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Art. 650 - Inosservanza dei provvedimenti dell’autorità

1. Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 206 (1).

(1) Ammenda così aumentata ai sensi dell’art. 113, L. 689/1981.

Rassegna di giurisprudenza

In generale

La facoltà dell’autorità di impartire, per motivi di giustizia, ordini la cui inosservanza è penalmente sanzionata dall’art. 650 trova un limite nei diritti dei cittadini, che non possono essere conculcati anche quando l’imposizione abbia come unico fine quello di rendere più agevole per gli organi di polizia l’adempimento dei loro compiti istituzionali (Sez. 1, 8859/2000); in altri termini, esulano dallo schema dell’art. 650 gli ordini che si risolvano nell’imposizione di comportamenti finalizzati a risultati che la stessa autorità può conseguire indipendentemente dalla cooperazione dell’interessato. Proprio sulla base di tale principio, infatti, la giurisprudenza di legittimità è pervenuta, in diverse ipotesi, tutte accomunabili nel segno sostanziale della non rinvenibilità di motivi di giustizia quale necessario elemento della legittimità dell’ordine impartito, a ritenere non configurabile il reato di cui all’art. 650 nel caso di convocazione di polizia avente come unico fine la notifica di un invito a comparire e nominare un difensore (Sez. 1, 8859/2000), la notifica di un provvedimento inibitorio di prevenzione del Questore (Sez. 1, 11457/2012) e la notifica di un’ordinanza prefettizia di ritiro della patente (Sez. 1, 14811/2012) (Sez. 3, 6350/2019).

Il provvedimento dell’autorità menzionato nella norma incriminatrice ex art. 650 è comunemente inteso come tipico atto di manifestazione di volontà di un organo della pubblica amministrazione, diretto ad una o più persone determinate o determinabili per il conseguimento dei fini identificabili nelle ragioni di «giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene». Tale linea interpretativa è condivisa dalla giurisprudenza di legittimità, che ha avuto occasione di chiarire che i provvedimenti presi in considerazione dall’art. 650 sono soltanto quelli oggettivamente amministrativi, pur se emanati per motivi genericamente inerenti ad un’attività diretta a scopi di giustizia, aventi come contenuto un esercizio della potestà amministrativa destinata ad operare direttamente nei rapporti esterni all’attività del giudice: con la conseguenza che in detta categoria non possono essere compresi i provvedimenti giurisdizionali in senso stretto, ossia gli atti tipici del giudice (sentenza, ordinanza, decreto), che non riguardano direttamente un interesse generale o, anche se lo riguardano, non concernono quell’ordine pubblico in senso lato che costituisce l’oggetto, sia pure residuale, della tutela apprestata dalla norma incriminatrice contenuta nell’art. 650. Si tratta di una norma di natura sussidiaria, che trova applicazione soltanto quando l’inosservanza del provvedimento dell’autorità non sia sanzionata da alcuna norma, penale o processuale o amministrativa, con la conseguenza che una inottemperanza cui è possibile porre rimedio mediante l’accompagnamento coattivo non integra il reato (Sez. 1, 6595/2016). Nel caso di specie, va considerato quanto dispone l’art. 133 CPP in ordine all’accompagnamento coattivo delle persone diverse dall’imputato: «Se il testimone, il perito, la persona sottoposta all’esame del perito diversa dall’imputato, il consulente tecnico, l’interprete o il custode di cose sequestrate, regolarmente citati o convocati, omettono senza un legittimo impedimento di comparire nel luogo, giorno e ora stabiliti, il giudice può ordinarne l’accompagnamento coattivo e può altresì condannarli, con ordinanza, a pagamento di una somma da euro 51 a euro 516 a favore della cassa delle ammende nonché alle spese alle quali la mancata comparizione ha dato causa» Se ne desume all’evidenza che l’ordine de quo non viene rivolto al testimone, bensì alla PG che viene incaricata dell’accompagnamento coattivo: l’ordine è rivolto all’organo che deve provvedere all’esecuzione al fine del sicuro ed ordinato compimento degli atti ai quali il giudice procede: la sanzione per il comportamento negativo del testimone è prevista dalla norma stessa con l’indicazione di una punizione di tipo pecuniario. Ed allora va concluso che l’art. 650 è una norma diretta ad ottenere dal privato cittadino un determinato comportamento, ma essa prevede un ordine specifico, impartito ad un determinato soggetto per le ragioni sopra specificate e il soggetto attivo del reato è il destinatario dell’ordine che, pur potendo farlo, non vi adempia. Ma al ricorrente non era stato impartito un ordine specifico se non quello relativo alla sua presenza all’udienza fissata: a questo dovere di partecipazione suppliva appunto la possibilità di disporre l’accompagnamento coattivo, il cui ordine, però, non era rivolto a lui ma all’organo dell’esecuzione. E certamente la previa informazione da lui ricevuta da parte della PG non corrispondeva all’ordine legalmente impartito dal giudice. Ne consegue che non vi è stata inosservanza di ordine siffatto e perciò non vi è stata violazione dell’art. 650 (Sez. 1, 50512/2018).

Casistica

La disposizione di cui all’art. 650 ha natura sussidiaria, sicché essa trova applicazione solo quando l’inosservanza del provvedimento dell’autorità non sia sanzionata da alcuna norma, penale o processuale o amministrativa. Ne consegue che l’inottemperanza della persona sottoposta alle indagini all’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio dinanzi alla polizia giudiziaria, cui è possibile porre rimedio mediante l’accompagnamento coattivo, non integra il reato (Sez. 1, 51766/2013).

In ipotesi di revoca dell’affidamento per ragioni legate al comportamento del soggetto che viola disposizioni di legge o prescrizioni specifiche che rendano la prosecuzione della misura incompatibile con la prova in essere (art 47 comma 11 Ord. pen.), spetta al giudice di merito valutare la data di decorrenza della revoca disposta. Si è ritenuto che la mera e formale violazione degli obblighi non integri il reato di cui all’art. 650 (Cass. 5/7/2006; Cass. 10/4/2008) e che la violazione di specifiche prescrizioni o di disposizioni di legge non costituisce causa di revoca automatica della misura stessa. Occorre, piuttosto, che le condotte stesse siano sintomatiche della indisponibilità del condannato a proseguire il rapporto trattamentale in essere o che ostino alla sua risocializzazione cui la misura protende. Le violazioni in corso di misura producono un possibile effetto sanzionatorio-impeditivo, determinando la prosecuzione della prova attraverso la revoca della misura alternativa. Si tratta di conseguenze che non sono frutto di automatismo e che seguono a una specifica valutazione discrezionale che compete al giudice di sorveglianza. È una valutazione complessa che deve tenere conto della gravità della violazione, della sua consistenza e degli scopi della misura, specie allorquando il comportamento posto in essere, dopo il riconoscimento della misura alternativa, non si sostanzi in un reato, ma si risolva nella inosservanza di una prescrizione che accede al protocollo di regole strumentali all’esecuzione della prova. Là dove si tratti, poi, di affidamento in prova ex art. 94 DPR 309/1990 la verifica non può prescindere dalla finalità della misura stessa che è riconosciuta anche in funzione di garanzia e tutela del diritto alla salute del singolo sottoposto. Discende che, in ipotesi siffatte, si debba procedere alla duplice valutazione dello scopo rieducativo e della condizione di dipendenza che anche caratterizza il percorso del medesimo affidato, aspetti che devono costituire oggetto di paritaria valutazione prima di procedere alla revoca stessa (Sez. 1, 7109/2019).

La condotta del soggetto, sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, che ometta di portare con sé e di esibire, agli agenti che ne facciano richiesta, la carta di permanenza di cui all’art. 5, ultimo comma, L. 1423/1956 (attualmente art. 8 DLGS 159/2011) integra la contravvenzione prevista dall’art. 650 e non il delitto di cui all’art. 9, comma secondo, L. 1423/1956 (attualmente art. 75, comma secondo, DLGS 159/2011), perché costituisce inosservanza di un provvedimento della competente autorità per ragioni di sicurezza e di ordine pubblico, preordinato soltanto a rendere più agevole l’operato delle forze di polizia (SU, 32923/2014).

L’esercizio abusivo dell’attività di parcheggiatore integra l’illecito amministrativo previsto dall’art. 7, comma quindicesimo-bis, CDS, e non il reato di inosservanza dei provvedimenti dell’autorità previsto dall’art. 650, stante l’operatività del principio di specialità di cui all’art. 9 L. 689/1981(Sez. 1, 47886/2011).

Va esclusa la configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 650, in applicazione del principio di sussidiarietà, e ricorre piuttosto la fattispecie penale di cui al terzo comma dell’art. 677, allorché taluno, essendo proprietario di una costruzione che minaccia rovina o di chi sia per lui tenuto alla sua conservazione o alla vigilanza, omette di realizzare i lavori necessari per rimuovere il pericolo per le persone (Sez. 1, 51186/2014).

L’ordine di sospensione dei lavori edilizi, tranne il caso che non venga emanato a cagione di crolli o di pericoli per la pubblica incolumità, viene emesso dal sindaco non per impedire che un reato sia portato alle ulteriori conseguenze, bensì per ragioni di autotutela conseguenti alla esecutività di un atto amministrativo in tema di urbanistica, di ornato o di difesa dell’ambiente, e cioè per ragioni che non sono né di giustizia, né di ordine pubblico, né di sicurezza pubblica né di igiene, e quindi per motivi che non consentono la sussumibilità delle relative violazioni nella previsione di cui all’art. 650 (Sez. 1, 5592/1984, richiamata da Sez. 7, 39668/2018).

La condotta di inottemperanza all’ordine sindacale di rimozione dei rifiuti, in questo caso di un rifiuto speciale, costituito dal relitto di autocarro e di rifiuti solidi urbani collocati al suo interno, è prevista quale autonoma fattispecie di reato dall’art. 255, comma terzo, DLGS 152/2006, che prescrive: “3. Chiunque non ottempera all’ordinanza del Sindaco, di cui all’ articolo 192, comma 3, o non adempie all’obbligo di cui all’ articolo 187, comma 3, è punito con la pena dell’arresto fino ad un anno. Nella sentenza di condanna o nella sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione di quanto disposto nella ordinanza di cui all’ articolo 192, comma 3, ovvero all’adempimento dell’obbligo di cui all’ articolo 187, comma 3”. Come già rilevato dalla propria giurisprudenza, la disposizione di cui all’art. 650 è strutturata quale norma penale in bianco a carattere sussidiario, applicabile solo quando il fatto non sia previsto come reato da altra specifica disposizione, ovvero allorché il provvedimento dell’autorità rimasto inosservato non sia munito di un proprio, specifico meccanismo di tutela degli interessi coinvolti (Sez. 1, 44126/2016). Per poter configurare la fattispecie da essa incriminata è dunque necessario ricorrano più condizioni, costituite da: - inosservanza di un ordine specifico impartito ad un soggetto determinato, in occasione di eventi o circostanze tali da far ritenere necessario che proprio quel soggetto ponga in essere una certa condotta per finalità di sicurezza o di ordine pubblico, oppure di igiene o di giustizia; - inosservanza di ordine impartito con provvedimento adottato in relazione a situazioni non prefigurate da alcun testo di legge introduttivo di specifica ed autonoma sanzione, applicabile in caso di violazione del suo contenuto obbligatorio; -emissione del provvedimento, motivato da ragioni di giustizia, di sicurezza, di ordine pubblico, di igiene, a tutela dell’interesse pubblico collettivo e non di soggetti privati. A tal fine incombe sul giudice verificare se il provvedimento assolva alla funzione legale tipica assegnatagli dall’ordinamento e se sia articolato in modo tale da poter essere eseguito nei tempi e con le modalità previsti per far fronte alle esigenze collettive cui nel caso si è inteso far fronte. Quando poi venga adottata un’ordinanza “contingibile e urgente” emanata dal Sindaco di un Comune ai sensi dell’art. 54 DLGS 57/2000, per fronteggiare emergenze verificatesi in ambito locale di natura sanitaria, igienica o ambientale, è richiesto sotto il profilo della legittimità formale una motivazione illustrativa della concreta sussistenza dei presupposti previsti dalla legge, ossia della necessità di immediato intervento a protezione di interessi pubblici, come la salute o l’ambiente, non tutelabili diversamente con il ricorso agli strumenti ordinari (Sez. 1, 15881/2007) (Sez. 1, 41133/2018).