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Art. 22 - Prescrizione

1. Le sanzioni amministrative si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato.

2. Interrompono la prescrizione la richiesta di applicazione di misure cautelari interdittive e la contestazione dell’illecito amministrativo a norma dell’articolo 59.

3. Per effetto della interruzione inizia un nuovo periodo di prescrizione.

4. Se l’interruzione è avvenuta mediante la contestazione dell’illecito amministrativo dipendente da reato, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio.

Stralcio della relazione ministeriale di accompagnamento al D. Lgs. 231/2001

10. La prescrizione.

L’articolo 22, in attuazione del criterio di delega di cui alla lettera r) dell’articolo 11, regola la prescrizione degli illeciti amministrativi dipendenti da reato. L’enunciato della delega replica in buona sostanza la disciplina contenuta nell’articolo 28 della legge n. 689 del 1981, salvo che per l’incipit, in cui è scomparso il riferimento al diritto alla riscossione delle somme dovute per la violazione, sostituito con il richiamo alle sanzioni amministrative a carico dell’ente.

La scelta, invero, non pare delle più felici, visto che il rinvio ad una regolamentazione di stampo civilistico rischia di dilatare eccessivamente il tempo di prescrizione dell’illecito amministrativo dell’ente, potendo persino favorire deprecabili prassi dilatorie, specie nei casi in cui si proceda separatamente nei confronti dell’ente. Tuttavia, non sembra possibile effettuare interventi di ortodossia, che rischierebbero fatalmente di esporsi alla censura di essere in contrasto con la volontà del legislatore delegante.

Il comma 1 della norma sancisce che le sanzioni amministrative si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato.

Il richiamo della disciplina civilistica è contenuto nei commi 3 e 4 e non presenta problemi di sorta. Nel comma 2, invece, si è provveduto ad indicare quali atti interrompono il corso della prescrizione, non potendosi sul punto fare rinvio al codice civile. Tali atti sono stati individuati nella richiesta di applicazione di misure cautelari interdittive e nella contestazione dell’illecito amministrativo a norma dell’articolo 59.

La tipologia degli atti interruttivi, sensibilmente più ridotta rispetto a quella valevole per il reato, è parsa sufficiente in considerazione del regime giuridico degli effetti dell’interruzione che, in seguito alla contestazione dell’illecito, fa sì che la prescrizione non corra fino al passaggio in giudicato della sentenza.”

 

Rassegna di giurisprudenza

Il termine di prescrizione stabilito dall’art. 22 riguarda tanto l’illecito – che, dunque, non potrà più essere perseguito decorsi cinque anni dalla consumazione del reato presupposto – quanto la sanzione definitivamente irrogata, che dovrà essere riscossa, a pena di estinzione, entro il termine di cinque anni dal passaggio in giudicato della sentenza pronunciata a carico della persona giuridica (fatti salvi, in entrambe le ipotesi, gli effetti di eventuali cause interruttive rilevanti a norma del codice civile) (Sez. 1, 31854/2021).

Il rinvio alla lettera r) dell’art. 11 della legge delega n. 300/2000 alle norme del codice civile va inteso facendo riferimento al regime previsto dall’art. 2945, comma 2, CC, nel senso che una volta interrotta la prescrizione, con l’emissione della richiesta di rinvio a giudizio, essa non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio.

Il che nulla ha a che fare con il momento della produzione degli effetti dell’atto interruttivo, ma solo con il contenuto di quegli effetti, rispetto ai quali, diversamente da quanto previsto per la prescrizione del reato con l’art. 160 CP, l’interruzione impedisce la decorrenza del termine prescrizionale fino a che il giudizio non sia terminato.

Il richiamo che la legge delega effettua alle norme del codice civile non consente infatti di trasformare la richiesta di rinvio a giudizio in un atto recettizio, in assenza di ogni indicazione normativa al riguardo; del pari non è consentito interpolare la norma riconducendo, come proposto dal ricorrente, l’effetto interruttivo alla notifica dell’avviso dell’udienza, ovvero ad un atto a cui la legge non riconosce tale effetto.

Anche nell’ipotesi di c.d. reato degli enti, infatti, l’interruzione della prescrizione è posta a presidio della tutela della pretesa punitiva dello Stato, sicché il regime non può che essere quello previsto per l’interruzione della prescrizione nei confronti dell’imputato e coincidere con l’emissione della richiesta di rinvio a giudizio, in modo del tutto indipendente dalla sua notificazione.

La capacità interruttiva della prescrizione deve essere pertanto attribuita anche agli atti processualmente nulli (Sez. 4, 30634/2019).

La richiesta di rinvio a giudizio della persona giuridica intervenuta entro cinque anni dalla consumazione del reato presupposto, in quanto atto di contestazione dell’illecito, interrompe il corso della prescrizione e lo sospende fino alla pronunzia della sentenza che definisce il giudizio:l ’intervenuta prescrizione del reato presupposto successivamente alla contestazione all’ente dell’illecito non ne determina l’estinzione per il medesimo motivo, giacché il relativo termine, una volta esercitata l’azione, non corre fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento nei confronti della persona giuridica. In tema di responsabilità degli enti, in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera b), deve procedere all’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso che, però, non può prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato (Sez. 6, 20098/2016).

In presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi dell’art. 8, comma primo, lett. b), deve procedere all’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso che, però, non può prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato.

L’intervenuta prescrizione del reato presupposto successivamente alla contestazione all’ente dell’illecito non ne determina l’estinzione per il medesimo motivo, giacché, ai sensi dell’art. 22, il relativo termine, una volta esercitata l’azione, non corre fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento nei confronti della persona giuridica (Sez. 5, 20060/2013).

Invero, la disciplina della prescrizione dettata dall’art. 22 attua il criterio di delega di cui alla lettera r) dell’art. 11, L. 300/2000, il quale ripropone la disciplina contenuta nell’articolo 28 L. 689/1981, rinviando attraverso essa ad una regolamentazione di stampo più civilistico che penalistico (i commi 3 e 4 dell’art. 22 ripropongono più o meno letteralmente la disciplina dettata in tema di prescrizione dell’illecito civile dall’art. 2945 CC).

Ai sensi dell’art. 22, le sanzioni amministrative si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato; interrompono la prescrizione la richiesta di applicazione di misure cautelari interdittive e la contestazione dell’illecito amministrativo a norma dell’art. 59: per effetto della interruzione, inizia un nuovo periodo di prescrizione.

Il comma 4 della disposizione, stabilisce, inoltre, che, nel caso in cui l’interruzione è avvenuta mediante la contestazione dell’illecito amministrativo dipendente da reato, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio: trattasi di previsione peculiare del sistema della responsabilità da reato degli enti immateriali.

Detta disciplina “speciale” è già positivamente passata al vaglio di questa Corte (Sez. 6, 28299/2016), che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 22  sollevata, per asserito contrasto con gli artt. 3, 24, comma 2 e 111 Cost., in riferimento alla presunta irragionevolezza della disciplina della prescrizione prevista per gli illeciti commessi dall’ente-imputato rispetto a quella prevista per gli imputati-persone fisiche, osservando che la diversa natura dell’illecito che determina la responsabilità dell’ente, e l’impossibilità di ricondurre integralmente il sistema di responsabilità ex delicto di cui al D. Lgs. 231/2001 nell’ambito e nella categoria dell’illecito penale, giustificano il regime derogatorio della disciplina della prescrizione (ricostruzione sistematica dovuta a Sez. 2, 52316/2016).

 

Ai sensi degli artt. 22 e 59, la richiesta di rinvio a giudizio è atto di contestazione che interrompe e sospende il decorso della prescrizione sino alla sentenza che definisce il giudizio.

Nell’ambito dei procedimenti per l’accertamento degli illeciti amministrativi derivanti da reato, dunque, l’operatività della prescrizione viene a essere diversa rispetto a quanto previsto dalle norme del codice di procedura penale e viene peraltro a sovrapporsi alle modalità operative tipiche del processo civile.

Materialmente, l’articolo 22, nell’affermare che, se l’interruzione avvenuta mediante la contestazione dell’illecito amministrativo dipendente da reato, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio, opera con sostanziale rinvio al disposto dell’articolo 59, il quale specifica che la contestazione dell’illecito è contenuta in uno degli atti indicati dall’articolo 405, comma 1 CPP Tali atti risultano essere quelli in cui viene formulata l’imputazione, nei casi previsti nei titoli II, III, IV e V del libro VI ovvero con richiesta di rinvio a giudizio (Sez. 2, 50974/2016 e, più di recente, Sez. 2, 36669/2017).

In tema di decorso del termine di prescrizione previsto dall’art. 22 per le sanzioni amministrative conseguenti al riconoscimento della responsabilità da reato delle persone giuridiche. In materia con specifico riguardo alla identificazione dell’atto interruttivo della prescrizione si registra un contrasto di giurisprudenza.

Da un lato si è deciso che la richiesta di rinvio a giudizio della persona giuridica interrompe il corso della prescrizione solo se, oltre che “emessa”, sia stata anche “notificata” entro cinque anni dalla consumazione del reato presupposto, dovendo trovare applicazione, ai sensi dell’art. 11, comma 1, lett. r), L. 300/2000, le norme del CC che regolano l’operatività dell’interruzione della prescrizione (Sez. 6, 18257/2015).

Secondo altro orientamento, che merita di essere preferito, in tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche, la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell’ente, in quanto atto di contestazione dell’illecito, interrompe la prescrizione e ne sospende il decorso dei termini fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, ai sensi degli artt. 59 e 22, commi 2 e 4.

La ragione per la quale si predilige tale seconda interpretazione sta nel fatto che l’art. 59 (richiamato dall’art. 22 dello stesso testo) rinvia al 405 comma 1 che individua come atto di contestazione dell’illecito, ove prevista, la richiesta di rinvio al giudizio, ovvero un atto la cui efficacia prescinde dalla notifica alle parti, che non è prevista dalla legge.

Il richiamo che la legge delega effettua alle norme del codice civile non consente infatti di trasformare la richiesta di rinvio a giudizio in un atto recettizio, in assenza di ogni indicazione normativa al riguardo; del pari, non è consentito interpolare la norma riconducendo, come proposto dal ricorrente, l’effetto interruttivo alla notifica dell’avviso di udienza, ovvero ad un atto a cui la legge non riconosce tale effetto.

Il collegio ricorda inoltre che in tema di interruzione della prescrizione del reato, va riconosciuta anche agli atti processualmente nulli la capacità di conseguire lo scopo. Gli atti interruttivi della prescrizione, infatti, hanno valore oggettivo, in quanto denotano la persistenza nello Stato dell’interesse punitivo (Sez. 2, 41012/2018).

L’art. 11 lett. r) della L. delega 300/2000 espressamente dispone “prevedere che le sanzioni amministrative di cui alle lettere g), i) e 1) si prescrivono decorsi cinque anni dalla consumazione dei reati indicati nelle lettere a), b), c) e d) e che l’interruzione della prescrizione è regolata dalle norme del codice civile”.

Le disposizioni dell’art. 22 sono conformi a tale previsione, disciplinando la prescrizione in modo diverso rispetto alla prescrizione penale - del resto, se non vi fosse ottemperanza alla previsione della applicabilità della disciplina del codice civile, scatterebbero le conseguenze della contrarietà alla legge delega.

Ciò posto, va considerato come non è in dubbio, in quanto espressamente previsto, che nella disciplina dell’interruzione della prescrizione del diritto civile (art. 2943) l’effetto di interruzione si ottenga con la portata a conoscenza dell’atto nei confronti del debitore, in particolare con la notifica degli atti processuali; del resto la ragione è che, in quel caso, l’atto introduttivo rappresenta la richiesta al debitore che non può che decorrere dalla effettiva conoscenza, mentre, nel processo penale, la prescrizione rileva in quanto mancato esercizio dell’azione penale, tenendosi perciò conto del compimento delle attività relative, ovvero dell’emissione dei provvedimento, e non della notifica (Sez. 6, 18257/2015).