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Art. 240 - Confisca

1. Nel caso di condanna, il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose, che ne sono il prodotto o il profitto.

2. È sempre ordinata la confisca:

1) delle cose che costituiscono il prezzo del reato;

1-bis) dei beni e degli strumenti informatici o telematici che risultino essere stati in tutto o in parte utilizzati per la commissione dei reati di cui agli articoli 615-ter, 615-quater, 615-quinquies, 617-bis, 617-ter, 617-quater, 617-quinquies, 617-sexies, 635-bis, 635-ter, 635-quater, 635-quinquies, 640-ter e 640-quinquies nonché dei beni che ne costituiscono il profitto o il prodotto ovvero di somme di denaro, beni o altre utilità di cui il colpevole ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale profitto o prodotto, se non è possibile eseguire la confisca del profitto o del prodotto diretti (1);

2) delle cose, la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna.

3. Le disposizioni della prima parte e dei numeri 1 e 1-bis del capoverso precedente non si applicano se la cosa o il bene o lo strumento informatico o telematico appartiene a persona estranea al reato. La disposizione del numero 1-bis del capoverso precedente si applica anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale (2).

4. La disposizione del n. 2 non si applica se la cosa appartiene a persona estranea al reato e la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa.

(1) Numero inserito dall’art. 1, comma 1, lett. a), L. 12/2012 e, successivamente, così modificato dall’art. 2, comma 1, lett. a), DLGS 202/2016.

(2) Il comma che recitava: "Le disposizioni della prima parte e del n. 1 del capoverso precedente non si applicano se la cosa appartiene a persona estranea al reato" è stato così sostituito dalla L. 12/2012.

Rassegna di giurisprudenza

Confisca a seguito di "condanna in senso sostanziale" seguita da proscioglimento per prescrizione

Quesito rimesso alle Sezioni unite: se la confisca facoltativa citata presupponga o meno un giudicato formale di condanna o, piuttosto, se la stessa possa semplicemente accedere ad un completo accertamento da parte del giudice del merito in ordine al profilo soggettivo e oggettivo del reato di riferimento, accertamento che può essere ribadito anche in una sentenza di proscioglimento per prescrizione (Sez. 5, 7881/2020). In esito alla camera di consiglio del 30 gennaio 2020, le Sezioni unite hanno diramato la seguente informazione provvisoria: la risposta è affermativa, fermo restando che, ove la prescrizione maturi nel corso del giudizio di primo grado, il disposto dell’art. 129, comma 1, CPP, non consente la prosecuzione dello stesso ai fini di disporre la confisca.

Quesito rimesso alle Sezioni unite: se, in caso di declaratoria di estinzione per prescrizione del reato di lottizzazione abusiva, sia consentito l’annullamento con rinvio limitatamente alla statuizione sulla confisca ai fini della valutazione da parte del giudice di rinvio della proporzionalità della misura, secondo il principio indicato dalla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’uomo 28 giugno 2018 G.I.E.M. srl e altri c. Italia (Sez. 3, 40380/2019).

Le Sezioni unite hanno così risposto al predetto quesito: La confisca di cui all’art. 44 DPR 380/2001 può essere disposta anche in presenza di un causa estintiva determinata dalla prescrizione del reato purché sia stata accertata la sussistenza della lottizzazione abusiva sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell’ambito di un giudizio che abbia assicurato il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, fermo restando che, una volta intervenuta detta causa, il giudizio non può, in applicazione dell’art. 129 c.1 c.p.p., proseguire al solo fine di compiere il predetto accertamento. In caso di declaratoria, all’esito del giudizio di impugnazione, di estinzione del reato di lottizzazione abusive per prescrizione, il giudice di appello e la Corte di Cassazione sono tenuti, in applicazione dell’art. 578-bis c.p.p., a decidere sull’impugnazione agli effetti della confisca di cui all’art. 44 DPR 380/2001 (SU, 13539/2020).

Il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può disporre, a norma dell’art. 240, comma secondo, n. 1, la confisca del prezzo e, ai sensi dell’art. 322-ter, la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato a condizione che vi sia stata una precedente pronuncia di condanna e che l’accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell’imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto rimanga inalterato nel merito nei successivi gradi di giudizio (SU, 31617/2015).

Riguardo alla possibilità di una confisca conseguente a una pronuncia di estinzione del reato, si sono susseguite plurime decisioni di legittimità, non sempre concordanti, ed importanti interventi delle Sezioni unite, cui converrà pur sinteticamente riferirsi. Il fondamentale principio risale a SU, 5/1993, per cui seppure la declaratoria di estinzione non sia astrattamente incompatibile con la misura di sicurezza patrimoniale, in forza del combinato disposto degli artt. 210 e 236, comma secondo – il provvedimento ablativo può in tal caso essere adottato solo quando, con riguardo alle previsioni di cui all’art. 240 (o a disposizioni speciali), la sua applicazione non presupponga la condanna, e possa aver luogo anche in seguito al proscioglimento.

Nella stessa pronuncia si sottolinea anche che la confisca, da disporsi nel caso di proscioglimento, costituisce una misura limite, che deve essere prevista dalla legge in termini non equivoci, come avviene nei casi in cui si sia a cospetto delle cose obiettivamente criminose (di cui sono vietati in modo assoluto la fabbricazione, l’uso, la detenzione, il porto o l’alienazione) previste dall’art. 240, secondo comma, n. 2, che difatti la impone, salvo che sia esclusa la materialità del fatto, «anche se non è stata pronunciata condanna»; ipotesi espressamente richiamata, in relazione a tutti i reati concernenti le armi, ogni altro oggetto atto ad offendere, nonché le munizioni e gli esplosivi, dall’art. 6 L. 152/1975, che costituisce altro esempio paradigmatico di una confisca di tal genere.

Fuori dei casi espressamente previsti, per contro, l’estinzione del reato, per qualunque causa, preclude la confisca, a prescindere dalla sua connotazione come obbligatoria o facoltativa, giacché l’impiego dell’avverbio «sempre», che normalmente figura nella proposizione normativa che istituisce le confische del secondo genere, serve ad eliminare ogni discrezionalità nell’applicazione della misura, e a consentirne l’adozione anche in sede di esecuzione, me non sta a significare che essa debba essere disposta anche nel caso di proscioglimento.

Quest’ultimo principio è stato ribadito  con specifico riferimento a fattispecie di confisca obbligatoria (nella specie costituita dal «prezzo» del reato), e nel contesto di un’estinzione del reato dovuta a prescrizione – dalle SU, 38834/2008. La pronuncia manifesta comunque una qualche «aperura» rispetto al precedente arresto  nella parte in cui questo spendeva l’ulteriore argomento secondo cui, per disporre la confisca nel caso di estinzione del reato, il giudice avrebbe dovuto svolgere accertamenti che lo avrebbero portato a superare i limiti della cognizione connaturata alla particolare situazione processuale  sottolineando invero come la legge processuale preveda ampi poteri di accertamento in capo al giudice che rilevi la sussistenza di una causa estintiva del reato; come testimoniato dall’art. 578 CPP, che affida al giudice dell’impugnazione, che dichiari estinto il reato per amnistia o per prescrizione, la cognizione del capo inerente gli interessi civili della sentenza riformata o annullata, ovvero dall’art. 425, comma 4, CPP, circa la possibilità di disporre la confisca in sede di sentenza di non luogo a procedere.

Nella stessa prospettiva le Sezioni unite sottolineano come esistano fattispecie di confisca obbligatoria, previste da leggi speciali (l’art. 44, comma 2, DPR 380/2001, in materia di lottizzazione abusiva di terreni, o l’art. 301 DPR 43/1973, in materia di contrabbando), interpretate dalla giurisprudenza di legittimità, pur in assenza di esplicita previsione, come altrettante ipotesi di «confisca senza condanna», con il solo limite del riscontro della materialità del fatto che dunque il giudice è abilitato, pur prosciogliendo, a compiere.

Da ultimo, SU, 31617/2015  nel quadro di un’ampia ricognizione del quadro normativo e giurisprudenziale, anche di rango costituzionale e sovranazionale, e dopo aver motivatamente escluso che la confisca del «prezzo» del reato (a norma dell’art. 240, secondo comma, n. 1), o la confisca «diretta» del «prezzo» o del «profitto» (ove obbligatoria, come nei casi previsti dall’art. 322-ter), si atteggi alla stregua di una pena  ha affermato il principio per cui tali misure ablative, dalla natura cautelare, perché pur sempre collegate alla pericolosità della res e tendenti a prevenire la reiterazione criminosa, non presuppongano un giudicato formale di condanna, quale unica fonte idonea a fungere da titolo che le legittimi.

Ciò che risulta «convenzionalmente imposto», alla luce della pronuncia della Corte EDU 29 ottobre 2013, Varvara c. Italia, e «costituzionalmente compatibile», in ragione delle linee-guida tracciate dalla Corte costituzionale, in particolare nella sentenza 49/2015, è che la responsabilità del destinatario della misura reale sia stata nel processo accertata, in modo non meramente incidentale, anche se il processo stesso sia stato definito con una declaratoria di estinzione del reato per prescrizione; il che si verifica, propriamente, allorché il giudice dell’impugnazione dichiari una tale estinzione, a condizione che vi sia stata una precedente pronuncia di condanna e che l’accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell’imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come «prezzo» o «profitto» sia rimasto inalterato nel merito in tale successivo grado.

Allo stato, dunque, la giurisprudenza di legittimità, quale espressa dal suo più alto consesso, pur in evoluzione, riflette il principio per cui la confisca pertinenziale  prevista dall’art. 240, o da disposizioni speciali  sia strettamente correlata alla pronuncia irrevocabile di condanna. Tale principio, fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, può essere derogato solo a fronte di un accertamento di responsabilità intervenuto nel corso del processo, non a titolo meramente incidentale ma consacrato da una sentenza almeno di primo grado, dopo la quale sia maturata la prescrizione del reato. La deroga, inoltre, si riferisce ai soli casi di confisca per legge obbligatoria, in cui la «pericolosità» della cosa sussiste in re ipsa (Sez. 1, 9983/2018).

Nel dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, il giudice non può disporre, atteso il suo carattere afflittivo e sanzionatorio, la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo o il profitto (Sez. 5, 43570/2019).

Il proscioglimento per intervenuta prescrizione maturato nel corso del processo non osta, sulla base di una lettura costituzionalmente (Corte costituzionale, sentenza 49/2015) e convenzionalmente orientata, alla confisca del bene oggetto di lottizzazione abusiva, a condizione che il suddetto reato venga accertato, con adeguata motivazione, nei suoi elementi oggettivo e soggettivo, posto che l’obbligo di accertamento imposto al giudice per l’adozione del provvedimento ablativo prevale su quello generale della immediata declaratoria della causa di non punibilità, ex art. 129 CPP (Sez. 3, 53692/2017; Sez. 3, 15126/2018).

Ne consegue che, in presenza di detta causa estintiva del reato, il giudice del dibattimento non ha l’obbligo di dichiararla immediatamente ex art. 129 CPP, ma deve procedere al necessario accertamento del reato nelle sue componenti, oggettive e soggettive, assicurando alla difesa il più ampio diritto alla prova e al contraddittorio, e a tal fine, pur in presenza della sopravvenuta prescrizione, deve proseguire l’istruttoria dibattimentale (Sez. 3, 43630/2018): il giudizio deve dunque proseguire, pur a seguito della estinzione per prescrizione del reato, al fine esclusivo dell’accertamento della legittimità della confisca, e il parametro di giudizio e la conseguente completezza dell’istruttoria non subiscono modifiche rispetto a quanto necessario per giungere a una sentenza di condanna, posto che deve essere accertata la configurabilità del reato di lottizzazione abusiva al momento dell’esercizio dell’azione penale (Sez. 3, 35313/2016).

Tali criteri ermeneutici sono stati recepiti dal legislatore, mediante l’introduzione dell’art. 578-bis CPP (inserito dall’art. 6, comma 4, DLGS 21/2018, sulla riserva di codice), rubricato "Decisione sulla confisca in casi particolari nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione", in base al quale "Quando è stata ordinata la confisca in casi particolari prevista dal primo comma dell’articolo 240-bis del codice penale e da altre disposizioni di legge, il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato", così codificando il suddetto principio di creazione giurisprudenziale, secondo il quale può disporsi la confisca anche nel caso di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, a condizione che sia compiutamente accertata la configurabilità del reato in tutti i suoi elementi costitutivi, sulla base del medesimo standard probatorio richiesto per la pronuncia della sentenza di condanna.

Tale quadro interpretativo non è mutato, per quanto riguarda il caso in esame, nel quale la confisca è stata disposta nei confronti di soggetti che hanno partecipato al processo e a seguito dell’accertamento da parte del primo giudice della loro responsabilità, per effetto della pronuncia resa dalla Grande Camera della Corte EDU il 28 giugno 2018, nella causa G.I.E.M. SRL e altri c. Italia, con la quale sono stati affrontati plurimi profili collegati ai rapporti tra la confisca urbanistica e la sopravvenuta prescrizione del reato. Per quanto rileva nel caso in esame la Corte EDU ha chiarito che i principi di legalità e colpevolezza, contemplati dall’art. 7 CEDU, nonché la presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 6 § 2, non consentono che la confisca venga disposta in assenza di un sostanziale dichiarazione di responsabilità, pur se adottata in mancanza della pronuncia di una formale sentenza di condanna.

Ferma restando l’imprescindibile necessità di garantire il diritto di difesa nella sua massima esplicazione e secondo i parametri di cui all’art. 6 CEDU, la Corte ha affermato che «qualora i tribunali investiti constatino che sussistono tutti gli elementi del reato di lottizzazione abusiva pur pervenendo a un non luogo a procedere, soltanto a causa della prescrizione, tali constatazioni, in sostanza, costituiscono una condanna nel senso dell’articolo 7, che in questo caso non è violato» (§261). Ne consegue che la compatibilità tra la confisca urbanistica e la pronuncia di una sentenza di prescrizione è, in astratto, pienamente conforme ai principi convenzionali, dovendosi invece appuntare l’attenzione sul dato sostanziale dell’avvenuto accertamento dell’esistenza del reato e della colpevolezza dell’imputato, attuando tutte le garanzie proprie della natura penale della sanzione irrogata.

È dunque possibile disporre la confisca urbanistica anche in caso di sentenza di prescrizione, ma la decisione sulla confisca  proprio perché in ottica convenzionale integra una decisione sanzionatoria di tipo penale  deve necessariamente essere adottata secondo standard probatori e con il rispetto delle garanzie proprie delle pronunce formali di condanna (Sez. 3, 5936/2019).

 

Profitto del reato

Nei casi di cui all'art. 73, comma 4 d.P.R. 309/90, la confisca del denaro trovato in possesso dell'imputato può essere adottata o ai sensi dell'art. 240, comma 1, c.p., per le somme che costituiscono il prodotto o il profitto del reato, con adeguata motivazione attraverso la quale il giudice dia conto della sussistenza di un nesso di pertinenzialità tra quanto detenuto e il reato per il quale si procede o può essere disposta la cd. confisca allargata o di sproporzione, ai sensi dell'art. 240-bis c.p., cui rinvia l'art. 85-bis d.P.R. 309/1990. Anche in tal caso il giudice deve dare adeguatamente conto della sussistenza dei requisiti della sproporzione e della mancanza di prova della provenienza lecita del denaro trovato in possesso dell'imputato. (Fattispecie nella quale, secondo la Suprema Corte, il giudice del merito aveva giustificato la confisca con l'affermazione che si trattasse di "provento" del reato, in assenza di allegazioni idonee a giustificarne la provenienza e, dunque, con affermazioni del tutto generiche, sia perché si era in presenza di un'accertata condotta di detenzione a fini di cessione e non venivano enunciati elementi per ritenere sussistente una pregressa condotta di spaccio, sia perché la somma detenuta aveva un valore del tutto trascurabile ed era oggettivamente inidonea a fondare il giudizio che si trattasse di somma sproporzionata rispetto alle condizioni dell’imputato) (Sez. 6, 1214/2022).

Qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca viene eseguita, in ragione della natura del bene, mediante l’ablazione del denaro, comunque rinvenuto nel patrimonio del soggetto, che rappresenti l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario da quest’ultimo conseguito per effetto del reato; tale confisca deve essere qualificata come confisca diretta, e non per equivalente, e non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o la prova dell’origine lecita del numerario oggetto di ablazione (SU, 42415/2021).

Nelle ipotesi di confisca - misura di sicurezza, l’oggetto del sequestro in via diretta può essere costituito solo dalla parte di profitto effettivamente conseguita dal singolo indagato giacché il concorso nel reato o la partecipazione ad un reato associativo non vale a mutare la natura e la finalità della confisca in via diretta, che è una misura di sicurezza destinata a colpire il profitto individuato nel patrimonio di colui che lo ha materialmente conseguito (Sez. 5, 9817/2021).

Il profitto del reato oggetto della confisca si identifica con il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato presupposto, e che però, nel caso in cui l’illecito sia stato consumato nell’ambito di un rapporto sinallagmatico lecito, non può essere considerato tale anche l’utilità eventualmente conseguita dal danneggiato in ragione dell’esecuzione delle prestazioni che quel contratto impone: e ciò perché, si è spiegato, se nella ricostruzione della nozione di profitto non può farsi ricorso a parametri valutativi di tipo aziendalistico, tale nozione non può essere dilatata fino a determinare un’irragionevole e sostanziale duplicazione della nelle ipotesi in cui l’agente, adempiendo ad un contratto pone in essere un’attività i cui risultati economici non possono essere posti in collegamento diretto ed immediato con il reato (in questo, anche se con specifico riferimento alla particolare forma di confisca prevista dall’art. 19 DLGS 231/2001, SU, 26654/2008). Da tale enunciazione si è coerentemente dedotto che, al contrario, ai fini dell’adozione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca, la nozione di profitto del reato coincide con il complesso dei vantaggi economici tratti dall’illecito se a questi strettamente pertinenti, senza che possano essere sottratti i costi sostenuti per la commissione del reato (Sez. 6, 6816/2019).

Il profitto del reato si identifica con il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito (SU, 31617/2015).

Allorquando il profitto "diretto" del reato venga reimpiegato mediante acquisizione di beni diversi dal denaro o dai beni originariamente conseguiti, non è possibile disporre la confisca diretta, ai sensi dell’art. 240, salvo che l’impiego del denaro sia causalmente collegabile al reato e sia soggettivamente attribuibile all’autore di quest’ultimo (SU, 10280/2008).

Con la restituzione alla persona offesa delle somme costituenti il profitto del reato viene meno sia l’oggetto sul quale dovrebbe cadere la confisca sia lo stesso scopo dell’istituto della confisca, che è quello di impedire che l’impiego economico dei beni di provenienza delittuosa possa consentire al colpevole di garantirsi il vantaggio cui mirava il suo disegno criminoso. Ne consegue, una volta che l’imputato ha  restituito alla persona offesa le somme che costituiscono il profitto del reato, che il giudice non può disporre la confisca di altra somma corrispondente a tale profitto, che costituirebbe una inammissibile duplicazione sanzionatoria a carico del reo (Sez. 2, 23362/2020).

 

Sequestro preventivo finalizzato alla confisca

In tema di misure cautelari reali, non è necessario valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico della persona nei cui confronti viene disposta la misura e che i gravi indizi di colpevolezza che giustificano una misura cautelare personale sono cosa diversa dal fumus commissi delicti a fondamento del sequestro preventivo, concernendo, quest’ultimo, la pertinenza del bene al reato e l’astratta sussumibilità in una determinata ipotesi di reato dei fatti contestati, indipendentemente dalla loro riferibilità soggettiva (Sez. 2, 948/2019).

La misura cautelare reale di cui all’art. 321, comma 2, CPP si distingue da quella del comma primo perché non richiede il pericolo che la libera disponibilità della cosa possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato ovvero agevolare la commissione di altri reati; ciò, tuttavia, non consente di ignorare la rilevanza del termine "può" che si legge nella norma in esame e di escludere che esso vada riempito di significato laddove ci si trovi di fronte a beni suscettibili di confisca facoltativa e non già di confisca obbligatoria o per equivalente (Sez. 5, 2308/2018).

L’esercizio del potere discrezionale che testualmente il codice di rito attribuisce al giudice, infatti, non può avere altro significato che quello tracciato dai precedenti evocati nell’ordinanza impugnata laddove, di fronte alla qualificazione di un bene come profitto del reato e, quindi, di cosa suscettibile di confisca facoltativa ex art 240, comma 1, ha individuato il parametro su cui il margine di discrezionalità del giudicante può spaziare nel pericolo che il bene sfugga alla futura ablazione.

D’altra parte, salvo voler tradire la natura cautelare del sequestro preventivo finalizzato alla confisca facoltativa  così cedendo ad un automatismo nonostante vi sia solo l’eventualità che il bene debba essere definitivamente sottratto all’avente diritto  esso deve avere il compito di vincolare il bene in vista della scelta, futura ed eventuale, di disporne l’ablazione definitiva e tale potere deve essere esercitato in termini di ragionevolezza. Tale ragionevolezza si rinviene, appunto, nell’esercizio del potere di sottrarlo in via anticipata al titolare solo laddove vi sia un pericolo di sottrazione o dispersione (Sez. 5, 6562/2019).

Il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice; non rientra, invece, nella nozione di violazione di legge l’illogicità manifesta, che può denunciarsi in sede di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606, comma 1 lett. e), CPP.

In ogni caso, la verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare da parte del TDR o della corte di cassazione non può tradursi in un’anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità della persona sottoposta ad indagini in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale, rimanendo preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza ed alla gravità degli stessi.

Sebbene nel sequestro preventivo, la verifica del giudice del riesame non debba tradursi nel sindacato sulla concreta fondatezza dell’accusa, è necessario tuttavia che la stessa si spinga ad accertare la possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato: pertanto, ai fini dell’individuazione del "fumus commissi delicti", non è sufficiente la mera "postulazione" dell’esistenza del reato, da parte del pubblico ministero, in quanto il giudice, nella motivazione dell’ordinanza, deve rappresentare le concrete risultanze processuali e la situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, che dimostra indiziariamente la congruenza dell’ipotesi di reato prospettata (o ritenuta) rispetto ai fatti cui si riferisce la misura cautelare reale (Sez. 2, 4434/2019).

 

Confisca facoltativa

Ai fini della confisca di un’autovettura utilizzata per il trasporto della droga, ai sensi del comma primo dell'art. 240, è necessario non il semplice impiego per tale uso ma un collegamento stabile con l'attività criminosa che esprima con essa un rapporto funzionale, evincibile, ad esempio, da modifiche strutturali apportate al veicolo o, comunque, dal costante inserimento di esso nell'organizzazione esecutiva del reato (Sez. 4, 37576/2020).

Anche in sede di patteggiamento la confisca facoltativa dei beni può essere disposta soltanto nei casi in cui il giudice non soltanto evidenzi la sussistenza di un rapporto di asservimento del bene rispetto al reato ma riscontri, motivatamente, anche la circostanza che il reo, secondo l'id quod plerumque accidit, reitererebbe l'attività punibile se restasse nel possesso di detto bene, in quanto la misura, per la sua natura cautelare, tende a prevenire la commissione di nuovi reati (Sez. 4, 31558/2020).

La confisca facoltativa prevista dall’art. 240 comma 1 è legittima quando sia dimostrata una relazione di asservimento tra cosa e reato, dovendo la prima essere collegata al secondo non da un rapporto di mera occasionalità, ma da uno stretto nesso strumentale, rivelatore dell’effettiva probabilità del ripetersi di un’attività punibile. La confisca, deve, quindi, avere ad oggetto le cose direttamente riferibili al fatto di reato ed eziologicamente collegate, in maniera diretta ed essenziale, al reato commesso (Sez. 6, 2018/2019).

In tema di confisca facoltativa non è sufficiente motivare il provvedimento che la dispone affermando che il bene è servito per commettere il reato, alla luce della natura cautelare della stessa che tende a prevenire la commissione di nuovi reati (nella specie, si è ritenuto inadeguata ed insufficiente la motivazione con cui i giudici avevano disposto la confisca di un automezzo utilizzato per il trasporto abusivo di rifiuti, limitandosi ad affermare che trattavasi di bene di pertinenza del reato) Sez. 3, 30133/2017).

 

Confisca obbligatoria

La misura di sicurezza della confisca, unitamente al versamento presso i competenti uffici di artiglieria dell'esercito italiano, al fine di evitare il riciclaggio delle armi sequestrate, è imposta per tutti i reati, anche contravvenzionali, concernenti le armi ed ogni altro oggetto atto ad offendere, dalla norma dell'art. 6 co. 1 della legge nr. 110/75, che richiama il primo comma dell'art. 240 c.p. riguardando la sola imposizione dell'obbligatorietà della confisca per tutti i reati aventi ad oggetto le armi e non l'intera previsione normativa contenuta nel predetto comma secondo, con la conseguenza che tutti i materiali indicati nell'art. 6 cit. devono considerarsi aggiunti all'elenco delle cose confiscabili di cui alla suddetta norma codicistica a prescindere dalla loro intrinseca criminosità, avendo il legislatore, con la norma speciale posta a tutela dell'ordine pubblico, inteso derogare, limitatamente alle armi, alla disciplina ordinaria in tema di confisca (La Corte ha anche precisato, operando un richiamo a numerosi precedenti giurisprudenziali, che la confisca deve applicarsi anche in caso di declaratoria di estinzione del reato, restando esclusa soltanto in caso di assoluzione nel merito per insussistenza del reato, oppure di appartenenza a persona estranea al reato, se legalmente detenuta) (Sez. 1, 15860/2022).

Le cose che soggiacciono a confisca obbligatoria non possono essere restituite in nessun caso all’interessato, anche quando siano state sequestrate dalla PG di propria iniziativa e per finalità esclusivamente probatorie poiché l’art. 324 CPP, nel disciplinare il procedimento di riesame delle misure cautelari reali, stabilisce al comma settimo, che la revoca del provvedimento di sequestro non può essere disposta nei casi indicati dall’art. 240, secondo comma, e tale norma è espressamente richiamata dall’art. 355, comma terzo, CPP, in materia di sequestro probatorio (Sez. 3, 2233/2019).

La previsione di cui all’art. 324, comma settimo, CPP - che statuisce il divieto di restituzione delle cose sottoposte a confisca obbligatoria - si riferisce non solo alla confisca obbligatoria di cui alla norma "generale" portata dall’art. 240, comma secondo, ma anche alle ipotesi particolari di confisca obbligatoria e, pertanto, anche alla confisca obbligatoria ex art. 12-sexies L. 356/1992 (Sez. 2, 16523/2017).

 

Oggetto della confisca

Seguendo l’impostazione esegetica adottata in materia dalle Sezioni unite, va senz’altro ribadito che esiste una netta differenza tra la confisca diretta e la confisca di valore (o per equivalente), che risiede proprio nel nesso di derivazione qualificata dal reato, nel senso che, nel primo caso, quel rapporto di derivazione fa sì che l’autore del reato venga privato del bene, fisicamente individuabile, che rappresenta il "beneficio" diretto dell’illecito, laddove nel secondo caso, non potendo essere disposta la confisca diretta, l’agente viene privato di beni nella sua disponibilità economica che, senza alcuna pertinenzialità con il reato, abbiano valore pari al prezzo o al profitto dell’illecito.

Tuttavia, per le Sezioni unite il discorso si pone in termini peculiari laddove il profitto o il prezzo del reato sia costituto da una somma di denaro, dunque da un bene che perde la sua identificabilità fisica e che, per la sua fungibilità, si confonde con le altre disponibilità economiche dell’agente: sicché, non potendo, in genere, individuare nella sua materialità proprio il bene destinato alla confisca diretta, è sufficiente constatare che il patrimonio dell’interessato si sia accresciuto in misura pari a quell’importo.

Con la conseguenza, si è detto, che in tali ipotesi l’ablazione di somme di denaro depositate su un conto corrente bancario deve sempre essere qualificata come confisca diretta, indipendentemente da una previa verifica di una diretta pertinenzialità con il reato: prescindendo dalla prova che proprio quella somma di denaro sia stata versata sul conto e indipendentemente dai movimenti effettuati sul conto, ciò che conta è che si sia accresciuto il numerano nella disponibilità economica del reo (in questo senso SU, 31617/2015) (Sez. 6, 6816/2019).

Laddove il profitto del reato sia costituito da denaro non più fisicamente identificabile - è sempre legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta, senza che sia necessaria la dimostrazione del nesso di derivazione dal reato, delle somme di denaro di valore corrispondente che siano attribuibili all’indagato, cioè che siano presenti sui conti o sui depositi nella disponibilità diretta o indiretta dell’indagato al momento della commissione del reato ovvero al momento del suo accertamento; la medesima forma di sequestro è legittima anche sulle somme di valore corrispondente accreditate su quei conti o su quei depositi in epoca posteriore al momento della commissione o dell’accertamento del reato, purché si tratti di numerario che risulti dimostrato essere in qualche modo collegabile al reato, perciò allo stesso legato da un rapporto di derivazione anche indiretta (Sez. 6, 6816/2019).

È ben possibile il sequestro ai fini di confisca di somme di denaro rinvenute nel patrimonio di una persona giuridica laddove, risulti provato che la persona giuridica sia entità tutt’altro che estranea ai reati prospettati, in quanto costituente un mero "schermo" per le attività direttamente riferibili all’indagata, legale rappresentante della società medesima (Sez. 3, 6205/2014).

 

Posizione dei terzi titolari di diritti sui beni confiscati

In caso di confisca disposta con sentenza irrevocabile, i terzi che vantino diritti sul bene oggetto di ablazione e non siano stati parti del giudizio di cognizione possono far valere le loro pretese attraverso lo strumento dell’incidente di esecuzione (Sez. 1, 32418/2016 e, sia pure implicitamente, SU, 48126/2017).

La trattazione in sede esecutiva della pretesa restitutoria da parte del terzo è tesa a realizzare un «riequilibrio di sistema» finalizzato a valorizzare il contraddittorio e le facoltà partecipative accordando al soggetto terzo - sul piano della scansione procedimentale e quale minima contropartita, anche in chiave di costituzionalità, rispetto all’assenza di diritti partecipativi al giudizio penale di merito - la particolare tutela derivante dalla articolata sequenza di cui agli artt. 676 e 667 comma 4 CPP, con prima valutazione de plano e seconda valutazione, sempre nel merito, in contraddittorio (art. 666 CPP) lì dove venga proposta opposizione (Sez. 1, 32418/2016).

In tema di misure di sicurezza patrimoniali, l’ordine di confisca contenuto in una sentenza irrevocabile di condanna fa stato esclusivamente inter partes; pertanto, quando il provvedimento risulta disposto illegittimamente sussistendo la causa impeditiva prevista dall’art. 240 comma terzo, il soggetto rimasto estraneo al procedimento penale, al quale la cosa confiscata appartiene, può chiedere - attivando, appunto, l’incidente di esecuzione - di invalidare quel capo della sentenza ed ottenere, previa dimostrazione della sussistenza del diritto di proprietà e l’assenza di ogni addebito di negligenza, la revoca della misura di sicurezza inflitta all’imputato condannato (Sez. 5, 15394/2014). È opportuno chiarire quali siano i presupposti per la legittimazione ad impugnare un sequestro preventivo da parte di "chi avrebbe diritto alla restituzione" dei beni sequestrati.

La giurisprudenza di legittimità è consolidata nel ritenere che le condizioni che legittimano un terzo a presentare richiesta di riesame del titolo cautelare sono le seguenti: a) un interesse concreto ed attuale alla proposizione del gravame che, dovendo corrispondere al risultato tipizzato dall’ordinamento per lo specifico schema procedimentale, va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro; b) la relazione con la cosa che sostenga la pretesa del ricorrente alla cessazione del vincolo (ossia l’interesse concreto ed attuale ad agire), va individuata non in una qualunque forma di interesse alla restituzione, ma solo in quella posizione giuridica autonomamente tutelabile e coincidente quindi con un diritto soggettivo (reale o anche solo personale) o anche con una situazione di mero rapporto di fatto tuttavia tutelato (ad esempio il possesso): ciò emerge dalla lettera della suddetta norma che espressamente parla di diritto alla restituzione nonché dalla riserva al giudice civile prevista dall’art. 324, comma ottavo, CPP; c) ove il terzo assuma di essere completamente estraneo al reato sulla base del quale il sequestro è stato ordinato, e, quindi, di essere "persona estranea al reato", in danno della quale non possono essere confiscate cose o beni ad essa appartenenti ai sensi dell’art. 240, egli non deve avere concorso alla commissione del reato, né aver tratto vantaggio dall’altrui attività criminosa, avendo sempre serbato una condotta in buona fede non potendo conoscere  con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta  l’utilizzo del bene per fini illeciti; d) il terzo che si dichiari estraneo al reato ed affermi di avere diritto alla restituzione della cosa sequestrata non può contestare l’esistenza dei presupposti della misura cautelare, potendo unicamente dedurre la propria effettiva titolarità o disponibilità del bene sequestrato e l’inesistenza di relazioni di collegamento concorsuale con l’indagato (Sez. 2, 4424/2019).

Va registrato un conflitto interpretativo sul regime di impugnazione dei provvedimenti con cui il GE, nel respingere in sede di opposizione la richiesta avanzata da un terzo estraneo volta ad ottenere la restituzione dei beni confiscati con sentenza irrevocabile, rimetta gli atti al giudice civile. Secondo un orientamento, invero espresso in un’unica pronuncia, il provvedimento emesso ai sensi dell’art. 263, comma 3, CPP dal giudice penale quale GE è impugnabile con ricorso per cassazione «quando, in relazione ad un procedimento ormai definito, rigetta la richiesta di restituzione di beni sequestrati e rimette le parti dinanzi al giudice civile per la risoluzione della questione sulla proprietà, in assenza di lite pendente davanti a quest’ultimo, atteso che, in tale ipotesi, in ragione dell’impossibilità per l’interessato di ricevere "aliunde" tutela da parte dell’autorità giudiziaria, deve escludersi la natura interlocutoria della decisione» (Sez. 1, 23333/2014).

Secondo altro orientamento, nettamente maggioritario (da ultimo Sez. 1, 31088/2018), il provvedimento con cui il GE, investito dell’opposizione avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di restituzione di beni sequestrati, rimette le parti dinanzi al giudice civile per la risoluzione della questione sulla proprietà, è inoppugnabile «in quanto esso non ha contenuto decisorio, né formale, né sostanziale, ma ha natura interlocutoria e non pregiudica i diritti delle parti che possono essere fatti valere nel giudizio civile».

Tale ultimo orientamento va condiviso ed ulteriormente ribadito. Non solo avverso il provvedimento di rimessione delle parti non è prevista alcuna forma di impugnazione da una norma del codice di rito ma l’atto in questione ha un contenuto inidoneo ad incidere, in via diretta, sulle posizioni soggettive delle parti, ledendole o ridimensionandole, occupandosi soltanto, per ragioni organizzative e sistematiche, di individuare l’autorità giudiziaria competente alla soluzione di un conflitto, potenziale o in atto.

L’assenza di contenuto decisorio permane anche quando il provvedimento di rimessione delle parti dinnanzi al giudice civile viene adottato dal giudice dell’esecuzione, quindi dopo la definizione del procedimento penale, in assenza di una lite pendente. In senso contrario non può valorizzarsi, come ritenuto dal ricorrente, il principio in forza del quale al giudice penale spetta la cd. competenza occasionale a conoscere e risolvere, in via incidentale, ogni questione pregiudiziale. La regola fissata dall’art. 2, comma 1, CPP secondo cui «il giudice penale risolve ogni questione da cui dipende la decisione» non è assoluta ma può subire eccezioni come chiarito dal successivo inciso «salvo che sia diversamente stabilito».

Una delle eccezioni alla regola della valutazione incidentale del giudice penale è stata, quindi, individuata dal legislatore nella delicata materia del diritto di proprietà che è stata attribuita, quale che sia lo stato del procedimento in cui venga proposta (cognizione o esecuzione), alle decisioni del giudice civile al fine evidente di evitare il pericolo di decisioni contrastanti.

L’eventualità, poi, che la controversia civile non sia ancora stata instaurata al momento della rimessione al giudice civile non costituisce fattore di indebolimento della tutela dei diritti delle parti e non esige pertanto l’impugnabilità del relativo provvedimento. Il provvedimento di rimessione al giudice civile, infatti, non presuppone l’attualità della pretesa tra due o più contendenti e può essere emesso sulla semplice possibilità che una lite insorga: «non configura una translatio iudicii in senso tecnico, per cui l’omessa instaurazione del processo civile sull’accertamento della proprietà nel termine imposto dall’art. 50 CPP non pregiudica in alcun modo i diritti delle parti in sede civile e non impone al giudice civile alcun obbligo di decisione in senso favorevole all’una o all’altra parte» (Sez. 2 civile, 4003/2011). Non vi sono allora ragioni per diversificare la disciplina degli atti di rimessione al giudice civile delle controversie in materia di proprietà su quanto in sequestro, a seconda del contesto processuale in cui si collocano.

Essi rientrano in ogni caso nella categoria degli atti privi di contenuto decisorio, e pertanto inoppugnabili, al pari di qualsiasi altro atto meramente ordinatorio o processuale «che, lungi dall’investire, con possibilità di passaggio in giudicato, il diritto sostanziale dedotto in giudizio, decide unicamente sul diritto potestativo di ottenere una pronuncia ... in una determinata fase processuale o attraverso determinati riti processuali» (Sez. 1, 6769/2019).

 

Casistica

…Associazione mafiosa

Il legislatore ha previsto che alla condanna per il delitto per il reato ex art. 416-bis segua "la confisca obbligatoria delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego", formula in cui l’obbligo della confisca è esteso a beni per i quali l’articolo 240, primo comma, si limita a disporre la confisca facoltativa.

Nell’ambito delle "cose che servirono o furono destinate a commettere il reato" devono ricomprendersi tutti i beni destinati a essere utilizzati ai fini dell’attività dell’associazione: deve, pertanto, sussistere una relazione specifica e stabile tra il bene e l’illecito che testimoni l’esistenza di un rapporto strutturale e strumentale (Sez. 6, 27750/2012). Nelle cose che costituiscono il prezzo, il profitto o il prodotto del reato, deve ricomprendersi anche ciò che sia stato guadagnato con attività economiche formalmente lecite, ma gestite attraverso l’esercizio della forza di intimidazione mafiosa.

Sotto questo profilo, formano oggetto della confisca obbligatoria gli utili derivanti da un’impresa mafiosa. L’estensione inoltre, della confisca alle cose che costituiscono "impiego" del prezzo, del prodotto e del profitto del reato si propone, innegabilmente, di colpire ogni reinvestimento successivo dei profitti delittuosi e degli stessi utili dell’impresa mafiosa e, pertanto, anche le destinazioni sostanzialmente lecite delle utilità (SU, 2798/1994).

Ciò premesso, anche un’impresa, compresi tutti i suoi beni, può essere oggetto di ablazione ai sensi della citata norma in quanto "strumento" del reato associativo mafioso. Tuttavia, ai fini della confiscabilità dei beni in questione occorre che sia positivamente dimostrata una correlazione, specifica e concreta, tra la gestione dell’impresa e le attività riconducibili al sodalizio criminale (Sez. 2, 948/2019).

Nell’ipotesi in cui l’impresa sia sostanzialmente posta sotto il controllo della consorteria che utilizzi la stessa da "schermo" per le proprie illecite attività, la stessa finisce per divenire !o strumento operativo per la realizzazione del programma criminoso: questo determina una contaminazione irreversibile dei meccanismi di accumulazione della ricchezza prodotta dalla stessa che rende impossibile la distinzione tra capitali illeciti e capitali leciti (Sez. 6,  3296/2018, in cui si affermato che il sequestro finalizzato alla confisca ai sensi dell’art. 416-bis, comma settimo, può avere ad oggetto l’intero patrimonio e le quote di una società allorché questa sia qualificabile come "impresa mafiosa" e, cioè, quando vi sia una totale sovrapposizione tra compagine associativa e sodalizio criminoso, ovvero l’intera attività sia frutto dell’impiego di risorse economiche provento di delitto, oppure qualora l’impresa sia direttamente sottoposta al controllo dell’associazione mafiosa).

Infatti, dal momento che l’impresa è un’entità da intendere in modo unitario, una volta accertata la natura illecito-mafiosa dell’attività imprenditoriale, in quanto utilizzata per la consumazione di condotte delittuose, va necessariamente sottoposto a sequestro (e a successiva confisca) tutto il complesso delle quote e dei beni aziendali, non potendosi più operare una distinzione tra capitale originariamente lecito e capitale di provenienza illecita immesso successivamente, posto che l’impresa ha avuto la possibilità di espandersi e di produrre reddito proprio grazie all’uso distorto (in quanto "mafioso"), che è stato fatto dei suddetti beni (anche se originariamente acquisiti in modo lecito) e con l’ulteriore conseguenza che, anche le entrate progressivamente reimpiegate per l’ulteriore sviluppo aziendale, devono ritenersi connotate da quella illiceità (Sez. 2, 42525/2017) (riassunzione dovuta a Sez. 2, 948/2019).

 

…Reati in materia di stupefacenti

Poiché l’art. 240 comma 1 prevede, tra le altre ipotesi, anche quella della confisca facoltativa delle cose che costituiscono il profitto del reato e cioè il lucro o vantaggio economico che si ricava, direttamente o indirettamente, dalla commissione di esso (SU, 3.7.1996), è certamente ammessa la confisca del danaro che costituisca provento del reato di vendita di sostanze stupefacenti, qualora questo sia il reato per cui si procede (Sez. 4, 8156/2019).

Nel caso di condanna o di applicazione della pena per il reato di cui al DPR 309/1990, art. 73, comma 5, può costituire oggetto di confisca ex art. 240 solo la somma di denaro che il giudice accerti essere stata ricavata dalla cessione della sostanza stupefacente e, siccome il denaro medesimo rappresenta il profitto e non già il prezzo del reato, in siffatti casi, si versa in ipotesi di confisca facoltativa (Sez. 6, 9427/2019).

Con riferimento alla specifica fattispecie di illecita detenzione di sostanze stupefacenti previsto dall’art. 73, comma 5, DPR 309/1990, può procedersi alla confisca del denaro trovato in possesso dell’imputato soltanto quando sussiste un nesso di pertinenzialità fra questo e l’attività illecita contestata; ne consegue che non sono confiscabili le somme che, in ipotesi, costituiscono il ricavato di precedenti diverse cessioni di droga e sono destinate ad ulteriori acquisti della medesima sostanza, non potendo le stesse qualificarsi né come "strumento", né quale "prodotto", "profitto" o "prezzo" del reato in questione (Sez. 6, 55852/2017).

 

…Reati tributari

Sono confiscabili e, quindi, suscettibili di sequestro preventivo i beni appartenenti a soggetto indagato del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, alienati per far venir meno le garanzie di un’efficace riscossione dei tributi da parte dell’Erario, in quanto costituiscono lo strumento mediante il quale il reato viene commesso, a nulla rilevando perciò la loro qualificazione quale prezzo o profitto di tale delitto (Sez. 3, 3095/2017).

A seguito dell’introduzione dell’art. 1, comma 143, L. 244/2007, anche rispetto ai reati tributari è divenuto applicabile l’istituto della confisca per equivalente di cui all’art. 322-ter, originariamente introdotto dall’art. 31 della L. 300/2000, per il solo delitto di corruzione ex art. 321. Ora la previsione del 2007, che era formulata attraverso la tecnica del richiamo all’art. 322-ter, ha trovato autonoma collocazione nell’art. 12-bis DLGS 74/2000 (inserito dall’art. 10 DLGS 158/2015), il cui primo comma dispone che "nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto".

Dunque, la confisca per equivalente deve essere obbligatoriamente disposta con la sentenza di condanna o di patteggiamento, anche in mancanza di sequestro, senza che ciò comporti alcuna violazione del diritto di difesa, potendo il destinatario ricorrere al GE qualora si ritenga pregiudicato dai criteri adottati dal PM nella selezione dei cespiti da confiscare.

Deve tuttavia precisarsi che l’applicabilità della confisca per equivalente incontra un limite nell’eventuale declaratoria di estinzione del reato per prescrizione. Le Sezioni unite (SU, 31617/2015), hanno infatti affermato il principio secondo cui il giudice, nel dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può applicare, a norma dell’art. 240 secondo comma n. 1, la confisca del prezzo del reato e, a norma dell’art. 322-ter, la confisca del prezzo o del profitto del reato, sempre che si tratti di confisca diretta e vi sia stata una precedente pronuncia di condanna, rispetto alla quale il giudizio di merito permanga inalterato quanto alla sussistenza del reato, alla responsabilità dell’imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come profitto o prezzo del reato.

All’esito di un articolato percorso argomentativo, contraddistinto da un costante confronto con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenze Varvara e Sud Fondi c. Italia in particolare) e della Corte costituzionale (sentenza 49/2015), le Sezioni unite hanno infatti evidenziato che la confisca diretta del profitto desunto dal reato non presenta, nel caso disciplinato dall’art. 322-ter, natura giuridica diversa dalla confisca del prezzo del reato, che a sua volta non presenta connotazioni di tipo punitivo, dal momento che in tal caso il patrimonio dell’imputato non viene intaccato in misura eccedente il pretium sceleris, direttamente desunto dal fatto illecito, e rispetto al quale l’interessato non avrebbe neppure titolo civilistico alla ripetizione, essendo frutto di un negozio contrario a norme imperative; al provvedimento di ablazione fa dunque difetto una finalità tipicamente repressiva, posto che l’acquisizione all’Erario finisce per riguardare una res che l’ordinamento ritiene non possa essere trattenuta dal suo avente causa, in quanto, per un verso, rappresentando la retribuzione per l’illecito, non è mai legalmente entrata a far parte del patrimonio del reo, mentre, sotto altro e corrispondente profilo, proprio per la specifica illiceità della causa negoziale da cui essa origina, assume i connotati della pericolosità intrinseca, non diversa dalle cose di cui è in ogni caso imposta la confisca, ai sensi dell’art. 240 secondo comma n. 2.

La logica che coinvolge e giustifica l’obbligatoria confisca del prezzo del reato in base alla generale previsione dettata dall’art. 240, secondo comma, è stata ritenuta non dissimile da quella che ha indotto il legislatore a introdurre previsioni speciali di confisca obbligatoria anche del profitto del reato, venendo in rilievo il comune profilo del lucro desunto dal reato, inteso come vantaggio economico ottenuto in via diretta e immediata dalla commissione del reato, e quindi legato da un rapporto di pertinenzialità diretta con l’illecito penale. Si giustifica in tal modo l’attrazione, accanto al prezzo, anche del profitto del reato, all’interno di un nucleo unitario di finalità ripristinatoria dello status quo ante, secondo la medesima prospettiva volta a sterilizzare, in funzione essenzialmente preventiva, tutte le utilità che il reato, a prescindere dalle relative forme e dal relativo titolo, può aver prodotto in capo al suo autore.

Di qui la conclusione che il concetto di "condanna" necessario e sufficiente per procedere alla confisca anche nell’ipotesi in cui sia successivamente intervenuta la prescrizione del reato, deve essere "modulato", per entrambe le figure di abiezione, in termini fra loro del tutto sovrapponibili, occorrendo cioè che l’accertamento della responsabilità confluisca in una pronuncia che, non solo sostanzialmente, ma anche formalmente, la dichiari, con la conseguenza che l’esistenza del reato, la circostanza che l’autore dello stesso abbia conseguito un vantaggio patrimoniale e che questo abbia rappresentato il prezzo o il profitto del reato stesso, devono aver formato oggetto di una condanna, i cui termini essenziali non abbiano, nel corso del giudizio, subito mutazioni quanto alla sussistenza di un accertamento "al di là dì ogni ragionevole dubbio".

L’intervento della prescrizione, dunque, per poter consentire il mantenimento della confisca, deve rivelarsi quale formula terminativa del giudizio anodina in punto di responsabilità, finendo in tal modo per "confermare" la preesistente (e necessaria) pronuncia di condanna, secondo una prospettiva non dissimile da quella tracciata dall’art. 578 CPP in tema di decisione sugli effetti civili nel caso di sopravvenuta declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.

Un discorso diverso vale invece per la confisca per equivalente, che assolve una funzione sostanzialmente ripristinatoria della situazione economica, modificata in favore del reo dalla commissione del fatto illecito, mediante l’imposizione di un sacrificio patrimoniale di corrispondente valore a carico del responsabile ed è pertanto connotata dal carattere afflittivo e da un rapporto consequenziale alla commissione del reato proprio della sanzione penale, mentre esula dalla stessa qualsiasi funzione di prevenzione che costituisce la finalità principale delle misure di sicurezza, essendo in definitiva la confisca di valore parametrata al profitto o al prezzo dell’illecito solo da un punto di vista "quantitativo", per cui la stessa non può che essere disposta solo all’esito di un giudizio di condanna, dovendosi appunto declinare la funzione della misura in chiave marcatamente sanzionatoria.

Ciò posto, assume dunque particolare rilievo l’individuazione dell’ambito di confiscabilità del profitto nei reati tributari, inteso come qualsivoglia vantaggio patrimoniale conseguito alla consumazione del reato, che può consistere anche in un "risparmio di spesa", corrispondente cioè al mancato decremento del patrimonio del debitore che non adempie tempestivamente all’obbligazione tributaria (SU, 18374/2013). Ed invero, premesso che il profitto è confiscabile sia in forma diretta, ai sensi della generale previsione di cui all’art. 240 che per equivalente (Sez. 3, 23108/2013), è stato affermato che la confisca diretta del profitto di reato è comunque istituto ben distinto dalla confisca per equivalente (SU, 10561/2014).

La distinzione assume importanza soprattutto con riferimento al sequestro del denaro, bene fungibile per eccellenza, rispetto al quale si pone il problema di stabilire se lo stesso sia suscettibile di confisca diretta o per equivalente e di verificare, di conseguenza, se lo stesso possa essere oggetto di apprensione senza dover dimostrare l’esistenza di un nesso pertinenziale tra bene e reato, ovvero una relazione diretta tra il bene sequestrato e il reato del quale costituiva il profitto illecito, inteso quale utilità acquisita mediante la condotta criminosa.

A fronte di una pluralità di orientamenti che pervenivano a differenti conclusioni, vi è stato anche in materia l’intervento delle Sezioni unite (con la già citata sentenza 31617/2015) che, sviluppando un concetto invero già espresso dalla sentenza 10561/2014, hanno evidenziato che, ove il profitto o il prezzo del reato sia rappresentato da una somma di denaro, questa, non soltanto si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche dell’autore del fatto, ma perde, per il fatto stesso di essere ormai divenuta una appartenenza del reo, qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità fisica.

Non avrebbe infatti alcuna ragione d’essere, né sul piano economico né su quello giuridico, la necessità di accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell’illecito sia stata spesa, occultata o investita: ciò che conta è che le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell’interesse del reo, per cui a rilevare è la prova della percezione illegittima della somma, non la sua materiale destinazione.

Soltanto quindi nelle ipotesi in cui sia impossibile la confisca di denaro, sorge la eventualità di dare luogo a una confisca degli altri beni di cui disponga l’imputato e per un valore corrispondente a quello del prezzo o del profitto del reato, giacché in tal caso si avrebbe quella necessaria novazione soggettiva che costituisce il naturale presupposto per poter procedere alla confisca di valore.

Nel solco dei principi elaborati dalle Sezioni unite, il tema è stato ulteriormente approfondito da due successive pronunce (Sez. 3, 28223/2016 e Sez. 3, 8995/2018), con le quali, applicando a contrario i principi sopra richiamati, si è anche precisato che la natura fungibile del denaro non consente però la confisca diretta delle somme depositate su conto corrente bancario del reo, ove si abbia la prova che le stesse non possano in alcun modo derivare dal reato e costituire, pertanto, profitto dell’illecito, come ad esempio nel caso in cui le predette somme siano corrispondenti a rimesse effettuate da terzi successivamente alla scadenza del termine per il versamento delle ritenute in esecuzione di un concordato preventivo, di talché le stesse neppure possono, evidentemente, rappresentare il risultato della mancata decurtazione del patrimonio quale conseguenza del mancato versamento delle imposte (in altri termini del "risparmio di imposta").

In quest’ottica, ipotizzando che il contribuente sia titolare di un rapporto di conto corrente bancario o postale che, alla scadenza del termine per il pagamento dell’imposta, presenti un saldo negativo, è chiaro che il denaro versato successivamente non può essere ritenuto "profitto" del reato, ma unità di misura equivalente al debito tributario scaduto e non onorato.

Qualora invece il conto bancario o postale presenti, alla scadenza, saldi attivi, il profitto dell’omesso versamento dell’imposta equivale al correlativo mancato decremento del saldo. In definitiva, la natura fungibile del denaro non è sufficiente in questi casi a qualificare di per sé come "profitto" l’oggetto del sequestro, essendo necessario anche provare che la disponibilità della somma successivamente sequestrata costituisca essa stessa risparmio di spesa conseguito con il mancato versamento dell’imposta o che si tratti di liquidità rimasta nella disponibilità del contribuente. Tali puntualizzazioni, come detto, non si pongono in contrasto con i principi elaborati dalle Sezioni unite ma al contrario ne costituiscono un’applicazione, riferita in particolare alla peculiare tipologia dei reati tributari contraddistinti, come nel caso degli art. 10-bis e 10-ter DLGS 74/2000, dall’omesso versamento di imposte dovute in base a specifiche dichiarazioni del contribuente (Sez. 3, 6348/2019).

...Reati edilizi

In materia edilizia, non può essere disposta la confisca, né obbligatoria né facoltativa ai sensi dell'art. 240, del manufatto abusivo a seguito di condanna per le contravvenzioni previste dall'art. 44, comma 1, lett. c), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 diverse dalla lottizzazione abusiva, in quanto la stessa è incompatibile con l'ordine di demolizione, unica sanzione che consegue obbligatoriamente all'accertamento del predetto illecito (Sez. 3, 18539/2022).

…Illecita esportazione all’estero di cose di interesse artistico

L’art. 174 DLGS 42/2004, nel reprimere le condotte di illecita esportazione all’estero di cose aventi un interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico, ovvero talune di quelle elencate nell’art. 11, comma 1, del medesimo decreto, prevede, al comma 3, che il giudice disponga la confisca delle cose oggetto del reato previsto dal comma 1 della medesima disposizione, salvo che questa appartenga a persona estranea alla commissione del reato e che la confisca debba essere eseguita in conformità con le disposizioni riguardanti l’analoga misura riguardante le cose oggetto di contrabbando contenute nella legge doganale.

Va precisato che tale disposizione debba essere applicata anche in caso di esportazione abusiva di beni culturali in ordine alla quale il relativo giudizio penale si sia definito con sentenza di proscioglimento per cause che non riguardino la materialità del fatto e non siano tali da interrompere il rapporto fra la res quae necesse auferre ed il delitto.

Ciò posto, ai fini della norma in questione, il concetto di estraneità al reato deve essere inteso  attesi i rilevanti interessi sottesi all’applicazione della misura della confisca, volta alla tutela di valori primari dello Stato  in termini di pregnante rigore; dovendosi escludere che tale estraneità possa esulare dalla fattispecie solo in ipotesi di connivenza o, addirittura, di complicità, deve, viceversa ritenersi che debba intendersi estraneo alla commissione dell’illecita esportazione del bene culturale all’estero chi, attraverso il suo comportamento, anche solo colposo o colpevolmente negligente, abbia dato causa al fatto costituente illecito penale o, comunque, abbia tratto consapevole giovamento dalla sua commissione, dovendosi, peraltro, individuare il contenuto del giovamento, in qualsivoglia condizione di favore che sia derivata al soggetto dalla sua non estraneità al fatto astrattamente costituente reato; di tal che detto giovamento è certamente rinvenibile nella posizione di chi, in condizione di non estraneità rispetto alla commissione del reato, si trovi nel possesso del bene culturale, a prescindere dalla destinazione di questo alla produzione di un beneficio materiale in favore del detentore (Sez. 3, 22/2019).

 

…Violazioni della normativa sulle armi

La confisca prevista dall’art. 6, L. 152/1975 è obbligatoria per tutti i delitti e le contravvenzioni concernenti le armi anche in caso di declaratoria di estinzione del reato per oblazione, restando esclusa solo nelle ipotesi di assoluzione nel merito o di appartenenza dell’arma a persona estranea al reato medesimo (Sez. 7, 1438/2019).

 

…Detenzione illegale di animali

La detenzione di animali integrante la fattispecie di cui all’art. 727, costituendo reato (sia pure contravvenzionale), rientra nell’ipotesi di cui all’art. 240 comma 2 n. 2 (in base al quale, come è noto, deve sempre essere ordinata la confisca delle cose, la detenzione delle quali costituisca reato, a meno che esse non appartengano a persone estranee al reato (Sez. 4, 18167/2017).

 

…Confisca disposta con sentenza di applicazione concordata di pena

In tema di patteggiamento, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, anche dopo l’estensione dell’applicabilità, per effetto della L. 134/2003, della confisca a tutte le ipotesi previste dall’art. 240, e non più solo a quelle previste dal secondo comma di tale articolo come ipotesi di confisca obbligatoria, il giudice ha l’obbligo di motivare sulle ragioni per cui ritiene di dover disporre la confisca di specifici beni sottoposti a sequestro ovvero, in subordine, su quelle per cui non ritiene attendibili le giustificazioni eventualmente addotte in ordine alla provenienza del denaro o dei beni confiscati (Sez. 1, 16005/2016).

 

…Confisca e pronuncia di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto

La giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di occuparsi della relazione tra confisca e 131-bis in tema di armi. Ha affermato che la misura di sicurezza patrimoniale della confisca è imposta per tutti i reati concernenti le armi ed è obbligatoria anche in caso di proscioglimento dell’imputato per particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131-bis, restando esclusa soltanto nell’ipotesi di assoluzione nel merito per insussistenza del fatto (Sez. 1, 54086/2017). Tale principio fonda, del tutto correttamente, sulla previsione dell’art. 6 L. 152/1975, secondo il quale "Il disposto del primo capoverso dell’articolo 240 del codice penale si applica a tutti i reati concernenti le armi, ogni altro oggetto atto ad offendere, nonché le munizioni e gli esplosivi".

Poiché l’art. 240, comma 2 dispone (anche) che è sempre disposta la confisca delle cose, la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna, ben si coglie che la ammissibilità della confisca delle armi trova una specifica base legale. Non altrettanto può dirsi per la confisca del veicolo nel caso di guida in stato di ebbrezza, quando il fatto sia valutato di particolare tenuità, non essendo revocabile in dubbio che non si è in presenza di una sentenza di condanna o a questa assimilabile (Sez. 4, 7526/2019).

 

…Differenza tra i concetti di beni confiscabili e cose o tracce ex art. 382 CPP

Non sussistono dati normativi che impongano di limitare il concetto di "cose o tracce", indicato dall’art. 382, comma primo, CPP restringendolo, ad esempio, alle categorie di corpo del reato, ovvero alle categorie di beni individuati dall’art. 240, apparendo evidente come la locuzione dell’art. 382 CPP sia molto più ampia e non circoscrivibile a priori, includendo tutti i beni e gli oggetti che siano, in riferimento alle singole fattispecie concrete, logicamente collegabili alla commissione del reato con un nesso cronologico di immediatezza (Sez. 5, 3756/2019).

 

...Confisca dopo la pronuncia della sentenza

Deve ritenersi abnorme il provvedimento con cui il giudice della cognizione dispone la confisca in un momento successivo a quello della pronuncia della sentenza, in quanto all’omessa pronuncia di tale provvedimento è possibile porre rimedio solo con l’impugnazione o, in caso di formazione del giudicato, con lo strumento previsto dall’art. 676 CPP (Sez. 2, 28299/2021)