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Art. 648 - Irrevocabilità delle sentenze e dei decreti penali

1. Sono irrevocabili le sentenze pronunciate in giudizio contro le quali non è ammessa impugnazione diversa dalla revisione.

2. Se l’impugnazione è ammessa, la sentenza è irrevocabile quando è inutilmente decorso il termine per proporla o quello per impugnare l’ordinanza che la dichiara inammissibile. Se vi è stato ricorso per cassazione, la sentenza è irrevocabile dal giorno in cui è pronunciata l’ordinanza o la sentenza che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso.

3. Il decreto penale di condanna è irrevocabile quando è inutilmente decorso il termine per proporre opposizione o quello per impugnare l’ordinanza che la dichiara inammissibile.

Rassegna giurisprudenziale

Irrevocabilità delle sentenze e dei decreti penali (art. 648)

Una parte della dottrina considera l’art. 648 come l’unica disposizione che esplicitamente evoca il rapporto tra inammissibilità dell’impugnazione e irrevocabilità della sentenza.

Tale norma, dopo avere premesso che è irrevocabile la sentenza non più soggetta a impugnazione diversa dalla revisione (comma 1), aggiunge che «Se l’impugnazione è ammessa, la sentenza è irrevocabile quando è inutilmente decorso il termine per proporla o quello per impugnare l’ordinanza che la dichiara inammissibile.

Se vi è stato ricorso per cassazione, la sentenza è irrevocabile dal giorno in cui è pronunciata l’ordinanza o la sentenza che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso» (comma 2). Identica disposizione è contenuta nel comma 3 per il decreto penale di condanna.

Da tale dato testuale si è tratta la conclusione, solo apparentemente logica, che la fase di cognizione del processo si protrarrebbe nel lasso di tempo che intercorre tra la proposizione dell’atto d’impugnazione e la declaratoria, in astratto, d’inammissibilità del medesimo, con la conseguenza che il sopraggiungere di una causa di non punibilità obbligherebbe il giudice a dichiararla, in applicazione dell’art. 129, non essendo ancora irrevocabile la sentenza. In realtà, l’art. 648 non disciplina l’impugnazione inammissibile, posto che il riferimento ad essa è soltanto indiretto.

La collocazione topografica della norma nel Libro X dell’esecuzione impone di leggerla come volta esclusivamente a individuare il momento in cui la decisione diventa irrevocabile e, quindi, eseguibile. In particolare, secondo l’art. 648, comparabile all’art. 576 del codice previgente, la scadenza del termine per proporre impugnazione avverso la sentenza impugnabile, anche nel caso in cui il relativo atto sia stato tardivamente presentato, si iscrive quale condizione per la formazione del giudicato formale.

L’utilizzo della particella disgiuntiva “o” che separa questa ipotesi da quella del decorso del termine per impugnare l’ordinanza d’inammissibilità dell’impugnazione indica che l’irrevocabilità della sentenza si realizza automaticamente in coincidenza del verificarsi anche di una sola di esse, con l’ovvia precisazione che il riferimento al provvedimento di cui alla seconda ipotesi non può che riguardare le cause di inammissibilità diverse dalla tardività.

A identico esito deve pervenirsi in relazione alla impugnazione di sentenza inoppugnabile. In questi due casi, il giudicato sostanziale si trasforma in giudicato formale.

Diversamente opinando, si perverrebbe all’irragionevole conclusione che l’atto d’impugnazione, pur se largamente tardivo o non previsto, sarebbe sempre idoneo ad impedire il giudicato formale, con intuibili riverberi devastanti sulla fase esecutiva eventualmente già in atto (SU, 47766/2015; SU, 24246/2004).

È ovvio che, nei casi d’inammissibilità dell’impugnazione diversi da quelli a cui si è fatto riferimento, l’irrevocabilità della sentenza (giudicato formale) consegue alla irrevocabilità del provvedimento dichiarativo dell’inammissibilità, senza che ciò vada ad incidere  come si preciserà in seguito  sugli effetti del giudicato in senso sostanziale, categoria sganciata dalla disposizione di cui all’art. 648.

Conclusivamente, non può ricavarsi dalla norma in esame alcun principio destinato a disciplinare la fase di cognizione e i poteri esercitabili dal giudice in quella sede.

L’accertamento formale della inammissibilità dell’impugnazione interferisce certamente sui poteri cognitivi del giudice procedente, ma ciò è semplicemente funzionale all’avvio della fase esecutiva e a dare accesso allo ius puniendi. È sull’insieme delle norme che regolano il processo che deve, invece, farsi leva, per trarre da esse, seguendo un percorso ermeneutico di ordine sistematico, la disciplina del problematico rapporto tra cause di inammissibilità e cause di non punibilità.

Se la presentazione di un ricorso invalido comporta l’inammissibilità del medesimo, osta quindi ad un valido avvio della corrispondente fase processuale e determina la formazione del “giudicato sostanziale”, deve coerentemente concludersi che il giudice, in quanto non investito del potere di cognizione e decisione sul merito del processo, non può rilevare eventuali cause di non punibilità, ivi compresa la prescrizione del reato intervenuta prima della sentenza conclusiva del grado precedente.

Sicché, l’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevare d’ufficio, ai sensi degli artt. 129 e 609, comma 2, l’estinzione del reato per prescrizione maturata in data anteriore alla pronunzia della sentenza d’appello, ma non eccepita nel grado di merito, né rilevata da quel giudice e neppure dedotta con i motivi di ricorso (SU, 12602/2016).

Nello sviluppo del rapporto processuale la formazione progressiva del giudicato si verifica, non soltanto quando l’annullamento parziale venga pronunciato nel processo cumulativo e riguardi solo alcuni degli imputati o talune delle imputazioni, ma anche quando la pronuncia di annullamento abbia ad oggetto una o più statuizioni relative a un solo imputato o a un solo capo di imputazione, pure in tal caso il potere decisorio del giudice della cognizione venendosi a esaurire in relazione a tutte le statuizioni della sentenza non annullate che non abbiano connessione essenziale con quelle annullate.

Invero, l’art. 624, comma 1, stabilisce che, se l’annullamento non è pronunciato per tutte le disposizioni della sentenza, questa ha autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annullata.

Con il sintagma parte della sentenza si identifica qualsiasi statuizione avente una sua autonomia giuridico-concettuale, al di là dell’ampiezza del relativo contenuto, su aspetti non più suscettibili di riesame da parte del giudice di rinvio per la definitività e l’irrevocabilità della decisione della Corte di cassazione, sia pure limitata dall’oggetto dell’annullamento.

Da tale concetto deriva la configurabilità della formazione progressiva del giudicato in ordine alle parti non annullate della sentenza, concernenti l’esistenza del reato e la responsabilità dell’imputato, che si trovino in rapporto di connessione non essenziale con quelle annullate, con la specificazione che la connessione è invece essenziale quando determina la necessaria interdipendenza logico-giuridica tra le parti annullate e quelle non annullate, nel senso che l’annullamento di una di esse è tale da provocare inevitabilmente il riesame di altra parte della sentenza, seppur non annullata.

Da ciò discende anche il criterio direttivo stabilito dall’art. 624, commi 2 e 3, in ordine all’emissione da parte del giudice di legittimità della declaratoria delle parti di sentenza divenute irrevocabili (pronuncia, come pacificamente si è evinto dalla lettera e dalla ratio della norma, avente natura dichiarativa, non costitutiva).

Di conseguenza, la formazione del giudicato parziale, per essere la decisione di condanna divenuta irrevocabile in relazione all’affermazione di responsabilità per uno o per alcuni dei reati contestati con indicazione della pena che il condannato deve comunque espiare, impone che la condanna sia messa in esecuzione, a nulla rilevando l’annullamento con rinvio per gli altri autonomi capi.

Del pari, va ritenuto che, sempre sulla base del principio di formazione progressiva del giudicato, la sentenza di condanna debba essere immediatamente posta in esecuzione quando essa sia irrevocabile in relazione all’affermazione di responsabilità dell’imputato per alcune delle fattispecie contestate e contenga già l’indicazione della pena da applicare per le stesse, anche se la sentenza rescindente abbia disposto l’annullamento con rinvio per altre ipotesi di reato che il giudice di merito aveva ritenuto unificate alle prime dal vincolo della continuazione.

Dato per acquisito il discrimine fra capi e punti della sentenza, rispetto a cui, nell’incedere del processo attraverso le impugnazioni, la cosa giudicata si forma sul capo e non sul punto, nel senso che la decisione acquista il carattere dell’irrevocabilità soltanto quando sono divenute irretrattabili tutte le questioni necessarie per il proscioglimento o per la condanna dell’imputato rispetto a uno dei reati attribuitigli (sicché, mentre nel caso di processo relativo a un solo reato la sentenza passa in giudicato nella sua interezza, quando si tratti di processo cumulativo o complesso, il giudicato può coprire uno o più capi e il rapporto processuale può proseguire per gli altri, investiti dall’impugnazione, con conseguente emersione del concetto di giudicato parziale, posto che nel suddetto incedere i punti della sentenza non sono suscettibili di acquistare autonomamente autorità di giudicato, potendo essere oggetto unicamente della preclusione correlata all’effetto devolutivo delle impugnazioni e al corrispondente principio della disponibilità del processo nella fase delle impugnazioni, da cui consegue che, se manchi un motivo di impugnazione riguardante una delle questioni la cui soluzione è necessaria per la completa definizione del rapporto processuale concernente un reato, il giudice non può conoscere del relativo punto, salvo che l’ordinamento stabilisca che lo possa fare di ufficio), quando poi si pervenga da parte del giudice di legittimità all’annullamento parziale della sentenza con rinvio, l’art. 624 cit. – che disciplina i soli casi in cui la decisione oggetto del ricorso non sia stata annullata nel suo integrale contenuto dispositivo – focalizza un concetto di decisione le cui statuizioni vanno considerate come ulteriormente scomponibili in parti di sentenza (sul discrimine fra capi e punti della decisione, per i vari effetti che ne derivano, SU, 6903/2017).

Tale concetto è da coordinarsi con le caratteristiche proprie del giudizio di rinvio, poiché – avendo, la sentenza di annullamento con rinvio, limitatamente alla parte annullata, la funzione di determinare la prosecuzione del rapporto processuale nella fase del giudizio rescissoria secondo i precetti di cui agli artt. 627 e 628 – la parte di essa non annullata (o perché non impugnata, o perché il ricorso è stato rigettato oppure dichiarato inammissibile), in quanto sia caratterizzata da assoluta autonomia, è in grado di pervenire, pur se il processo sia ancora pendente in sede di rinvio, alla formazione del giudicato su quelle statuizioni che non sono più sub iudice.

Anche quando venga “rilievo il giudicato progressivo nell’ambito del medesimo capo della sentenza e, dunque, si tratti di definire quali parti interne alla contestazione e alla decisione siano coperte, pendente il giudizio rescissorio, dalla irrevocabilità, con relative preclusioni processuali e di merito, la questione va impostata e risolta sempre sulla base del criterio fissato dall’art. 624, sicché il giudicato atterrà alle parti della decisione che non siano in connessione essenziale con quella annullata.

In tal caso, però, è da considerarsi altresì la non irrilevante distinzione (SU, 4460/1994) tra i concetti giuridici di giudicato, comportante la irrevocabilità delle relative statuizioni, e di eseguibilità del titolo decisorio, essendo chiaro che nel sistema della vigente procedura penale non è dato annoverare istituti che comportino l’immediata esecutività delle sentenze e, in generale, dei provvedimenti di condanna prima della formazione del corrispondente giudicato formale, tenuto anche conto del principio generale scolpito dall’art. 27 Cost. sicché, l’esecuzione - scaturente dall’annullamento parziale, con rinvio - della sentenza di condanna per la parte di decisione attinta dalla irrevocabilità è determinata (non da meccanismi inerenti a titolo provvisoriamente esecutivo, bensì) esclusivamente dal giudicato che risulti essersi formato sulle parti di sentenza che, ex art. 624 cit., risultino riferite non solo alla statuizione di responsabilità, ma anche alla pena minima da portare ad esecuzione.

Su questo argomento deve, in particolare, richiamarsi e ribadirsi il principio secondo cui la formazione del giudicato non coincide con l’eseguibilità del titolo, costituendo la prima il mero presupposto della seconda, di guisa che l’annullamento con rinvio di una sentenza di condanna composta di un unico capo in relazione al solo trattamento sanzionatorio non comporta automaticamente, in applicazione del principio della formazione progressiva del giudicato, l’immediata eseguibilità di detta sentenza, che può ricorrere soltanto qualora la pena sia definita con certezza nel quantum minimo inderogabile (Sez. 1, 12904/2018).

Quindi, l’accertamento scaturente dall’annullamento parziale avente ad oggetto l’ambito interno al singolo capo di imputazione, che sia pervenuto a determinare la responsabilità dell’imputato, avendone accertato la sussistenza ed anche tutti i punti collegati all’emersione della responsabilità stessa, ma abbia, nella disamina delle parti oggetto di annullamento, lasciato impregiudicato il trattamento sanzionatorio, con riferimento a punti di esso che siano tali da determinare la mancata o la non possibile individuazione certa della pena minima da eseguire, conduce alla situazione in cui si rileva la non eseguibilità della decisione divenuta irrevocabile.

Va invero rimarcato che qualora la pena non sia definita con certezza nel quantum minimo inderogabile  ma, ciò, per diretto effetto delle statuizioni non attinte dalla sentenza oggetto dell’annullamento parziale con rinvio  questa non vale quale titolo eseguibile, non potendo accedersi alla giuridica possibilità dell’emissione di un ordine di esecuzione per la carcerazione che si fondi su una pena incerta nella sua entità minima, oppure che si basi sul computo di tale entità su cui però non possa dirsi maturata l’irrevocabilità del giudicato, per essere, la stessa, suscettibile – all’esito del giudizio di rinvio inerente al residuo thema decidendum – di modificazioni in melius (la ricostruzione sistematica si deve a Sez. 1, 46150/2018).

La cosa giudicata si forma sul capo e non sul punto, nel senso che la decisione acquista il carattere dell’irrevocabilità soltanto quando sono divenute irretrattabili tutte le questioni necessarie per il proscioglimento o per la condanna dell’imputato rispetto a uno dei reati attribuitigli (sicché, mentre nel caso di processo relativo a un solo reato la sentenza passa in giudicato nella sua interezza, quando si tratti di processo cumulativo o complesso, il giudicato può coprire uno o più capi e il rapporto processuale può proseguire per gli altri, investiti dall’impugnazione, con conseguente emersione del concetto di giudicato parziale, posto che nel suddetto incedere i punti della sentenza non sono suscettibili di acquistare autonomamente autorità di giudicato, potendo essere oggetto unicamente della preclusione correlata all’effetto devolutivo delle impugnazioni e al corrispondente principio della disponibilità del processo nella fase delle impugnazioni, da cui consegue che, se manchi un motivo di impugnazione riguardante una delle questioni la cui soluzione è necessaria per la completa definizione del rapporto processuale concernente un reato, il giudice non può conoscere del relativo punto, salvo che l’ordinamento stabilisca che lo possa fare di ufficio), quando poi si pervenga da parte del giudice di legittimità all’annullamento parziale della sentenza con rinvio, l’art. 624   che disciplina i soli casi in cui la decisione oggetto del ricorso non sia stata annullata nel suo integrale contenuto dispositivo  focalizza un concetto di decisione le cui statuizioni vanno considerate come ulteriormente scomponibili in parti di sentenza.

Quando venga il rilievo il giudicato progressivo nell’ambito del medesimo capo della sentenza e, dunque, si tratti di definire quali parti interne alla contestazione e alla decisione siano coperte, pendente il giudizio rescissorio, dalla irrevocabilità, con relative preclusioni processuali e di merito, la questione va impostata e risolta sempre sulla base del criterio fissato dall’art. 624, sicché il giudicato atterrà alle parti della decisione che non siano in connessione essenziale con quella annullata.

In tal caso, però, è da considerarsi altresì la non irrilevante distinzione (SU, 4460/1994) tra i concetti giuridici di giudicato, comportante la irrevocabilità delle relative statuizioni, e di eseguibilità del titolo decisorio, essendo chiaro che nel sistema della vigente procedura penale non è dato annoverare istituti che comportino l’immediata esecutività delle sentenze e, in generale, dei provvedimenti di condanna prima della formazione del corrispondente giudicato formale, tenuto anche conto del principio generale scolpito dall’art. 27 Cost., sicché l’esecuzione  scaturente dall’annullamento parziale, con rinvio  della sentenza di condanna per la parte di decisione attinta dalla irrevocabilità è determinata (non da meccanismi inerenti a titolo provvisoriamente esecutivo, bensì) esclusivamente dal giudicato che risulti essersi formato sulle parti di sentenza che, ex art. 624, risultino riferite non solo alla statuizione di responsabilità, ma anche alla pena minima da portare ad esecuzione.

Su questo argomento deve, in particolare, richiamarsi e ribadirsi il principio secondo cui la formazione del giudicato non coincide con l’eseguibilità del titolo, costituendo la prima il mero presupposto della seconda, di guisa che l’annullamento con rinvio di una sentenza di condanna composta di un unico capo in relazione al solo trattamento sanzionatorio non comporta automaticamente, in applicazione del principio della formazione progressiva del giudicato, l’immediata eseguibilità di detta sentenza, che può ricorrere soltanto qualora la pena sia definita con certezza nel quantum minimo inderogabile (Sez. 1, 12904/2018).

Quindi, l’accertamento scaturente dall’annullamento parziale avente ad oggetto l’ambito interno al singolo capo di imputazione, che sia pervenuto a determinare la responsabilità dell’imputato, avendone accertato la sussistenza ed anche tutti i punti collegati all’emersione della responsabilità stessa, ma abbia, nella disamina delle parti oggetto di annullamento, lasciato impregiudicato il trattamento sanzionatorio, con riferimento a punti di esso che siano tali da determinare la mancata o la non possibile individuazione certa della pena minima da eseguire, conduce alla situazione in cui si rileva la non eseguibilità della decisione divenuta irrevocabile.

Va invero rimarcato che, quando la pena non sia definita con certezza nel quantum minimo inderogabile per diretto effetto delle statuizioni non attinte dalla sentenza oggetto dell’annullamento parziale con rinvio, questa non vale quale titolo eseguibile, non potendo accedersi alla giuridica possibilità dell’emissione di un ordine di esecuzione per la carcerazione che si fondi su una pena incerta nella sua entità minima, oppure che si basi sul computo di tale entità su cui però non possa dirsi maturata l’irrevocabilità del giudicato, per essere, la stessa, suscettibile – all’esito del giudizio di rinvio inerente al residuo thema decidendum – di modificazioni in melius (la riassunzione di deve a Sez. 1, 43824/2018).

La presentazione di un’impugnazione tardiva non impedisce – secondo la lettura coordinata degli artt. 648, comma 2, e 591, comma 2 – il passaggio in giudicato della sentenza, la quale, pertanto, deve essere necessariamente eseguita a cura del PM, anche prima della pronuncia dichiarativa dell’inammissibilità dell’impugnazione (SU, 47766/2015).

La sentenza di condanna deve essere immediatamente posta in esecuzione quando essa sia irrevocabile in relazione all’affermazione di responsabilità dell’imputato per alcune delle fattispecie contestate e contenga già l’indicazione della pena da applicare per le stesse, anche se la sentenza rescindente abbia disposto l’annullamento con rinvio per altre ipotesi di reato che il giudice di merito aveva ritenuto unificate alle prime dal vincolo della continuazione (Sez. 1, 15949/2013).

L’art. 648 ultimo comma prevede espressamente l’irrevocabilità del decreto penale di condanna quando è trascorso inutilmente il termine per proporre opposizione o quello per impugnare l’ordinanza che la dichiara inammissibile. La perentorietà di tale termine non viene sicuramente meno a seguito della rideterminazione della pena da parte del giudice dell’esecuzione per l’intervenuta depenalizzazione di alcune condotte di reato imputate all’odierno ricorrente, essendo tale potere espressamente previsto dall’art. 673, il quale non dispone alcuna conseguente deroga al regime dell’irrevocabilità dei provvedimenti (Sez. 3, 32919/2018).

Il ricorso straordinario per errore di fatto è un mezzo di impugnazione straordinario che consente la rescissione delle decisioni definitive solo nell’ipotesi di suo accoglimento, per cui in caso di rigetto o di inammissibilità del ricorso la sentenza di legittimità impugnata resta definitiva a norma dell’art. 648, comma 2 (Sez. 1, 22294/2018).

L’inammissibilità dei motivi non impedisce che vengano rilevate e dichiarate, ex art. 129 le cause di non punibilità anche se maturate successivamente alla sentenza di appello. Infatti la remissione della querela può intervenire fino a che non sia stata pronunciata condanna e deve intendersi per tale solo quella che abbia acquistato carattere di irrevocabilità, il che, nel caso sia stato proposto ricorso per cassazione, si verifica ai sensi dell’art. 648 comma 2, solo dal giorno in cui pronuncia l’ordinanza o la sentenza che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso (Sez. 2, 28418/2018).

Il principio della immodificabilità, in sede esecutiva, è attenuato rispetto alla irrevocabilità delle sentenze e dei decreti penali, poiché gli artt. 648 e 649 non si applicano alle ordinanze adottate dal giudice dell’esecuzione, pur discendendo il regime dettato dall’art. 666 comma 2 dal medesimo principio (Sez. 1, 28276/2018).