Art. 654 - Efficacia della sentenza penale di condanna o di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi
1. Nei confronti dell’imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale, la sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo, quando in questo si controverte intorno a un diritto o a un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall’accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale, purché i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e purché la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa.
Rassegna giurisprudenziale
Efficacia della sentenza penale di condanna o di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi (art. 654)
La disposizione di cui all’art. 652, come quelle degli arti. 651, 653 e 654, costituisce un’eccezione al principio dell’autonomia e della separazione dei giudizi penale e civile e non è, pertanto, applicabile in via analogica oltre i casi espressamente previsti nelle predette disposizioni.
Ne consegue che soltanto la sentenza penale irrevocabile di assoluzione per essere rimasto accertato che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni ed il risarcimento del danno; diversamente le sentenze di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione o per amnistia non hanno alcuna efficacia extrapenale, a nulla rilevando che il giudice penale, per pronunciare la sentenza di proscioglimento, abbia dovuto accertare i fatti e valutarli giuridicamente ed il giudice civile, pur tenendo conto degli elementi di prova acquisiti in sede penale, deve interamente ed autonomamente rivalutare il fatto in contestazione (SU civili, 1768/2011).
La giurisprudenza nella individuazione dei caratteri qualificanti l’interesse a proporre impugnazione ai sensi dell’art. 568, comma 4, ad opera della parte civile ha avuto modo di precisare che detto interesse deve essere apprezzabile non solo in termini di attualità ma anche di concretezza; esso deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione del contesto pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa rispetto a quella determinatasi con la pronuncia giudiziale.
D’altro canto, la concretezza dell’interesse è ravvisabile non solo quando l’impugnante, attraverso l’impugnazione, si riprometta di conseguire effetti processuali diretti vantaggiosi, ma anche quando miri ad evitare conseguenze extrapenali pregiudizievoli ovvero ad assicurarsi effetti extrapenali più favorevoli, come quelli che l’ordinamento fa derivare dal giudicato delle sentenze di condanna o di assoluzione dell’imputato nei giudizi di danno (artt. 651, 652) o in altri giudizi civili o amministrativi (art. 654).
In altre parole, si palesano rilevanti, nei riguardi della parte civile ai fini dell’interesse ad agire, tutte le conseguenze configurabili, anche extrapenali, che possono comunque influire in modo a lei favorevole, nel giudizio di accertamento della responsabilità civile del prevenuto. In conclusione, l’impugnazione, per essere ammissibile, deve tendere all’eliminazione della lesione concreta di un diritto o di un interesse giuridico del proponente l’impugnazione (SU, 42/1996; SU, 40049/2008, citate in Sez. 2, 19738/2018).
La parte civile è priva di interesse a proporre impugnazione avverso la sentenza di proscioglimento dell’imputato per improcedibilità dell’azione penale dovuta a difetto di querela, trattandosi di pronuncia penale meramente processuale priva di idoneità ad arrecare vantaggio al proponente ai fini dell’azione civilistica (SU, 35599/2012).
L’imputato assolto con la formula ampiamente liberatoria “per non aver commesso il fatto”, anche se per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova ai sensi dell’art. 530, comma 2, non è legittimato a proporre appello, neanche incidentale, avverso la relativa sentenza, per carenza di un apprezzabile interesse all’impugnazione, salvo che nell’eccezionale ipotesi in cui l’accertamento di un fatto materiale oggetto del giudizio penale conclusosi con sentenza dibattimentale sia suscettibile, una volta divenuta irrevocabile quest’ultima, di pregiudicare, a norma e nei limiti segnati dall’art. 654, le situazioni giuridiche a lui facenti capo, in giudizi civili o amministrativi diversi da quelli di danno e disciplinari regolati dagli artt. 652 e 653 (Sez. 3, 41709/2018).
L’art. 654, nel prevedere l’efficacia della sentenza penale irrevocabile di condanna o assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi quando in essi si controverta intorno ad un diritto o ad un interesse legittimo il cui riconoscimento dipenda dall’accertamento degli stessi fatti materiali oggetto del giudizio penale, purché i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e purché la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa, sostanzialmente riconosce un interesse della parte anche all’accertamento dei fatti (Sez. 3, 41709/2018).
È sufficiente leggere gli artt. 651, 652, 653 e 654. per verificare che alcuna efficacia, in positivo o in negativo, può esplicare la sentenza che dichiara l’estinzione del reato per prescrizione in giudizi extra penali o extra giudiziari, tanto più ove si consideri che nel caso in cui venga pronunciata sentenza di tal genere, a norma dell’art. 531, al giudice non è consentito inserire nel dispositivo alcuna indicazione assertiva della responsabilità penale dell’imputato, essendovi incompatibilità logica fra l’affermazione di responsabilità e la statuizione di non doversi procedere (Sez. 7, 36228/2018).
Sussiste l’interesse ex art. 568 dell’imputato ad impugnare una sentenza che non lo assolve con la formula più favorevole, in quanto dalla modifica del provvedimento impugnato – da intendere nella sua lata accezione, comprensiva anche della motivazione – può derivare l’eliminazione di qualsiasi effetto pregiudizievole per la parte che ne invoca il riesame: ciò rileva non solo quando l’imputato, attraverso l’impugnazione, si riprometta di conseguire effetti penali più vantaggiosi (quali, ad esempio, l’assoluzione o la mitigazione del trattamento sanzionatorio), ma anche quando miri ad assicurare conseguenze extrapenali più favorevoli, come quelle che l’ordinamento rispettivamente fa derivare dall’efficacia del giudicato delle sentenze di condanna o di assoluzione nel giudizio di danno (artt. 651 e 652), dal giudicato di assoluzione nel giudizio disciplinare (art. 653) e dal giudicato delle sentenze di condanna e di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi (art. 654).
Infatti, stante il principio di unitarietà dell’ordinamento giuridico, se una sentenza penale produce effetti giuridicamente rilevanti in altri campi dell’ordinamento, con pregiudizio delle situazioni giuridiche soggettive facenti capo all’imputato, questi ha interesse ad impugnare la sentenza penale qualora dalla revisione di essa possa derivare in suo favore, in modo diretto e concreto, l’eliminazione di qualsiasi effetto giuridico extrapenale per lui pregiudizievole. In definitiva, l’imputato può conseguire, dalla sentenza assolutoria con formula più favorevole, conseguenze più vantaggiose in altri settori dell’ordinamento ed in ciò va ravvisato il suo interesse ad impugnare (Sez. 4, 4621/2018).
L’interesse richiesto dall’art. 568, comma 4, quale condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione, deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella esistente (SU, 42/2006 e, più di recente, SU 6624/2012).
L’autonomia della giurisdizione civile rispetto alla giurisdizione penale, al di fuori delle ipotesi disciplinate dagli articoli 651, 652 e 654, non giustifica un’assoluta omissione di vaglio da parte del giudice civile di merito delle argomentazioni difensive che una parte prospetti deducendole da prove effettuate in sede penale o dalla motivazione di sentenze penali attinenti - pur senza valore di giudicato - alla stessa vicenda posta come oggetto di cognizione del giudice civile (Sez. 3, 37419/2017).
Non è consentita l’impugnazione di una sentenza di assoluzione “per non aver commesso il fatto”, pronunciata ai sensi dell’art. 530, comma 2, atteso che tale formulazione - relativa alla mancanza, alla insufficienza o alla contraddittorietà della prova - non comporta una minore pregnanza della pronuncia assolutoria né segnala residue perplessità sulla innocenza dell’imputato, né spiega minore valenza con riferimento ai giudizi civili, come comprovato dal tenore letterale degli art. 652 e 654; pertanto, essa non può in alcun modo essere equiparata all’assoluzione per insufficienza di prove prevista dal previgente codice di rito (Sez. 3, 51445/2016).
Occorre verificare l’interesse concreto a far valere la nullità di una sentenza di assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. In via astratta, l’interesse a far valere la nullità si riconnette all’interesse per il ricorrente ad ottenere una decisione diversa e più favorevole e ciò in ragione dei particolari effetti extraprocessuali derivanti dalle pronunce ex art. 652 – 654.
L’interesse ad impugnare, che deve essere concreto e tendere a un risultato pratico in rapporto alle situazioni e alle facoltà tutelate dall’ordinamento, ricorre tutte le volte in cui dalla modifica del provvedimento impugnato possa derivare l’eliminazione di qualsiasi effetto pregiudizievole per la parte che ne invoca il riesame.
E ciò rileva non solo quando l’imputato, attraverso l’impugnazione, si riprometta di conseguire effetti penali più vantaggiosi, ma anche quando miri ad assicurare conseguenze extrapenali più favorevoli, come quelle che l’ordinamento rispettivamente fa derivare dall’efficacia del giudicato delle sentenze di condanna o di assoluzione nel giudizio civile di danno (artt. 651 e 652), dal giudicato di assoluzione nel giudizio disciplinare (art. 653), e dal giudicato delle sentenze di condanna e di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi (art. 654).
Stante il principio di unitarietà dell’ordinamento giuridico, se una sentenza penale produce effetti giuridicamente rilevanti in altri campi dell’ordinamento, con pregiudizio delle situazioni giuridiche soggettive facenti capo all’imputato, questi ha interesse ad impugnare la sentenza penale qualora dalla revisione di essa possa derivare in suo favore, in modo diretto e concreto, l’eliminazione di qualsiasi effetto giuridico extrapenale per lui pregiudizievole.
Peraltro, l’interesse concreto ad impugnare deve essere allegato dalla parte che nell’esporre le ragioni del ricorso e del risultato che intende ottenere deve anche fornire gli elementi che, con riguardo al caso concreto, assumono rilievo per ritenere concreto l’interesse ad una pronuncia diversa, pena la genericità dell’interesse dell’imputato ad impugnare la sentenza di assoluzione, al fine di ottenere la più ampia formula liberatoria, deve essere riconosciuto qualora egli deduca che l’accertamento del fatto materiale, oggetto del processo penale, possa pregiudicare le situazioni giuridiche soggettive a lui facenti capo in giudizi civili e amministrativi, anche distinti rispetto a quelli di danno ovvero disciplinari e indichi le ragioni per contrastare tale accertamento del fatto materiale da cui possono derivare effetti pregiudizievoli nei distinti procedimenti civili e amministrativi ai norma dell’art. 654.
Deve pertanto affermarsi il principio secondo cui l’annullamento della sentenza di assoluzione è precluso dalla mera deduzione dell’interesse ad una diversa pronuncia di assoluzione tale da escludere che la rinnovazione del giudizio di secondo grado possa contribuire ad esiti diversi da quelli già raggiunti con la pronuncia de plano di assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato per effetto della sua trasformazione in illeciti amministrativo (Sez. 3, 8855/2017).