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Art. 240-bis - Confisca in casi particolari (1)

1. Nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per taluno dei delitti previsti dall’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 322, 322-bis, 325,416, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli articoli 453, 454, 455, 460, 461, 517-ter, 517-quater, 518-quater, 518-quinquies , 518-sexies e 518-septies (1-bis)  nonché dagli articoli 452-quater, 452-octies, primo comma, 493-ter, 512-bis, 600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, 600-quater.1, relativamente alla condotta di produzione o commercio di materiale pornografico, 600-quinquies, 603-bis, 629, 640, secondo comma, n. 1, con l’esclusione dell’ipotesi in cui il fatto è commesso col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare, 640-bis (1-ter),644, 648, esclusa la fattispecie di cui al quarto (2) comma, 648-bis, 648-ter e 648-ter.1, dall’articolo 2635 del codice civile, o per taluno dei delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine costituzionale, è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica. In ogni caso il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale, salvo che l’obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge. La confisca ai sensi delle disposizioni che precedono è ordinata in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta per i reati di cui agli articoli 617-quinquies, 617-sexies, 635-bis, 635-ter, 635-quater, 635-quinquies quando le condotte ivi descritte riguardano tre o più sistemi.

2. Nei casi previsti dal primo comma, quando non è possibile procedere alla confisca del denaro, dei beni e delle altre utilità di cui allo stesso comma, il giudice ordina la confisca di altre somme di denaro, di beni e altre utilità di legittima provenienza per un valore equivalente, delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona.

(1) Articolo introdotto dal D. Lgs. 21/2018, in sostituzione dell’art. 12-sexies, commi 1 e 2-ter, DL 306/1992 convertito nella L. 356/1992.

(1-bis) Il riferimento agli artt. 58-quater, 518-quinquies, 518-sexies e 518-septies è stato inserito dall'art. 1, comma 1, lettera a), L. n. 22/2022.

(1-ter) L'inclusione delle ipotesi di cui agli artt. 640, secondo comma n. 1 e 640-bis c.p. è dovuta all'art. 2, comma 1, lett. a), DL n. 13/2022.

(2) L'iniziale riferimento al secondo comma è stato modificato nella versione attuale dall'art. 1, comma 1, lettera b), D. Lgs. 195/2021.

Rassegna di giurisprudenza

Natura e finalità dell’istituto

La confisca di valore o per equivalente persegue la finalità di colpire il patrimonio del responsabile del reato quando non sia possibile sottoporre a confisca "diretta" il bene derivato dal reato stesso perché non più nella sua disponibilità. A fronte della commissione di determinate tipologie di illeciti penali e di operazioni svolte a "trasformazione, l’alienazione o (al)la dispersione di ciò che rappresenti il prezzo o il profitto del reato", l’ordinamento reagisce con uno strumento che sottrae il vantaggio patrimoniale conseguito, non più materialmente rintracciabile, mediante la privazione del valore corrispondente (SU, 31617/2015).

Reati presupposto

Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca prevista dell’art. 12-sexies DL 306/1992, convertito dalla L. 356/1992 (attuale art. 240-bis) può essere disposto per uno dei reati presupposto anche nella forma del tentativo aggravato dall’art. 7 L. 203/1991 (SU, 40985/2018).

Requisiti necessari per la confisca

In relazione al reato di sola detenzione di sostanza stupefacente, di cui all'art. 73 d.P.R. 309/90 può procedersi alla confisca del danaro, trovato in possesso dell'imputato, solo quando non si tratti di ipotesi di lieve entità, di cui al comma 5 del citato articolo, e ricorrano le condizioni per la confisca in casi particolari, prevista dall'art. 240-bis c.p. (applicabile in forza del rinvio ad esso operato dall'art. 85-bis d.P.R. 309/90), non essendo ipotizzabile una confisca ex art. 240 c.p. ovvero ai sensi del comma 7-bis del citato art. 73 per la mancanza del necessario nesso tra il denaro oggetto della statuizione ablatoria e il reato per cui interviene declaratoria di responsabilità (Sez. 4, 20130/2022).

La confisca, originariamente prevista dall’art. 12 sexies DL 306/1992 ed oggi inserita nell’art. 240-bis tra le confische «in casi particolari», deve essere disposta in presenza di due elementi: la qualità di condannato per determinati reati e la sproporzione del patrimonio di cui il condannato dispone, anche indirettamente, rispetto al suo reddito o alla sua attività economicaLa contestuale ricorrenza di entrambe le citate condizioni determina una vera e propria presunzione che il patrimonio del condannato derivi da attività criminose, anche se non specificamente accertate, con la conseguenza che deve esserne disposta obbligatoriamente la confisca da parte del giudice procedente; opera, quindi, un meccanismo presuntivo di illecito arricchimento che è superabile dal condannato con la giustificazione della provenienza dei beni; in linea con gli standard previsti dalla direttiva 2014/42/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 aprile 2014, relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione europea, la presunzione relativa così strutturata consente di superare i problemi di prova diretta del nesso di pertinenzialità tra bene e reato accertato, che sono, invece, insiti nell’accertamento volto all’applicazione della confisca prevista dall’art. 240. Attraverso tale forma di confisca non si sanzionano però automaticamente le situazioni di oggettiva sproporzione tra patrimonio e reddito o attività economica ma, come precisato dalla sentenza della Corte costituzionale 8 novembre 2017  21 febbraio 2018, n. 33, si aggrediscono pur sempre le ricchezze accumulate illecitamente; il giudice, pertanto, conserva sempre la possibilità di valutare le circostanze concrete del caso e la personalità dell’autore, al fine di escludere l’operatività della «presunzione di illecita accumulazione»,  ciò soprattutto quando si procede per reati che non presuppongono una necessaria protrazione delle condotte illecite nel tempo e che non siano commessi in forma organizzata, o quando, nel corso del procedimento, si verifichino o vengano comunque allegati elementi, di fatto o di natura logica, tesi in qualche modo a scardinare il collegamento tra sproporzione patrimoniale e le attività delittuose commesse dal condannato, anche se diverse da quelle contestate o accertate nella sede in cui è applicata la confisca. Tra gli elementi che possono incidere sulla presunzione posta dall’art. 12-sexies consentendone il superamento, vi è senz’altro quello cronologico che, per la sua portata e le sue implicazioni, può assumere rilevanza già in fase di sequestro funzionale alla successiva confisca; poiché non è richiesto l’accertamento di un nesso di pertinenzialità tra il bene e uno specifico reato di ‘cui si abbia la prova, la misura ablatoria in esame si giustifica proprio per la necessità di sottrarre al reo la ricchezza che questi ha accumulato grazie alle condotte illecite che si presume abbia commesso in un contesto temporale che non deve essere eccessivamente lontano dalla commissione del c.d. reato-spia, ma al contrario «ragionevolmente» prossimo all’acquisto del bene (sul punto sono illuminanti le argomentazioni contenute nel paragrafo 11della citata sentenza della Corte Costituzionale: «il momento di acquisizione del bene non dovrebbe risultare, cioè, talmente lontano dall’epoca di realizzazione del "reato spia" da rendere ictu oculi irragionevole la presunzione di derivazione del bene stesso da una attività illecita, sia pure diversa e complementare rispetto a quella per cui è intervenuta condanna»). Va, di conseguenza, esclusa la confiscabilità di beni acquistati dal condannato in un momento (anteriore o successivo) molto distante dal reato accertato giudizialmente o, in caso di sequestro, oggetto di accertamento; per perimetrare il contesto temporale o «la fascia» entro la quale, operando la presunzione relativa posta dall’art. 12-sexies, un bene è assoggettabile a confisca deve farsi ricorso a canoni di «ragionevolezza» che, secondo la citata sentenza della Corte costituzionale, devono essere desunti dalle «caratteristiche della singola vicenda concreta», dalla natura giuridica e dalle modalità di consumazione dei delitti matrice» nonché dal tipo di pericolosità sociale di cui il reo è portatore (Sez. 1, 6781/2019).

…Disponibilità del bene

La presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale, prevista nella speciale ipotesi di confisca di cui all'art. 12-sexies L. 356/1972 (ed oggi dall'art. 240-bis), non opera nel caso in cui il cespite sequestrato sia formalmente intestato ad un terzo che si assume fittizio interposto della persona condannata per uno dei reati indicati nella disposizione menzionata, incombendo, in tal caso, sull'accusa l'onere di dimostrare la sproporzione dei beni intestati al terzo rispetto al reddito dichiarato o all'attività economica esercitata dallo stesso, da valutarsi con riferimento al momento dei singoli acquisti e al valore dei beni di volta in volta acquisiti, non già a quello dell'applicazione della misura: onere che sussiste anche nel caso in cui il terzo intestatario sia il coniuge o altro familiare dell'indagato (Sez. 4, 10519/2021).

Nell’ipotesi di beni acquisiti dal coniuge del condannato, di condizioni di convivenza con quest’ultimo con conseguente comune disponibilità e una volta accertata l’assenza di idonee risorse lecite in capo al congiunto formale intestatario, le circostanze concretamente rilevabili possono consentire decisive semplificazioni probatorie ai fini dell’accertamento dell’interposizione in favore del condannato (Sez. 2, 3620/2014).

Il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, può ricadere anche su beni anche nella disponibilità dell’indagato, che deve essere intesa quale relazione effettuale con il bene sequestrato, connotata dall’esercizio di poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà (Sez. 2, 22153/2013).

Ne discende che i beni, se anche siano formalmente intestati a terzi estranei al reato, devono ritenersi nella disponibilità dell’indagato quando, sulla base di elementi specifici e non congetturali, rientrino nella sfera degli interessi economici dell’indagato, ancorché il potere dispositivo su di essi venga esercitato per il tramite di terzi. Ne consegue che, ai fini dell’applicazione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente su beni formalmente intestati a terzi, non è sufficiente la dimostrazione della mancanza, in capo a costoro, delle risorse finanziarie necessarie per acquisire il possesso dei cespiti controversi, occorrendo la dimostrazione di poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà (Sez. 3, 15210/2012) (riassunzione dovuta a Sez. 1, 4106/2019).

Per la delimitazione del concetto di disponibilità diretta o indiretta, del resto, deve farsi riferimento ad una relazione di fatto che sia idonea a determinare e condizionare la destinazione e l’impiego del bene, condizione che realizza il primo elemento legittimante l’intervento in rem. Si tratta, dunque, di una relazione che prescinde dalla necessità di recuperarla a schemi tipici di ordine formale.

Piuttosto il requisito di disponibilità ricorre in tutti quei casi in cui il bene stesso ricade nella sfera degli interessi economici del soggetto, anche là dove il potere su di esso sia esercitato attraverso l’altrui intermediazione (Sez 1, 18243/2013). Né vale, in senso contrario, delimitare l’ambito di operatività del sequestro e della confisca in esame (art. 12-sexies DL 306/1992 e 240 bis) postulando che il requisito di disponibilità diretta o indiretta della res si debba necessariamente accompagnare ad una operazione simulatoria o di fittizia intestazione che abbia finalità elusiva, come si assume in definitiva in ricorso, affinché si possa legittimare l’intervento patrimoniale.

Là dove ricorra un’intestazione siffatta  che rilevi anche ai sensi dell’art. 12-quinquies DL 306/1992  potrà concorrere indubbiamente per la condotta elusiva in senso ampio (rispetto alla misura di prevenzione o finalizzata ad agevolare le operazioni di ricettazione, riciclaggio e reimpiego) la relativa responsabilità del terzo interposto, ai sensi della norma anzidetta.

Ciò, tuttavia, non integra un pre-requisito affinché si possa intervenire sul bene intestato al terzo, ma nella disponibilità diretta o indiretta dell’indagato. I presupposti che caratterizzano lo statuto di operatività della disposizione in esame sono, invero, strutturalmente diversi. Da un lato, è richiesto il requisito obiettivo di disponibilità del bene in capo a costui e, dall’altro, il requisito di sproporzione reddituale. Si tratta dei due unici profili che l’organo d’accusa è tenuto a provare per richiedere sequestro e confisca. D’altro canto, al terzo titolare formale del bene spetterà l’onere di allegare elementi che attestino la lecita provenienza del bene e che siano idonei a confutare la ricostruzione che lo vede mero titolare formale della res (Sez. 1, 1249/2019).

…Sproporzione

L’istituto della confisca “allargata” (o per sproporzione), per la sua natura speciale, non richiede alcun rapporto fra il patrimonio ed il fatto di reato, pretendendo invece l’esistenza di una sproporzione tra i beni o il denaro nella disponibilità dell’imputato rispetto al suo reddito o alla attività economica svolta nonché la mancata giustificazione della lecita provenienza del denaro o dei beni. In particolare, dall’accertata sproporzione, che spetta alla pubblica accusa provare, scatta una presunzione iuris tantum d’illecita accumulazione patrimoniale, che può essere superata dall’interessato sulla base di specifiche e verificate allegazioni, dalle quali si possa desumere la legittima provenienza del bene sequestrato, in quanto acquistato con proventi proporzionati alla propria capacità reddituale lecita e, quindi, anche attingendo al patrimonio legittimamente accumulato (Sez. 2, 16775/2021).

In tema di sequestro preventivo di beni confiscabili a norma dell’art. 12-sexies, solo dall’accertata sproporzione tra guadagni (desumibili dal reddito dichiarato ai fini delle imposte) e patrimonio scatta la presunzione iuris tantum d’illecita accumulazione patrimoniale, superabile dall’interessato con specifiche e verificate allegazioni, dalle quali si possa desumere la legittima provenienza del bene sequestrato in quanto acquistato con proventi proporzionati alla propria capacità reddituale lecita e, quindi, anche attingendo al patrimonio legittimamente accumulato (Sez. 2, 29554/2015).

Ai fini della confisca cd. allargata, oggetto di sequestro possano essere danaro, beni o altre utilità, di cui l’indagato risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo. I presupposti, poi, sono individuati nell’assenza di giustificazione della lecita provenienza dei suddetti beni, nonché nella sproporzione del loro valore rispetto al reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o all’attività economica dell’indagato. A tal fine è onere dell’accusa la prova della sproporzione, al momento degli acquisti, o tra il valore dei beni ed i redditi dichiarati o tra il valore dei beni e l’attività economica svolta dall’indagato, il quale può allegare e provare fatti in contrario sulla lecita provenienza dei redditi.

Ciò senza che assuma rilievo la pertinenzialità fra i beni confiscati ed i reati addebitati all’indagato. Sicché la confiscabilità non è esclusa per il fatto che i beni siano stati acquisiti in data anteriore o successiva al reato per cui si procede, pur dovendo tenersi presente il principio della cd. ragionevolezza temporale, secondo il quale va verificato che i beni non siano ictu oculi estranei al reato medesimo, in quanto acquistati in un periodo di tempo eccessivamente antecedente, rispetto alla sua commissione (Sez. 1, 41100/2014, nella quale il requisito della ragionevolezza temporale è stato reputato osservato per acquisto effettuato un anno prima rispetto al formale inizio dell’attività criminosa) (Sez. 5, 2697/2019).

Quanto al requisito della sproporzione, è sufficiente all’accusa dimostrare che l’indagato non svolge un’attività idonea a procurargli l’acquisto del bene lecitamente, perché sorga un onere di allegazione, in capo al formale intestatario, teso a dimostrare da quale reddito legittimo provenga l’acquisto e, dunque, l’effettiva appartenenza del bene medesimo. Si tratta, invero, di un onere di allegazione di elementi favorevoli che, al fine di giustificare la provenienza dei beni e superare la presunzione di illecita accumulazione patrimoniale, esistente a carico del titolare apparente, viene indicato come non soddisfatto attraverso la mera esibizione degli atti negoziali di acquisto, regolarmente stipulati e trascritti, ma occorre che l’interessato assicuri esauriente spiegazione della derivazione dei mezzi impiegati per l’acquisto da legittime disponibilità finanziarie (Sez. 5, 2466/2019).

La definitività della decisione di revoca della confisca, o anche del solo sequestro, emessa in ragione dell’assenza del presupposto della sproporzione in sede di procedimento penale ex art. 12-sexies sopra citato impedisce poi, in mancanza della sopravvenuta conoscenza di altri elementi, la procedibilità ai fini dell’applicazione della misura ablativa in ordine agli stessi beni in sede di procedimento di prevenzione quando la proposta si basi sulla sproporzione e dunque, sugli stessi presupposti di quella in sede penale, dovendo in tali casi operare il principio generale del ne bis in idem, seppure mitigato dalla condizione rebus sic stantibus (Sez. 6, 18267/2014).

Dimostrazione della legittima provenienza dei beni

Possono sì rilevare redditi ulteriori rispetto a quelli regolarmente dichiarati (ad esempio, lasciti ereditari, vincite di gioco o redditi provenienti da attività lecita prima della scadenza del termine per la dichiarazione), tuttavia a condizione che gli stessi non costituiscano provento di evasione tributaria e che si tratti di provviste lecite e tracciabili (Sez. 6, 10765/2018). Peraltro, e solo a margine, va osservato come tale consolidata lettura giurisprudenziale sia stata di recente coonestata dallo stesso legislatore (DLGS 21/2018), che, nel trasferire all’interno del codice penale (all’art. 240-bis) la disposizione dell’art. 12-sexies, ha interpolato quest’ultima con l’inciso: «in ogni caso il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale». E, a maggior ragione, tanto non può che valere allorquando, come nel caso di specie, il danaro costituisca esso stesso l’immediato e diretto profitto della violazione tributaria (Sez. 6, 3618/2019).

Relazione tra beni e reato

Sono passibili di confisca "estesa", in presenza dei presupposti delineati dall'art. 240-bis anche i beni acquisiti in epoca antecedente alla commissione dei reati delineati dalla disposizione a condizione che l'acquisizione rientri in un ambito di "ragionevolezza temporale", nel senso che il "momento" dell'acquisto non deve essere talmente lontano dall'epoca di realizzazione del reato/spia da determinare ictu oculi l'irragionevolezza della presunzione di derivazione, in ogni caso, da una attività illecita, sia pure diversa e complementare rispetto a quella giudicata (Sez. 5, 10054/2021).

Costituisce ius receptum che la confisca ai sensi dell’art. 12-sexies L. 356/1992 possa riguardare anche beni non in stretto rapporto pertinenziale con i reati contestati ed acquisiti in epoca anteriore o successiva alla loro commissione (SU, 920/2003), salvo il limite della ragionevolezza temporale rispetto all’epoca dei reati (Sez. 5, 21711/2018).

Onere della prova

In materia di confisca ai sensi dell’art. 12-sexies DL 306/1992 (ora 240-bis) l’unica presunzione prevista riguarda l’illecita accumulazione patrimoniale da parte della persona condannata per uno dei delitti elencati dalla norma, così non avendosi inversioni dell’onere della prova del genere di quelle che operano, ai sensi dell’art. 26 DLGS 159/2011 e secondo la consolidata lettura dell’art. 19, comma 3, stesso decreto, in materia di confisca di prevenzione per taluni congiunti e conviventi in relazione all’interposizione nelle intestazioni. Dunque, con riguardo alla confisca penale di cui sopra opera senza alcuna eccezione la regola che, in caso di intestazione del terzo, grava sull’accusa l’onere di provare le condizioni di divergenza fra l’attribuzione formale e la disponibilità effettiva (Sez. 5, 13084/2017).

Terzi interessati e strumenti di reazione loro riservati

Nel caso di confisca per equivalente avente ad oggetto beni formalmente intestati a persona estranea al reato, incombe sul giudice una pregnante valutazione sulla disponibilità effettiva degli stessi; a tal fine, non è sufficiente la dimostrazione della mancanza, in capo al terzo intestatario, delle risorse finanziarie necessarie per acquisire il possesso dei cespiti, essendo invece necessaria la prova, con onere a carico del pubblico ministero, della riferibilità concreta degli stessi al condannato (Sez. 3, 35771/2017).

Si pone la questione della tutela e dei poteri riconosciuti dall’ordinamento al soggetto terzo estraneo al procedimento penale e quindi non partecipante alla sua celebrazione, il quale rivendichi diritti, chiedendo la restituzione di beni sottoposti nel giudizio di cognizione, dapprima a sequestro preventivo, quindi a confisca ai sensi dell’art. 12-sexies L. 356/92, in ragione della pronunciata condanna dell’imputato per uno dei reati previsti dalla norma stessa. Il giudice di merito ha ritenuto di dover negare ogni possibilità di intervento sulle richieste dell’istituto di credito istante nella più assoluta pretermissione delle disposizioni di legge la cui applicazione si era invocata e dei principi interpretativi, propri della consolidata lezione di legittimità, nonché in pressoché totale assenza di motivazione. In primo luogo si pone la questione del rito prescelto: senza avere previamente instaurato il contraddittorio tra le parti il giudice ha assunto la propria decisione "de plano" con decreto. Secondo costante arresto della giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, Sez. 1, 45998/2013) il procedimento ordinario riguardante l’esecuzione penale resta soggetto alla disciplina dettata dall’art. 666 commi terzo e quarto CPP, che prescrivono si proceda in camera di consiglio, previa fissazione dell’udienza, con avviso alle parti e con la partecipazione "necessaria" del difensore dell’interessato e del PM, in quanto la norma sopra citata è inserita tra le disposizioni generali sull’esecuzione e sancisce la forma di tutti i procedimenti di competenza del giudice dell’esecuzione, con la unica eccezione per i casi in cui sia applicabile la diversa e specifica procedura "de plano" quale fase preliminare dell’ordinario procedimento camerale. Dal combinato disposto dei commi secondo e terzo dell’art. 666 CPP, e secondo quanto già affermato in sede di legittimità, "è illegittimo il provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione dichiari inammissibile "de plano" il ricorso concernente questioni di diritto e preliminari accertamenti in fatto, in quanto siffatto decreto può essere emesso nelle ipotesi espressamente previste dall’art. 666, comma 2, CPP, di manifesta infondatezza dell’istanza o di mera riproposizione di richiesta già rigettata" (Sez. 5, 34960/2007). In tali situazioni, infatti, viene devoluta alla cognizione del giudice una questione che consente il riscontro immediato della mancanza di fondamento dell’istanza, mentre ogni qualvolta sia richiesta la considerazione approfondita delle tematiche prospettate, di non univoca soluzione, nonché la delibazione di fondatezza nel merito dell’istanza nei suoi profili fattuali e nella considerazione delle argomentazioni giuridiche sostanziali o processuali, s’impone la previa instaurazione del contraddittorio con il rito camerale di cui all’art. 127 CPP, richiamato dall’art. 666, comma 3, CPP e ss. La violazione delle norme richiamate determina la nullità assoluta, ai sensi dell’art. 179 comma 1, CPP, dell’ordinanza con la quale il GE abbia provveduto con la procedura cosiddetta "de plano" in assenza dei presupposti legittimanti perché pregiudica la possibilità di partecipazione del difensore e tale vizio può essere rilevato d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del procedimento e determina la nullità dell’intero giudizio e del provvedimento conclusivo. Nel caso specifico, il giudice dell’esecuzione si è pronunciato su una complessa questione giuridica, che avrebbe richiesto accertamenti in fatto e considerazioni giuridiche sullo strumento esperito e la previa instaurazione del contraddittorio con il confronto dialettico tra le parti. La violazione dei superiori principi determina già di per sé la nullità assoluta ed insanabile del provvedimento impugnato. Quanto al merito della decisione, il GE, nel ritenere estraneo l’incidente di esecuzione al proprio ambito di cognizione, ha ignorato che la società proponente ha inteso fare valere il diritto di credito di cui assume essere titolare, gravante su bene oggetto di ablazione disposta in via definitiva in sede penale ai sensi dell’art. 12-sexies L. 356/92, cui è pacificamente applicabile la disciplina dettata per il procedimento di prevenzione e la tutela dei terzi creditori del proposto (tra le tante, Sez. 1, 31025/2018). In particolare, come affermato nelle pronunce citate, l’art. 1, comma 190, L. 228/2012, contiene disposizione normativa che impone di estendere gli strumenti di tutela delle posizioni creditorie alle confische emesse in sede penale ed ai commi successivi contiene norme transitorie applicabili nella sola sede procedimentale delle misure di prevenzione per l’avvertita necessità di porre rimedio alla infelice formulazione dell’art. 117, comma 1, Codice antimafia, secondo il quale la nuova disciplina introdotta dal legislatore del 2011, senza distinzioni di sorta, è riferibile alle sole proposte applicative, successive alla entrata in vigore della legge. Per l’assenza di un espresso regime transitorio valevole per la confisca applicata in sede penale la domanda di accertamento proposta dal terzo creditore è quindi assoggettata alle disposizioni del c.d. codice antimafia. Avrebbe dunque dovuto verificarsi se applicabile alla pretesa vantata dalla ricorrente la regolamentazione dettata dall’art. 52 e ss. DLGS 159/2011, che offre gli strumenti a tutela dei diritti di garanzia dei terzi, costituiti su beni appartenenti a soggetti sottoposti a misure di prevenzione reali in forza della speciale legislazione antimafia, al fine di approntare soluzione al contrasto tra confliggenti pretese dei creditori del proposto e dello Stato, che abbia acquisito mediante confisca i beni sottratti alle organizzazioni criminose di stampo mafioso. I predetti creditori, per conseguire il soddisfacimento dei propri diritti, debbono quindi presentare un’istanza di "ammissione del credito" ai sensi dell’art. 58 DLGS 159/2011, entro il termine di decadenza di centottanta giorni, al GE presso il tribunale che ha disposto la confisca, il quale decide con provvedimento impugnabile ai sensi dell’art. 666 CPP e ha il compito di accertare la sussistenza e l’ammontare del credito, nonché la ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 52 D. Lgs. 159/2011, al fine di ammettere il creditore al pagamento. In caso di provvedimento positivo, da comunicarsi all’Agenzia nazionale per l’amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, tale organismo in seguito individua beni dal valore di mercato non inferiore al doppio dell’ammontare dei crediti e procede alla liquidazione, formando il piano di pagamento dei creditori ammessi ed alla loro concreta soddisfazione. I criteri prescelti dal legislatore per contemperare gli interessi dei privati, titolari di diritti di garanzia, e dello Stato, che abbia proceduto a confisca, assegnano prevalenza a quelli pubblicistici nel senso che, come puntualmente osservato nella sentenza 10532/2013, delle Sezioni unite civili della Corte di Cassazione, "la salvaguardia del preminente interesse pubblico, dunque, giustifica il sacrificio inflitto al terzo di buona fede, titolare di un diritto reale di godimento o di garanzia, ammesso, ora, ad una tutela di tipo risarcitorio. Il bilanciamento dei contrapposti interessi viene, quindi, differito ad un momento successivo, allorché il terzo creditore di buona fede chiederà - attraverso l’apposito procedimento - il riconoscimento del suo credito". Va, infine, ricordato a conferma della correttezza giuridica dei principi sopra esposti che l’art. 37 L. 17 161/2017, sotto la rubrica «interpretazione autentica dell’articolo 1, commi da 194 a 206, della legge 24 dicembre 2012, n. 228», ha stabilito che «le disposizioni di cui all’articolo 1, commi da 194 a 206, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si interpretano nel senso che si applicano anche con riferimento ai beni confiscati, ai sensi dell’articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, e successive modificazioni, all’esito di procedimenti iscritti nel registro di cui all’articolo 335 del codice di procedura penale prima del 13 ottobre 2011. Il riferimento al tribunale del luogo che ha disposto la confisca, contenuto nei medesimi articoli, deve intendersi relativo al giudice del luogo che ha disposto la confisca nel processo penale di cui all’articolo 666, commi 1, 2 e 3, del codice di procedura penale» (Sez. 1, 499/2019).

Costituisce espressione di un orientamento ermeneutico consolidato quello secondo cui, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, laddove il sequestro venga disposto o eseguito su beni formalmente intestati a terzi ma nella disponibilità dell’indagato, l’unico strumento per il terzo per rivendicarne la titolarità o la disponibilità è il giudizio di riesame, atteso che tale condizione non attiene all’esecuzione della misura ma costituisce un presupposto di legittimità della stessa. Sul punto, è sufficiente richiamare il seguente principio di diritto: «In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, ove il sequestro venga disposto o eseguito su beni formalmente intestati a terzi ma nella disponibilità dell’indagato, il terzo che si limiti a rivendicarne l’esclusiva titolarità o disponibilità è legittimato a proporre richiesta di riesame ai sensi dell’art. 322 CPP» (Sez. 3, 38512/2016; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 2, 20685/2017). Ne discende che nelle ipotesi in cui i poteri ablatori vengono esercitati nei confronti di beni nella disponibilità dell’indagato ma intestati formalmente al terzo, analogamente a quanto riscontrabile nel caso in esame, è il terzo che deve attivare lo strumento previsto dall’art. 322 CPP, atteso che la titolarità del bene su cui vengono esercitati i poteri censurati costituisce un presupposto di legittimità della misura ablatoria, che deve essere contestato dall’intestatario del bene nel giudizio di riesame. L’unico strumento con cui il terzo può contestare il sequestro di beni dei quali afferma la titolarità, dunque, è il giudizio di riesame, dovendosi ribadire che la titolarità del bene non attiene all’esecuzione della misura, costituendo un presupposto di legittimità del sequestro (Sez. 1, 4106/2019).

In caso di confisca disposta con sentenza irrevocabile, i terzi che vantino diritti sul bene oggetto di ablazione e non siano stati parti del giudizio di cognizione possono far valere le loro pretese attraverso lo strumento dell’incidente di esecuzione (Sez. 1, 32418/2016, nonché, per una autorevole, ancorché implicita, riaffermazione del principio, SU, 48126/2017). Il citato orientamento si è formato, va subito chiarito, nella vigenza della disciplina applicabile alla fattispecie in esame in forza del principio tempus regit actum, antecedente all’introduzione dell’art. 31 L. 161/2017, che ha inserito un comma 4-quinquies nel corpo dell’art. 12-sexies DL  306/1992 (trasfuso, per effetto del DLGS 21/2018, art. 6, comma 3, lett. a), n. 2, nell’art. 104-bis, comma 1-quinquies, ATT. CPP), mediante il quale si è stabilito che, nel processo di cognizione ove può disporsi la confisca «allargata» prevista da tale disposizione, «devono essere citati i terzi titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni in stato di sequestro, di cui l’imputato risulti avere la disponibilità a qualsiasi titolo». Nel contesto normativo che qui viene in rilievo, il terzo titolare formale dei beni confiscati che non ha partecipato al contraddittorio processuale e non ha, quindi, potuto impugnare la prima decisione di merito che ha disposto la confisca è abilitato a promuovere la rivalutazione del provvedimento ablativo in sede esecutiva. In tale quadro, è stato specificamente osservato (Sez. 1, 32418/2016) che la trattazione in sede esecutiva della pretesa restitutoria da parte del terzo è tesa a realizzare un «riequilibrio di sistema» finalizzato a valorizzare il contraddittorio e le facoltà partecipative accordando al soggetto terzo - sul piano della scansione procedimentale e quale minima contropartita, anche in chiave di costituzionalità, rispetto all’assenza di diritti partecipativi al giudizio penale di merito - la particolare tutela derivante dalla articolata sequenza di cui agli artt. 676 e 667 comma 4 CPP, con prima valutazione de plano e seconda valutazione, sempre nel merito, in contraddittorio (art. 666 CPP) lì dove venga proposta opposizione (Sez. 1, 6316/2019).

Cognizione del giudice

…in sede di applicazione concordata della pena

In caso di patteggiamento, pur dovendosi ritenere le statuizioni inerenti alle pene accessorie e alle misure di sicurezza fuori dalla disponibilità delle parti, il giudice, nel disporre una di tali misure, nel caso in cui l’applicazione sia facoltativa, deve esplicitare le ragioni per cui ritiene sussistenti i presupposti per adottarla e la cornice normativa all’interno della quale ha inserito tale determinazione (art. 240; art. 12-sexies L. 356/92).

Inoltre, pur riconoscendosi la possibilità di procedere alla confisca del denaro, trovato in possesso dell’imputato, in relazione al reato previsto dall’art. 73, comma quinto, DPR 309/90, deve ribadirsi che ciò è consentito solo quando ricorrano le condizioni generali previste dall’art. 240 e non anche ai sensi dell’art. 12-sexies L. 356/1992. Poiché, infatti, l’art. 240 comma 1 prevede, tra le altre ipotesi, anche quella della confisca facoltativa delle cose che costituiscono il profitto del reato e cioè il lucro o vantaggio economico che si ricava, direttamente o indirettamente, dalla commissione di esso, è certamente ammessa la confisca del danaro che costituisca provento del reato di vendita di sostanze stupefacenti, qualora questo sia il reato per cui si procede (Sez. 4, 8156/2019).

…in appello

Il giudice di appello, quando non può più essere disposta in sede di cognizione la confisca, pur nell’ipotesi prevista dall’art. 12-sexies DL 306/1992 (ora 240-bis), rimane privo del potere di ordinare il sequestro preventivo, non potendo tale misura risultare legittima neppure considerando il possibile intervento di decisioni sulla confisca in sede esecutiva a seguito del passaggio in giudicato della condanna (Sez. 1, 5839/2019).

…in sede di legittimità

Il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (nella fattispecie, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex art. 12-sexies, è stato dichiarato inammissibile il ricorso che, a fronte di una approfondita valutazione, da parte del tribunale del riesame, degli elementi reddituali del nucleo familiare interessato dal sequestro, aveva riproposto, sotto il profilo della omessa o carente motivazione, questioni riguardanti l’accertamento della sproporzione) (Sez. 2, 18951/2017).

…nella fase esecutiva

La confisca disposta ai sensi dell’art. 12-sexies DL 306/1992 è suscettibile di revoca solo se con l’incidente proposto per la rimozione del provvedimento ablativo si deducano  non situazioni di fatto costituenti condizioni di legittimità della misura attinenti all’assenza di giustificazione circa la provenienza dei beni e al loro valore non proporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica lecita del soggetto colpito, coperte dal giudicato di condanna, bensì  prove nuove sopravvenute alla conclusione del procedimento, per tali dovendosi intendere anche quelle preesistenti, non valutate nemmeno implicitamente dal giudice (Sez. 1, 4196/2009, richiamata da Sez. 7, 1064/2019).

La revoca della confisca in sede esecutiva può essere invocata solo dal terzo rimasto estraneo al giudizio di cognizione e non dalla parte che ha potuto e comunque avrebbe potuto sollevare le medesime questioni in detto giudizio, di modo che in quest’ultimo caso la decisione intervenuta in materia di confisca rimane intangibile per effetto della preclusione derivante dalla formazione del giudicato (Sez. 3, 29445/2013).

Tale preclusione non viene meno quando si pongono questioni di legittimità costituzionale per asserito contrasto con i principi costituzionali o convenzionali che parimenti avrebbero potuto sollevarsi in sede di cognizione, poiché, come affermato dalla stessa Corte costituzionale, proprio con riferimento al tema della legalità della pena (ordinanza 235/2013; sentenza 201/2013), il GE, al di fuori dell’ipotesi in cui si debba uniformare a una decisione della Corte EDU già intervenuta in materia sostanziale, deve occuparsi non già della legittimità dell’applicazione delle diposizioni intervenuta in sede di cognizione, ma della sola efficacia del comando di cui alla relativa decisione. Il procedimento di esecuzione, pertanto, neppure in materia di misure sanzionatorie può costituire la sede per denunciare in ogni tempo questioni di costituzionalità che avrebbero potuto e dovuto rilevarsi nel giudizio di cognizione (Sez. 1, 4096/2019).

Casistica

L’art. 1, comma 4 della L. 68/2015 ha modificato l’articolo 12-sexies, comma 1, DL 306/199, convertito, con modificazioni, dalla L. 356/1992, inserendovi il riferimento ai delitti di cui agli artt. 452-quater (disastro ambientale), e 452-octies, comma 1 (associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti ambientali), nonché dell’art. 260 DLGS 152/2006 (attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti), ora confluito nel codice penale, nell’art. 452-quaterdecies). L’art. 1, comma 3 della L. 68/2015ha altresì modificato l’art. 260 DLGS 152/2006 mediante l’introduzione del comma 4-bis il quale prevede che sia sempre ordinata la confisca delle cose che servirono a commettere il reato o che costituiscono il prodotto o il profitto del reato, salvo che appartengano a persone estranee al reato. Quando ciò non sia possibile, è stabilito che il giudice individua beni di valore equivalente di cui il condannato abbia anche indirettamente o per interposta persona la disponibilità e ne ordina la confisca. Con la legge che ha introdotto nel codice penale i delitti contro l’ambiente, nella quale è evidente l’intento di perseguire efficacemente tale tipologia di reati, sono state, dunque, considerevolmente ampliate anche le ipotesi di confisca. La L. 161/2017, con l’art. 31, ha modificato l’art. 12-sexies introducendovi, tra l’altro, un espresso richiamo ai delitti previsti dall’articolo 51, comma 3-bis CPP, tra i quali, come è noto, è compreso, a seguito delle modifiche ad esso apportate dalla L. 136/2010, l’art. 260 DLGS 152/2006 il quale risultava, conseguentemente, richiamato due volte nell’art. 12- sexies. A tale situazione si è poi ovviato con il DL 148/2017, convertito con modificazioni dalla L. 172/2017, il quale, nel sostituire nuovamente il testo dell’art. 12-sexies, ha mantenuto il richiamo all’art. 51, comma 3- 4-bis CPP eliminando la duplicazione del richiamo con il riferimento espresso all’art. 260 DLGS 152/2006. Le medesime disposizioni sono ora contenute nell’art. 240-bis introdotto dal DLGS 21/2018 il quale ha ulteriormente modificato l’art. 12-sexies. Che tale fosse l’intenzione del legislatore (e non quella di eliminare la "confisca allargata" con riferimento al delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti) risulta evidente non soltanto dagli atti dei lavori parlamentari relativi alla L. 171/2017, ove il duplice riferimento al medesimo delitto viene segnalato senza però essere preso in considerazione, ma anche dal contenuto stesso del DL 148/2017, che amplia l’elenco dei reati per i quali la confisca è consentita (sono state, ad esempio, inserite, alcune ipotesi di falso nummario ed alcuni reati informatici). Invero, sarebbe del tutto illogico ritenere che il legislatore, dopo aver introdotto i delitti contro l’ambiente, prevedendo per gli stessi pene severe ed altre rilevanti conseguenze in caso di condanna, abbia voluto definitivamente eliminare la possibilità della confisca di cui all’art. 12-sexies al solo delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, reato connotato da una obiettiva gravità, inserendo nel contempo nel medesimo articolo altri reati prima non presenti e, addirittura, non avvedendosi del fatto che il delitto di cui all’art. 260 DLGS 152/2006, una volta espunto, restava comunque ricompreso nell’ambito di applicazione dell’art. 12-sexies in forza del richiamo contenuto nell’art. 51, comma 3-bis CPP. Nessuna modifica che induca a diverse conclusioni è stata poi apportata dal menzionato d.lgs. 21/2018 che, anzi, è intervenuto sull’art. 51, comma 3-bis CPP sostituendo il riferimento all’art. DLGS 152/2006 con quello all’art. 452-quaterdecies. Ne consegue che la confisca di cui all’articolo 12-sexies, comma 1, del DL 306/1992, convertito, con modificazioni, dalla L. 356/1992 (ora prevista dall’art. 240-bis), continua ad operare, anche a seguito delle modifiche introdotte con il DL 148/2017, convertito con modificazioni dalla L. 172/2017 in caso di condanna o applicazione pena ai sensi dell’art. 444 CPP per il reato di cui all’art. 260 DLGS 152/2006 (ora art. 452-quaterdecies), il quale figura tra i delitti considerati dall’art. 51, comma 3-bis CPP che l’art. 12-sexies espressamente richiamava e che ora menzionato dall’art. 240-bis (Sez. 3, 28759/2018).

È consentita la confisca di un immobile realizzato con denaro di illecita origine su un terreno di provenienza lecita, dovendosi valutare unitariamente i due beni in una prospettiva che attribuisce prevalenza al maggior valore economico del fabbricato, del quale il terreno, per le finalità della normativa in materia di prevenzione, segue il regime giuridico quale pertinenza, rimanendo superato il principio civilistico dell’accessione (Sez. 6, 16151/2014).

La confisca disposta ai sensi dell’art. 12 sexies DL 306/1992, ora sostituito con piena continuità normativa, stante l’identità di formulazione e di ratio, dall’art. 240-bis, che ne prevede la obbligatorietà nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta, anche per il reato di cui all’art. 73 DPR 309/1990, quando il condannato non possa giustificare la provenienza dei beni o dei valori in sequestro ed essi siano sproporzionati rispetto ai suoi redditi, cosicché, trattandosi di una ipotesi di confisca obbligatoria, non richiede la richiesta del PM, dovendo la confisca essere obbligatoriamente disposta indipendentemente dalla stessa (Sez. 3, 4884/2019).

Benché per effetto del novellato comma 4-bis dell’art. 12-sexies DL 306/1992, come risultante per effetto della modifica introdotta dall’art. 1, comma 190, L. 228/2012 (cd. legge di stabilità), le disposizioni in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati, previste dal DLGS 159/2011, si applicano anche ai casi di sequestro e confisca previsti dai commi 1/4 del suddetto art. 12-sexies e agli altri casi di sequestro e confisca di beni adottati nei procedimenti relativi ai delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, CPP, ciò non comporta l’applicabilità a tali sequestri e confische di tutta la disciplina relativa alla tutela dei terzi e ai rapporti con le procedure concorsuali, contenuta nel titolo IV del libro I del Codice antimafia. Una tale automatica e generalizzata estensione è già stata esclusa dalla giurisprudenza di legittimità (tra le altre, Sez. 4, 36092/2017), sulla base di considerazioni condivisibili, circa la specialità della disciplina contenuta nel codice antimafia, la diversità di caratteristiche dei sequestri e delle confische disposte nel processo penale rispetto a quelli di prevenzione, la assenza di lacune da colmare facendo ricorso a una interpretazione estensiva o analogica. A tali rilievi può aggiungersi, oltre alla sottolineatura del dato letterale (essendo stata espressamente limitata l’estensione della disciplina contenuta nel codice antimafia alla sola amministrazione e gestione dei beni confiscati, senza contemplare anche le disposizioni relative alla tutela dei terzi e ai rapporti con le procedure concorsuali, di cui invece la società ricorrente invoca l’applicazione anche alla confisca per equivalente), il rilievo della ontologica differenza tra la confisca per equivalente e quella di prevenzione, giacché, mentre quella disposta all’esito del giudizio penale postula l’accertamento della consumazione di un reato e l’affermazione della relativa responsabilità, a fronte dei quali le garanzie dei terzi sui beni confiscati saio destinate a recedere, quella di prevenzione si fonda sui presupposti stabiliti dall’art. 24 DLGS 159/2011 (e cioè la mancanza di giustificazione della legittima provenienza dei beni e la sproporzione del loro valore rispetto al reddito o alla attività economica, o che essi siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego), e, ai sensi dell’art. 16 DLGS 159/2011, può essere disposta nei confronti dei soggetti di cui all’articolo 4 DLGS 159/2001 e "delle persone fisiche e giuridiche segnalate al Comitato per le sanzioni delle Nazioni Unite, o ad altro organismo internazionale competente per disporre il congelamento di fondi o di risorse economiche, quando vi sono fondati elementi per ritenere che i fondi o le risorse possano essere dispersi, occultati o utilizzati per il finanziamento di organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali": tale radicale differenza di presupposti, destinatari e funzione, giustifica anche la diversa disciplina applicabile, sicché non è dato rilevare i presupposti per una estensione adeguatrice della disciplina dettata per la confisca di prevenzione (Sez. 3, 2351/2019).