x

x

Art. 653 - Efficacia della sentenza penale nel giudizio disciplinare

1. La sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l’imputato non lo ha commesso.

1-bis. La sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso.

Rassegna giurisprudenziale

Efficacia della sentenza penale nel giudizio disciplinare (art. 653)

La disposizione di cui all’art. 652, come quelle degli arti. 651, 653 e 654, costituisce un’eccezione al principio dell’autonomia e della separazione dei giudizi penale e civile e non è, pertanto, applicabile in via analogica oltre i casi espressamente previsti nelle predette disposizioni.

Ne consegue che soltanto la sentenza penale irrevocabile di assoluzione per essere rimasto accertato che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni ed il risarcimento del danno; diversamente le sentenze di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione o per amnistia non hanno alcuna efficacia extrapenale, a nulla rilevando che il giudice penale, per pronunciare la sentenza di proscioglimento, abbia dovuto accertare i fatti e valutarli giuridicamente ed il giudice civile, pur tenendo conto degli elementi di prova acquisiti in sede penale, deve interamente ed autonomamente rivalutare il fatto in contestazione (SU civili, 1768/2011).

Sussiste l’interesse ex art. 568 dell’imputato ad impugnare una sentenza che non lo assolve con la formula più favorevole, in quanto dalla modifica del provvedimento impugnato  da intendere nella sua lata accezione, comprensiva anche della motivazione può derivare l’eliminazione di qualsiasi effetto pregiudizievole per la parte che ne invoca il riesame: ciò rileva non solo quando l’imputato, attraverso l’impugnazione, si riprometta di conseguire effetti penali più vantaggiosi (quali, ad esempio, l’assoluzione o la mitigazione del trattamento sanzionatorio), ma anche quando miri ad assicurare conseguenze extrapenali più favorevoli, come quelle che l’ordinamento rispettivamente fa derivare dall’efficacia del giudicato delle sentenze di condanna o di assoluzione nel giudizio di danno (artt. 651 e 652), dal giudicato di assoluzione nel giudizio disciplinare (art. 653) e dal giudicato delle sentenze di condanna e di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi (art. 654).

Infatti, stante il principio di unitarietà dell’ordinamento giuridico, se una sentenza penale produce effetti giuridicamente rilevanti in altri campi dell’ordinamento, con pregiudizio delle situazioni giuridiche soggettive facenti capo all’imputato, questi ha interesse ad impugnare la sentenza penale qualora dalla revisione di essa possa derivare in suo favore, in modo diretto e concreto, l’eliminazione di qualsiasi effetto giuridico extrapenale per lui pregiudizievole. In definitiva, l’imputato può conseguire, dalla sentenza assolutoria con formula più favorevole, conseguenze più vantaggiose in altri settori dell’ordinamento ed in ciò va ravvisato il suo interesse ad impugnare (Sez. 4, 4621/2018).

Sussiste l’interesse dell’imputato all’impugnazione della sentenza di assoluzione, al fine di ottenere la più ampia formula liberatoria “perché il fatto non sussiste”, considerato che, a parte le conseguenze di natura morale, l’interesse giuridico risiede nei diversi e più favorevoli effetti che gli art. 652 e 653 connettono al secondo tipo di dispositivo nei giudizi civili o amministrativi di risarcimento del danno e nel giudizio disciplinare (Sez. 6, 16843/2018).

Occorre verificare l’interesse concreto a far valere la nullità di una sentenza di assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. In via astratta, l’interesse a far valere la nullità si riconnette all’interesse per il ricorrente ad ottenere una decisione diversa e più favorevole e ciò in ragione dei particolari effetti extraprocessuali derivanti dalle pronunce ex art. 652 – 654.

L’interesse ad impugnare, che deve essere concreto e tendere a un risultato pratico in rapporto alle situazioni e alle facoltà tutelate dall’ordinamento, ricorre tutte le volte in cui dalla modifica del provvedimento impugnato possa derivare l’eliminazione di qualsiasi effetto pregiudizievole per la parte che ne invoca il riesame.

E ciò rileva non solo quando l’imputato, attraverso l’impugnazione, si riprometta di conseguire effetti penali più vantaggiosi, ma anche quando miri ad assicurare conseguenze extrapenali più favorevoli, come quelle che l’ordinamento rispettivamente fa derivare dall’efficacia del giudicato delle sentenze di condanna o di assoluzione nel giudizio civile di danno (artt. 651 e 652), dal giudicato di assoluzione nel giudizio disciplinare (art. 653), e dal giudicato delle sentenze di condanna e di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi (art. 654).

Stante il principio di unitarietà dell’ordinamento giuridico, se una sentenza penale produce effetti giuridicamente rilevanti in altri campi dell’ordinamento, con pregiudizio delle situazioni giuridiche soggettive facenti capo all’imputato, questi ha interesse ad impugnare la sentenza penale qualora dalla revisione di essa possa derivare in suo favore, in modo diretto e concreto, l’eliminazione di qualsiasi effetto giuridico extrapenale per lui pregiudizievole.

Peraltro, l’interesse concreto ad impugnare deve essere allegato dalla parte che nell’esporre le ragioni del ricorso e del risultato che intende ottenere deve anche fornire gli elementi che, con riguardo al caso concreto, assumono rilievo per ritenere concreto l’interesse ad una pronuncia diversa, pena la genericità dell’interesse dell’imputato ad impugnare la sentenza di assoluzione, al fine di ottenere la più ampia formula liberatoria, deve essere riconosciuto qualora egli deduca che l’accertamento del fatto materiale, oggetto del processo penale, possa pregiudicare le situazioni giuridiche soggettive a lui facenti capo in giudizi civili e amministrativi, anche distinti rispetto a quelli di danno ovvero disciplinari e indichi le ragioni per contrastare tale accertamento del fatto materiale da cui possono derivare effetti pregiudizievoli nei distinti procedimenti civili e amministrativi ai norma dell’art. 654.

Deve pertanto affermarsi il principio secondo cui l’annullamento della sentenza di assoluzione è precluso dalla mera deduzione dell’interesse ad una diversa pronuncia di assoluzione tale da escludere che la rinnovazione del giudizio di secondo grado possa contribuire ad esiti diversi da quelli già raggiunti con la pronuncia de plano di assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato per effetto della sua trasformazione in illeciti amministrativo (Sez. 3, 8855/2017).

L’affermazione iniziale secondo cui la sentenza ex art. 444 non implica un vero e proprio accertamento penale va rivista alla luce sia della possibilità di essere assoggettata a revisione – e, in particolare, a quella di cui alla lett. a) dell’art. 630, che presuppone un accertamento di responsabilità – sia della sua vincolatività nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso (su tale vincolatività e sui suoi limiti, si veda SU civili, 18701/2013).

In entrambi i casi necessariamente ricorre un accertamento di responsabilità (Sez. 2, 29448/2013, richiamata da Sez. 2, 44190/2018).