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Art. 652 - Efficacia della sentenza penale di assoluzione nel giudizio civile o amministrativo di danno

1. La sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso dal danneggiato o nell’interesse dello stesso, sempre che il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile, salvo che il danneggiato dal reato abbia esercitato l’azione in sede civile a norma dell’articolo 75, comma 2.

2. La stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di assoluzione pronunciata a norma dell’articolo 442, se la parte civile ha accettato il rito abbreviato.

Rassegna giurisprudenziale

Efficacia della sentenza penale di assoluzione nel giudizio civile o amministrativo di danno (art. 652)

La disposizione di cui all’art. 652, come quelle degli arti. 651, 653 e 654, costituisce un’eccezione al principio dell’autonomia e della separazione dei giudizi penale e civile e non è, pertanto, applicabile in via analogica oltre i casi espressamente previsti nelle predette disposizioni.

Ne consegue che soltanto la sentenza penale irrevocabile di assoluzione per essere rimasto accertato che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni ed il risarcimento del danno; diversamente le sentenze di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione o per amnistia non hanno alcuna efficacia extrapenale, a nulla rilevando che il giudice penale, per pronunciare la sentenza di proscioglimento, abbia dovuto accertare i fatti e valutarli giuridicamente ed il giudice civile, pur tenendo conto degli elementi di prova acquisiti in sede penale, deve interamente ed autonomamente rivalutare il fatto in contestazione (SU civili, 1768/2011).

Sussiste l’interesse ex art. 568 dell’imputato ad impugnare una sentenza che non lo assolve con la formula più favorevole, in quanto dalla modifica del provvedimento impugnato  da intendere nella sua lata accezione, comprensiva anche della motivazione  può derivare l’eliminazione di qualsiasi effetto pregiudizievole per la parte che ne invoca il riesame: ciò rileva non solo quando l’imputato, attraverso l’impugnazione, si riprometta di conseguire effetti penali più vantaggiosi (quali, ad esempio, l’assoluzione o la mitigazione del trattamento sanzionatorio), ma anche quando miri ad assicurare conseguenze extrapenali più favorevoli, come quelle che l’ordinamento rispettivamente fa derivare dall’efficacia del giudicato delle sentenze di condanna o di assoluzione nel giudizio di danno (artt. 651 e 652), dal giudicato di assoluzione nel giudizio disciplinare (art. 653) e dal giudicato delle sentenze di condanna e di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi (art. 654).

Infatti, stante il principio di unitarietà dell’ordinamento giuridico, se una sentenza penale produce effetti giuridicamente rilevanti in altri campi dell’ordinamento, con pregiudizio delle situazioni giuridiche soggettive facenti capo all’imputato, questi ha interesse ad impugnare la sentenza penale qualora dalla revisione di essa possa derivare in suo favore, in modo diretto e concreto, l’eliminazione di qualsiasi effetto giuridico extrapenale per lui pregiudizievole. In definitiva, l’imputato può conseguire, dalla sentenza assolutoria con formula più favorevole, conseguenze più vantaggiose in altri settori dell’ordinamento ed in ciò va ravvisato il suo interesse ad impugnare (Sez. 4, 4621/2018).

L’autonomia della giurisdizione civile rispetto alla giurisdizione penale, al di fuori delle ipotesi disciplinate dagli articoli 651, 652 e 654, non giustifica un’assoluta omissione di vaglio da parte del giudice civile di merito delle argomentazioni difensive che una parte prospetti deducendole da prove effettuate in sede penale o dalla motivazione di sentenze penali attinenti  pur senza valore di giudicato  alla stessa vicenda posta come oggetto di cognizione del giudice civile (Sez. 3, 37419/2017).

L’art. 652, che sostanzialmente riproduce l’art. 25 codice abrogato, stabilisce che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno esclusivamente in ordine all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima.

Ne deriva che, allorquando l’assoluzione verta sull’elemento soggettivo, ben può il danneggiato avvalersi, sempre che ovviamente ne ricorrano i presupposti, della presunzione di cui all’art. 2054 Cod. civ., che pone a carico dei conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro l’onere di provare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno (Sez. 3, 24589/2017).

Non è consentita l’impugnazione di una sentenza di assoluzione “per non aver commesso il fatto”, pronunciata ai sensi dell’art. 530, comma 2, atteso che tale formulazione – relativa alla mancanza, alla insufficienza o alla contraddittorietà della prova – non comporta una minore pregnanza della pronuncia assolutoria né segnala residue perplessità sulla innocenza dell’imputato, né spiega minore valenza con riferimento ai giudizi civili, come comprovato dal tenore letterale degli art. 652 e 654; pertanto, essa non può in alcun modo essere equiparata all’assoluzione per insufficienza di prove prevista dal previgente codice di rito (Sez. 3, 51445/2016).

Occorre verificare l’interesse concreto a far valere la nullità di una sentenza di assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. In via astratta, l’interesse a far valere la nullità si riconnette all’interesse per il ricorrente ad ottenere una decisione diversa e più favorevole e ciò in ragione dei particolari effetti extraprocessuali derivanti dalle pronunce ex art. 652 – 654. L’interesse ad impugnare, che deve essere concreto e tendere a un risultato pratico in rapporto alle situazioni e alle facoltà tutelate dall’ordinamento, ricorre tutte le volte in cui dalla modifica del provvedimento impugnato possa derivare l’eliminazione di qualsiasi effetto pregiudizievole per la parte che ne invoca il riesame.

E ciò rileva non solo quando l’imputato, attraverso l’impugnazione, si riprometta di conseguire effetti penali più vantaggiosi, ma anche quando miri ad assicurare conseguenze extrapenali più favorevoli, come quelle che l’ordinamento rispettivamente fa derivare dall’efficacia del giudicato delle sentenze di condanna o di assoluzione nel giudizio civile di danno (artt. 651 e 652), dal giudicato di assoluzione nel giudizio disciplinare (art. 653), e dal giudicato delle sentenze di condanna e di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi (art. 654).

Stante il principio di unitarietà dell’ordinamento giuridico, se una sentenza penale produce effetti giuridicamente rilevanti in altri campi dell’ordinamento, con pregiudizio delle situazioni giuridiche soggettive facenti capo all’imputato, questi ha interesse ad impugnare la sentenza penale qualora dalla revisione di essa possa derivare in suo favore, in modo diretto e concreto, l’eliminazione di qualsiasi effetto giuridico extrapenale per lui pregiudizievole.

Peraltro, l’interesse concreto ad impugnare deve essere allegato dalla parte che nell’esporre le ragioni del ricorso e del risultato che intende ottenere deve anche fornire gli elementi che, con riguardo al caso concreto, assumono rilievo per ritenere concreto l’interesse ad una pronuncia diversa, pena la genericità dell’interesse dell’imputato ad impugnare la sentenza di assoluzione, al fine di ottenere la più ampia formula liberatoria, deve essere riconosciuto qualora egli deduca che l’accertamento del fatto materiale, oggetto del processo penale, possa pregiudicare le situazioni giuridiche soggettive a lui facenti capo in giudizi civili e amministrativi, anche distinti rispetto a quelli di danno ovvero disciplinari e indichi le ragioni per contrastare tale accertamento del fatto materiale da cui possono derivare effetti pregiudizievoli nei distinti procedimenti civili e amministrativi ai norma dell’art. 654.

Deve pertanto affermarsi il principio secondo cui l’annullamento della sentenza di assoluzione è precluso dalla mera deduzione dell’interesse ad una diversa pronuncia di assoluzione tale da escludere che la rinnovazione del giudizio di secondo grado possa contribuire ad esiti diversi da quelli già raggiunti con la pronuncia de plano di assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato per effetto della sua trasformazione in illeciti amministrativo (Sez. 3, 8855/2017).

La parte civile ha interesse ad impugnare la sentenza di assoluzione “perché il fatto non costituisce reato”, che non abbia effetto preclusivo, al fine di ottenere l’affermazione di responsabilità per il fatto illecito perché chi intraprende il giudizio civile dopo avere già ottenuto in sede penale il riconoscimento della responsabilità per fatto illecito della sua controparte si giova di tale accertamento e si trova in una posizione migliore di chi deve cominciare dall’inizio (Sez. 2, 41784/2018).

Con la costituzione di parte civile la persona offesa manifesta la sua volontà di collegare l’azione risarcitoria all’accertamento del fatto effettuato in sede penale, ed assorbe lo statuto processuale previsto dal codice di procedura penale che, all’art. 576 prevede un generale diritto di impugnazione della parte civile svincolato dall’esercizio dell’omologo potere del PM.

Tale diritto non patisce alcuna limitazione in relazione alla formula di assoluzione, dato che la scelta di esercitare i propri diritti in sede penale implica che la parte abbia diritto di percorrere l’intero percorso processuale, nulla rilevando le limitazioni all’efficacia del giudicato previste dall’art. 652, che non incidono sulla estensione del diritto alla impugnazione, ma operano sul piano dell’efficacia del giudicato penale nel processo civile, chiarendo che la formula assolutoria fondata sulla rilevata carenza dell’elemento soggettivo non limita l’accertamento della responsabilità aquiliana, che è integrata anche se si rileva un atteggiamento soggettivo di mera colpa.

Diversamente opinando si costringerebbe la parte civile, che intende impugnare la sentenza assolutoria perché il fatto non costituisce reato, a rinunciare agli esiti dell’accertamento compiuto nel processo penale ed a riavviare ab initio l’accertamento in sede civile: il che contravviene espressamente alle esigenze di contenimento dei tempi dell’accertamento giurisdizionale. La indipendenza della responsabilità aquiliana dall’accertamento del dolo non può, gli. indi, in assenza di una espressa limitazione del potere di impugnazione essere interpretata come ostativa all’esercizio dei poteri di impugnazione riconosciuti alla parte civile nel processo penale (Sez. 2, 36930/2018).

Sussiste l’interesse dell’imputato all’impugnazione della sentenza di assoluzione, al fine di ottenere la più ampia formula liberatoria “perché il fatto non sussiste”, considerato che, a parte le conseguenze di natura morale, l’interesse giuridico risiede nei diversi e più favorevoli effetti che gli art. 652 e 653 connettono al secondo tipo di dispositivo nei giudizi civili o amministrativi di risarcimento del danno e nel giudizio disciplinare (Sez. 6, 16843/2018).

La previsione di cui all’art. 652 – per la quale la sentenza di assoluzione ha efficacia di giudicato nell’ambito del giudizio civile di danni relativamente all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una legittima facoltà  non è applicabile nel caso in cui la sentenza di assoluzione sia pronunciata per il riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 599, la quale, escludendo la punibilità dei reati di ingiuria e diffamazione, non ne esclude la natura di illecito civile e l’esistenza dell’obbligazione risarcitoria, ove ne sia derivato un danno, che può essere fatta valere innanzi al giudice civile” sicché l’imputato ricorrente non ha interesse a dolersi del mutamento della formula assolutoria, posto che nessuno dei due esiti ha effetti preclusivi dell’azione civile e quindi non vi è stata alcuna apprezzabile lesione della sua posizione giuridica (Sez. 5, 11090/2015).

Ai sensi dell’art. 652, l’efficacia di giudicato, in procedimento civile o amministrativo promosso per il risarcimento del danno, viene attribuita soltanto alla sentenza penale, irrevocabile, di assoluzione, pronunciata all’esito di dibattimento, mentre a fronte di quella avente la natura di sentenza pre-dibattimentale, come quella di specie, la parte civile conserva il potere di agire, nel processo civile o amministrativo, non operando le preclusioni derivanti dal giudicato penale. Alcun interesse ad impugnare, dunque, può essere riconosciuto, nella specie, alla parte civile nei confronti della quale, stante la natura giuridica da attribuirsi alla decisione impugnata, resta intatto il potere di procedere, in sede civile, con la richiesta risarcitoria (Sez. 5, 44917/2018).