x

x

Claude Monet: catturare la luce, esaltandola nel colore

Claude Monet, filare di Pioppi
Claude Monet, filare di Pioppi

Il percorso di un pittore (in mostra a Milano “Palazzo Reale” dal 18-09-2021 al 30-01-2022) che non conobbe altro impegno fuori dalla pittura, altro svago eccetto il lavoro, dimostrando una resistenza e un impeto eccezionali.

 

Claude Monet, 1899, ritratto da Nadar

Aveva iniziato a dipingere e a far parlare di sé trattando il paesaggio con gli stessi intenti dei suoi colleghi impressionisti, ma era pervaso da una bramosia del tutto particolare.

Impressione al levar del sole, Claude Monet
Impressione al levar del sole, Claude Monet

Se un certo gusto scientista, e in particolare l’interesse per la scomposizione del raggio luminoso che rivelava i colori primari sul ventaglio dello spettro, aveva interessato il gruppo impressionista, in Monet la possibilità offerta dai colori complementari aveva subito un impatto decisivo e avvolgente conquistandolo a quel tipo di ricerca che non lo abbandonerà più. E se alla gamma dei colori puri alternerà i toni pastello lo farà comunque con lo stesso intento di far vibrare gli accostamenti, far gridare gli opposti, accendere al massimo ogni possibilità luminosa.

Era nato per dipingere e affrontò la pittura con l’impeto di chi sente il dovere imperioso di saldare un debito, una foga febbrile l’accompagnò per l’intera vita nel desiderio di catturare la luce, esaltandola nel colore, con il risultato di valorizzare i valori plastici per quelli puramente cromatici, di umiliare la forma concedendo appena quanto poteva bastare all’identificazione.

Del paesaggio non gli bastò annullare le lontananze create dalla prospettiva aerea, volle affidare anche all’aria uno spessore e un peso in modo che ogni parte del quadro avesse la stessa consistenza e partecipasse al tutto a pari condizione. Per arrivare a questo sottopose il soggetto prescelto alle lenti del microscopio e al prisma di cristallo: ingigantita la tessitura poteva mostrarne la struttura come se invece dei pennelli avesse usato grossi ferri da maglia per intrecciare lane multicolori.

Immerso costantemente nel lavoro, il più impressionista tra gli impressionisti affrontava ogni quadro come un allenamento per il successivo e ogni diverso soggetto era una prova nuova per allargare le possibilità del proprio metodo. Avrebbe voluto iniziare e finire un quadro in una sola e breve posa poiché dell’immagine reale non accettava il divenire, avrebbe voluto rendere l’impressione di un momento a una data ora bloccando il variare dei toni e delle ombre.

La passeggiata
La passeggiata

Pur essendo diversamente interessati al fenomeno della luce, i macchiaioli toscani potevano offrire una soluzione a Monet con le loro tavolette, più piccole di una cartolina, di veloce attuazione e quindi maggiormente in grado di fissare un’istantanea; le tele del pittore francese avevano invece dimensioni impegnative e quindi gli era necessario lavorare in più riprese. Per ridursi a lavorare solo poche ore al giorno pensò di operare in serie.

Lungo la Senna, per i campi, o addirittura in città come Parigi e Venezia predisponeva più tele e con estrema disinvoltura le affrontava una dopo l’altra, mutando punto d’osservazione con il variare della luce e consumando così, su lavori diversi, l’intera giornata. Il momento di grazia, l’ispirazione, la tensione creativa venivano richiamati tela dopo tela irridendo leggi e leggende, imperativi e tradizione: torello instancabile predisposto per una monta inesauribile.

Rocks at Belle-Île, Port-Domois
Rocks at Belle-Île, Port-Domois

Tutto questo Monet poteva, doveva farlo sul vero, “en plein air”; non barava affermando che il proprio atelier era all’aperto, che poi riprendesse o concludesse i dipinti sotto un tetto non cambiava il dato di fatto. Lavorava come un contadino al quale non si domanda dove riordini i raccolti, cresciuti all’aria, alla luce, al sole. Sul battello personale che lo portava lungo la Senna, o tra i fiori e l’acqua di Giverny, si muoveva soddisfacendo proprio il bisogno di sentirsi “en plein air”, un sentimento che restava tale non solo se concludeva il lavoro in una stanza ma anche se ve lo avesse soltanto iniziato e finito.

Trovare sempre nuovi paesaggi da ritrarre, oltre a rappresentare la possibilità di nuovi stimoli, aiutava la sua ricerca che non era quella organizzata e problematica di Cézanne il quale, oltretutto, sollevato dal pensiero della luce fuggente, del mercato e dei mercanti, poteva estraniarsi da tutto e restare il tempo necessario a tu per tu con il suo soggetto.

Quella di Monet era invece l’irruzione di una vera e propria frenesia pittorica che lo portava a intrecciare pennellate come giunchi di colore che disegnano, costruiscono, colorano e confondono. La realtà era per lui un lumeggiare di colori diversi che traduceva con pennellate guizzanti; separare un particolare dei suoi dipinti significa evocare Hartung o Pollock, avvertire l’informale.

Il sogno nichilista, ricorrente nel dormiveglia dei pittori moderni di un certo periodo, quello di sentirsi soggetto e oggetto, autore e opera in una pittura allo stato puro, elementare, prende l’avvio anche dalla ricerca di Monet. In lui una stessa materia si presta a rappresentazioni diverse. Il cielo, l’acqua, il terreno, le fronde e le stesse figure umane nel paesaggio non sono che un residuo, un pallido ricordo della realtà fluttuante in atmosfere liquide.

Articolo pubblicato su “Libero”, MI, nel 2001