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Art. 615-bis - Interferenze illecite nella vita privata (1)

1. Chiunque mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell’articolo 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.

2. Alla stessa pena soggiace, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chi rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le immagini ottenute nei modi indicati nella prima parte di questo articolo.

3. I delitti sono punibili a querela della persona offesa; tuttavia si procede d’ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato.

(1) Articolo aggiunto dall’art. 1, L. 98/1974.

Rassegna di giurisprudenza

Condotta tipica del reato

L’art. 615-bis punisce esclusivamente colui che si procura immagini o notizie attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi di privata dimora utilizzando mezzi di ripresa visiva o sonora. Dalla ricostruzione del fatto tipico si evince dunque che oggetto giuridico del reato è la riservatezza domiciliare, formula che identifica il diritto alla esclusiva conoscenza di quanto attiene alla sfera privata domiciliare e cioè all’estrinsecazione della personalità nei luoghi di privata dimora. In altri termini oggetto di tutela è la proiezione spaziale della personalità nei luoghi in cui questa si manifesta privatamente. Diritto che peraltro viene tutelato dalla norma incriminatrice in maniera frammentaria, posto che, come illustrato, la condotta tipizzata è a forma vincolata e caratterizzata dalle connotazioni modali descritte, di per sé non esaustive di quelle attraverso cui può realizzarsi l’intrusione nella sfera della vita domiciliare.

Oggetto materiale del reato sono infine le “immagini” e le “notizie” attinenti a tale ambito procacciate con le modalità di cui si è detto. Quello di interferenza nella vita privata è poi reato tendenzialmente plurisussistente e, con riferimento alla lesione del bene giuridico tutelato, di danno e non già di pericolo. Sotto il primo profilo deve rilevarsi innanzi tutto che trattasi di delitto di pura condotta, atteso che il procacciamento indebito delle immagini e delle notizie non è l’evento naturalistico del reato, bensì e per l’appunto l’intrinseco contenuto della condotta punita e non già un risultato autonomo e distinto da essa, fermo restando che l’utilizzo degli strumenti visivi o sonori è, come già ricordato, solo il mezzo che ne connota i limiti di tipicità. Ciò non toglie che proprio l’imprescindibilità del ricorso ai suddetti strumenti riveli come, per l’appunto tendenzialmente, la condotta si frazioni in una pluralità di atti funzionali a garantire l’indiscrezione tecnologica.

Ne consegue che, almeno quando in concreto ciò avvenga, sia configurabile il tentativo, integrato dal compimento di atti idonei ed univocamente diretti a procurarsi le immagini e le notizie descritte dalla norma incriminatrice. Con riguardo all’altro aspetto menzionato, deve rilevarsi come la consumazione della condotta tipica determini la effettiva lesione del bene giuridico tutelato e non lo esponga soltanto a pericolo, posto che la riservatezza domiciliare è inevitabilmente compromessa proprio dalla indebita percezione, con le modalità stabilite, degli atti di manifestazione della vita privata compiuti nei luoghi predefiniti dalla norma incriminatrice (Sez. 5, 4669/2018).

Il reato di cui all’art. 615-bis sussiste anche nell’ipotesi in cui le riprese vengono effettuate in assenza del soggetto la cui riservatezza domiciliare viene violata, ma a condizione che il luogo ove avviene la captazione sia per l’appunto rimasto connotato dalla sua personalità, sia cioè in grado di restituire una effettiva e concreta testimonianza della vita privata del medesimo, atteso che oggetto di punizione ai sensi della disposizione citata non è la mera intrusione nel domicilio altrui (SU, 26795/2006).

Non è “immagine” rilevante ai sensi dell’art. 615-bis quella che rappresenti un luogo in cui terzi abbiano svolto atti della vita privata senza lasciare alcuna traccia visibile della loro presenza, senza, cioè, che dal luogo traspaiono informazioni relative alla loro vita privata (Sez. 5, 4669/2018).

Integra gli estremi del reato anche la sola ripresa di immagini di un domicilio privato in assenza del suo titolare, aveva ad oggetto il caso di fotografie ritraenti numerosi effetti personali appartenenti alla persona offesa, che consentirono agli autori degli scatti (dei giornalisti) di esprimere giudizi sull’ordine dell’abitazione e sulle abitudini di vita dei suoi occupanti (Sez. 5, 46509/2008).

La ripresa fotografica o con videocamera da parte di terzi lede la riservatezza della vita privata che si svolge nell’abitazione altrui o negli altri luoghi indicati dall’art. 614 e integra il reato d’interferenze illecite nella vita privata, previsto e punito dall’art. 615-bis, sempreché vengano ripresi comportamenti sottratti alla normale osservazione dall’esterno, essendo la tutela del domicilio limitata a ciò che si compie in luoghi di privata dimora in condizioni tali da renderlo tendenzialmente non visibile a terzi (Sez. 2, 25363/2015).

Ne discende che le riprese fotografiche o con videocamera che captino immagini, ancorché di fatti attinenti alla vita privata, dispiegantisi in luoghi visibili dall’esterno  come nel caso censito in cui il ricorrente è stato ripreso soltanto nei suoi accessi all’ufficio spogliatoio  devono ritenersi assimilabili a quelle realizzate in luogo pubblico o aperto al pubblico e, come tali, non possono essere ricomprese tra i comportamenti incriminati dall’art. 615-bis (Sez. 5, 42468/2017).

Non integra il reato di interferenze illecite nella vita privata la condotta di colui che mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva provveda a filmare in casa propria rapporti intimi intrattenuti con la convivente, in quanto l’interferenza illecita prevista e sanzionata dal predetto articolo è quella proveniente dal terzo estraneo alla vita privata, e non già quella del soggetto che, invece, sia ammesso a farne parte, sia pure estemporaneamente, mentre è irrilevante l’oggetto della ripresa, considerato che il concetto di “vita privata” si riferisce a qualsiasi atto o vicenda della persona in luogo riservato (Sez. 5, 22221/2017).

Non integra il reato di interferenze illecite nella vita privata la condotta di colui che faccia riprese fotografiche e videofilmate dell’attività edificatoria in corso nella contigua proprietà della persona offesa e consistente nella realizzazione di un muretto di confine, considerato che, ai fini della fattispecie incriminatrice, l’attività intrusiva deve essere indebita e, pertanto, priva di qualsivoglia ragione giustificativa della condotta dell’agente, sostanziandosi in una gratuita intrusione nella vita privata altrui, il che non si verifica nel caso di realizzazione di un manufatto in prossimità di un confine prediale, il quale postula il rispetto delle prescrizioni civilistiche e, per di più, costituisce attività agevolmente osservabile e, come tale, non sottratta alla normale osservazione dall’esterno (Sez. 5, 25453/2011).

Ai fini della configurabilità del reato di interferenze illecite nella vita privata di cui all’art. 615-bis è irrilevante la mancata identificazione, o la non identificabilità, della persona cui si riferisce l’immagine abusivamente captata dal terzo, atteso che il titolare dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice, nel cui ambito rientra la riservatezza che connota i momenti tipici della vita privata, non è soltanto il soggetto direttamente attinto dall’abusiva captazione delle immagini, ma chiunque, all’interno del luogo violato, compia abitualmente atti della vita privata che necessariamente alle stesse si ricolleghino (Sez. 6, 7550/2011).

Il reato di cui all’art. 615-bis (interferenze illecite nella vita privata) non è configurabile per il solo fatto che si adoperino strumenti di osservazione e ripresa a distanza, nel caso in cui tali strumenti siano finalizzati esclusivamente alla captazione di quanto avvenga in spazi che, pur di pertinenza di una privata abitazione, siano, però, di fatto, non protetti dalla vista degli estranei (Sez. 5, 44156/2008).

Il reato di interferenze illecite nella vita privata, previsto dall’art. 615-bis è configurabile anche nel caso di indebita registrazione, da parte di un coniuge, di conversazioni che, in ambito domestico, l’altro coniuge intrattenga con un terzo (Sez. 5, 39827/2006).

Titolare dell’interesse protetto dall’art. 615-bis, nel cui ambito deve ricomprendersi la riservatezza che connota i momenti tipici della vita familiare, non è soltanto il soggetto direttamente attinto dall’abusiva captazione delle immagini o notizie o immediatamente coinvolto dalla loro diffusione, ma anche chiunque, nel luogo violato, compia abitualmente atti della vita privata che necessariamente alle stesse si ricolleghino sì da comporre un unitario quadro rappresentativo di un’area riservata e preclusa alle indebite intrusioni ab externo idonee a scalfirlo (Sez. 5, 18058/2003).

 

Nozione di privata dimora

È necessario premettere delle osservazioni di carattere generale quanto alla nozione di “privata dimora” accolta dalla giurisprudenza nelle diverse fattispecie del codice penale e processuale penale nelle quali essa viene in considerazione, dovendosi evidenziare che si tende a proporne una interpretazione a volte estensiva e altre volte restrittiva, che denuncia una incomprimibile divergenza di vedute.

Tenuto conto che l’art. 624-bis nasce da una novella del 2001, che intese ampliare l’ambito di punizione del furto, non più soltanto in “luogo destinato ad abitazione” (art. 625 n. 1), ma anche in ogni “luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora”, fondamentale appare richiamare le sentenze riguardanti il reato di violazione di domicilio (art. 614), che per prime hanno fornito una elaborazione della nozione di “privata dimora”, espressamente evocata nell’art. 624-bis. In quelle sentenze si era sottolineato, sulla base della stessa lettera dell’art. 614, che il concetto di “privata dimora” fosse più ampio di quello di “abitazione”, comprendendo ogni altro luogo che, pur non essendo destinato a casa di abitazione, venisse usato, anche in modo transitorio e contingente, per lo svolgimento dell’attività privata, come quella di studio, di svago, di lavoro, di commercio, rientranti nella larga accezione di “libertà domestica”.

Sono stati considerati, pertanto, “luoghi di privata dimora” il bar, il negozio e gli altri luoghi, nei quali l’avente diritto, dopo la chiusura dell’esercizio al pubblico, si soffermi per l’esplicazione di un’attività privata. Si è considerato luogo di privata dimora anche quello adibito all’esercizio di una attività, ove «ogni persona ha diritto di svolgere liberamente e legittimamente senza turbamenti da parte di terzi, ai quali può essere vietata la introduzione o la permanenza nel luogo stesso. Ne consegue che anche il ristorante, ove il soggetto esplica la propria attività commerciale, è luogo che viene protetto dalla norma su indicata, che attribuisce, perciò, al gestore del locale il potere di impedire l’accesso e di espellere coloro che si introducono per azioni illecite» (Sez. 2, 1353/1985).

La stessa nozione di “privata dimora” è quella utilizzata, mediante richiamo espresso dell’art. 614, - nel delitto di cui all’art. 615 (in relazione al quale si è ribadito che il concetto di “privata dimora” è più ampio di quello di casa d’abitazione, comprendendo ogni altro luogo che assolva alla funzione di proteggere la vita privata, come quello destinato ad attività culturale con soggiorno che, per quanto breve, abbia comunque una certa durata. Si è quindi ritenuto che anche le aree adiacenti ed esterne a un “castello” non possano che avere le medesime caratteristiche di esplicazione della vita privata e, quindi, rientrano pienamente nel disposto di cui all’art. 615 (Sez. 5, 29093/2015); - nel delitto di cui all’ art. 615-bis (il riferimento contenuto nel primo comma di tale norma ai luoghi indicati nell’art. 614 “ha la funzione di delimitare gli ambienti nei quali l’interferenza nella altrui vita privata assume penale rilevanza” (Sez. 5, 9235/2012); - nell’ aggravante prevista dall’art. 52, comma 2 si è posto il problema di delimitare l’ambito di applicabilità della norma, sicché  per esempio  si è escluso che la presunzione di proporzionalità a favore della reazione di difesa in luoghi di domicilio o ad esso equiparabili operi con riguardo a condotte compiute nell’abitacolo di una autovettura, precisandosi al riguardo che si tratta di spazio privo dei requisiti minimi necessari per potervi soggiornare per un apprezzabile periodo di tempo e nel quale non si compiono atti caratteristici della vita domestica (Sez. 4, 19375/2013).

In proposito le Sezioni unite hanno sottolineato che nel «richiamato secondo comma si fa riferimento, ai fini della presunzione di proporzionalità tra offesa e difesa, ai luoghi previsti dall’art. 614 (vale a dire a quelli di privata dimora).

Se, dunque, la nozione di privata dimora comprendesse, indistintamente, tutti i luoghi in cui il soggetto svolge atti della vita privata, non vi sarebbe stata alcuna necessità di aggiungere il terzo comma nell’art. 52 per estendere l’applicazione della norma anche ai luoghi di svolgimento di attività commerciale, professionale o imprenditoriale. Evidentemente tale precisazione è stata ritenuta necessaria perché, secondo il legislatore, la nozione di privata dimora non è, in generale, comprensiva dei luoghi di lavoro» (SU, 31345/2017). Nelle disposizioni sul furto in abitazione (art. 624-bis) e sulla rapina aggravata (art. 628, terzo comma, n. 3-bis, mediante richiamo all’art. 624-bis), invece, senza operare un rinvio all’art. 614, vi è il riferimento diretto ai luoghi “destinati in tutto o in parte a privata dimora”. È del tutto evidente che la precisazione fatta dal legislatore sulla “destinazione” anche “parziale” del luogo a “privata dimora” abbia consentito una lettura ampia della tutela apprestata dalla norma, così da ricomprendere anche quei luoghi che, pur se accessibili al pubblico, comunque abbiano per alcuni soggetti la funzione di proteggere la vita privata.

Si è tuttavia precisato che, al fine di individuare una linea di discrimine tra la più grave fattispecie sanzionata dall’art. 624-bis e quella di cui all’art. 624, occorre pur sempre – poiché altrimenti vi sarebbe una tendenziale e arbitraria sovrapposizione delle due ipotesi – che il luogo nel quale è perpetrato il furto abbia, per sua struttura o per l’uso che ne è fatto in concreto, una destinazione legata e riservata alla esplicazione di attività proprie della vita privata della persona offesa, ancorché non necessariamente coincidenti con quelle propriamente domestiche o familiari ma identificabili anche con attività produttiva, professionale, culturale, politica. Deve, cioè, trattarsi di luoghi deputati allo svolgimento di attività che richiedano una qualche apprezzabile permanenza, ancorché transitoria e contingente, della persona offesa, per taluna delle finalità predette: «Ciò del resto conformemente alla ratio della previsione che è quella della tutela della sicurezza fisica della vittima che si trovi all’interno di luoghi nei quali essa soggiorni sia pure per breve tempo per attività privata, essendo inoltre tale tipo di condotta sintomatico di una maggiore audacia e pericolosità dell’agente e, quindi, determinante un maggiore allarme sociale» (Sez. 4, 51749/2014).

Giova qui sottolineare che anche l’ordinamento processuale – ed in particolare la disciplina sulle intercettazioni di conversazioni tra presenti – modula regime e strumenti autorizzatori del mezzo di ricerca della prova rispetto al presupposto che esso si realizzi o meno nei luoghi indicati dall’art. 614. Invero, a norma dell’art. 266, comma 2, CPP, qualora le attività investigative «avvengano nei luoghi indicati dall’articolo 614, l’intercettazione è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa.

Anche in tale ambito si sono dunque registrate puntualizzazioni sui “luoghi indicati dall’articolo 614” in cui è legittimo effettuare l’intercettazione. Fondamentali in materia sono state le indicazioni delle Sezioni unite, che - in relazione alla nozione di “domicilio”, soggetta alla tutela costituzionale - esigono “un particolare rapporto con il luogo in cui si svolge la vita privata, in modo da sottrarre la persona da ingerenze esterne, indipendentemente dalla sua presenza” (SU, 28 marzo 2006).

Così, con affermazione di carattere generale, sebbene resa nel contesto dell’interpretazione della normativa processuale in tema di videoriprese, si è osservato che «non c’è dubbio che il concetto di domicilio individui un rapporto tra la persona e un luogo, generalmente chiuso, in cui si svolge la vita privata, in modo anche da sottrarre chi lo occupa alle ingerenze esterne e da garantirgli quindi la riservatezza. Ma il rapporto tra la persona e il luogo deve essere tale da giustificare la tutela di questo anche quando la persona è assente. In altre parole la vita personale che vi si svolge, anche se per un periodo di tempo limitato, fa sì che il domicilio diventi un luogo che esclude violazioni intrusive, indipendentemente dalla presenza della persona che ne ha la titolarità, perché il luogo rimane connotato dalla personalità del titolare, sia o meno questi presente». La citata sentenza delle Sezioni unite ha senz’altro influito anche sulla interpretazione delle fattispecie penali sostanziali.

Quindi, in tema di tutela ex art. 624-bis relativa a luoghi destinati al lavoro, l’estensione è stata considerata “ragionevole” solo per chi vi presti stabilmente la propria opera (e, ovviamente, vi esplichi attività della vita privata soggette a riservatezza) e non per coloro che di questi luoghi siano utenti o comunque avventori più o meno occasionali. In altri termini, la tutela opera con riferimento a chi, in relazione ad un determinato luogo, abbia un potere dispositivo, come certamente accade nei contesti in cui un soggetto presti la propria attività lavorativa insieme ad atti della vita privata (tra le tante, Sez. 5, 2768/2014).

Le maggiori applicazioni della medesima sentenza si sono avute però in tema di interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis), dando luogo ad indirizzi contrastanti. In applicazione dei principi della citata sentenza delle Sezioni unite, si è affermato che integra «il reato di violenza privata (art. 610 cod. pen.) - e non quello di interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis)  la condotta di colui che introduca una telecamera sotto la porta di una ‘toilette pubblica in modo da captare immagini di un minore che si trovi all’interno di essa (nella specie bagno di una stazione ferroviaria)  considerato che la toilette pubblica non può essere considerata un domicilio, ex art. 614 richiamato dall’art. 615-bis, neppure nel tempo in cui sia occupata da una persona» (Sez. 5, 11522/2009). In una decisione più recente si è precisato che deve ritenersi luogo di privata dimora la “toilette” di uno studio professionale, trattandosi di locale il cui accesso è riservato al titolare ed ai dipendenti dello studio ed è consentito a clienti e fornitori solo in presenza di positiva volontà del personale (Sez. 3, 27847/2015).

In altra decisione, invece, si è escluso che i locali dove sono posizionate le docce di una piscina comunale possano essere considerati luoghi tutelati a norma dell’art. 615-bis, giacché essi sono frequentati da un pubblico di avventori in numero non determinabile e che si avvicendano quali utenti del servizio (Sez. 5, 28174/2015). In senso contrario, si è affermata la sussistenza del reato di cui all’art. 615-bis con riferimento alla condotta di colui che con l’uso di una macchina fotografica si procuri indebitamente immagini di ragazze, partecipanti al concorso di “Miss Italia”, ritratte nude o seminude nel camerino appositamente adibito per consentire loro di cambiarsi d’abito, in quanto detto camerino rientra nei luoghi di privata dimora, intesi come luoghi che consentono una sia pur temporanea esclusiva disponibilità dello spazio, nel quale sia temporaneamente garantita un’area d’intimità e di riservatezza (Sez. 5, 36032/2008).

Venendo al tema specifico riguardante la interpretazione della nozione di “privata dimora” come rilevante ai fini della integrazione del reato di cui all’art. 624-bis (destinata, però, a ripercuotersi sulla interpretazione delle norme sopra citate oltre che sull’art. 628, terzo comma, n. 3-bis, aggiunto da una novella del 2009), va detto che la esatta locuzione utilizzata nel precetto, e cioè il riferimento a “ luoghi destinati in tutto o in parte a privata dimora”, ha fatto registrare evidenti contrasti. E la categoria di luoghi contemplati ex art. 624-bis che ha dato vita alla maggior parte della casistica è quella degli esercizi commerciali, stabilimenti industriali, studi professionali e luoghi aperti al pubblico con gestione di un’attività d’impresa.

È stato in passato prevalente l’orientamento interpretativo fondato sul rilievo che per “luogo di privata dimora” possa intendersi pure ogni luogo che serva all’esplicazione di attività culturali, professionali e politiche ovvero nel quale le persone si trattengano per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della vita privata. Si è così ritenuto ravvisabile il delitto ex art. 624-bis nella condotta di chi, per commettere un furto, si introduca all’interno di una farmacia durante l’orario di apertura (Sez. 4, 37908/2009), nel ripostiglio di un esercizio commerciale (Sez. 5, 22725/2010), all’interno di un bar (Sez. 5, 30957/2010) o in uno studio odontoiatrico (Sez. 5, 10187/2011).

In senso conforme risulta essersi pronunziata altra sentenza massimata nei seguenti termini: «In tema di furto in abitazione, “luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora” è qualsiasi luogo nel quale le persone si trattengano per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della loro vita privata, comprese le parti accessorie di un edificio (fattispecie relativa al furto di denaro contenuto in una cassetta per la raccolta di elemosina, posta all’esterno di un edificio di culto, ritenuto rientrare nel paradigma dell’art. 624-bis in quando parte accessoria del fabbricato)» (Sez. 5, 7266/2015).

Allo stesso modo si è ritenuto che integri il delitto di furto in abitazione la condotta di colui che sottragga del danaro dal cestino delle offerte custodito in una sagrestia, la quale, in quanto funzionale allo svolgimento di attività complementari a quelle di culto, serve non solo l’edificio sacro, ma altresì la casa canonica e dunque deve ritenersi luogo destinato in tutto o in parte a “privata dimora”, trattandosi di luogo in cui l’ingresso può essere selezionato a iniziativa di chi ne abbia la disponibilità (Sez. 4, 40245/2008). Secondo altra sentenza, poi, integra il reato previsto dall’art. 624-bis la condotta del soggetto che, per commettere un furto, si introduca all’interno di una farmacia, quando l’introduzione clandestina avvenga nelle parti dell’immobile destinate, per l’uso che in concreto ne è fatto, a privata dimora (Sez. 4, 51749/2014).

Un secondo orientamento si è assestato sul criterio discretivo della considerazione della pubblica accessibilità del luogo, reputata incompatibile con la nozione di privata dimora. Si è così escluso, in linea generale, che i locali adibiti alla produzione e vendita di pane possano essere considerati luoghi tutelati a norma dell’art. 624-bis, giacché essi sono frequentati da un pubblico di avventori in numero non determinabile e che si avvicendano quali clienti (Sez. 5, 43672/2015).

Sulla stessa linea altra decisione (Sez. 6, 18200/2012) nega la possibilità di configurare il reato di cui all’art. 624-bis nell’ipotesi di condotta commessa in un negozio durante l’orario di apertura, valorizzando anche la circostanza che il fatto è stato commesso ai danni di un avventore, cliente dell’esercizio commerciale (e non, dunque, del lavoratore addetto al negozio). Negli stessi termini si è affermato che non integra il delitto di furto in luogo di privata dimora, ex art. 624-bis, la condotta di colui che sottragga del danaro dalla cassetta delle elemosine custodita non all’interno della sagrestia, ma nella zona della chiesa destinata al culto, atteso che quest’ultima non può considerarsi privata dimora, trattandosi di luogo frequentato da un numero indeterminato di persone e non destinato allo svolgimento di atti della vita privata (Sez. 5, 23641/2016).

Egualmente nega la configurabilità del reato di furto in privata dimora altra pronunzia (Sez. 2, 39134/2012) in un’ipotesi riferita a furto di merce esposta e venduta in orario di apertura. Il criterio della libera e pubblica accessibilità è stato adottato - non senza contrasti - anche dalla giurisprudenza formatasi in tema di rapina aggravata ai sensi dell’art. 628, comma terzo, n. 3-bis, che richiama i luoghi di cui all’art. 624-bis. Si è precisato che, ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante citata costituisce “luogo di privata dimora” ogni ambiente in cui le persone autorizzate a soggiornarvi siano titolari di uno “ius excludendi alios” e che sia in concreto idoneo a proteggere il diritto alla riservatezza, consentendo lo svolgimento di atti di vita privata.

Si è, pertanto, escluso che, all’interno dell’ufficio postale, possa considerarsi luogo di privata dimora lo spazio di fronte agli sportelli, dove chiunque può accedere liberamente a differenza dell’area degli uffici in cui il pubblico non può accedere senza autorizzazione, in quanto il divieto di accesso consente di attribuire all’ambiente le caratteristiche di privata dimora (Sez. 2, 20200/2016). In senso contrario si è affermato, che, ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante di cui all’art. 628, comma terzo, n. 3-bis, costituisce “luogo di privata dimora” l’area aperta al pubblico durante gli orari di ufficio di un’agenzia bancaria (Sez. 2, 28045/2012).

A fronte del variegato e contrastato panorama interpretativo prospettato, la questione è stata risolta da un recente arresto delle Sezioni unite, secondo cui «ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 624-bis, rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale» (SU, 31345/2017).

Si è precisato che la interpretazione letterale e sistematica della norma, confortata dai principi enucleabili dalle sentenze della Corte costituzionale in tema di privata dimora, nonché dalla sentenza Prisco delle Sezioni unite, «consente di delineare la nozione di privata dimora sulla base dei seguenti, indefettibili elementi: a) utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne; b) durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) non accessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare».

Ne consegue, quindi, che la circostanza per cui nei luoghi di lavoro il soggetto compia atti di vita privata non può considerarsi, da sola, sufficiente «per affermare che tali luoghi rientrino nella nozione di privata dimora e che, per i reati di furto in essi commessi, trovi applicazione la norma rubricata come furto in abitazione (con conseguente tutela rafforzata in termini di trattamento sanzionatorio)». Ciò in quanto «i luoghi di lavoro sono, generalmente, accessibili ad una pluralità di soggetti anche senza il preventivo consenso dell’avente diritto: ad essi è quindi estraneo ogni carattere di riservatezza, essendo esposti, per definizione alla “intrusione” altrui».

Ferma tale affermazione di principio, le Sezioni unite hanno comunque precisato che la disciplina dettata dall’art. 624-bis può essere estesa ai luoghi di lavoro laddove essi presentino «le caratteristiche proprie dell’abitazione». Non può, dunque, revocarsi in dubbio la possibilità che la privata dimora possa essere costituita anche dal luogo ove solitamente si svolge attività lavorativa, a condizione che in esso la persona, pur svolgendo attività lavorativa per molte ore nel corso della giornata, esplichi altresì attività “di vita e dimora privata”, manifestando (in uno dei molteplici modi in cui può atteggiarsi la realtà) alcuni dei propri diritti individuali. E proprio alla luce di ciò, la giurisprudenza di legittimità ha modulato le sue linee interpretative rispetto ai casi concreti, nei quali va accertato, di volta in volta, se il luogo in cui il soggetto svolge la propria attività costituisca, o meno, privata dimora.

Si tratta di un accertamento rimesso, naturalmente, al giudice di merito, il quale, sulla base degli elementi raccolti, deve valutare se nel luogo in cui è stata posta in essere l’azione furtiva, sostanzialmente destinato ad attività lavorativa, il soggetto compia atti della vita privata in modo riservato e precludendo l’accesso a terzi, con la conseguente riconducibilità dello stesso nella categoria dei luoghi di privata dimora.

Il principio enucleato dalle Sezioni unite non trova applicazione indiscriminata in ordine a tutti i luoghi di lavoro, essendo invece necessario condurre, caso per caso, una valutazione di fatto: un’indagine volta ad accertare la sussistenza contestuale di tutte le caratteristiche, richiamate dalle predette Sezioni unite, proprie della privata dimora.

Solo l’esito positivo di tale accertamento consente di affermare con certezza la sussumibilità della condotta nell’alveo della previsione di cui all’art. 624-bis, anche se perpetrata in un luogo in cui si svolge, solitamente, attività lavorativa. In altri termini, gli estremi del predetto reato risultano sicuramente integrati nei casi in cui l’azione furtiva venga posta in essere nei luoghi di lavoro comunque utilizzati per lo svolgimento, in modo riservato, di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), nell’ambito di un rapporto tra il luogo (cui i terzi non possono accedere senza il consenso del titolare) e la persona caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità. In quest’ultima categoria rientrano, generalmente, i locali di luoghi di lavoro destinati a atti della vita privata, come gli spogliatoi, i bagni privati e le zone riservate al deposito di effetti personali, giacché tali luoghi possiedono tutte le caratteristiche generali individuate dalla giurisprudenza di legittimità: a) lo ius excludendi alios, secondo cui è luogo di privata dimora quello nei confronti del quale sussiste il diritto di ammettere o di escludere altre persone, poiché vi si svolge la vita intima di ciascun individuo; b) la apertura limitata del luogo al pubblico, secondo cui non può invocarsi la riservatezza in relazione a luoghi ai quali possono accedere un numero indiscriminato di persone; e) la stabilità della presenza nel luogo, secondo cui non può invocarsi la riservatezza in relazione a luoghi nei quali ci si trovi occasionalmente o transitoriamente. d) la “visibilità protetta dei luoghi”, enunciata dalla Corte costituzionale nella sentenza 149/08 e dalle Sezioni unite nella sentenza Prisco (SU, 26795/2006), che analizza e richiama la sentenza 135/2002 della Corte costituzionale, riferita al dubbio di costituzionalità, ritenuto infondato, della disciplina normativa codicistica nella parte in cui non estende alle riprese visive in luoghi di privata dimora il procedimento autorizzatorio previsto per le intercettazioni ambientali nei medesimi luoghi (Sez. 5, 35788/2018).

L’art. 615-bis è funzionale alla tutela della sfera privata della persona che trova estrinsecazione nei luoghi indicati nell’art. 614; vale a dire, nell’abitazione e nei luoghi di privata dimora, oltre nelle ‘appartenenze di essi. Si tratta di nozioni che individuano una particolare relazione del soggetto con l’ambiente ove egli svolge la sua vita privata, in modo da sottrarla ad ingerenze esterne indipendentemente dalla sua presenza.

Peraltro, proprio l’oggetto giuridico della tutela presuppone uno spazio fisico sottratto alle interferenze altrui, sia nel senso che altri non possano accedervi senza il consenso del titolare del diritto, sia nel senso che sia destinato a rimanere riservato ciò che avviene in quello spazio. Le scale di un condominio e i pianerottoli delle scale condominiali non assolvono alla funzione di consentire l’esplicazione della vita privata al riparo da sguardi indiscreti, perché sono, in realtà, destinati all’uso di un numero indeterminato di soggetti e di conseguenza la tutela penalistica di cui all’art. 615-bis non si estende alle immagini eventualmente ivi riprese (Sez. 5, 21507/2018).

È indubbio che il bagno di un ufficio possa essere annoverato tra i luoghi di privata dimora evocati dall’art. 615-bis, atteso che al suo interno le persone vi svolgono attività della vita privata. È quindi indiscutibile che la indebita registrazione di immagini mentre una persona se ne serve integri il reato di cui si tratta (Sez. 3, 27847/2015).

Non integra il reato di interferenze illecite nella vita privata la condotta di colui che installi nell’auto di un soggetto (nella specie ex fidanzata) un telefono cellulare, con suoneria disattivata e con impostata la funzione di risposta automatica, in modo da consentire la ripresa sonora di quanto accada nella predetta auto, in quanto, oggetto della tutela di cui all’art. 615-bis è la riservatezza della persona in rapporto ai luoghi indicati nell’art. 614  richiamato dall’art. 615-bis  tra i quali non rientra l’autovettura che si trovi sulla pubblica via (Sez. 5, 28251/2009).

Integra il reato di interferenze illecite nella vita privata la condotta di colui che consenta ai giornalisti di introdursi nell’abitazione di un soggetto privato, in assenza di quest’ultimo, e di effettuare riprese fotografiche  successivamente diffuse sulla stampa e su trasmissioni televisive  dei locali e delle cose ivi contenute (Sez. 5, 46509/2008).

Non sussistono gli estremi atti ad integrare il delitto di interferenze illecite nella vita privata nel caso in cui il soggetto attivo effettui, attraverso l’uso di telecamere installate all’interno della propria abitazione, riprese dell’area condominiale destinata a parcheggio e del relativo ingresso, trattandosi di luoghi destinati all’uso di un numero indeterminato di persone e, pertanto, esclusi dalla tutela di cui all’art. 615-bis, la quale concerne, sia che si tratti di “domicilio”, di “privata dimora” o “appartenenze di essi”, una particolare relazione del soggetto con l’ambiente in cui egli vive la sua vita privata, in modo da sottrarla ad ingerenze esterne indipendentemente dalla sua presenza (Sez. 5, 44701/2008).