche di dilavamento – in quanto vengano a contatto con elementi inquinanti – debbano essere oggetto di particolari prescrizioni ed eventuali autorizzazioni. Ma affida alla potestà legislativa regionale di introdurre una normativa specifica (anche se del caso introducendo l’autorizzazione preventiva). In mancanza della quale normativa il Giudice non può sostituirsi al legislatore e richiedere una autorizzazione non prevista dalle norme.

In sintesi, il T.A.R. Toscana aveva visto un problema (anche le acque meteoriche dilavanti possono contaminarsi), ma non aveva ancora gli strumenti per considerare illegittimo il comportamento dell’impresa, in quanto solo successivamente alla data del provvedimento impugnato è entrata in vigore la legge regionale n. 20/2006 che ha introdotto, come abbiamo visto, il concetto di “acque dilavanti contaminate”. Il Consiglio di Stato ha riformato la sentenza del Tribunale amministrativo della Toscana avendo constatato che la disciplina vigente all’epoca dei fatti (anno 2005) non consentiva di considerare quelle acque meteoriche né “reflui industriali” né “acque meteoriche dilavanti contaminate”.

Che succede quando piove, anziché sui marciapiedi della città, su di un piazzale utilizzato per la frantumazione, lo stoccaggio, il caricamento ed il successivo trasporto di materiale estrattivo proveniente da un’adiacente cava? Le acque, che il legislatore chiama “meteoriche di dilavamento”, sono innocua pioggia che può incanalarsi verso i vicini fossati o corsi d’acqua, o sono delle acque da controllare, bisognose di un’autorizzazione per essere immesse nei corpi idrici circostanti?

A questa domanda ha risposto prima il T.A.R. della Toscana, con la sentenza della I Sezione, n. 1044/2007, poi il Consiglio di Stato, con la decisione della VI Sezione n. 7618/2009 (depositata il 4 dicembre 2009).

Il T.A.R. aveva risposto considerando le acque meteoriche bisognose di autorizzazione per lo scarico, mentre il Consiglio di Stato ha stabilito il contrario. La questione è ulteriormente complicata dal fatto che casi come quello esaminato nella sentenza sono stati poi oggetto di una legislazione regionale (siamo in Toscana) decisamente interessante.

Le norme di cui si tratta sono - in ordine di tempo:

- l’art. 2, comma 1, lett. h), del D.Lgs. n. 152/1999, che definisce le acque reflue industriali e le distingue dalle acque meteoriche di dilavamento;

- l’art. 39 del D.Lgs. n. 152/1999, che consente alle regioni di sottoporre a particolari prescrizioni in determinati casi le acque meteoriche di dilavamento;

- L.R. Toscana 31 maggio 2006 n. 20, artt. 1, 2 e 13, che introduce il concetto di “acque meteoriche dilavanti contaminate”;

- l’art. 74, comma 1, lettera h) del D.Lgs. n. 152/2006 (c.d. Codice Ambiente), come modificato dall’art. 2 comma 1 del D.Lgs. n. 4/2008 (secondo correttivo al Codice Ambiente), che ripete la definizione dell’art. 2 del 1999, senza più comprendere nella categoria delle acque meteoriche dilavanti “quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento”.

Da queste norme si ricava - secondo la sentenza in esame - che le acque meteoriche di dilavamento non possono essere considerate “acque reflue industriali”. Lo diventano se provengono da edifici o impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione, ma a condizione di esservi state immesse dalla volontà umana. Senza l’immissione per iniziativa umana nel ciclo produttivo, l’acqua meteorica resta una normale pioggia, il cui deflusso non è soggetto ad autorizzazioni. Quindi acque reflue industriali e acque meteoriche di dilavamento restano entità ben distinte.

Per effetto dell’art. 39 cit e della susseguente l.r. Toscana n. 20 nasce invece una terza figura: le “acque dilavanti contaminate”. Ma la relativa disciplina non poteva applicarsi al caso esaminato perché non esisteva ancora – all’epoca del provvedimento impugnato – la legge regionale della Toscana che l’ha fatta nascere.

Ma vediamo più da vicino le due sentenze.

Il TAR Toscana, in base all’art. 2 del del D.Lgs. n. 152/1999, ha ritenuto che si dovesse applicare il regime autorizzativo delle acque reflue industriali perché la pioggia, cadendo su un piazzale utilizzato nell’attività di cava, si mescolava alle polveri residue e alle perdite di idrocarburi degli automezzi, cambiando così natura; da acque meteoriche in acque reflue industriali. Le acque, ancorché meteoriche, dovevano ritenersi “provenienti dall’insediamento produttivo” ex art. 2 citato che definisce le acque reflue industriali: “qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od installazioni in cui si svolgono attivita’ commerciali o di produzione di beni”.

E’ proprio su questo aspetto che il Consiglio di Stato argomenta la sua contrastante decisione. Contesta anzitutto che le acque meteoriche possano ritenersi “provenienti” dall’insediamento produttivo, anche se il piazzale può essere considerato parte dell’insediamento produttivo. La loro origine resta meteorica e la provenienza dall’impianto deve ritenersi “incidentale” . Chiarisce inoltre che la provenienza presa in considerazione dalla legge, deve ritenersi “funzionale” in relazione al ciclo produttivo e non solo “spaziale” in relazione all’ubicazione di un impianto. A conferma cita l’art. 39 del D.Lgs. n. 152/1999. L’art. 39 prende in considerazione la possibilità che anche le acque meteoriche di dilavamento – in quanto vengano a contatto con elementi inquinanti – debbano essere oggetto di particolari prescrizioni ed eventuali autorizzazioni. Ma affida alla potestà legislativa regionale di introdurre una normativa specifica (anche se del caso introducendo l’autorizzazione preventiva). In mancanza della quale normativa il Giudice non può sostituirsi al legislatore e richiedere una autorizzazione non prevista dalle norme.

In sintesi, il T.A.R. Toscana aveva visto un problema (anche le acque meteoriche dilavanti possono contaminarsi), ma non aveva ancora gli strumenti per considerare illegittimo il comportamento dell’impresa, in quanto solo successivamente alla data del provvedimento impugnato è entrata in vigore la legge regionale n. 20/2006 che ha introdotto, come abbiamo visto, il concetto di “acque dilavanti contaminate”. Il Consiglio di Stato ha riformato la sentenza del Tribunale amministrativo della Toscana avendo constatato che la disciplina vigente all’epoca dei fatti (anno 2005) non consentiva di considerare quelle acque meteoriche né “reflui industriali” né “acque meteoriche dilavanti contaminate”.