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Art. 236 - Specie: regole generali

1. Sono misure di sicurezza patrimoniali, oltre quelle stabilite da particolari disposizioni di legge:

1) la cauzione di buona condotta;

2) la confisca.

2. Si applicano anche alle misure di sicurezza patrimoniali le disposizioni degli articoli 199, 200, prima parte, 201, prima parte, 205, prima parte e numero 3 del capoverso, e, salvo che si tratti di confisca, le disposizioni del primo e secondo capoverso dell’articolo 200 e quelle dell’articolo 210.

3. Alla cauzione di buona condotta si applicano altresì le disposizioni degli articoli 202, 203, 204, prima parte, e 207.

Rassegna di giurisprudenza

Riguardo alla possibilità di una confisca conseguente a una pronuncia di estinzione del reato, si sono susseguite plurime decisioni di legittimità, non sempre concordanti, ed importanti interventi delle Sezioni unite, cui converrà pur sinteticamente riferirsi. Il fondamentale principio risale a SU, 5/1993, per cui  seppure la declaratoria di estinzione non sia astrattamente incompatibile con la misura di sicurezza patrimoniale, in forza del combinato disposto degli artt. 210 e 236, comma secondo  il provvedimento ablativo può in tal caso essere adottato solo quando, con riguardo alle previsioni di cui all’art. 240 (o a disposizioni speciali), la sua applicazione non presupponga la condanna, e possa aver luogo anche in seguito al proscioglimento.

Nella stessa pronuncia si sottolinea anche che la confisca, da disporsi nel caso di proscioglimento, costituisce una misura limite, che deve essere prevista dalla legge in termini non equivoci, come avviene nei casi in cui si sia a cospetto delle cose obiettivamente criminose (di cui sono vietati in modo assoluto la fabbricazione, l’uso, la detenzione, il porto o l’alienazione) previste dall’art. 240, secondo comma, n. 2, che difatti la impone, salvo che sia esclusa la materialità del fatto, «anche se non è stata pronunciata condanna»; ipotesi espressamente richiamata, in relazione a tutti i reati concernenti le armi, ogni altro oggetto atto ad offendere, nonché le munizioni e gli esplosivi, dall’art. 6 L. 152/1975, che costituisce altro esempio paradigmatico di una confisca di tal genere.

Fuori dei casi espressamente previsti, per contro, l’estinzione del reato, per qualunque causa, preclude la confisca, a prescindere dalla sua connotazione come obbligatoria o facoltativa, giacché l’impiego dell’avverbio «sempre», che normalmente figura nella proposizione normativa che istituisce le confische del secondo genere, serve ad eliminare ogni discrezionalità nell’applicazione della misura, e a consentirne l’adozione anche in sede di esecuzione, me non sta a significare che essa debba essere disposta anche nel caso di proscioglimento.

Quest’ultimo principio è stato ribadito  con specifico riferimento a fattispecie di confisca obbligatoria (nella specie costituita dal «prezzo» del reato), e nel contesto di un’estinzione del reato dovuta a prescrizione – dalle SU, 38834/2008.

La pronuncia manifesta comunque una qualche «apertura» rispetto al precedente arresto  nella parte in cui questo spendeva l’ulteriore argomento secondo cui, per disporre la confisca nel caso di estinzione del reato, il giudice avrebbe dovuto svolgere accertamenti che lo avrebbero portato a superare i limiti della cognizione connaturata alla particolare situazione processuale  sottolineando invero come la legge processuale preveda ampi poteri di accertamento in capo al giudice che rilevi la sussistenza di una causa estintiva del reato; come testimoniato dall’art. 578 CPP, che affida al giudice dell’impugnazione, che dichiari estinto il reato per amnistia o per prescrizione, la cognizione del capo inerente gli interessi civili della sentenza riformata o annullata, ovvero dall’art. 425, comma 4, CPP, circa la possibilità di disporre la confisca in sede di sentenza di non luogo a procedere.

Nella stessa prospettiva le Sezioni unite sottolineano come esistano fattispecie di confisca obbligatoria, previste da leggi speciali (l’art. 44, comma 2, DPR 380/2001, in materia di lottizzazione abusiva di terreni, o l’art. 301 DPR 43/1973, in materia di contrabbando), interpretate dalla giurisprudenza di legittimità, pur in assenza di esplicita previsione, come altrettante ipotesi di «confisca senza condanna», con il solo limite del riscontro della materialità del fatto che dunque il giudice è abilitato, pur prosciogliendo, a compiere.

Da ultimo, SU, 31617/2015  nel quadro di un’ampia ricognizione del quadro normativo e giurisprudenziale, anche di rango costituzionale e sovranazionale, e dopo aver motivatamente escluso che la confisca del «prezzo» del reato (a norma dell’art. 240, secondo comma, n. 1), o la confisca «diretta» del «prezzo» o del «profitto» (ove obbligatoria, come nei casi previsti dall’art. 322-ter), si atteggi alla stregua di una pena  ha affermato il principio per cui tali misure ablative, dalla natura cautelare, perché pur sempre collegate alla pericolosità della res e tendenti a prevenire la reiterazione criminosa, non presuppongano un giudicato formale di condanna, quale unica fonte idonea a fungere da titolo che le legittimi.

Ciò che risulta «convenzionalmente imposto», alla luce della pronuncia della Corte EDU 29 ottobre 2013, Varvara c. Italia, e «costituzionalmente compatibile», in ragione delle linee-guida tracciate dalla Corte costituzionale, in particolare nella sentenza 49/2015, è che la responsabilità del destinatario della misura reale sia stata nel processo accertata, in modo non meramente incidentale, anche se il processo stesso sia stato definito con una declaratoria di estinzione del reato per prescrizione; il che si verifica, propriamente, allorché il giudice dell’impugnazione dichiari una tale estinzione, a condizione che vi sia stata una precedente pronuncia di condanna e che l’accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell’imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come «prezzo» o «profitto» sia rimasto inalterato nel merito in tale successivo grado.

Allo stato, dunque, la giurisprudenza di legittimità, quale espressa dal suo più alto consesso, pur in evoluzione, riflette il principio per cui la confisca pertinenziale  prevista dall’art. 240, o da disposizioni speciali  sia strettamente correlata alla pronuncia irrevocabile di condanna. Tale principio, fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, può essere derogato solo a fronte di un accertamento di responsabilità intervenuto nel corso del processo, non a titolo meramente incidentale ma consacrato da una sentenza almeno di primo grado, dopo la quale sia maturata la prescrizione del reato. La deroga, inoltre, si riferisce ai soli casi di confisca per legge obbligatoria, in cui la «pericolosità» della cosa sussiste in re ipsa (Sez. 1, 9983/2018).

Costituendo l’art. 200 una norma di regolamentazione dell’ambito di applicabilità sotto il profilo temporale, spaziale e personale delle misure di sicurezza personali, il richiamo ad essa effettuato dal successivo art. 236 è volto ad estenderne l’applicabilità anche a quelle patrimoniali puntualizzando per quanto concerne la confisca, rientrante in queste ultime, che le norme di limitazione di cui al primo ed al secondo capoverso non trovano invece applicazione. Conseguentemente, non essendo la confisca soggetta ai limiti suddetti, essa è perfettamente applicabile agli stranieri indipendentemente dalla loro presenza nel territorio nazionale: è infatti sottesa alla stessa finalità di tutela della collettività da soggetti potenzialmente pericolosi la diversa scelta legislativa che nel mentre postula la presenza del sottoposto nello Stato quale condizione dell’applicabilità della misura personale, prescinde da tale presenza per le misure patrimoniali ove la pericolosità è insista nel collegamento stesso della res all’attività criminosa (Sez. 3, 1481/2018).

Il nostro sistema (art. 205, comma 1, art. 236, comma 2, art. 530, comma 4, CPP, art. 533, comma 1, CPP) attribuisce al giudice della cognizione il potere, nel pronunciare sentenza di assoluzione o di condanna dell’imputato, di applicare le eventuali misure di sicurezza, consentendo - solo in via subordinata - che la confisca possa essere ordinata, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di merito, dal giudice dell’esecuzione, su domanda di parte e secondo le regole e le garanzie stabilite per relativo procedimento dall’art. 676, comma 1, CPP. In termini, a norma del combinato disposto degli artt. 205, comma 1 e 236, le misure di sicurezza devono essere disposte "nella stessa sentenza di condanna", come risulta anche dal tenore dell’art. 579 CPP, il quale espressamente prevede l’impugnazione contro il capo della sentenza concernente le misure di sicurezza.

Da ciò discende: a) che il rimedio, predisposto per l’omessa decisione sul punto, è solo ed esclusivamente l’impugnazione e non certo una separata decisione, assunta dal tribunale dopo l’emissione della sentenza; b) che, non a caso, l’art. 676 CPP attribuisce al giudice dell’esecuzione la decisione in ordine alla confisca, quando la pronuncia sia passata in giudicato ed il giudice della cognizione non abbia provveduto alla confisca obbligatoria. Non risulta, quindi, previsto che il giudice della cognizione possa provvedere con separata ordinanza, una volta che il processo sia stato definito con la lettura del dispositivo (Sez. 3, 9476/2018).