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Consulta: divieto sulla valutazione delle circostanze in caso di recidiva reiterata

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Consulta: divieto sulla valutazione delle circostanze in caso di recidiva reiterata

La Corte Costituzionale fornisce uniformità interpretativa: nella valutazione di prevalenza tra circostanze attenuanti ed aggravanti fa scattare il divieto al giudice di prevalenza delle prime nei delitti con pena ergastolana sulla recidiva reiterata.
 

Corte Costituzionale sentenza n. 19944 del 18/04/23

La Corte d’Assise di Appello di Torino, sezione seconda, procedeva, in qualità di giudice di rinvio, nel procedimento penale nei riguardi di un soggetto e di un coimputato, a seguito di una sentenza con cui la Corte di Cassazione, seconda sezione penale, aveva annullato la decisione della Corte di Assise di Appello di Torino, sezione prima, limitatamente alla qualificazione di uno dei delitti contestati, di cui si riteneva di condurre nell’alveo della violazione, non dell’articolo 422 Codice Penale (Strage comune) – come erroneamente ritenuto – bensì dell’articolo 285 Codice Penale (Strage allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato); in tutti i termini proposti dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino sin dall’origine della contestazione del reato.
 

Punti dell’ordinanza di rimessione

La seconda sezione della Corte d’Assise di Appello di Torino aveva sollevato, con riferimento agli articoli 3, comma1, 25 comma2, 27 comma 3 Costituzione, questioni di legittimità dell’articolo 69 4 comma, Codice Penale, come modificato dall’articolo 3 della Legge 251 del 2005, nella parte in cui, in relazione al reato previsto e disciplinato dall’articolo 285 Codice Penale(Devastazione, saccheggio, strage), non consente al giudice di ritenere la circostanza attenuante di cui all’articolo 311 Codice Penale (diminuente-lieve entità fattuale) prevalente sulla recidiva prevista dall’articolo 99 4comma, Codice Penale.

Veniva affermato nell’atto che la disposizione censurata contrastava con l’articolo 3, comma 1 Costituzione, in riferimento alla violazione del principio di uguaglianza, in quanto determinerebbe l’applicazione della stessa pena dell’ergastolo a fatti ritenuti di rilevanza differente dal punto di vista penale, equiparando sul piano della sanzione, condotte che, seppur vanno ad aggredire gli stessi beni giuridici di cui nel quadro normativo, risultano sostanzialmente differenti con riguardo agli indici previsti dall’articolo 311 Codice Penale, per tenuità particolare del danno o del pericolo.

È presente, al contrario, un evidente contrasto con l’articolo 25, comma 2, Costituzione, per la violazione del principio di offensività. La norma che viene censurata impedisce al giudice di applicare la diminuzione della pena derivante dal bilanciamento circostanze di cui risulta prevalente l’attenuante prevista dall’articolo 311 Codice Penale, che di fatto, riequilibra la risposta sanzionatoria alla effettiva capacità offensiva della condotta criminosa se il fatto è di lieve entità, sempre valutando la natura, la specie, i mezzi e le modalità e circostanze dell’azione ovvero, per la particolare tenuità del danno o del pericolo – attribuendo rilevo esclusivo – e valutando in assoluta focalizzazione di importanza, sulla pericolosità dell’agente già intrinseca nella circostanza aggravante della recidiva reiterata.

Il contrasto evidenziato dal giudice a quo sarebbe tanto più evidente, in relazione alla fattispecie subjecta, in quanto il reato di cui all’articolo 285 Codice Penale è sanzionato unicamente con la pena dell’ergastolo, con la conseguenza che dalla natura fissa della sanzione ne discende l’assoluta impossibilità di qualunque adeguamento della pena all’ipotesi concreta che per l’effetto del divieto di prevalenza censurato, viene comminato solo e solamente l’ergastolo.

In ultima battuta, si riteneva come la disposizione oggetto di censura andrebbe in aperto contrasto anche con l’articolo 27 comma 3, Costituzione, poiché l’applicazione della pena fissa dell’ergastolo non consente di adottare una pena proporzionata ed equilibrata alla concreta condotta tenutasi dall’agente; precludendo la facoltà di garantire un trattamento sanzionatorio che tenda a rieducare il condannato.

 

La “definitoria soluzione” della Corte Costituzionale

Dopo un attento esame delle questioni preliminari addotte dall’Avvocatura dello Stato, considerando il tutto non meritevole di accoglimento, nell’esprimersi in merito veniva considerato nel quadro normativo di riferimento dove si innestavano questioni di legittimità costituzionale, che, in ordine al delitto di devastazione, saccheggio, strage, di cui all’articolo 285 Codice Penale, e la circostanza diminuente della “lieve entità fattuale” di cui all’articolo 311 Codice Penale, rimasti invariati dal codice penale del 1930 anche dopo la riforma introdotta dalla Legge 11 novembre 1947, 1317 (Modifiche al Codice penale nella parte dei delitti contro le istituzioni costituzionali dello Stato) al Libro II del Titolo I, Capi II, IV, e V del medesimo codice.

La fattispecie di cui all’articolo 285 Codice Penale punisce la condotta di “Chiunque, allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato, commette un fatto diretto a portare la devastazione, il saccheggio o la strage nel territorio dello Stato o in una parte di essoe stabilisce come pena edittale quella perpetua dell’ergastolo, come tale fissa, ovvero non graduabile quanto alla natura e durata.

Accanto alla fattispecie in esame – veniva fatto notare – nell’ambito dello stesso Titolo I, vengono punite con la pena edittale dell’ergastolo altre fattispecie di reato, in particolar modo le condotte di cui agli articoli

242 (Cittadino che porta le armi contro lo Stato italiano),

276(Attentato contro il Presidente della Repubblica),

284 (Insurrezione armata contro i poteri dello Stato) e

286 (Guerra civile).

Ed ancora, la pena fissa dell’ergastolo è prevista anche in rapporto al delitto di “Epidemia” di cui all’articolo 438 Codice Penale, fermo restando che, in riferimento diretto solo ai delitti contro la personalità dello Stato, il codice prevede la diminuente della lieve entità del fatto che, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 311 Codice Penale, ricorre quando: per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità”; in tale ipotesi, le pene che sono state comminate per i delitti indicati saranno diminuite mentre la diminuzione della pena, non essendo fissata nello specifico dalla disposizione che la prevede, risponde al criterio di cui all’articolo 65 Codice Penale, con la ovvia conseguenza che alla pena dell’ergastolo è sostituita la reclusione da venti a ventiquattro anni”.

Anticipando che il giudice costituzionale rilevava anche che la disposizione censurata è già contenuta nell’articolo 69 Codice Penale del regime del concorso delle circostanze aggravanti e diminuenti, considerava differenti ipotesi:

a) quando insieme concorrono circostanze aggravanti ed attenuanti, e le prime sono prevalenti su giudizio del giudice, non si tiene conto delle diminuzioni di pena ma, si fa da luogo solo agli aumenti predisposti per le aggravanti (1 comma);

b) se le attenuanti sono prevalenti, non si tiene conto degli aumenti di pena previsti da queste, ma solo delle diminuzioni delle attenuanti (2 comma);

c) se fra entrambe le circostanze il giudice ritiene che vi sia equivalenza, si applica la pena che sarebbe inflitta se non concorresse alcuna di dette circostanze (3 comma).

Secondo la Corte delle Leggi trattasi del comune bilanciamento delle circostanze rimesso al sindacato del giudice chiamato a dare un calibro alla pena in base alle specificità del caso concreto; bilanciamento nel quale un profilo del tutto particolarissimo tangono le circostanze attenuanti generiche per il fatto di essere atipiche, premesso cheessendo state inserite subitamente nel dopo guerra dall’articolo2 del decreto luogotenenziale 14 settembre 1944, 288 intitolato: “Provvedimenti relativi alla riforma della legislazione penale” – per dare mitezza in modo trasversale al rigore del codice “Rocco” del 1930 – hanno rilievo su presupposto caratteristico della discrezionalità estesa del giudice sulla valutazione resa tale da giustificare – qualora avvenisse – una diminuzione della pena.

Inoltre, viene rilevato come la regola generale del bilanciamento “circostanziale” sia stata modificata nella parte che da rilievo alle questioni sollevate dalla Legge 251 del 2005, che all’articolo 3 ha sostituito il 4 comma, dell’articolo in oggetto in tali termini: Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole, esclusi i casi previsti dall’articolo99, 4 comma, nonché dagli articoli 111 e 112, 1 comma N. 4, per cui vi è divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute aggravanti, ed a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato”.

Con ciò è stato introdotto il divieto di prevalenza delle attenuanti quando ricorre l’aggravante della recidiva reiterata.

Vi sono susseguite una ridda di modifiche sulla rigorosità dell’articolo 99Codice Penale (recidiva); investita nel corso storico di varie questioni di legittimità, la Corte Costituzionale con sentenza 192 del 2007 dichiarando tutte le questioni sollevate inammissibili per assenza sperimentale dell’interpretazione adeguatrice dei giudici remittenti, si osservava come le questioni si fondassero sul presupposto implicito che, con l’insorgere della Legge 251 del 2005, la recidiva reiterata era di fatto obbligatoria e non poteva escludersi per discrezionalità giudiziale –soprattutto sulla misura della pena – in correlazione delle specifiche del fatto concreto, ma tale, non era l’unica lettura da darsi.

La lettura indicata: la nuova formula normativa potrebbe essere letta anche nel diverso senso che l’indicativo presente “è” si riferisca, nella sua imperatività, esclusivamente alla misura dell’aumento di pena conseguente alla recidiva pluriaggravata e reiterata.

Nel comunicato pubblico del 18 aprile 2023, la Consulta: “in continuità con i plurimi e conformi propri precedenti sulla disposizione censurata, ha ritenuto tale norma costituzionalmente illegittima nella parte i cui vieta al giudice di considerare eventuali circostanze attenuanti come prevalenti sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’articolo 99 Codice Penale […]”; il giudice, d’ora in poi, è obbligato nel suo ufficio valutativo circostanziale, all’ordinario bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti previsto dai primi 3 commi dell’articolo 69 Codice Penale.

Per l’effetto, lo stesso giudice sarà appellato a valutare ipotesi dopo ipotesi – singolarmente prese e considerate – se – possibile evidenza condizionale quindi – applicare la pena ovvero fine pena mai; l’ergastolo, ovvero, laddove reputi senza dubbio prevalenti le circostanze attenuanti, una differente e specifica pena detentiva.

Dando specifico rilievo all’attenuante del vizio parziale di mente, la Corte ricorda che si tratta di una circostanza espressiva della “ridotta rimproverabilità soggettiva dell’autore; ridotta rimproverabilità che  può derivare, dal minore grado di discernimento circa il disvalore della propria condotta e dalla sua minore capacità di controllo dei propri impulsi, in ragione delle patologie o disturbi che lo affliggono”; questo il ragionamento da seguire non considerando quindi la pena dell’ergastolo per il vizio soggettivo della minorata capacità.

[…] il quantum di disvalore soggettivo su di un fatto criminoso, dipende in maniera determinante non solo dal contenuto della volontà criminosa (dolosa o colposa) e dal grado del dolo o della colpa, ma anche dalla eventuale presenza di fattori che hanno influito sul processo motivazionale dell’agente, rendendolo più o meno rimproverabile. Tra tutte le componenti – prosegue la Corte – posizione di spicco, proprio per la presenza di patologie o disturbi significativi della personalità (…) come quelli che la scienza medico-forense stima idonei a diminuire o “scemare grandemente”, pur senza escluderla totalmente, la capacità di intendere e di volere dell’autore del reato.

Il principio di proporzionalità della pena, desumibile dagli articoli 3 e 27, 3 comma Costituzione, esige (…) in via del tutto generale che “al minor grado di rimproverabilità soggettiva corrisponda una pena inferiore rispetto a quella che sarebbe applicabile a parità di disvalore oggettivo del fato (…)”.

Importantissima questa considerazione, poiché a fronte di essa – spiega la Corte – si vieta in modo assoluto al giudice di ritenere prevalente l’attenuante del vizio parziale di mente qualora accertato, in presenza dello specifico indicatore di maggiore colpevolezza e maggiore pericolosità del reo rappresentato dalla recidiva reiterata; laddove tale superiore colpevolezza si fonda, a sua volta, sull’assunto secondo cui normalmente merita un maggiore rimprovero chi non rinuncia alla commissione di nuovi e ulteriori reati, pur essendo già stato colpito e soggetto destinatario di un ammonizione specificata e personalizzata sul proprio dovere di osservare la legge penale, datogli con le antecedenti condanne penali.

Tale divieto pone un impedimento al giudice non permettendogli di stabilire, nei riguardi del semi-infermo di mente, una pena inferiore a quella che dovrebbe essere inflitta per un reato di pari gravità oggettiva, ma commesso da un soggetto che abbia agito con le piene capacità psichiche al momento commissivo, e può rispondere al rimprovero ammonendi, facendo dietro-front alla commissione del fatto criminoso-reato.

Il fulcro di tale via costituzionale non solo decisoria ma di indirizzo esegetico sulla valutazione delle circostanze di reato, è quella della illegittimità della norma in questione laddove essa opta per il divieto puro di prevalenza di “altrettante circostanze attenuanti particolarmente significative ai fini della determinazione della gravità concreta del reato”.

La Corte di legittimità inoltre afferma nuovamente in sentenza, che deroghe al regime ordinario del bilanciamento delle circostanze –così come disciplinato dall’articolo 69 Codice Penale – sono costituzionalmente ammissibili, e, rientrano nell’ambito delle scelte affidate alla discrezionalità del legiferante; risultano sindacabili solamente ove “trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio (vedi: decisione conforme n. 68, 2012 e n. 88 del 2019) non potendo, giungere in nessun caso a determinare un’alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti sulla struttura della responsabilità penale (sentenza n. 251/2012).

La Corte ribadisce l’ipotesi di illegittimità costituzionale dell’articolo de quo, nella parte in cui predisponeva il divieto di prevalenza di altrettante circostanze attenuanti particolarmente significative ai fini della determinazione della gravità concreta del reato (vedi testo sentenza punto 4.1).

Il remittente sottolinea che quasi sempre si è trattato di circostanze espressive di un minor disvalore del fatto dal punto di vista della sua dimensione offensiva; solamente una sentenza, ovvero la n. 74 del 2016, la dichiarazione di illegittimità ha invece preso di mira il divieto di prevalenza di una circostanza – l’essersi il reo, adoperato per evitare che il delitto di produzione e traffico di stupefacenti sia portato a conseguenze ulteriori – che intende al contrario premiare l’imputato per la condotta tenuta post delictum. Circostanza ritenuta comunque: “significativa, anche perché comporta il distacco dell’autore del reato dall’ambiente criminoso nel quale la sua attività in materia di stupefacenti era inserita e trovava alimento, e lo espone non di rado a pericolose ritorsioni, determinando così una situazione di fatto tale da indurre in molti casi un cambiamento di vita”.

Le questioni ad oggi esaminate concernono una circostanza attenuante espressiva non già – in punto oggettivo – di una minore offensività del fatto rispetto agli interessi protetti dalla norma penale, né di uno scopo premiale rispetto alle condotte mantenute dopo il delitto, quanto invece della ridotta rimproverabilità soggettiva dell’autore; rimproverabilità minore che deriva, qui, dal minore grado di discernimento sul disvalore della personale condotta e della minore capacità di controllo dei propri impulsi, in virtù delle proprie eziologie patologiche o disturbi che lo affliggono (e che devono essere tali, per espressa indicazione di legge, da “scemare grandementela sua capacità di intendere e di volere: articolo 89 Codice Penale.

Dunque, il principio della proporzionalità della pena rispetto al grado di gravità del reato, afferma dai tempi dei tempi la giurisprudenza di legittimità costituzionale – in lettura congiunta dei principi degli articoli 3 e 27 Costituzione esige in via generale, che la pena sia adeguatamente calibrata non solo in concreto al contenuto di offesa del fatto criminoso per gli interessi tutelati, ma anche al disvalore sul piano soggettivo espresso dal fatto stesso. Il quantum di disvalore soggettivo dipende in maniera determinante non solamente del contenuto pieno del volere criminoso doloso o colposo e della gradualità del dolo ovvero della colpa, ma pure della presenza – se esistente – di ogni fattore influente sul processo di motivazione che ha spinto il soggetto agente rendendolo più o meno rimproverabile.

Nel comunicato del 12 maggio 2023, reso pubblico dall’Ufficio Comunicazione e Stampa della Corte Costituzione, viene esattamente diffuso il messaggio interpretativo corretto sul bilanciamento delle circostanze e che: “Nel caso di reati puniti con la pena edittale dell’ergastolo è illegittimo il divieto per il giudice di ritenere prevalenti le circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata”.

Viene ribadita la non staticità né l’indefettibilità della pena dell’ergastolo per effetto del divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata; divieto introdotto nel 2005 come deroga alla regola di principio generale secondo cui il giudicante può eseguire l’ordinario bilanciamento delle circostanze attenuanti ed aggravanti.

Ciò è stabilito nella sentenza Costituzione n. 94, red. Giovanni Amoroso, depositata il 12 maggio 2023 e, anticipata, con il comunicato stampa del 18 aprile 2023, che, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 69, comma 4 Codice Penale, come modificato dalla Legge n. 251 del 2005, nella parte in cui, relativamente ai delitti puniti con la pena edittale dell’ergastolo, prevede il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata.

In continuità con tante pronunce prese in merito anche aventi discussioni su reati più gravi, spiega la Corte nel comunicato, non si è mutato il pensiero univoco sull’illegittimità del divieto de quo. Si tratta in sostanza di valutare tra circostanze attenuanti ed aggravanti e compararle al fine di stabilire se le prime possono essere, all’evenienza, ritenute prevalenti. In tali casi, la necessaria funzione di riportare equilibrio per quanto riguarda la pena da applicare su cui si concentra l’attenuante, è messa in discussione e compromessa dal divieto di prevalenza.

Tale constatazione vale a maggior effetto nel caso in cui la pena edittale è quella fissa dell’ergastolo, poiché la differenza è ancora più forte e palese di quella che sussiste nei reati ai quali si riferiscono le sentenze precedenti. Quando è presente una circostanza attenuante, l’ergastolo viene sostituito con la pena della reclusione da venti anni a ventiquattro anni, per cui la differenza che si pone è tra una pena perpetua, di durata indeterminata in quanto in previsione sine fine, e la reclusione, che dal canto suo è sempre a tempus, per cui con un termine finale.

 La pena “fissa” ed “indefettibile” dell’ergastolo, quale effetto del divieto di cui trattiamo, si presenta inoltre, in evidente contrasto con il principio di necessaria proporzionalità della sanzione. Il giudice deve essere messo nella posizione di graduare autonomamente la pena secondo la maggiore o minore offensività della condotta mantenuta effettivamente.

La Corte, concludendo, ha poi sottolineato che per effetto di codesta declaratoria di illegittimità costituzionale, il giudice, nel determinare il trattamento sanzionatorio nell’ipotesi di condanna dell’imputato di uno dei delitti punibili con la pena dell’ergastolo, aggravato dalla recidiva reiterata, non ha più il divieto previsto dalla norma suindicata e quindi può operare l’ordinario bilanciamento delle circostanze, come stabilito in via generale dal codice penale, per cui può ritenere che le attenuanti siano prevalenti sulla recidiva reiterata e di conseguenza non irrogare l’ergastolo; ma rimane che la suddetta pena può essere inflitta laddove il giudice valuti che, invece, le circostanze attenuanti non risultino prevalenti su di essa.

Da ciò quindi, in ipotesi di recidiva reiterata, la pena dell’ergastolo non rimane più “fissa” ed “indefettibile”, ma non è esclusa.