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Art. 517 - Vendita di prodotti industriali con segni mendaci

1. Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull’origine, provenienza o qualità dell’opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a ventimila euro (1).

(1) Articolo così modificato dalla lettera d) del comma 1 dell’art. 15, L. 99/2009. La multa, aumentata a lire due milioni ai sensi dell’art. 113, L. 689/1981, è stata così rideterminata dall’art. 1, comma 10, DL 35/2005.

Rassegna di giurisprudenza

Il reato previsto dagli artt. 515 e 517-bis, avendo per oggetto la tutela del leale esercizio del commercio, protegge sia l’interesse del consumatore a non ricevere una cosa differente da quella richiesta, sia quello del produttore a non vedere i propri articoli scambiati surrettiziamente con prodotti diversi (Sez. 3, 2617/2014).

L’art. 30, Reg. CE n. 765/2008, del Parlamento europeo e del Consiglio, prescrive, tra l’altro, che «la marcatura CE...è apposta solo su prodotti per i quali la sua apposizione è prevista dalla specifica normativa comunitaria di armonizzazione e non è apposta su altri prodotti» e che «è vietata l’apposizione su un prodotto di marcature, segni o iscrizioni che possano indurre in errore i terzi circa il significato della marcatura CE o il simbolo grafico della stessa», vincolando gli Stati membri a promuovere «azioni appropriate contro l’uso improprio della marcatura», con previsione di «sanzioni per le infrazioni, che possono comprendere sanzioni penali per le infrazioni gravi».

La richiamata disposizione, dunque, vieta di apporre il marchio CE  che è garanzia di qualità e sicurezza rispetto a standards previsti dall’Unione europea  su prodotti rispetto ai quali la normativa eurounitaria non abbia dettato specifiche previsioni di armonizzazione, all’evidente fine di evitare che il consumatore possa essere tratto in inganno circa il fatto che si tratti di prodotti fatti oggetto di disciplina da parte dell’Unione europea e che rispondano a requisiti di qualità e sicurezza che hanno superato un controllo ritenuto affidabile.

Non v’è dubbio, pertanto, che tale condotta, sussistendo gli altri elementi costitutivi di fattispecie, integri il reato di cui all’art. 517, essendo appunto idonea a trarre in inganno il compratore sulla qualità della merce. La possibile induzione in inganno del compratore tutelata penalmente dalla norma incriminatrice in parola, cioè, riguarda non solo il fatto che il prodotto sia rispondente alla disciplina comunitaria effettivamente prevista, ma anche la circostanza che esso abbia superato (pur inesistenti) controlli di affidabilità previsti in sede europea (Sez. 3, 1513/2019).

L’art. 517 punisce «chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione» i prodotti in esso disciplinati. Tenendo conto della chiara ratio della fattispecie, la stessa, nell’ambito dei delitti contro l’industria ed il commercio, tutela non già l’interesse dei consumatori o quello degli altri produttori, ma l’interesse generale concernente l’ordine economico, sicché il mettere in vendita o porre altrimenti in circolazione prodotti con segni mendaci costituisce già una lesione effettiva e non meramente potenziale della lealtà degli scambi commerciali (Sez. 3, 2003/2008), anche senza la necessità di ravvisare un concreto pericolo d’inganno per il consumatore o di pregiudizio ad un imprenditore concorrente.

La descrizione residuale ed alternativa alla messa in vendita va dunque riempita di contenuto nell’ottica finalistica e certamente soccorre, a livello interpretativo, la speciale previsione contenuta nell’art. 49, L. 350/2003 (così come da ultimo modificato dall’art. 43, comma 1, L. 134/2012), che espressamente riconduce alla condotta delittuosa di cui all’art. 517, con particolare riguardo ai prodotti fatti oggetto di disciplina, «l’importazione e l’esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione», aggiungendo che «le fattispecie sono commesse sin dalla presentazione dei prodotti o delle merci in dogana per l’immissione in consumo o in libera pratica e sino alla vendita al dettaglio». Sin da quel momento, di fatti, la merce può considerarsi “messa in circolazione” con conseguente lesione dell’ordine economico nel senso più sopra precisato.

Al di là della specifiche ragioni che hanno indotto il legislatore a dettare quella previsione  riconducibili alla volontà di assoggettare alla disciplina sulla vendita di prodotti con segni mendaci i prodotti recanti la stampigliatura “made in Italy” anche qualora sia indicata la loro origine o provenienza estera  la descrizione della condotta nei termini indicati ha efficacia interpretativa di quella prevista dalla fattispecie incriminatrice e, trattandosi di norma entrata peraltro in vigore prima del fatto sub iudice, nulla-osta a che essa trovi applicazione nel caso di specie.

La disposizione, di fatti, prende posizione su un tema che era obiettivamente controverso in giurisprudenza, come una decisione di legittimità immediatamente successiva alla sua approvazione aveva riconosciuto affermando che, con l’art. 4, comma 49, della L. 350/2003, il legislatore ha inteso unicamente risolvere il contrasto interpretativo esistente in ordine al momento consumativo del reato di vendita di prodotti con segni mendaci di cui all’art. 517, precisando che esso si perfeziona sin dal momento della presentazione dei prodotti e delle merci in dogana (Sez. 3, 3352/2005).

Secondo un più risalente orientamento, di fatti, lo sdoganamento della merce avrebbe integrato non già il delitto consumato di cui all’art. 517, ma soltanto la forma tentata del medesimo (Sez. 3, 4374/1996) mentre secondo altro orientamento, sostanzialmente confermato dal legislatore, in tema di vendita di prodotti industriali con segni mendaci, l’espressione “mette altrimenti in circolazione” comporta la configurabilità del reato di cui all’art. 517 a seguito di qualsiasi attività con la quale si miri a fare uscire a qualsiasi titolo la “res” dalla sfera di disponibilità del detentore, ivi compresa la presentazione della stessa alla dogana per lo sdoganamento (Sez. 3, 23514/2006). Quest’ultimo orientamento, anche successivamente confermato (Sez. 3, 8938/2012) va quindi ribadito (Sez. 3, 1513/2019).

Integra il delitto di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi, di cui all’art. 474, e non il delitto di vendita di prodotti industriali con segni mendaci, di cui all’art. 517, la condotta di acquisto per la rivendita al pubblico di beni con marchi o segni distintivi falsificati se vi è sostanziale identità del “logo” riprodotto rispetto a quello originale, in quanto il primo delitto si riferisce a prodotti recanti marchi  e, quindi, segni distintivi delle ditte produttrici -contraffatti, mentre il secondo, posto a tutela dell’ordine economico, punisce la messa in circolazione di prodotti dell’ingegno od opere industriali recanti marchi o segni distintivi atti ad ingannare il compratore su origine, provenienza o qualità della merce (Sez. 2, 27376/2017).

Il reato di cui all’art. 474 (introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi) ha per oggetto la tutela della fede pubblica e richiede la contraffazione o l’alterazione del marchio e/o del segno distintivo della merce, laddove il reato di cui all’art. 517 (vendita di prodotti industriali con segni mendaci) ha per oggetto la tutela dell’ordine economico e richiede la semplice imitazione del marchio, non necessariamente registrato o riconosciuto, purché detta imitazione sia idonea a trarre in inganno gli acquirenti (Sez. 5, 31482/2007).

L’art. 473 esige la contraffazione, che consiste nella riproduzione integrale, in tutta la sua configurazione emblematica e denominativa, di un marchio o di un segno distintivo, ovvero la alterazione, che ricorre quando la riproduzione è parziale, ma tale da potersi confondere col marchio originario o col segno distintivo.

La fattispecie declinata dall’art. 517 prescinde, invece, dalla falsità, rifacendosi alla mera, artificiosa equivocità dei contrassegni, marchi ed indicazioni illegittimamente usati, tali da ingenerare la possibilità di confusione con prodotti similari da parte dei consumatori comuni. I due reati sono connotati dalla diversità del bene giuridico tutelato, in quanto il primo ha per oggetto la tutela della fede pubblica e richiede la contraffazione o l’alterazione del marchio e/o del segno distintivo della merce, laddove il reato di cui all’art. 517 ha per oggetto la tutela dell’ordine economico e richiede la semplice imitazione del marchio, non necessariamente registrato o riconosciuto, purché detta imitazione sia idonea a trarre in inganno gli acquirenti (Sez. 5, 19395/2018).

La norma di cui all’art. 517 è posta a protezione dell’ordine economico e tal proposito viene in rilievo, anche l’origine del prodotto (non solo imprenditoriale ma anche territoriale e geografica quando essa sia rilevante ai fini della determinazione della qualità della merce (fattispecie in cui è stato ravvisato il tentativo di frode in commercio a fronte dello stoccaggio di circa 300.000 barattoli di pomodori pelati recanti l’etichetta “prodotto nella regione DOP San Marzano - pomodori pelati italiani” all’interno di containers in partenza da un porto con destinazione ad una società americana sebbene né lo stabilimento di produzione delle conserve né la società committente fossero iscritte al consorzio di tutela del pomodoro San Marzano dell’agro sarnese e sebbene i pomodori fossero stati coltivati e raccolti nella regione Puglia) (Sez. 3, 41714/2018).

In tema di tutela penale dei prodotti dell’industria e del commercio, integra il reato dall’art. 517, l’importazione a fini di commercializzazione di prodotti corredati dalla dicitura “Made in Italy” che siano state assemblati in via definitiva all’estero, in considerazione della potenzialità ingannatoria dell’indicazione del luogo di fabbricazione del prodotto (Sez. 4, 3789/2015). Tale principio vale, a fortiori, nel caso in cui la merce, sulla quale viene apposta l’etichettatura “Made in Italy”, risulta interamente prodotta all’estero (Sez. 3, 38725/2018).

In tema di vendita di prodotti industriali con segni mendaci, è configurabile il tentativo del reato di cui all’art. 517 qualora l’attività di messa in circolazione dei prodotti contraffatti sia preceduta da una serie di atti finalisticamente orientati al conseguimento del risultato offensivo, e pervenuti ad uno stadio di evoluzione dell’iter criminis tale da fare ritenere probabile che detto risultato sia effettivamente raggiunto (Sez. 3, 13646/2017).