x

x

Art. 62 - Circostanze attenuanti comuni

1. Attenuano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze attenuanti speciali, le circostanze seguenti:

1) l’avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale;

2) l’aver reagito in stato di ira, determinato da un fatto ingiusto altrui;

3) l’avere agito per suggestione di una folla in tumulto, quando non si tratta di riunioni o assembramenti vietati dalla legge o dall’autorità, e il colpevole non è delinquente o contravventore abituale o professionale, o delinquente per tendenza;

4) l’avere, nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro, l’avere agito per conseguire o l’avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l’evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità (1);

5) l’essere concorso a determinare l’evento, insieme con l’azione o l’omissione del colpevole, il fatto doloso della persona offesa;

6) l’avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso, e, quando sia possibile, mediante le restituzioni; o l’essersi, prima del giudizio e fuori del caso preveduto nell’ultimo capoverso dell’articolo 56, adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato.

(1) Numero così sostituito dall’art. 2, L. 19/1990.

Rassegna di giurisprudenza

Motivi di particolare valore morale o sociale

La circostanza attenuante derivante dai motivi di particolare valore morale o sociale viene in rilievo quando la condotta dell’agente rinviene il suo movente in ragioni sicuramente corrispondenti ad un’etica, che sottolinei i valori più elevati della natura umana (quanto alla sfera morale) o parimenti consentanei a ragioni di elevato spessore avvertite e favorevolmente valutate società civile (quanto alla sfera sociale). Le clausole generali a cui la disposizione ricorre, per individuare i requisiti legittimanti il riconoscimento del trattamento sanzionatorio attenuato, si collegano a valutazioni  almeno in parte  storicamente condizionate al diffondersi ed anche al modificarsi dei valori morali e sociali in una determinata epoca, sempre nel binario costituito da quelli fondamentali iscritti nella Costituzione e nelle altre fonti, anche sovranazionali, alla stessa coordinate. Il valore morale o sociale del motivo che ha determinato la condotta illecita va comunque apprezzato sul piano oggettivo: sia nel senso che esso deve essere considerato come tale, non da ambienti sociali circoscritti sul piano culturale, ideologico od anche territoriale, ma dalla prevalente coscienza collettiva espressione della comunità (Sez. 1, 20443/2015).

Ai fini dell’integrazione della circostanza attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale, non è sufficiente, quindi, l’intima convinzione dell’agente di perseguire un fine moralmente apprezzabile, ma occorre anche l’obiettiva rispondenza del motivo perseguito a valori etici o sociali effettivamente apprezzabili e, come tali, riconosciuti preminenti dalla collettività, sicché tale attenuante non può trovare applicazione se il fatto di particolare valore morale o sociale esiste soltanto nell’opinione del soggetto attivo del reato. La netta distinzione logica fra il particolare valore morale o sociale del motivo che ha determinato l’azione antigiuridica e l’accertata illiceità penale dell’azione stessa rende chiaro che l’approvazione della coscienza collettiva che rende giuridicamente rilevante il primo deve inerire - sempre e soltanto - al motivo, non alla condotta, in tesi sanzionata dalla norma incriminatrice. Nella complessa valutazione da compiersi, poi, rileva, secondo il consolidato orientamento di legittimità, la verifica del mezzo prescelto rispetto al fine perseguito (Sez. 5, 3967/2016, che ne esclude la ricorrenza quando i motivi dedotti siano di scarsa rilevanza rispetto alla gravità del reato commesso), tanto più quando l’obiettivo della condotta sia identificato nel sacrificio estremo della vita della vittima. Va accertato altresì se nel determinismo generatore della condotta antigiuridica all’addotto motivo avente valore morale o sociale si siano affiancati, anche in modo implicito, concorrenti interessi di natura lato sensu egoistica. In questa cornice, con specifico riferimento all’omicidio perpetrato per pietà verso il congiunto gravemente sofferente, è da riflettere come sia stata già esclusa la riconoscibilità dell’attenuante in parola. Si è ritenuto che essa non può essere riconosciuta all’omicida del coniuge affetto da grave malattia, il cui movente sia stato quello di porre fine a una vita di strazi, in quanto dall’azione criminosa non esula la finalità egoistica di trovare rimedio alla sofferenza, consistente nella necessità di accudire un malato grave ridotto in uno stato vegetativo (Sez. 1, 7390/2018).

Nella attuale coscienza sociale il sentimento di compassione o di pietà è incompatibile con la condotta di soppressione della vita umana verso la quale si prova il sentimento medesimo. Non può quindi essere ritenuta di particolare valore morale la condotta di omicidio di persona che si trovi in condizioni di grave ed irreversibile sofferenza fisica (Sez. 1, 50378/2018).

La finalità del ricongiungimento dello straniero extracomunitario, in quanto espressamente regolata dalla legge a certe condizioni, non è rispondente a valori etici e sociali condivisi e riconosciuti come preminenti dalla coscienza collettiva, non essendo sufficiente per il riconoscimento dell’invocata attenuante l’intima convinzione dell’agente di perseguire un fine moralmente apprezzabile (Sez. 7, 54756/2018).

 

Provocazione

L'accettare o il portare una sfida per la risoluzione di una contesa o per dare sfogo ad un risentimento, impedisce l'applicazione della circostanza attenuante della provocazione, per la illiceità del comportamento di sfida, seppur occasionato da un precedente fatto dell'avversario (La Corte, nella decisione in esame, ha giudicato corretta, in applicazione del principio di diritto suesposto, la ricostruzione dei fatti operata dalla Corte territoriale descrittiva dei rapporti tra l'imputato e la famiglia della vittima, caratterizzati da episodi molto turbolenti, significativi di un attrito esistente tra le parti prima del fatto e, per tale ragione, il ricorso è stato dichiarato inammissibile in parte qua) (Sez. 1, 15838/2022).

La circostanza attenuante della provocazione, pur non richiedendo i requisiti di adeguatezza e proporzionalità, non sussiste ogni qualvolta la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui ed il reato commesso sia talmente grave e macroscopica da escludere o lo stato d’ira ovvero il nesso causale fra il fatto ingiusto e l’ira, essendo comunque necessario che la risposta sia adeguata alla gravità del fatto ingiusto, in quanto avvinta allo stesso da un nesso causale, che deve escludersi in presenza di un’evidente sproporzione (Sez. 5, 57055/2018).

Il fatto ingiusto rilevante ai fini della provocazione deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale (Sez. 1, 47840/2013).

La circostanza attenuante della provocazione, pur non richiedendo i requisiti di adeguatezza e proporzionalità, non sussiste ogni qualvolta la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui ed il reato commesso sia talmente grave e macroscopica da escludere o lo stato d’ira ovvero il nesso causale fra il fatto ingiusto e l’ira (Sez. 5, 604/2014).

Ai fini della configurabilità dell’attenuante della provocazione occorrono: a) lo “stato d’ira”, costituito da un’alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con il “fatto ingiusto altrui”; b) il “fatto ingiusto altrui”, che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale; c) un rapporto di causalità psicologica e non di mera occasionalità tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse, sempre che sia riscontrabile una qualche adeguatezza tra l’una e l’altra condotta (Sez. 1, 4780/2014).

Ai fini della configurabilità della circostanza attenuante della provocazione, pur nella forma c.d. “per accumulo”, si richiede la prova dell’esistenza di un fattore scatenante che giustifichi l’esplosione, in relazione ed in occasione di un ultimo episodio, pur apparentemente minore, della carica di dolore o sofferenza che si affermi sedimentata nel tempo, la cui esistenza è, tuttavia, da escludersi, pur in presenza di fatti apparentemente ingiusti della vittima, allorché la reazione appaia sotto ogni profilo eccessiva e talmente inadeguata rispetto all’ultimo episodio dal quale trae origine, da fare escludere la sussistenza di un nesso causale tra offesa, sia pure potenziata dall’accumulo, e reazione (Sez. 1, 28292/2017).

Ai fini della configurabilità dell’attenuante della provocazione, non integra di per sé “fatto ingiusto”, il comportamento di un genitore che interferisca nelle scelte sentimentali della figlia maggiorenne, con lui convivente, in quanto i doveri genitoriali non si conformano ad tempus e possono persistere al cospetto di comportamenti da parte dei figli maggiori di età, ma conviventi, su cui il genitore ritenga di intervenire (Sez. 1, 16595/2017).

Non è configurabile l’attenuante della provocazione quando l’esistenza di pregressi contrasti tra autore del fatto e vittima abbia progressivamente condotto a reciproche aggressioni e ripicche in termini tali da non consentire l’attribuzione all’uno o all’altra di uno specifico fatto ingiusto quale causa immediata della reazione (Sez. 1, 26847/2010).

 

Suggestione di folla in tumulto

Perché possa essere applicata la circostanza attenuante prevista dall’art. 62 n. 3 - l’avere agito per suggestione di una folla in tumulto - occorre che gli autori dei fatti di violenza collettiva si siano determinati alle illecite condotte solo perché, trovatisi in mezzo a una diffusa situazione di disordine, abbiano avuto una minore resistenza psichica alle spinte criminali e abbiano agito condizionati dalla fermentazione psicologica sprigionata dalla folla stessa (Sez. 6, 37367/2014).

La circostanza attenuante dell’aver agito per suggestione di una folla in tumulto presuppone la sussistenza di una riunione imponente e disordinata di individui che, per effetto di una spinta emozionale, reagisca in modo improvviso e rumoroso e, nondimeno, postula che l’autore non abbia concorso e non sia confluito con altri per provocare l’assembramento delle persone e compiere il fatto reato (Sez. 6, 11915/2014).

La circostanza attenuante dell’aver agito per suggestione di una folla in tumulto, prevista dall’art. 62 n. 3, presuppone che l’autore del reato non abbia concorso e non sia confluito con altri per provocare l’assembramento delle persone e compiere il fatto di reato (Sez. 6, 52172/2017).

 

Danno patrimoniale di speciale tenuità

La circostanza attenuante del conseguimento di un lucro di speciale tenuità di cui all'art. 62, n. 4, c.p. è applicabile ai reati in materia di stupefacenti in presenza di un evento dannoso o pericoloso connotato anch'esso da speciale tenuità, ed è compatibile con l'autonoma fattispecie del fatto di lieve entità, prevista dall'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 (Sez. 3, 19629/2022).

La circostanza attenuante del conseguimento di un lucro di speciale tenuità di cui all’art. 62 n. 4 è applicabile al reato di cessione di sostanze stupefacenti in presenza di un evento dannoso o pericoloso connotato da un ridotto grado di offensività o disvalore sociale ed è compatibile con l’autonoma fattispecie del fatto di lieve entità, prevista dall’art.73, comma 5, DPR 309/1990 (SU, camera di consiglio del 30 gennaio 2020, informazione provvisoria).

L'attenuante di cui all’art. 62 n. 4 è applicabile, indipendentemente dalla natura giuridica del bene oggetto di tutela, ad ogni tipo di delitto commesso per un motivo di lucro, ivi compresi i delitti in materia di stupefacenti, tra cui la fattispecie ex art. 73, comma 5, DPR 309/1990 (Sez. 3, 18155/2021).

La concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità di cui all’art. 62, n. 4, presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrisorio, avendo riguardo non solo al valore in sé della cosa sottratta, ma anche agli ulteriori effetti pregiudizievoli che la persona offesa abbia subito in conseguenza della sottrazione della res, senza che rilevi, invece, la capacità del soggetto passivo di sopportare il danno economico derivante dal reato (Sez. 5, 9799/2021).

Nei reati contro il patrimonio, la circostanza attenuante comune del danno di speciale tenuità è applicabile anche al delitto tentato quando sia possibile desumere con certezza, dalle modalità del fatto e in base ad un preciso giudizio ipotetico che, se il reato fosse stato portato a compimento, il danno patrimoniale per la persona offesa sarebbe stato di rilevanza minima (Sez. 5, 13992/2021).

La circostanza attenuante del danno economico di speciale tenuità ex art. 62, n. 4, è applicabile a ogni tipo di delitto, indipendentemente dalla natura giuridica del bene oggetto di tutela, purché il fatto risulti commesso per motivi di lucro  e cioè per acquisire, mediante l’azione delittuosa, un vantaggio patrimoniale  e purché la speciale tenuità riguardi sia il lucro (prefigurato o conseguito) sia l’evento dannoso o pericoloso. Essa è applicabile anche al reato di cessione di sostanze stupefacenti se la stessa ha procurato un lucro in presenza di un evento dannoso o pericoloso connotato da un ridotto grado di offensività o disvalore sociale e risulta anche compatibile con la fattispecie del fatto di lieve entità, prevista dall’art. 73, comma 5, DPR 309/1990, stante la differente natura giuridica delle due fattispecie (circostanza e titolo autonomo di reato) e la non piena coincidenza dei loro elementi costituivi, perché l’attenuante ex art. 62 n. 4 richiede, rispetto al “fatto lieve”, un elemento specializzante costituito dall’avere l’agente perseguito o conseguito un lucro di speciale tenuità che esclude che dallo stesso dato materiale discenda una duplicazione di benefici sanzionatori (Sez. 6, 13405/2019).

La circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4 ricorre solo quando il danno patrimoniale subito dalla parte offesa come conseguenza diretta e immediata del reato sia di valore economico pressoché irrilevante. In particolare, ai fini della configurabilità dell’attenuante del danno di speciale tenuità (art 62, n. 4) in riferimento al delitto di rapina, non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona (che non coincide necessariamente con il titolare del diritto sulla cosa sottratta) contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia, atteso che il delitto de quo ha natura di reato plurioffensivo perché lede non solo il patrimonio ma anche la libertà e l’integrità fisica e morale aggredite per la realizzazione del profitto; ne consegue che, in applicazione della seconda parte della disposizione citata, solo ove la valutazione complessiva del pregiudizio sia di speciale tenuità può farsi luogo all’applicazione dell’attenuante; il relativo apprezzamento, risolvendosi nella verifica di circostanze fattuali, è riservato al giudice di merito e non può essere censurato in sede di legittimità se immune da vizi logici e giuridici (Sez. 7, 31180/2018).

Ai fini del giudizio sulla configurabilità della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, non può aversi riguardo esclusivamente al valore venale del corpo del reato - che, in ogni caso, deve essere scarso (Sez. 2, 36916/2011), occorrendo far riferimento al danno complessivo cagionato alla persona offesa (Sez. 5, 32656/2018).

Ai fini della concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, l’entità del danno dev’essere valutata anzitutto con riferimento al criterio obiettivo del danno in sé, mentre quello subiettivo e, cioè, il riferimento alle condizioni economiche del soggetto passivo, ha valore sussidiario e viene in considerazione soltanto quando il primo, da solo, non appare decisivo (Sez. 2, 29293/2016).

Ove il danno patrimoniale superi la soglia della speciale tenuità, va esclusa sia l’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 sia quella di cui all’art. 648 comma 2, perché il fatto, per assioma, non può essere considerato di particolare tenuità in considerazione dell’entità e qualità della res provento da delitto. Ove il danno patrimoniale sia di speciale tenuità e si accerti che anche il fatto sia di particolare tenuità sotto il profilo soggettivo (personalità del reo - modalità dell’azione), va riconosciuta la sola ipotesi di cui all’art. 648 comma 2, rimanendo in essa assorbita l’attenuante di cui all’art. 62 n. 4. Ove il danno patrimoniale sia di speciale tenuità, ma il giudice appuri che il fatto, sia pure sotto il solo profilo soggettivo (personalità del reo - modalità dell’azione), non sia di particolare tenuità, deve essere concessa la sola attenuante di cui all’art. 62 n. 4, che, essendo di natura oggettiva, ove sussistente, deve essere riconosciuta indipendentemente dal comportamento tenuto, nella singola fattispecie, dall’agente (Sez. 2, 36877/2018).

 

Concorso del fatto doloso della parte offesa

La circostanza attenuante del concorso del fatto doloso della persona offesa richiede, ai fini della sua sussistenza, l’integrazione di un elemento materiale, quale è l’inserimento del comportamento della persona offesa nella serie delle cause determinatrici dell’evento, e di un elemento psichico, consistente nella volontà di concorrere a determinare lo stesso evento (Sez. 2, 25915/2018).

 

Risarcimento del danno

La condotta volontaria non va confusa con la spontaneità del gesto, che è, invece, qualificazione tipica della condotta di cui alla seconda parte dell’articolo 62, n. 6. Mentre ai fini del risarcimento del danno si richiede che si tratti di attività volontaria, nella seconda ipotesi della stessa disposizione, si esige invece, che l’attività del reo sia anche spontanea (Sez. 5, 2424/2022).

Nel caso in cui l’imputato ha attivato la procedura di offerta reale solo con il deposito della somma offerta presso la Cassa depositi e prestiti o presso un Istituto di credito, come previsto dagli artt. 1210 c.c. e 76 disp. att. c.c., si valida l'offerta reale essendo il deposito l'atto con il quale la somma offerta esce dalla
disponibilità del debitore consentendo la libera accettazione dell'offerta da parte del creditore, in qualsiasi momento (Sez. 4, 40546/2021).

L’attenuante del risarcimento del danno di cui all’art. 62, co. 1, n. 6, prima parte, esige esclusivamente che la riparazione del danno, mediante le restituzioni o il risarcimento, sia integrale e avvenga prima del giudizio; non richiede, invece, che l’attività del reo sia anche spontanea (come nella seconda ipotesi della stessa disposizione), essendo sufficiente che si tratti di attività volontaria, volontarietà che può essere dedotta anche dalla mancata opposizione al prelievo forzoso effettuato dall’Amministrazione penitenziaria (Sez. 5, 7219/2021).

La circostanza attenuante dell’integrale riparazione del danno va valutata e applicata in relazione a ogni singolo reato unificato nel medesimo disegno criminoso, non occorrendo, al contrario, che il risarcimento concerna tutte le fattispecie avvinte ex art. 81, comma 2, c.p.; ne deriva che, ove la condotta riparatoria sia intervenuta in riferimento soltanto a taluno dei singoli fatti di reato unificati per continuazione, gli effetti dell’attenuante si producono sulla pena base quando il risarcimento riguardi il reato più grave e sugli aumenti di pena quando riguardi i reati satellite (Sez. 5, 17952/2020).

In tema di giudizio di appello, l’onere di allegazione relativo allo specifico motivo di gravame con il quale si invoca il riconoscimento della attenuante di cui all’art. 62 n. 6, negata dal giudice di primo grado, si deve ritenere soddisfatto mediante la segnalazione degli elementi di fatto che possono condizionare il giudizio sull’esistenza della circostanza, spettando poi al giudice l’esercizio dei poteri officiosi per l’accertamento degli ulteriori elementi (nella specie, relativi alla congruità del risarcimento del danno) comprovanti la fondatezza delle deduzioni difensive (Sez. 4, 13138/2019).

Ai fini della configurabilità della circostanza attenuante prevista dall’art. 62, n. 6, è necessario che la riparazione del danno, oltre che volontaria ed integrale, sia anche effettiva, nel senso che la somma di danaro proposta dall’imputato come risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale deve essere offerta alla parte lesa in modo da consentire alla medesima di conseguirne la disponibilità concretamente e senza condizioni di sorta, nel rispetto delle prescrizioni civilistiche relative al versamento diretto del danaro o a forme equipollenti che rivelano la reale volontà dell’imputato di eliminare, per quanto possibile, le conseguenze dannose del reato commesso (Sez. 5, 21517/2018).

Inoltre, il risarcimento del danno deve essere integrale, comprensivo non solo di quello patrimoniale, ma anche di quello morale, e la valutazione della sua congruità è rimessa all’apprezzamento del giudice (Sez. 2, 9143/2013). Il risarcimento del danno deve essere volontario, integrale, comprensivo sia del danno patrimoniale che morale ed effettivo (Sez. 6, 6405/2015) (ricostruzione complessiva fatta da Sez. 1, 747/2019).

Ai fini della configurabilità della circostanza attenuante ex art. 62 n. 6, il risarcimento del danno deve essere integrale e deve avvenire prima del giudizio, mentre la valutazione sulla sua congruità è rimessa al giudice, che può anche disattendere un eventuale accordo transattivo intervenuto tra le parti (Sez. 5, 57573/2017).

È sufficiente un’offerta di risarcimento del danno, anche non formale, che, però deve tenere conto degli effetti del reato e deve possedere i requisiti della congruità e della serietà, pure quando la persona offesa non abbia accettato l’offerta (Sez. 3, 31927/2015).

Il risarcimento del danno contemplato dall’art. 62, n. 6, non consente differenziazioni in ordine alle conseguenze pregiudizievoli derivate dal reato, ricomprendendosi in esso, al pari di ogni tipologia di illecito, entrambe le categorie riconducibili ai principi civilistici sui danni patrimoniali, intesi quali ricadute pregiudizievoli, suscettibili di valutazione economica sotto forma di danno emergente e lucro cessante, ed i danni non patrimoniali che includono, invece, ogni forma di interessi inerenti alla persona afferenti alla sfera immateriale e perciò non connotati da rilevanza economica (Sez. 1, 747/2019).

Ai fini della sussistenza dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6, il risarcimento, ancorché eseguito dalla società assicuratrice, deve ritenersi effettuato personalmente dall’imputato, tutte le volte in cui questi ne abbia conoscenza e mostri la volontà di farlo proprio (Sez. 4, 10056/2019).

La circostanza attenuante del risarcimento del danno, come è noto, si collega al danno cosiddetto criminale, cioè alle conseguenze, diverse dal pregiudizio economicamente risarcibile, che intimamente ineriscono alla lesione o al pericolo di lesione del bene giuridico tutelato dalla norma penale violata, consistendo nell’elisione o nell’attenuazione delle conseguenze del reato, derivante da una condotta posta in essere prima del giudizio, ed è configurabile solo se l’azione è determinata da motivi interni e non influenzata da fattori esterni (Sez. 5, 41419/2018).

Ai fini della sussistenza dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6, il risarcimento, ancorché effettuato da una società di assicurazione, deve ritenersi eseguito personalmente dall’imputato medesimo se questi ne abbia conoscenza, mostri la volontà di farlo proprio e sia integrale nei confronti di tutte le persone offese (Sez. 4, 3217/2019).

Ai fini della configurabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 6, il risarcimento del danno deve essere integrale, a nulla valendo le condizioni patrimoniali non abbienti dell’imputato (Sez. 3, 21350/2017).

La circostanza di cui all’art. 62 n. 6 c.p. non risulta applicabile ai reati produttivi di conseguenze irreversibili e non rimediabili dall’agente, quale il reato di omicidio (Sez. 1, 15745/2014).

Ai fini della configurabilità dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen., qualora la persona offesa non abbia accettato il risarcimento, è necessario che l’imputato proceda ad offerta reale dell’indennizzo ai sensi degli artt. 1029 e ss. CC., in modo che la somma sia a completa disposizione della persona offesa e che successivamente il giudice possa valutare l’adeguatezza e la riconducibilità ad una effettiva resipiscenza del reo (Sez. 2, 56380/2017).

Nei reati sessuali, nel caso di somma offerta a titolo di risarcimento del danno alla persona offesa e da questa accettata, il giudice che ritenga tale somma insufficiente al ristoro dell’integrale pregiudizio, e dunque inidonea a dimostrare l’effettivo ravvedimento del colpevole, deve negare la circostanza attenuante prevista dall’art. 62, n. 6, cod. pen., non potendo tuttavia limitarsi ad enunciare, quale elemento ostativo al suo riconoscimento, l’inadeguatezza del risarcimento versato in relazione al danno morale e di relazione patito dalla vittima, ma dovendo invece esprimere una rigorosa valutazione delle specifiche configurazioni assunte dal danno non patrimoniale in relazione alle concrete ripercussioni negative sulla vittima, in relazione alle quali commisurare la liquidazione equitativa (Sez. 3, 18483/2017).